7

Dom era a cena con Doris la sera che J.J. chiamò dal MINESPOV per ordinargli di presentarsi al MINESPEST per testimoniare in tribunale in merito alla morte di Larry Gomulka.

Fu una serata piacevole. Una volta tanto Doris non aveva problemi pressanti da risolvere. Proprio allora si stavano installando i computer di bordo, e i componenti già collocati al loro posto funzionavano perfettamente.

Doris era rilassata. Pesava quattro chili meno di quando era arrivata al MINESPOV con gli abiti impolverati dal viaggio nel deserto. Era snella ed elegante, nella sua uniforme. Le rughe intorno agli occhi, che le erano venute dopo la morte di Larry, non si vedevano quasi più. Appariva ringiovanita.

La serata era stata una cosa improvvisata. Dom si era trovato per caso a passare davanti al laboratorio di Doris proprio nel momento in cui lei aveva deciso che per quel giorno il lavoro bastava. Lui le aveva offerto da bere, e lei aveva accettato. Si erano seduti al bar e avevano ascoltato la musica di sottofondo. Erano rimasti a lungo in silenzio, e quando si erano messi a parlare, avevano parlato di lavoro.

Dom suggerì di chiamare Art e di fare una cenetta a tre. Doris disse di sì, e andò a fare la telefonata.

— È impegnato col lavoro — disse, tornando. — Ci toccherà cenare in due.

— Sono così affamato che sono pronto a mangiare anche la parte di Art — disse Dom. — Dove? Qui non si mangia male.

— Vorrei un posto dove ci fosse abbastanza silenzio da permettermi di pensare, parlare, o che altro — disse Doris.

— Allora bisogna escludere anche la caffetteria — disse Dom.

— Farò il gran sacrificio — disse Doris. — Mi sono rimaste giusto due bistecche vere.

— Tentatrice! — disse Dom con l’acquolina in bocca.

— So come ingraziarmi il boss, vero? — disse lei.

— Ti giuro che ti restituirò la bistecca — disse Dom, facendo il segno di giuramento dei boy scouts.

— Mettilo per iscritto.

— Metti in dubbio la parola d’onore di un ufficiale e di un gentiluomo?

— Imparai a mettere in dubbio la parola degli ufficiali maschi quando scoprii che il primo ufficiale di macchina della mia prima nave aveva alterato la combinazione della serratura della mia cabina — disse lei.

Dom prese un tavagliolino di carta e scrisse: «Devo a Doris Gomulka una bistecca vera.» Le allungò il tovagliolino.

— Non hai firmato — osservò lei. Lui prese di nuovo il tovagliolino e firmò. — Sei una che si fida molto poco degli altri.

— Sì, quando si tratta di bistecche.

L’appartamento di Doris era sul davanti della costruzione. La Terra era bassa sull’orizzonte e, azzurra e bianca com’era, sembrava un gioiello, là nel cielo.

— Dio, che bella! — disse Doris fermandosi appena entrata a guardare la grande sfera che si vedeva dalla finestra.

— Non ci si stanca mai di ammirarla.

— È stupenda — disse lei. — Sai, vorrei che tutti la potessero vedere così come la vediamo noi adesso. Vorrei che vedessero com’è piccola e vulnerabile, sospesa lassù. Forse questo gli schiarirebbe un po’ le idee. Vorrei che vedessero da vicino Marte o Mercurio, mondi del tutto inospitali per l’uomo, e che dopo guardassero lei, la nostra Terra. Come ci si può combattere e autodistruggere su un mondo così bello?

— Sotto un certo profilo credo che noi siamo la nuova nobiltà. Siamo così in pochi ad averla vista dallo spazio…

— Per fortuna non si può vedere da qui cosa le abbiamo fatto — disse Doris. — Abbiamo spogliato le sue miniere, fatto esperimenti nucleari nel sottosuolo, riempito di radioattività l’aria e inquinato i suoi oceani. E lei riesce ancora in qualche modo a mantenerci in vita tutti.

— E solo di tanto in tanto ci ripaga con qualche terremoto e qualche siccità — disse Dom, sorridendo.

— E dài, cinico, prepara l’insalata.

Sulla Luna si praticava la coltura idroponica dell’insalata verde, e quindi ce n’era sempre in abbondanza. Le bistecche invece erano tesori preziosi, ed erano rigidamente razionate.

Doris infilò un paio di cassette di vecchia musica nel registratore, e tenne il volume basso. Parlarono del più e del meno mentre lavoravano fianco a fianco in cucina e sorseggiavano l’aperitivo. Le bistecche vennero cotte con estrema cura e attenzione.

Doris mangiò con tanto gusto, che per Dom fu un piacere guardarla. Mangiava in modo piuttosto mascolino, senza dedicare tempo alle chiacchiere e alle sciocchezze. Quando ebbe finito si pulì la bocca col tovagliolo ed emise un sospiro di soddisfazione. I pochi piatti sporchi furono messi nella lavapiatti, che lavorava con l’acqua riciclata.

Doris versò un bicchierino di brandy per entrambi.

La Terra era a circa trenta gradi nel cielo, e per vederla bene si sedettero vicini davanti all’oblò panoramico. La musica, sommessa, li riempiva di nostalgia, e Dom pensò che non era; mai stato meglio di così in vita sua. La Kennedy stava prendendo sempre più forma. La bistecca era stata deliziosa. Il brandy era uno dei superalcolici sintetici più buoni che Dom avesse mai assaggiato. Doris si appoggiò allo schienale della poltrona. Il suo collo formava una lunga linea delicata, e i capelli le incorniciavano dolcemente il viso. Indossava l’uniforme corta, e le sue lunghe gambe, che muoveva lentamente al ritmo della musica, erano abbronzate e muscolose per le molte ore passare in sala esercizi.

C’era qualcosa di molto familiare nella musica che stavano ascoltando adesso, e se ne accorsero subito tutt’e due. Doris si mise a canticchiare piano, ripetendo qui e là le parole della canzone, e Dom la vide di colpo come donna, e dovette distogliere lo sguardo.

— Era da tanto che non la sentivo — disse Doris, quando la canzone finì. Era stata la loro canzone: avevano ballato tante volte al suono di quella musica, ai tempi dell’Accademia.

Dom si alzò. Doveva muoversi se non voleva comportarsi in modo di cui poi si sarebbe pentito. Si piazzò vicino all’oblò, e Doris lo raggiunse, aumentando un pochino il volume quando passò accanto al registratore. Adesso arrivavano le note di un’altra vecchia canzone nota a entrambi. Dom sentì la vicinanza di lei, e il suo corpo che sfiorava il suo.

— Abbiamo ballato tanto anche questa — disse lei, pensierosa.

Dom la guardò. Era possibile che anche lei sentisse quello che sentiva lui? Si era rimessa a canticchiare e muoveva il corpo al ritmo della musica, guardando il placido disco della Terra alto nel cielo.

La musica cambiò e il ritmo aumentò. — Ehi, non posso resistere — disse Doris, posando il bicchiere. Prese il bicchiere di Dom, lo mise giù e alzò le braccia per invitarlo a ballare. Dom le prese la mano e cominciarono a ballare. Dopo qualche passo prese il ritmo giusto e ripeté con Doris i vecchi passi di una volta, ridendo. Le mode nella musica e nel ballo cambiavano così in fretta che Dom non si ricordava sempre il tipo di passi che andavano con una certa musica, ma Doris era un’autorità in materia.

C’era un’altra canzone, adesso, dal ritmo lento. Dom sentì l’autocontrollo vacillare quando lei gli si strinse vicino e cominciò a ballare guancia a guancia, con aria sognante. Stavano perfettamente insieme; lei era alta quasi quanto lui, e tra le sue braccia si sentiva completamente a suo agio. Dom si disse che non doveva lasciarsi andare, che le donne quando ballano non si stringono all’uomo con intenzione. Per lui il ballo lento significava abbracciarsi al suono di una musica. Le donne parevano non attribuire un gran significato erotico al ballo guancia a guancia, mentre per Dom abbracciarsi stretti durante un ballo lento era altrettanto eccitante che abbracciarsi in quel modo in qualsiasi altra circostanza. Era benissimo avere Doris fra le braccia, e quando quella canzone finì e ne cominciò un’altra, Dom non allentò la stretta. Girò leggermente la testa e baciò il collo liscio e tenero di Doris. Lei sospirò.

Successe in modo naturale. Smisero di ballare e si baciarono: un bacio lunghissimo, in cui Dom lesse una promessa. Era da tanto che desiderava quel bacio, da tanto che lo sognava. Da quando le aveva detto addio ed era partito per il suo primo viaggio su Marte.

Giù la testa! La voce di Larry risuonò nella sua mente, e gli tornò davanti agli occhi l’immagine di lui che attivava il detonatore.

Smise di colpo di baciare Doris e la respinse. — Scusa — disse. — Mi sono tornati in mente ricordi della Terra e dell’Accademia.

— Lo so — sussurrò lei, protendendosi verso di lui. — Desideravo che tu mi baciassi.

Dom sentì il cuore battere forte. Le si avvicinò, ma lei gli mise una mano sul petto, respingendolo.

— Non è che voglio dirti di no — disse Doris. Distolse lo sguardo e si morse le labbra. — Voglio essere sicura di dire le cose nel modo giusto. Innanzitutto, era da tanto, tantissimo tempo che non mi baciavi così, e mi è piaciuto moltissimo.

— A me per niente — disse lui, ridendo.

— Però credo che stessi pensando alla stessa cosa cui anch’io non posso fare a meno di pensare, quando mi hai respinto.

— Pensavo a Larry — ammise Dom.

— Infatti — disse lei.

Dom si girò verso l’oblò e vide una jeep di superficie nel punto dove stava guardando. Non poteva fare a meno di pensare a Larry. Cercò di considerare la situazione dal suo punto di vista, come se Larry fosse stato là da qualche parte e in grado di vedere cosa stava succedendo. Il problema era: una giovane vedova. La soluzione era: un uomo, ma non un uomo qualsiasi, un uomo che l’avrebbe amata e adorata. Si girò a guardare Doris.

— Mi riterresti terribilmente stupido se ti dicessi che credo che Larry approverebbe? — disse.

— No — disse lei. — Sapeva di te. Se fu mai geloso del fatto che mi fossi, ehm, data prima a te che a lui, non lo dimostrò mai.

— Vorrei sapere cosa pensi tu — disse Dom.

— Sono stata in intimità con due uomini, nella mia vita — disse Doris. — E un tempo ti ho amato davvero tanto, brutto sciocco.

— Io ti ho amato fin dal primo momento che ti ho visto — disse Dom.

— Ma amavi di più lo spazio.

— Sì, lo so, è stata colpa mia. Adesso sono più vecchio e più maturo. E siamo insieme.

— Bisogna rifletterci su — disse lei. — Abbiamo un lavoro impegnativo davanti a noi. Per mesi saremo a stretto contatto con gli altri.

— Già — disse Dom.

— Non è che sto dicendoti di no — disse Doris.

— Ehi, un attimo — disse Dom. — Potremmo sposarci.

— Potremmo.

— Ma non ne sei del tutto sicura?

Doris sospirò. — Mi sento come un’adolescente sciocca e indecisa.

— Credi di potermi amare ancora?

— Oh, non ho mai smesso di amarti, se è per quello. Ti ho amato come ama una ragazzina tutta presa dal suo primo amore, ti ho amato come può amare una sorella e come può amare un’amica.

— Non era né sorella, né un’ amica quella che mi ha baciato pochi minuti fa — disse Dom.

Lei rise. — Dom, se vuoi fare l’amore con me avrai in me una partner più che disponibile. — Lo guardò dritto negli occhi. — Vuoi farlo?

— Sì. — Dom alzò le spalle. — E va be’, perdio! Devi avermi influenzato con la tua etica da classe media e il tuo senso della responsabilità! Hai terribilmente ragione e ti detesto, femmina saccente!

— Lascia tempo al tempo — disse lei. — Quando torneremo da Giove.

— Anni e anni — disse Dom, dandole un bacio sulla guancia e allontanandola subito da sé.


Nel giro di ventiquattr’ore era sulla nave-spola. Aveva con sé le testimonianze scritte, fatte sotto giuramento, di Art e di Doris. Loro due non potevano assolutamente abbandonare nemmeno per poco tempo il progetto per andare a deporre di persona. Neil stava effettuando prove statiche per verificare il funzionamento dei sistemi elettrici dei motori. Dom era seccato di dover andare via e lasciare il suo staff, ma non poteva farne a meno. Notò che a Cape Canaveral erano raddoppiate le misure di sicurezza, e dal caldo afoso della Florida si recò a Washington con un jet ben protetto.

L’udienza si tenne nel cuore del complesso principale del MINES, fuori della città. Dom rese la sua testimonianza e rispose alle domande. Dai mucchi di carta dei verbali non venne fuori niente di nuovo. Tuttavia Dom ebbe occasione di ricordare come fossero stati abili i terristi nell’infiltrarsi tra le aree più difese del MINES.

Poiché tutti i terristi penetrati all’interno del complesso erano stati uccisi, c’erano molte domande rimaste senza risposta. Era per esempio difficile capire come fosse stato introdotto l’esplosivo nel MINES. Era possibile che l’avessero introdotto i marines traditori, oppure i tecnici che si erano rivelati terristi.

J.J. espresse i suoi dubbi. — Di solito stentiamo ad ammettere che ci sia tra noi gente colpevole di alto tradimento — disse. — Tu e io, Dom, siamo persone abbastanza di buon senso, e sappiamo che per fare infiltrare tanti terristi nel tuo staff ci sarà magari voluto qualcuno più in fluente dei tecnici o dei marines.

— Ma è stato il tuo gabinetto a esaminare l’affidabilità di ciascun membro — disse Dom. Stavano pranzando in un albergo presidiato da uomini della sicurezza, in attesa che Dom prendesse il jet per tornare a Cape Canaveral.

— Il mio gabinetto — disse J.J. — consta di più di una semplice stanza. Ci saranno duecento persone che ci lavorano dentro. Su di loro sono state fatte tutte le indagini possibili e immaginabili, e nonostante questo io sarei pronto a fidarmi ciecamente soltanto di un pugno di persone. Da qualche parte un impiegato di relativa importanza potrebbe avere confuso ad arte i documenti perché passasse all’esame della sicurezza chi non dovevapassare. Qualcuno dotato di maggiore autorità potrebbe avere insistito presso altri perché fosse assunta alMINESPOVuna certa persona. Secondo me, l’attacco condotto contro il computer non può essere stato organizzato senza la complicità di persone appartenenti almeno al livello amministrativo, e questo apre una serie così vasta di possibilità, che non oso iniziare un’ indagine. Una cosa è certa: dovremo essere sicuri al cento per cento di ciascun membro dell’equipaggio della Kennedy.

— Lo spero proprio — disse Dom.

— E sono molto pochi quelli di cui siamo sicuri — disse J.J.

— Io, te, Art, Doris, Neil — disse Dom.

— Siamo sicuri di tutti loro?

— Se non lo fossimo, saremmo talmente nei guai, che tanto varrebbe lasciar perdere tutto — disse Dom. — Ho riflettuto a lungo sull’equipaggio, J.J. Oltre ai cinque che abbiamo detto, c’è bisogno di un cuoco, di un ingegnere nucleare per il motore, di un tecnico dei sistemi di sopravvivenza, e di un medico. Credo però che potremmo ridurre il numero. Per la cucina possiamo fare dei turni. Possiamo anche correre il rischio di non avere un medico a bordo. Abbiamo tutti abbastanza esperienza dello spazio da avere imparato le nozioni mediche fondamentali. Conosciamo le norme del pronto soccorso, e siamo in grado di curare le malattie meno gravi. Se succedesse qualcosa di brutto, un medico potrebbe salvare una vita che noi non sapremmo salvare, ma è un rischio che sono disposto a correre. Così rimarrebbero solo due persone da aggiungere alle cinque: un ingegnere e un tecnico dei sistemi di sopravvivenza.

— Anch’io ho fatto le stesse riflessioni — disse J.J. — Hai qualche suggerimento da fare a proposito dei due di cui abbiamo bisogno?

— Suggerirei Paul Jensen ed Ellen Overman — disse Dom.

— Mi pare che tu abbia lavorato con entrambi, vero?

— Paul l’ho avuto come collega durante due viaggi. È un ingegnere bravissimo e odia tutti i radicali, dal primo all’ultimo. L’ultima volta che gli ho parlato era diretto su Marte, dove doveva sovrintendere all’installazione di un nuovo generatore.

— È ancora là — disse J.J.

— Ellen è stata con me durante la spedizione su Saturno e durante un viaggio su Marte. È molto brava nel suo lavoro.

— Saresti pronto a fidarti di loro?

— Di Jensen, sì. Su Ellen vorrei sapere qualcosa di più. Anzi, quanto a Jensen correggerei la mia affermazione dicendo che sì, mi fiderei di lui, ma quanto ci si può fidare al giorno d’oggi. Circa le sue capacità, sarei pronto a mettere la mia vita nelle sue mani.

— Lo farai, se sarà scelto — disse J.J. — Qualsiasi membro dell’equipaggio potrebbe fare abortire il progetto o distruggerlo completamente. Tu sai quanti modi ci sono per provocare danni, a bordo di una nave.

Dom annuì. — Tuttavia non si può rinunciare all’equipaggio.

— Sai le ultime notizie sulla situazione mondiale? — disse J.J., e continuò a parlare senza attendere risposta: — I salvamondo hanno assunto il comando in Cina. Stanno addestrando un esercito. Il Giappone ha ritirato le sue navi dallo spazio per evitare di essere invaso dalla Cina. In Gran Bretagna è caduto il governo, e il nuovo primo ministro ha messo nel suo gabinetto sia i salvamondo, sia i terristi. La Francia sta vacillando. In Germania stanno reprimendo i diritti dell’individuo nello sforzo di eliminare i terristi: di fatto, è la guerra civile. I russi stanno venendo a un compromesso con i loro terristi. Hanno ritirato dallo spazio cinque delle loro navi da esplorazione e le adibiranno al trasporto dei fosfati.

— E qui? — chiese Dom.

— Le cose sono stranamente tranquille — disse J.J. — Sono mesi che non si sono grossi incidenti: da quando ci fu l’attacco alMINESPOV, ècome se stessero radunando le loro forze. I mass media e il Congresso si dedicano come sempre alle loro chiacchiere ad effetto, ma gli assassini non si fanno sentire. Molte persone, anche all’FBI,sono preoccupate. Hedges mi ha riferito che in quest’ultimo mese molti impianti dell’FBIsono stati sabotati e distrutti. È convinto che ci sia un traditore molto in alto, a Washington, e sta tentando disperatamente di scoprire cosa sta succedendo. La sua teoria è che verrà sferrato un grosso attacco prima che possiamo partire alla volta di Giove.

— Che genere di attacco?

— Una cosa tipo rivoluzione.

— Siamo messi così male?

— Prendiamo per esempio una piccola unità — disse J.J. — Un’unità come quella squadra di marines alMINESPOV, i traditorierano il cinquanta per cento. Quanti terristi ci saranno in media in una compagnia dell’esercito? Una dozzina di uomini potrebbero annientare un’interacompagnia se attaccassero una caserma nel cuore della notte e uccidessero degli uomini che fino a quel momento erano convinti di avere in loro degli amici.

— Credi che una rivoluzione armata riuscirebbe?

— Non lo so. Nessuno lo può sapere, perché non abbiamo idea di quale sia la sua forza. A volte penso che il novanta per cento della popolazione sia radicaleocon simpatie radicali, ma devo ammettere che le masse sono ancora un punto interrogativo. È impossibile prevedere l’atteggiamento che prenderebbero le persone nel caso che dicevo. Giorno dopo giorno sentonoipolitici fare promesse, e giorno dopo giorno hanno sempre più fame. Potrebbero rimanere incantati dalla propaganda dei terristi: Piantala con lo spazio, e sulla Terra torneranno a scorrere miele e latte.

— Ma perdio,ifosfati di Marte fertilizzanoicampi che danno loro di che mangiare — disse Dom.

— Lo sappiamo benissimo, noi. Ma vallo a dire a un barbone di Detroit che vive di sovvenzioni statali e che vuole la bistecca vera tuttiigiorni, invece che una volta al mese. I terristi gli dicono che coi soldi che noi sciupiamo per lo spazio loro metterebbero a punto nuovi metodi di lavorazione della terra. A chi vuoi che possa credere?

— Nessuno ha pensato che si potrebbe sferrare un attacco contro di loro prima che siano loro a colpire? — disse Dom.

— Ci abbiamo pensato, ma sono sparsi in tutto il paese. Si riuniscono solo in occasione di assalti particolari, come nel caso dell’attacco alMINESPOV.Non hanno dei leader sufficientemente forti e carismatici, quindi sono divisi tra loro. È questo che ci ha salvati finora. Combattendo tra loro per il potere hanno versato quasi altrettanto sangue di quello che hanno sparso nelle loro battaglie contro il governo. Se mai riuscissero a formare un fronte unito, allora sarebbe un gran guaio, e forse è proprio questo che stanno facendo adesso. Se in questo momento stessero incontrandosi per definire una strategia comune, allora si spiegherebbe lo strano periodo di tranquillità.

— Devo prendere il jet — disse Dom.

— C’è tempo — disse J.J. guardando l’orologio. — Dom, quando tornerai, voglio che tu assuma il comando delle forze di sicurezza sulla Luna. Voglio che le squadre si avvicendino continuamente, e cheiloro componenti cambino continuamente a caso, tutti i giorni. Se stanno per caso architettando qualcosa, questo dovrebbe contribuire a spezzare la loroorganizzazione.

— La spezzeremo.

J.J. parve pensieroso. — Sai, se solo riuscissimo a nutrire la popolazione, in cinque anni annienteranno i radicali. C’è una certa forza nel cosiddetto uomo medio. Tutto quello che l’uomo medio vuole è vivere una vita tranquilla, avere abbastanza cibo per nutrire la sua famiglia, vedere buoni programmi alla tv e disporre di qualche lusso. Sai quando cominciò veramente questo casino? Quando la scarsità di petrolio tolse ai cittadini l’automobile. Quello è stato il fattore che più degli altri ha determinato gli attuali problemi. L’automobile dava all’uomo l’illusione della libertà. Quando era al volante della sua macchina, il cittadino medio sentiva di poter controllare il proprio destino. Aveva libertà di movimento. Nella sua auto, era isolato dal mondo e libero dalle preoccupazioni. Fu allora che iniziò lo scontento, quando il petrolio cominciò a scarseggiare. Questo lasciò maggiore spazio ai matti, a quelli che hanno un ego così ipersviluppato da credere di poter dirigere il corso delle cose meglio di chiunque altro. Gente così se ne infischia di quante persone muoiono di fame, di quante persone vengono uccise. Gente così vuole solo dare ordini. Vuole instillare la paura negli altri. Uomini del genere sono esistiti sulla Terra fin dalla più remota antichità, fin dall’epoca di Sargon il Conquistatore, della città di Ur. Sono i tipi assetati di potere. I ragazzini che hanno letto due libri e credono di sapere come governare il mondo. Sono gli idealisti, i pazzi, i sadici, gli psicopatici inguaribili. A loro si uniscono gli scontenti e gli inetti che sono interessati solo a bottini e saccheggi. Se potessimo garantire il cibo alla popolazione mondiale riusciremmo a tener loro testa. Potremmo opporre al complesso di Sargon le norme del vivere civile, e l’umanità allora avrebbe la via aperta al progresso.


Dom arrivò sulla Luna alcune ore dopo che due terristi erano saltati in aria mentre cercavano di collocare dell’esplosivo nell’area della nave-spola. Dom eseguì subito gli ordini di J.J. Le cose rimasero tranquille per vari giorni. La Kennedy era quasi pronta.

L’attacco arrivò una domenica mattina, sferrato da una piccola nave da carico che era appena stata sulla Terra per riparazioni. L’incidente dimostrò che l’infiltrazione era arrivata a livelli pericolosissimi, in quanto la piccola bomba nucleare che era a bordo della nave doveva esservi stata collocata a Cape Canaveral.

La nave si avvicinò secondo l’orario previsto alla Base Lunare, si mantenne normalmente in contatto col controllo, e all’ultimo momento cambiò rotta e si diresse verso la Kennedy, per distruggerla in un impatto suicida. Un missile lanciato dalla superficie della Luna colpì la nave da carico quando questa era ancora abbastanza lontana dalla Kennedy da non danneggiarla esplodendo. Il lampo dell’esplosione illuminò la superficie della Luna e accecò alcuni operai che per caso stavano osservando la nave da carico.

Quell’episodio fece venire a Dom un’idea. Sapeva che avrebbe fatto passare a J.J. un brutto momento, ma non volle rischiare di mandare a monte il proprio piano con una comunicazione che poteva essere intercettata. Fece interrompere tutti i viaggi dalla Luna alla Terra e fece diffondere la notizia che terristi radicali avevano distrutto una nave sperimentale, la John F. Kennedy. La notizia fu salutata sulla Terra dagli evviva della gente, ma molti in privato ne furono rattristati. J.J. corse subito sulla Luna, e quando arrivò sembrava di dieci anni più vecchio.

— Quanto è grave la cosa? — disse J.J. quando Dom gli si fece incontro sulla pista d’atterraggio.

— J.J., mi è dispiaciuto moltissimo di averti fatto questo — disse Dom. — La notizia era falsa. La Kennedy è intatta e in perfette condizioni.

J.J. passò in rapida rassegna il repertorio di parolacce imparato in anni e anni di servizio poi, quando si fu sfogato, bevve qualcosa e trasse un sospiro di sollievo. Doveva ammettere che era stata una buona idea. Adesso non ci sarebbero stati più attacchi dalla Terra, e avrebbero dovuto soltanto controllare lo staff sulla Luna. Aspettò un po’ prima di mandare sulla Terra una navetta monoposto per dare l’esatta versione delle cose agli alti funzionari delMINES.

Le comunicazioni radio con la Terra furono interrotte, come pure i viaggi. Marines spaziali piantonarono tutti gli impianti di comunicazione, e i membri di ciascuna squadra venivano cambiati a caso continuamente.

Fu permesso d’atterrare solo alla nave che trasportava i due rimanenti membri dell’equipaggio. Le due persone scelte da Dom erano risultate degne di fiducia. L’ingegnere, Paul Jensen, era bruno, basso, taciturno. Doveva avere cinquantacinque-sessant’anni. Ellen Overman, esperta di sistemi di sopravvivenza, era una donna sui trentacinque, piccola e minuta, ma ben proporzionata. Era bruna, carina, con occhi castani; era molto loquace, ed era emozionata all’idea di partecipare a quell’impresa.

J.J. comunicò alla Terra che i terristi avevano distrutto i rifornimenti di acqua della Luna accumulati in anni e anni e che venivano costantemente riciclati. Arrivò allora una flotta di astro-cisterne, apparentemente per rifornire d’acqua la Luna, in realtà per riempire la stiva della Kennedy. Era davvero assurdo condurre nello spazio una nave non collaudata con un carico pieno ma, come Dom continuava a osservare, o la nave funzionava, o non funzionava, e se non fosse riuscita a trasportare un carico d’acqua non sarebbe riuscita nemmeno a penetrare nell’atmosfera di Giove. L’acqua era in fondo un carico prezioso. Aggiungendo solo pochi giorni al viaggio, dato cheipianeti erano in posizione relativa giusta, si sarebbe recato un gran vantaggio a Marte, sempre a corto di acqua. Il carico della Kennedy avrebbe fornito al pianeta provviste sufficienti per un anno intero.

Neil Walters disse che la Kennedy era pronta, come poteva essere pronta una nave che non aveva avuto un collaudo. Nemmeno a lui andava l’idea di partire con un carico pieno, ma alzò le spalle e disse: — Be’, cavoli, l’importante è che sia in grado di fare il viaggio: se lo è, il peso dell’acqua è una cosa insignificante. — La Kennedy aveva energia sufficiente a sollevare senza sforzo cento volte quel peso. Se avesse fallito, non sarebbe stato per mancanza di energia.

J.J. indisse una riunione nel suo ufficio. Era in alta uniforme e aveva due comete sul colletto.

Dom vide le nuove insegne e disse: — Congratulazioni, ammiraglio.

— Solo un riconoscimento tardivo della mia abilità, Flash — disse J.J. — Quando porteremo a casa l’ufo, vedrò di fare in modo che anche tu ottenga uno di questi gingilli. — Toccò una delle comete sul suo colletto.

— Come sei buono! — disse Dom, ricordando che era stato proprio J.J. a rifiutargli la promozione per punirlo di avere dato un cazzotto a uno stupido e inefficiente ammiraglio da una cometa.

— Nel frattempo, sei promosso a capitano — disse J.J. — Lo meriti tu e lo merita la Kennedy. Bisogna che abbia per Comandante almeno un capitano, no?

A uno a uno, arrivarono anche gli altri. J.J. precisò qual era la catena gerarchica a bordo della nave, anche se lo sapevano già tutti. Dom era il Comandante della nave. Neil era il comandante pilota. J.J. veniva terzo nel comando: era secondo a Neil nelle questioni di volo, e a Dom nelle questioni di sicurezza e in quelle operative. Quando ebbe finito di dare istruzioni, J.J. fece un piccolo discorso. Concluse dicendo che le prospettive sembravano buone.

— Annunceremo la verità quando saremo nello spazio — disse. — Per il momento i radicali credono che i loro schifosi kamikaze abbiano fatto saltare in aria la Kennedy. Abbiamo annunciato grosse riduzioni nel programma spaziale per dare loro un altro contentino, e speriamo che così stiano tranquilli finché non saremo tornati. Abbiamo rimesso nel fondo cassa un miliardo e mezzo di dollari, e questo ha avuto un gran buon effetto sulla gente.

— Così ci tagliamo i ponti alle spalle — disse Doris.

— Esattamente — disse torvo J.J. — O porteremo a casa l’ufo, o dovremo dimenticarci il programma spaziale. Se torneremo senza, dovremo ridurci a fare solo il su e giù Terra-Marte, e non passerà molto tempo che saremo costretti a riportare a casa tutte le navi e a chiudere la base di Marte. Ma bisognava fare così. Abbiamo avuto l’impressione che i radicali fossero sul punto di fare una rivolta armata, e non eravamo sicuri di poterla vincere. Adesso abbiamo versato un po’ d’acqua sul fuoco. I terristi penseranno di avere il gioco facile ora. E noi torneremo con una cosa che li spiazzerà completamente e che ci farà avere tutto il mondo al nostro fianco.

— Vorrei potere essere così fiducioso come te — disse Dom.

— Devo essere fiducioso per forza, Flash — disse J.J. — Se non lo fossi, raccoglierei tutto l’esplosivo al plastico possibile e lo farei saltare in mezzo a un raduno di terristi.

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