E c’è la luce, che è eterna, per la quale rendiamo grazie.
E c’è il calore, di fronte al quale ci inginocchiamo.
E c’è l’energia, per la quale ci consideriamo benedetti.
Benedetto sia Balmer, che ci ha donato le lunghezze d’onda.
Benedetto sia Bohr, che ci ha messi in grado di comprendere.
Benedetto sia Lyman, che vedeva oltre il visibile.
Diteci ora quali sono le stazioni dello spettro.
Benedette siano le onde lunghe, che oscillano lentamente.
Benedette siano le onde medie, per le quali rendiamo grazie a Hertz.
Benedette siano le onde brevi, che mettono in comunicazione l’umanità, e benedette siano le microonde.
Benedetti siano i raggi infrarossi, forieri di calore nutritivo.
Benedetta sia la luce visibile, di angstrom magnifica.
(Soltanto nei giorni festivi: Benedetto sia il rosso, sacro a Doppler. Benedetto sia l’arancione. Benedetto sia il giallo, consacrato dalla vista di Fraunhofer. Benedetto sia il verde. Benedetto sia il blu, per la sua riga di idrogeno. Benedetto sia l’indaco. Benedetto sia il viola, ricco di energia).
Benedetti siano i raggi ultravioletti, pieni della ricchezza del sole.
Benedetti siano i raggi x, sacri a Roentgen, il grande studioso.
Benedetti siano i raggi gamma, in tutta la loro potenza: benedette siano le alte frequenze.
Rendiamo grazie per Planck. Rendiamo grazie per Einstein. Rendiamo sommamente grazie per Maxwell. Nel nome dello spettro, del quanto e del santo angstrom, pace a voi!
Regnava il caos sulla Terra, ma all’uomo chiuso nella Camera del Nulla questo non interessava.
Dieci miliardi di esseri umani — o forse erano già dodici? — lottavano per aggiudicarsi un posto al sole. I grattacieli puntavano verso il cielo come piante di fagiolo in rapida crescita. I marziani li deridevano. I venusiani li disprezzavano. Fiorivano le sette fanatiche e in un migliaio di celle i vorsteriani veneravano la loro diabolica luce azzurra. Ma in quel momento tutto ciò non aveva alcuna importanza per Reynolds Kirby. Lui era fuori dalla mischia. Lui era nella Camera del Nulla.
Il luogo del suo riposo, un appartamento al centesimo piano di un grattacielo di Tortola, nelle Isole Vergini, si trovava a millecinquecento metri sopra il livello del mare. Un uomo doveva pur riposare da qualche parte. E Kirby, in qualità di alto funzionario della Nazioni Unite, aveva diritto a dormire in un posto caldo. Buona parte del suo stipendio serviva a coprire le spese di gestione di quel rifugio. Il palazzo, le cui fondamenta penetravano nel cuore dell’isola, era una gigantesca torre di vetro lucente. Sarebbe stato impossibile costruire un grattacielo come quello sulle altre isole caraibiche, perché la maggior parte di esse non erano che dischi piatti di coralli morti, e quindi non erano in grado di sostenere un peso di mezzo milione di tonnellate. Tortola era diversa: l’isola era un vulcano spento, una montagna sommersa. Lì si poteva costruire e lì avevano costruito.
Reynolds Kirby dormì il sonno del giusto.
Mezz’ora di riposo nella Camera del Nulla era sufficiente a restituire a un uomo freschezza e vigore, a liberarlo dai veleni della fatica fisica e mentale. Una permanenza di tre ore fiaccava il corpo e minava la volontà. Una seduta di ventiquattr’ore trasformava qualunque persona in una marionetta. Kirby era immerso in un liquido caldo e nutriente, con le orecchie tappate, gli occhi protetti e cannule di alimentazione che portavano l’aria ai polmoni. Quando i problemi del mondo diventavano troppo assillanti, non c’era niente di più bello che trovar temporaneo rifugio in quella specie di grembo materno.
I minuti passavano. Kirby non pensava ai vorsteriani. Kirby non pensava a Nat Weiner, il marziano. Non pensava alla ragazza esperiana che, una settimana prima, a Kyoto, aveva visto contorcersi nel suo letto di tormento. Kirby non pensava.
Una voce vellutata gli sussurrò: — È pronto libero cittadino Kirby?
Kirby non era pronto. Nessuno lo era mai. Un uomo doveva venire cacciato dalla Camera del Nulla da un angelo munito di una spada fiammeggiante. Il liquido nutriente cominciò a defluire dalla vasca. Dita metalliche con polpastrelli di gomma gli staccarono i cappucci dalle orbite oculari e gli levarono i tappi dalle orecchie. Kirby rabbrividì al pensiero che stava per essere espulso da quel grembo confortevole; era riluttante all’idea di riprendere contatto con la realtà. Il ciclo della camera era terminato; non sarebbe stato possibile riattivarlo prima di ventiquattr’ore, e quello era un bene.
— Ha dormito bene libero cittadino Kirby?
Kirby si accigliò e si tirò faticosamente in piedi. Vacillò e rischiò di perdere l’equilibrio, ma il roboservitore era lì pronto a sorreggerlo. Kirby si aggrappò a una delle sue braccia luccicanti e attese fino a quando lo spasmo passò.
— Ho dormito meravigliosamente bene — disse rivolto alla creatura metallica. — È un vero peccato doversi svegliare.
— Non lo pensa veramente, libero cittadino Kirby. Lei sa che il solo vero piacere è quello che deriva dagli impegni che ci assumiamo nella vita. È stato lei stesso a dirmelo.
— Immagino di sì — ammise Kirby asciutto. Tutti i principi a cui si ispiravano i robot prendevano spunto da massime che lui aveva pronunciato o discorsi che aveva tenuto. Prese l’accappatoio che la macchina, tozza e con la faccia piatta, gli porgeva e se lo appoggiò sulle spalle. Rabbrividì di nuovo. Kirby era un uomo magro, troppo alto rispetto al suo peso, con braccia e gambe sottili, capelli grigi tagliati corti e occhi infossati tendenti al verde. Aveva quarant’anni, ma ne dimostrava cinquanta e, quel giorno, prima di entrare nella Camera del Nulla se ne sentiva settanta.
— Quando arriva il marziano? — domandò.
— Alle diciassette. Al momento sta presenziando un banchetto a San Juan, ma fra poco sarà qui.
— Non posso aspettare — disse Kirby. Contrariato si avvicinò alla finestra più vicina e la depolarizzò. Poi abbassò gli occhi e guardò le onde calme del mare lontano, molto lontano, che lambivano la spiaggia. Riusciva anche a distinguere la linea scura della barriera corallina, acqua verde verso la terraferma, acqua blu verso il mare aperto. La barriera corallina era morta, naturalmente. Le delicate creature che l’avevano costruita erano in grado di sopportare soltanto una modesta quantità di carburante e il loro limite di tolleranza era stato oltrepassato da un pezzo. Gli aliscafi che collegavano fra di loro le varie isole riversavano in mare una melma micidiale.
Il funzionario delle Nazioni Unite chiuse gli occhi. Ma li riaprì subito dopo perché, non appena abbassava le palpebre sullo schermo del suo cervello appariva l’immagine della ragazza esperiana che si dimenava, urlava e si mordeva le nocche, la pelle gialla imperlata di sudore. E la figura del vorsteriano che agitava attorno a lei quella maledetta luce azzurra e mormorava: — Pace a te, figliola, pace. Presto sarai in armonia con il Tutto.
Quell’episodio era accaduto il giovedì precedente. Quel giorno era mercoledì. A quell’ora la ragazza era già in armonia con il Tutto, pensò Kirby e un insostituibile pool di geni era stato sparso ai quattro venti. O ai sette venti. Faceva fatica a ricordarsi le frasi fatte in quei giorni.
I sette mari, pensò. E i quattro venti.
L’ombra di un elicottero penetrò nel suo campo visivo.
— Il suo ospite sta arrivando — annunciò il robot.
— Fantastico — replicò causticamente Kirby.
Alla notizia dell’arrivo del marziano, Kirby sentì crescere la tensione. Era stato scelto come cicerone e cane da guardia dell’ospite proveniente dalla colonia di Marte. Era di fondamentale importanza mantenere cordiali rapporti con i marziani, perché il loro pianeta rappresentava un mercato vitale per l’economia terrestre. Inoltre, essi erano esempi di vigore e di spirito di iniziativa, beni di cui al momento c’era grande penuria sulla Terra.
Ma era sempre un grattacapo avere a che fare con loro, perché erano suscettibili, volubili e imprevedibili. Kirby sapeva che gli era stato affidato un compito delicato e difficile. Doveva proteggere il marziano dai pericoli, coccolarlo e vezzeggiarlo, ma senza essere assillante o dargli l’impressione di trattarlo con condiscendenza. Qualsiasi suo errore sarebbe costato caro alla Terra e sarebbe stato fatale per la sua carriera.
Opacizzò nuovamente il vetro e corse in camera per indossare gli abiti da cerimonia. Un’aderente tunica grigia, un foulard verde, stivali di pelle azzurra, guanti di luccicante maglia dorata… in poche parole, quando l’annunciatore scampanellò per informarlo che Nathaniel Weiner era arrivato, Kirby aveva, in tutto e per tutto, l’aspetto di un alto funzionario terrestre.
— Lo faccia accomodare — ordinò Kirby.
La porta si dilatò come un grande iride e il marziano varcò la soglia con passo agile. Era un uomo di circa trent’anni, piccolo e compatto, con le spalle straordinariamente larghe, le labbra sottili, gli zigomi pronunciati e due perle scure al posto degli occhi. Dava l’impressione di essere fisicamente forte, come se fin dalla nascita fosse stato costretto a contrastare la micidiale forza gravitazionale di Giove, anziché filare come una saetta, senza sforzo alcuno, sulla superficie di Marte. Era molto abbronzato e dagli angoli degli occhi si irradiava una sottile rete di rughe. Aveva l’aria aggressiva, pensò Kirby. Arrogante.
— Cittadino libero Kirby, sono lieto di fare la sua conoscenza — esordì il marziano con voce profonda e aspra.
— L’onore è tutto mio, cittadino libero Weiner.
— Mi permetta — Così dicendo, Weiner estrasse la sua pistola laser. Il robot di Kirby si precipitò verso di lui con un cuscino di velluto. Il marziano vi adagiò sopra l’arma con cautela. Il robot scivolò sul pavimento per consegnarla a Kirby.
— Mi chiami Nat — disse il marziano.
Kirby gli rivolse un sorriso sottile. Prese la pistola, resistette alla tentazione di incenerirlo sul posto e la esaminò rapidamente. Quindi la appoggiò di nuovo sul cuscino e, con un battito di mani, ordinò al robot di restituirla al suo proprietario.
— I miei amici mi chiamano Ron — disse Kirby. — Reynolds è un nome orribile.
— Contento di conoscerti, Ron. Che cos’hai da bere?
Kirby era irritato da quell’infrazione all’etichetta, ma, diplomaticamente, non lo diede a vedere. Il marziano era stato molto cerimonioso nel presentargli l’arma, ma tutti gli uomini di frontiera rispettavano scrupolosamente quel rito; questo, però, non significava che le loro buone maniere andassero oltre. Con tono garbato, Kirby rispose: — Quello che preferisci, Nat. Bevande sintetiche, naturali… Non hai che da chiedere. Che ne pensi di un ruhm filtrato?
— Ne ho buttato giù così tanto che se ne bevo ancora un sorso tiro su tutto. Quei buzzurri di San Juan lo tracannano come se fosse acqua. Che ne diresti di un buon wiskey?
— Scegli quello che preferisci — rispose Kirby con un ampio gesto della mano. Il robot prese la console del bar e la portò al marziano. Weiner diede una rapida scorsa ai pulsanti poi ne premette due quasi a caso.
— Ho ordinato un doppio malto per te e un doppio burbon per me — disse.
Kirby lo trovò divertente. Quel rozzo colono non solo sceglieva da bere per sé, ma anche per il suo anfitrione. E un doppio malto, nientemeno! Kirby celò una smorfia e prese il suo drink. Weiner scivolò in una comoda poltrona di telaschiuma. Anche Kirby si sedette.
— Allora, che cosa ne pensi della tua visita sulla Terra? — domandò Kirby.
— Non male. Non male. Certo che c’è da star male a vedervi vivere così fitti.
— È la condizione umana.
— No, su Marte non è così. E nemmeno su Venere.
— Dà tempo al tempo — replicò Kirby.
— No, non credo, Ron. Noi lassù sappiamo come regolare la crescita demografica.
— Anche noi. Soltanto che ci è voluto un po’ per farlo capire a tutti e nel frattempo eravamo già diventati dieci miliardi. Adesso speriamo di tenere basso il tasso di incremento.
— Sai che cosa? — interloquì Weiner. — Dovreste usare un decimo della popolazione per alimentare i convertitori. Insomma trasformare tutta quella carne in energia. Nel giro di quindici giorni sareste un miliardo di meno. — Ridacchiò. — Scherzo, naturalmente. Non sarebbe moralmente accettabile. Era solo una battuta.
— Disciplina: è questa la risposta ai tutti i problemi umani. Disciplina e più auto-disciplina. Negazione. Programmazione. Questo wiskey è proprio buono, Ron. Che ne diresti di fare un altro giro?
— Serviti pure.
Weiner si servì. Generosamente.
— Proprio buono — mormorò. — Noi non beviamo roba così su Marte. Devo ammetterlo, Ron. Per quanto questo pianeta sia affollato e puzzolente, ha i suoi comfort. Io qui non ci vivrei, sia ben chiaro, ma sono contento di esserci venuto. Che donne Mmm! Che bevande! Che emozioni!
— Sei arrivato da due giorni, vero? — domandò Kirby.
— Esatto. La prima sera sono stato a New York, cerimonia di benvenuto, banchetto, tutte quelle stupidaggini promosse dall’Associazione delle Colonie. Poi sono andato a Washington a conoscere il Presidente. Un tipo simpatico. Ma ha un po’ di pancetta. Dovrebbe fare ginnastica. Poi quell’idiozia lì a San Juan, la giornata dell’ospitalità, l’incontro con i compagni portoricani e tutte quelle altre baggianate. E adesso qui. Che cosa c’è da fare qui, Ron?
— Be’, per cominciare potremo andare giù a fare una nuotata…
— Posso nuotare quanto voglio su Marte. L’acqua non mi interessa. Voglio vedere come vive la gente qui. — Weiner aveva lo sguardo acceso. All’improvviso Kirby si rese conto che il marziano era ubriaco quando era arrivato e che quei due bicchieri di wiskey gli avevano dato il colpo di grazia. — Lo sai che cosa voglio fare, Kirby? Voglio uscire di qui e mescolarmi fra la gente. Voglio andare in una fumeria d’oppio. Voglio vedere gli esperiani in estasi. Voglio assistere a un incontro di preghiera dei vorsteriani. Voglio vivere la vita dei terrestri, Ron. In tutto e per tutto.
La chiesa dei vorsteriani aveva sede in uno stabile vecchio e cadente nel cuore di Manhattan, praticamente a uno sputo dal palazzo dell’O.N.U. Kirby fu colto da un moto di nausea nel varcare la soglia dell’edificio; non era mai riuscito a vincere la ripugnanza per i bassifondi, anche se ormai tutto il mondo non era che un grande bassofondo brulicante di persone. Ma Nat Weiner glielo aveva praticamente imposto e a lui non era restata altra scelta che accontentarlo. Kirby lo aveva portato lì perché era l’unico tempio vorsteriano in cui avesse messo piede in vita sua, così, almeno, non si sarebbe sentito troppo fuori luogo fra i fedeli.
Sulla porta, un cartello scritto a caratteri fosforescenti, ma pieno di macchie, recitava:
Weiner lesse il cartello e sghignazzò. — Hai letto? Guarite il vostro cuore! Come sta il tuo cuore Kirby?
— Bucato in diversi punti. Vuoi entrare?
— Puoi giurarci!
Weiner era ubriaco fradicio. Però l’alcol lo reggeva bene, dovette riconoscere Kirby. Lui si era ben guardato di tenere compagnia al suo ospite ogni volta che si rabboccava il bicchiere, ciononostante si sentiva vagamente stordito e accaldato. Gli pizzicava la punta del naso e non vedeva l’ora di scaricare il marziano e rintanarsi nella Camera del Nulla per disintossicarsi.
Ma Weiner aveva voglia di scuotere il giogo e questo era comprensibile. Era dura la vita su Marte e non c’era tempo per indulgere alle passioni. Terrestrizzare il pianeta era un’impresa faticosa e complessa. Dopo due generazioni di duro lavoro l’obiettivo poteva dirsi raggiunto: l’aria di Marte era dolce e pulita, ma non era ancora giunto il momento di rilassarsi. Weiner era venuto sulla Terra per discutere un trattato commerciale, ma quella era anche la prima occasione che aveva per sottrarsi ai rigori della vita marziana. La Sparta dello Spazio, era soprannominato il pianeta. E lì era ad Atene.
Entrarono nel tempio dei vorsteriani. Era una stanza lunga e stretta, una specie di scatola oblunga. Una decina di file di banchi di legno grezzo occupava l’intera superficie, a eccezione di uno stretto corridoio laterale. In fondo c’era l’altare, circondato dall’immancabile luce azzurra. Dietro l’altare c’era un uomo, alto, scheletrico, calvo e con la barba.
— È quello il sacerdote? — domandò Weiner in un aspro bisbiglio.
— Non penso che si chiamino sacerdoti — rispose Kirby. — Comunque è il responsabile.
— Facciamo la comunione?
— Per ora limitiamoci a guardare — suggerì Kirby.
— Ma guarda quei matti — sbottò il marziano.
— È un movimento religioso con molti seguaci.
— Non capisco.
— Guarda e ascolta.
— Stanno lì in ginocchio… prostrati di fronte a quel reattore da un quarto…
Alcune teste si voltarono. Kirby sospirò. Non amava i vorsteriani né la loro religione, ma l’atteggiamento arrogante e dissacrante di Weiner lo metteva in imbarazzo. Venendo meno alla propria abituale diplomazia, lo prese per un braccio, lo sospinse verso il banco più vicino e lo costrinse a inginocchiarsi. Poi si inginocchiò accanto a lui. Weiner gli lanciò un’occhiata torva. I coloni non tolleravano di farsi mettere le mani addosso dagli sconosciuti. Per un simile affronto, un venusiano non ci avrebbe pensato due volte ad affondargli il pugnale nella pancia. Ma, in primo luogo, un venusiano non avrebbe mai messo piede sulla Terra e, inoltre non si sarebbe comportato in modo così irriverente in un tempio.
Con aria imbronciata, Weiner si aggrappò al banco e si protese in avanti per seguire la funzione. Kirby socchiuse gli occhi per penetrare l’oscurità della stanza e mettere a fuoco l’uomo in piedi dietro all’altare.
Il reattore, un cubo di cobalto-60 schermato dall’acqua, che assorbiva le radiazioni prima che giungessero a ustionare la pelle, era acceso e da esso si sprigionava una luce azzurra. Nell’oscurità Kirby percepiva un bagliore azzurro pallido che, a poco a poco, acquistava brillantezza e intensità. In quel momento, la griglia del piccolo reattore era celata da una luce azzurro-biancastra, attorno alla quale roteava un alone azzurro verdastro, che verso il centro assumeva quasi una tonalità porpora. Era il Fuoco Azzurro, la terribile luce fredda della radianza di Cerenkov. Lentamente, il bagliore si diffuse fino ad inondare tutto il locale.
Non c’era niente di mistico in quella luce e Kirby lo sapeva. La spiegazione di quel fenomeno era semplice: gli elettroni oscillavano violentemente nell’acqua, a una velocità superiore a quella della luce, e, muovendosi, emanavano un fiume di fotoni. A onor del vero, bisognava ammettere che i vorsteriani erano i primi a riconoscere quella spiegazione scientifica e non attribuivano alla luce nessuna valenza soprannaturale. Cionondimeno, essa rappresentava un utile strumento simbolico, più vivace di un crocefisso e più teatrale delle Tavole della Legge.
Il vorsteriano sull’altare disse con voce pacata: — Esiste un’Unità da cui trae origine tutta la vita. Noi dobbiamo l’infinita varietà dell’universo al moto degli elettroni. Gli atomi si incontrano e le loro particelle si intrecciano. Gli elettroni saltano da un’orbita all’altra e così avvengono i mutamenti chimici.
— Ma senti quel bastardo — esclamò Weiner sbuffando. — Anche una lezione di chimica tiene adesso!
Kirby si morsicò la lingua angosciato. Una ragazza, inginocchiata nel banco di fronte al loro, si voltò e, con voce bassa, ma concitata disse: — Silenzio, per favore! Ascoltate!
Alla vista del volto della giovane donna, Weiner ammutolì. Lo shock era stato tale da lasciarlo non solo senza parole, ma anche senza fiato. Kirby, che aveva già avuto occasione di vedere donne che si erano sottoposte a ricostruzioni chirurgiche, rimase pressoché impassibile. Al posto delle orecchie la ragazza aveva due coppette iridescenti; nell’osso frontale aveva incastonato un opale e le sue palpebre sembravano fatte di carta metallizzata. I chirurghi erano anche intervenuti sulle narici e sulle labbra. Forse la ragazza era rimasta vittima di un grave incidente. O forse, più probabilmente, si era sottoposta a quelle mutilazioni per ragioni estetiche. Follia. Pura follia.
Il vorsteriano disse: — Per l’energia del sole, per la vita verde che scorre nelle piante, per il miracolo prorompente della crescita, noi rendiamo grazie all’elettrone. Per gli enzimi del nostro organismo, per le sinapsi del nostro cervello, per il battito del nostro cuore, noi rendiamo grazie all’elettrone. Per il combustibile e per il cibo, per la luce e per il riscaldamento, per il calore e il nutrimento, per tutto ciò che nasce dall’Unità, che origina dalla Radianza Immanente…
Kirby capì che si trattava di una litania. Attorno a lui, i fedeli ondeggiavano al ritmo delle parole semi-salmodiate e annuivano con il capo. Alcuni piangevano. Il Fuoco Azzuro si dilatò fino a lambire il soffitto leggermente concavo. L’uomo sull’altare protese le braccia, lunghe e scarne come le zampe di un ragno, in una specie di benedizione.
— Venite avanti — esclamò. — Venite a inginocchiarvi e a unirvi a me nella lode! Prendetevi sottobraccio, chinate la testa e rendete grazie per l’unità di tutte le cose!
I fedeli si avviarono, dinoccolati, verso l’altare. Quell’immagine risvegliò nella mente di Kirby lontani ricordi della sua infanzia di episcopaliano, quando, al termine della celebrazione, andava a fare la comunione: l’ostia sulla lingua, il rapido sorso di vino, l’odore dell’incenso, il fruscio delle lunghe tonache dei sacerdoti. Erano venticinque anni che non partecipava a una funzione religiosa. C’era una differenza abissale fra la magnificenza della cattedrale, con l’imponente soffitto a volta, e la bruttura e lo squallore di quel tempio improvvisato, ma per un istante Kirby avvertì un barlume di sentimento religioso; sentì quasi l’impulso di unirsi agli altri e di inginocchiarsi di fronte al reattore luminescente.
Quel fugace pensiero lo lasciò sbalordito e scioccato.
Com’era possibile che quella cerimonia lo avesse coinvolto fino a quel punto? Quella non era una religione. Era una setta, uno di quei movimenti che, come nascono sono destinati a scomparire. Dieci milioni di adepti in quindici giorni? E allora? Bastava che l’indomani saltasse fuori un nuovo profeta, che invitava i fedeli a immergere le mani in una soluzione effervescente, e le chiese dei vorsteriani si sarebbero spopolate. Le fantasie pseudo-religiose di Vorst non erano la roccia su cui costruire la casa. Al contrario, erano sabbie mobili.
Eppure per un attimo si era sentito così attratto…
Kirby serrò le labbra. Era la stanchezza, si disse, la fatica di accompagnare in giro per tutta la sera quel matto di un marziano. Non gliene importava un accidente dell’Unità superna. Quello era un posto per gente stanca, nevrotica, affamata di novità, per quel genere di persone che sono contente di sborsare moneta sonante per farsi tagliare le orecchie o fendere le narici. E il fatto che fosse stato sul punto di unirsi ai comunicandi attorno all’altare era soltanto una prova del grado di esasperazione che aveva raggiunto.
Si rilassò.
In quello stesso momento Nat Weiner scattò in piedi e, vacillando, attraversò la sala.
— Salvatemi — iniziò ad urlare. — Salvate la mia anima dannata! Fatemi vedere l’Unità.
— Inginocchiati insieme a noi, Fratello — lo esortò dolcemente il capo dei vorsteriani.
— Io sono un peccatore — gemette Weiner. — Sono un ubriacone e un depravato. Ho bisogno di essere salvato. Abbraccio la vostra fede. Diventerò anch’io un pio adoratore dell’elettrone!
Kirby si precipitò dietro di lui. Weiner faceva sul serio? Era risaputo che i marziani non credevano in nessuna religione, nemmeno in quelle universalmente riconosciute e legittime. Che per qualche strana ragione fosse stato stregato da quella luce azzurra?
— Prendi per mano i tuoi fratelli — mormorò il capo dei vorsteriani. — China il capo e lascia che la luce ti avvolga.
Weiner guardò alla propria sinistra. La ragazza con le protesi chirurgiche si inginocchiò accanto a lui e gli porse la mano. Quattro dita erano fatte di carne, il quinto di un metallo color tartaruga.
— Ma è un mostrò! — urlò Weiner. — Portatela via! Non ti permetterò di farmi a pezzi!
— Calmati, Fratello…
— Siete un branco di impostori! Impostori! Impostori! Impostori! Nient’altro che un branco di…
Kirby lo afferrò. Gli conficcò la punta delle dita nei muscoli contratti della schiena, in un modo che il marziano, per quanto ubriaco, non poteva fare a meno di sentire.
Poi, con voce bassa e profonda disse: — Andiamo Nat. Usciamo di qui.
— Toglimi di dosso le tue sudicie mani, Terrestre!
— Nat, per piacere… questa è un luogo di culto…
— Questo è un manicomio! Qui dentro sono tutti matti! Matti da legare! Inginocchiati come pazzi furiosi! — Weiner si tirò faticosamente in piedi. La sua voce possente sembrava abbattersi contro i muri della chiesa. — Io sono un libero cittadino di Marte! Con queste mani ho scavato il deserto! Ho visto gli oceani riempirsi! E voi, voi che cosa avete fatto nella vostra vita? Vi siete tagliati le palpebre e vi siete rotolati nel fango! E tu… tu falso prete, tu intaschi il loro denaro e lo adori!
Il marziano appoggiò le mani sulla balaustrata dell’altare e, con un salto, la scavalcò, avvicinandosi pericolosamente al reattore. Poi si avventò contro il capo dei vorsteriani.
Senza scomporsi, questi allungò una mano in mezzo alla girandola caotica delle membra di Weiner e, con la punta delle dita, gli toccò la gola per una frazione di secondo.
Weiner crollò a terra come un uomo morto.
— Ti senti bene adesso? — domandò Kirby, con la gola secca.
Weiner si risvegliò. — Dov’è la ragazza?
— Quella con il viso rifatto?
— No — rispose il marziano con voce stridula. — L’esperiana. la voglio di nuovo qui vicino a me.
Kirby lanciò una rapida occhiata a una ragazza snella con i capelli azzurri. Lei annuì con aria tesa e prese la mano del marziano.
Weiner aveva ancora il volto imperlato di sudore e lo sguardo stravolto. Era sdraiato, con il capo sostenuto da alcuni cuscini, le guance scavate.
Erano nel palazzo degli sniffatori, situato di fronte al tempio dei vorsteriani, dalla parte opposta della strada. Kirby aveva dovuto portare fuori Nat da solo, caricandoselo sulle spalle, perché i vorsteriani non ammettevano i robot all’interno delle loro chiese. Il palazzo degli sniffatori gli era sembrato un posto come un altro in cui portarlo per farlo coricare.
La ragazza esperiana li aveva raggiunti, mentre Kirby varcava la soglia dell’edificio. Anche lei era una seguace di Vorst, lo si capiva dal colore dei capelli, ma a quanto pareva, aveva assolto tutti gli uffici quotidiani e si accingeva a concludere la giornata con una rapida inalazione. Con istintivo senso di solidarietà si era chinata a scrutare il volto arrossato e sudato di Weiner. Aveva chiesto a Kirby se il suo amico avesse avuto un colpo apoplettico.
— Non so che cosa gli sia successo esattamente — rispose Kirby. — Era ubriaco e, dopo essere entrato nella chiesa dei vorsteriani, ha cominciato a dare in escandescenze. Poi il loro capo gli ha toccato la gola.
La ragazza sorrise. Sembrava un animale randagio, fragile e indifesa. Non aveva più di diciotto o diciannove anni. Ed era dotata di poteri straordinari. Chiuse gli occhi, prese la mano di Weiner e gli strinse forte il polso, fino a quando il marziano ritornò in sé. Kirby non aveva la più pallida idea di che cosa gli avesse fatto. Era un mistero.
A poco a poco, Weiner riprese le forze e cercò di alzarsi a sedere. Afferrò la mano della ragazza e la tenne stretta. Lei non fece nulla per cercare di liberarsi.
— Con che cosa mi hanno colpito? — domandò il marziano.
— La carica elettrostatica del suo organismo ha subito una momentanea variazione — gli spiegò la ragazza. — In altre parole, quell’uomo ha spento il suo cuore e il suo cervello per un millesimo di secondo. Ma non le ha procurato nessun danno permanente.
— Come ha fatto? Mi ha soltanto toccato con le dita.
— È una tecnica speciale. Ma si riprenderà perfettamente.
Weiner osservò la ragazza. — Tu sei un’esperiana? Mi stai leggendo nel pensiero in questo momento?
— Sono un’esperiana, ma non leggo nel pensiero. Sono solamente un’empatica. Lei stai fremendo d’odio. Perché non attraversa la strada e ritorna nel tempio? Gli chieda di perdonarla. Sono certa che lo farà. Lasci che lui le indichi il cammino. Ha letto il libro di Vorst?
— Perché non vai all’inferno? — ribatté Weiner senza mezzi termini. — No, non volevo. Sei troppo carina. Anche su Marte ci sono delle esperiane carine. Hai voglia di divertirti questa sera? Io mi chiamo Nat Weiner e questo è il mio amico Ron Kirby. Reynolds Kirby. È un pallone gonfiato, ma noi possiamo seminarlo — Il marziano aumentò la pressione sul sottile braccio della ragazza. — Che cosa ne pensi?
La ragazza non rispose. Si limitò ad aggrottare la fronte, al che il marziano fece una strana faccia e la lasciò andare. Kirby, che aveva assistito alla scena, dovette reprimere un sorriso soddisfatto. Weiner si stava cacciando in un guaio dopo l’altro. La vita era piuttosto complicata sulla Terra.
— Ritorni al tempio — gli sussurrò la ragazza. — Là possono aiutarla.
Dopo aver pronunciato quelle parole, l’esperiana dai capelli azzurri si voltò e, senza attendere risposta, sparì nell’oscurità. Weiner si passò una mano sulla fronte come se volesse levarsi alcune ragnatele dal cervello. Poi si tirò in piedi, rifiutando il braccio che Kirby gli porgeva.
— Che razza di posto è questo? — domandò.
— Un palazzo di sniffatori.
— Anche qui c’è gente che predica?
— No, qui ti annebbiano solo un po’ il cervello — rispose Kirby. — Vuoi provare?
— Certo. Ti ho detto che volevo provare tutto. Non mi capita mica di venire sulla Terra tutti i giorni.
Weiner sorrise, ma c’era una nota malinconica nel suo sorriso. Non ostentava più la spacconeria di un’ora prima. Certamente, l’essere stato messo fuori gioco dal capo dei vorsteriani lo aveva ridimensionato. Comunque era sempre combattivo e pronto a far esperienza di tutti i peccati che quel mondo vizioso aveva da offrire.
Kirby si domandò se, gestendo in quel modo l’incarico che gli era stato affidato, non stesse combinando un grosso guaio. Ma non c’era mòdo di saperlo… per ora. Era possibile che in seguito Weiner protestasse per il trattamento che gli era stato riservato e, in quel caso, lui sarebbe stato improvvisamente esonerato dai suoi compiti e gli sarebbero stati affidati mandati meno delicati. Non era un pensiero piacevole. Per lui la carriera era molto importante, forse la cosa più importante della sua vita. E non voleva comprometterla in una sera.
Si avviarono verso le cabine di sniffaggio.
— Dimmi una cosa — riprese Weiner. — Ma quelle persone credono davvero a tutte quelle stupidaggini sull’elettrone?
— Veramente non lo so, Nat. Non ho studiato a fondo il fenomeno.
— Però hai assistito alla nascita del movimento. Quanti seguaci conta al momento?
— Un paio di milioni, credo.
— Sono molti. Su Marte vivono sette milioni di persone. Se così tante persone si sono convertite a questo culto demenziale…
— Negli ultimi anni sono sorte un’infinità di sette religiose sulla Terra — lo interruppe Kirby. — Sono tempi apocalittici e la gente ha bisogno di rassicurazioni. La sensazione diffusa è che la Terra stia per essere travolta dagli eventi e lasciata indietro. Così la gente è alla ricerca di un’unità per combattere il caos e la frammentazione.
— Che vengano su Marte se cercano un’unità. Là c’è da lavorare per tutti e non c’è tempo per rimuginare sulla totalità di tutto quanto. — Weiner scoppiò in una risata sgangherata. — Al diavolo i vorsteriani. Spiegami che cosa succede qui dentro.
— L’oppio è passato di moda. Oggi si inalano i mercaptani più esotici. Sembra che provochino uno stato allucinatorio molto piacevole.
— Sembra? Perché non lo sai? Oh, Kirby ma non hai informazioni di prima mano proprio su niente? Non mi sembri nemmeno vivo. Sei uno zombie, Kirby: Un uomo deve pur avere qualche vizio!
Il funzionario delle Nazioni Unite pensò alla Camera del Nulla che lo attendeva al centesimo piano della superba torre sulla mite isola di Tortola. Il suo volto era una maschera di pietra. — Quando una persona è molto impegnata non ha nemmeno il tempo di indulgere in qualche vizio. Ma la tua visita sulla Terra si sta rivelando molto istruttiva anche per me, Nat. Forza, proviamo a fare una sniffatina.
Si avvicinò un robot. Kirby pigiò il pollice destro sulla sgargiante piastra gialla incassata nel petto della macchina. La piastra si illuminò: ciò significava che l’impronta del suo polpastrello era stata registrata.
— Addebiteremo il costo di ingresso sul suo conto alla sede centrale — disse il robot. Parlava con voce troppo profonda: problemi di impostazione sonora sul nastro principale, pensò Kirby. Quando il robot si allontanò, notò che sbandava leggermente a destra. Doveva avere i circuiti marci, quindi era addirittura possibile che il conto non gli venisse addebitato affatto. Prese una maschera per inalazioni e la porse a Weiner, che la indossò e si sdraiò comodamente sul divano lungo la parete della cabina. Kirby ne prese un’altra e la fece scivolare su naso e bocca. Poi chiuse gli occhi e si accomodò nella poltrona di telaschiuma accanto all’ingresso del locale. Passarono alcuni secondi; poi sentì il gas entrargli nel naso. Aveva un odore agro-dolce, che ricordava lo zolfo: semplicemente rivoltante.
Kirby attese che si manifestasse l’allucinazione. Sapeva che c’erano persone che, tutti i giorni, trascorrevano ore in quelle cabine. Per scoraggiare quel fenomeno, il governo continuava ad aumentare la tassa di accesso ai palazzi, ma gli sniffatori continuavano a frequentarli, disposti a pagare dieci, venti, anche trenta dollari per una inalazione. Il gas di per sé non induceva assuefazione, quanto meno non in senso metabolico, come l’eroina.
La dipendenza del soggetto era più di tipo psicologico, una specie di schiavitù dalla quale, volendolo, ci si poteva liberare. Il fatto era che nessuno ci teneva a sciogliere quella catena. Analogo discorso valeva per la sesso-dipendenza e per le forme di alcolismo medio. Per alcuni l’inalazione di gas allucinogeni rappresentava una specie di religione. E ognuno aveva il suo credo in quel mondo sovrappopolato, asilo di tante fedi.
Una ragazza fatta di diamanti e smeraldi stava camminando nel cervello di Kirby.
I chirurghi avevano cancellato ogni traccia di carne viva dal suo corpo. Le orbite oculari emanavano la luce fredda di due gemme preziose; i suoi seni erano globi di onice bianco sormontati da rubini; le sue labbra erano lastre di alabastro ed i capelli fili di oro giallo. Tutta la figura era immersa in un baluginio azzurro, il fuoco dei vorsteriani, che crepitava in modo strano.
— Sei stanco, Ron — disse la ragazza. — Hai bisogno di fuggire da te stesso.
— Sì lo so. Infatti cerco rifugio nella Camera del Nulla un giorno sì e uno no. Sto cercando di evitare un esaurimento nervoso.
— Sei troppo rigido, Ron è questo il tuo problema. Perché non fai una visitina al mio chirurgo? Cambia. Liberati di tutta quella stupida carne. Perché io ti dico che chi è fatto di carne e sangue non entrerà nel regno di Dio; né ciò che è corrotto riceverà in premio l’incorruttibilità.
— No — borbottò Kirby. — Non è così. Tutto quello di cui ho bisogno è un po’ di riposo. Una buona nuotata, un bel bagno di sole e una dormita come si deve. E invece mi hanno affibbiato questo marziano.
La ragazza dell’allucinazione scoppiò in una risata stridula, fece ondeggiare le braccia e le intrecciò in un modo strano e complicato. Al posto delle dita aveva punte d’avorio e le unghie erano ovali di rame lucido. La lingua, che guizzava maliziosamente fra le labbra di alabastro, era un serpente sgargiante di plastica flessibile. — Guarda — canticchiò con fare voluttuoso. — Ti svelo un mistero. Non tutti dormiremo, ma verremo tutti cambiati.
— Fra un attimo — disse Kirby — Fra un istante. Suonerà la tromba.
— E i morti risorgeranno nell’incorruttibilità. Fallo, Ron. Sembrerai molto più bello. Forse riusciresti anche a tenere assieme un po’ meglio il tuo prossimo matrimonio. Lei ti manca, vero Ron? Dovresti vedere com’è adesso. La tua amata giace a cinque braccia di profondità. Ma è felice. Perché ciò che è corruttibile deve indossare le vesti dell’incorruttibilità e ciò che è mortale le vesti dell’immortalità.
— Ma io sono un essere umano — protestò Kirby. — Io non voglio diventare un’opera da museo ambulante come te. O come lei. Anche se ormai è diventato di moda anche per gli uomini.
La luce blu cominciò a pulsare e a vibrare attorno alla ragazza. — Comunque tu hai bisogno di qualcosa, Ron. La Camera del Nulla non è la risposta giusta ai tuoi problemi. Non è… niente, come dice il suo nome stesso. Abbraccia la nostra fede. Nemmeno il lavoro è la risposta giusta ai tuoi bisogni. Unisciti a noi. Non vuoi sostituire la tua carne con pietre preziose? Benissimo, diventa un vorsteriano, allora. Abbandonati all’Unità. Lascia che l’Unità vinca la morte!
— Ma non posso semplicemente restare me stesso? — urlò Kirby.
— Quel che sei non è sufficiente. Non ora. Non più. Questi sono tempi difficili. Viviamo in un mondo confuso e pieno di problemi. I marziani ridono di noi. I venusiani ci disprezzano. Abbiamo bisogno di una nuova organizzazione e di una nuova forza. Il potere della morte sta nel peccato e la forza del peccato è la legge. Tomba, dov’è la tua vittoria?
Un vortice tumultuoso di colori attraversò danzando la mente di Kirby. La donna dell’allucinazione eseguì una piroetta, spiccò un salto e fece un rapido inchino, inondandolo con lo sgargiante luccichio del suo corpo coperto di pietre preziose. Kirby rabbrividì. Dopo svariati tentativi riuscì ad afferrare la maschera. E per quello spettacolo aveva pure pagato? Com’era possibile che la gente si lasciasse conquistare da quella specie di viaggio nelle paludi della mente, fino al punto di non poterne più fare a meno?
Si strappò la maschera dal viso e la scagliò sul pavimento della cabina. Poi inspirò voluttuosamente, sbatté le palpebre e ritornò alla realtà.
Era solo nella cabina.
Weiner, il marziano, era scomparso.
Il robot che dirigeva il palazzo degli sniffatori non gli fu di nessun aiuto.
— Dov’è andato? — domandò Kirby.
— È andato via — fu la sua risposta rauca. — Sono diciotto dollari e sedici centesimi. Lo addebiteremo sul suo conto alla Centrale.
— Ha detto dove era diretto?
— Non abbiamo parlato. È andato via. Aoourk! Non abbiamo parlato. Lo addebiteremo sul suo conto alla Centrale. Aoourk!
Imprecando fra i denti, Kirby si precipitò in strada. Alzò involontariamente lo sguardo verso il cielo. Contro la volta scura, qui e là chiazzata di rosso, spiccavano le lettere giallo limone dell’indicatore temporale, che diffondeva la sua luce in tutto il firmamento:
Mancavano due ore a mezzanotte. Quel pazzo furioso aveva tutto il tempo che voleva per cacciarsi nei guai. E l’ultima cosa che lui desiderava era di avere un marziano ubriaco e, forse, in preda a un’allucinazione, che girava come un ossesso per le strade di New York. Il suo compito, infatti, non era soltanto quello di far da guida a Weiner, ma anche di tenerlo d’occhio. Non era la prima volta che i marziani venivano sulla Terra ed era risaputo che, per loro, il tipo di vita libero che vi si conduceva era come un vino ad alta gradazione alcoolica.
Ma dove poteva essere andato Weiner?
Per prima cosa, meglio dare un’occhiata al tempio dei vorsteriani. Non era improbabile che fosse ritornato lì a dare spettacolo. Stillando sudore da tutti i pori, Kirby attraversò di corsa la strada, schivando le lacrime che sfrecciavano turbinando, e si precipitò all’interno della squallida sala adibita al culto. La funzione era anrora in corso. Ma di Weiner, apparentemente, nessuna traccia. I fedeli erano compitamente inginocchiati nei rispettivi banchi. Nessuno che urlasse, che desse in escandescenze o ridesse sguaiatamente. Kirby percorse silenziosamente tutto il locale, controllando ogni banco. Weiner non c’era. Vide invece la ragazza con il viso ricostruito, che gli sorrise e gli porse la mano. Per un attimo Kirby fu catapultato nello stato allucinatorio di poco prima e si sentì gelare il sangue nelle vene. Poi si riprese. Rivolse alla ragazza un debole sorriso per non essere scortese e uscì dalla sala quanto più velocemente poté.
Salì su una banchina scorrevole e si lasciò trasportare per tre isolati in una direzione a caso. Nessuna traccia di Weiner. Quando scese, Kirby si ritrovò di fronte a un luogo pubblico di Camere del Nulla, dove per venti dollari all’ora ci si poteva far cullare nel più piacevole degli oblii. Forse Weiner era entrato lì dentro, voglioso di provare qualsiasi svago obnubila-cervello che potesse offrire la città. Kirby entrò.
Quel locale non era gestito dai robot. Gli andò incontro un imprenditore in carne ed ossa, un omone di duecento chili, con quadruplo mento. Due occhietti affondati nel grasso lo scrutarono con espressione indecisa.
— Vuoi riposare un’oretta, amico?
— Sto cercando un marziano — sbottò. — Alto all’incirca così, con spalle larghe e zigomi pronunciati.
— Non l’ho visto.
— Aspetti, forse è in una delle vasche. È molto importante. Si tratta di una questione che riguarda le Nazioni Unite.
— Riguardasse anche il Padre Eterno, non mi importerebbe un corno. Ho detto che non l’ho visto. — L’omone degnò solo d’un rapido sguardo la tessera di riconoscimento che Kirby gli stava mostrando. — Che cosa vuoi che faccia… che apra tutte le cellette per te? Qui non è venuto nessun marziano.
— In caso dovesse presentarsi, non gli affitti la vasca — lo supplicò Kirby. — Prenda tempo e chiami immediatamente il dipartimento di Sicurezza dell’O.N.U.
— Ascolta, amico, se lui viene qui e vuole una vasca io devo dargliela. Questo è posto pubblico. Vuoi che finisca nei guai? Ascolta, sei tutto agitato. Perché non ti sdrai in una vasca per un po’? È una cosa portentosa. Dopo ti sentirai…
Kirby girò sui tacchi e uscì di corsa. Provava un senso di nausea alla bocca dello stomaco, forse provocato dalla sostanza allucinogena che aveva inalato poco prima. Ma aveva anche una certa paura e una buona dose di rabbia. Immaginava Weiner riverso in qualche vicolo buio, il corpo tarchiato vivisezionato da mani esperte che ne avevano prelevato gli organi da inviare a qualche banca clandestina. La fine che si meritava, forse, ma che avrebbe certo messo in discussione la sua affidabilità come agente dell’O.N.U. In realtà era più probabile che, andando in giro per la città come un toro cinese — era così che si diceva? si domandò Kirby — quel dannato marziano avrebbe provocato qualche guaio che poi sarebbe stato maledettamente difficile risolvere.
Kirby non aveva idea di dove cercarlo. In quel momento, all’angolo della strada, apparve una cabina di comunicazione. Kirby vi saltò dentro e opacizzò i vetri. Infilò la targhetta di riconoscimento nella fessura e digitò il codice del Dipartimento di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Il piccolo schermo appannato si schiarì e vi apparve il viso grassottello e barbuto di Lloyd Ridblom.
— Squadra notturna — disse Ridblom. — Ciao Ron. Dov’è il tuo marziano?
— L’ho perso. Mi ha seminato in un palazzo di sniffatori.
Ridblom si animò all’istante. — Vuoi che gli schiaffi addosso un televettore?
— No, per ora no — rispose Kirby. — Preferirei che non sapesse che siamo in agitazione per la sua scomparsa. Metti, invece, un vettore su di me e tieniti in contatto. E prepara una rete normale per lui. Se ci casca dentro, fammelo sapere immediatamente. Se non ci sono novità ti richiamo fra un’ora per darti nuove istruzioni.
— Forse è stato rapito dai vorsteriani — azzardò Ridblom. — Magari in questo momento gli stanno prelevando il sangue per usarlo come vino nelle loro funzioni.
— Va all’inferno — ringhiò Kirby. Uscì dalla cabina e si infilò brevemente i pollici negli occhi. Dopodiché si avviò lentamente verso la banchina scorrevole e si fece trasportare di nuovo verso il palazzo in cui aveva sede la chiesa dei vorsteriani. Dalla sala stavano uscendo alcune persone. Fra queste c’era anche la ragazza con le capsule iridescenti al posto delle orecchie: non paga di perseguitarlo nelle allucinazioni, continuava a stargli fra i piedi anche nella vita reale.
— Salve — lo salutò con fare cordiale. Per lo meno, aveva una voce gradevole. — Mi chiamo Vanna Marshak. Dov’è andato il suo amico?
— È quello che mi sto domandando anch’io. È scomparso poco fa.
— Era sotto la sua tutela?
— No, ma comunque avevo il compito di tenerlo d’occhio. Sa, è un marziano.
— Non lo sapevo. Però è chiaro che non ama la nostra Confraternita. Che tristezza prima, quando si è messo a inveire durante la funzione! Deve essere molto malato.
— Molto ubriaco — replicò Kirby. — Capita a tutti i marziani quando vengono sulla Terra. Qui non ci sono restrizioni, come sul loro pianeta, così pensano di poter fare tutto quello che vogliono. Posso offrirle da bere? — aggiunse poi meccanicamente.
— Io non bevo, grazie. Ma se lei desidera bere, le terrò compagnia.
— Io non voglio bere. Ne ho bisogno.
— Non mi ha detto il suo nome.
— Ron Kirby. Sono un funzionario dell’O.N.U. Un piccolo burocrate. Anzi, mi correggo: un importante burocrate che viene pagato come un impiegato. Possiamo entrare qui.
Toccò con il gomito il montante della porta di un bar all’angolo. Lo sfintere si aprì, accompagnato da un nitrito, e Kirby e la ragazza entrarono. Vanna gli rivolse un sorriso affettuoso. Doveva essere sulla trentina, pensò Kirby. Non era facile stabilire l’età di una persona con tutte quelle protesi al posto della faccia.
— Un ruhm filtrato — ordinò.
Vanna Marshak si protese verso di lui. Portava un profumo tenue, che lui non conosceva. — Perché lo ha condotto al tempio della Confraternita? — gli domandò.
Kirby trangugiò il liquore come se fosse un succo di frutta. — Voleva vedere che cosa facevano i vorsteriani e io l’ho accompagnato.
— Da come lo dice, ne deduco che lei non approva la nostra religione.
— Per la verità non ho un’opinione precisa sul vostro movimento. Non ho ancora avuto il tempo di rifletterci sopra.
— Questo non è vero — ribatté lei sicura di sé. — Lei in realtà è convinto che si tratti di una delle tante sette deliranti che sono sorte negli ultimi anni, non è così?
Kirby ordinò un altro drink. — D’accordo — ammise. — È così. Ma è un’opinione superficiale, perché non conosco l’argomento.
— Non ha letto il libro di Vorst?
— No.
— Se gliene do una copia, la leggerà?
— Provi a immaginare — disse. — Un adepto con il cuore d’oro. — Poi scoppiò a ridere. Si sentiva di nuovo ubriaco.
— Non lo trovo affatto divertente — ribatté la ragazza. — Lei è contrario anche agli interventi di chirurgia plastica, vero?
— Mia moglie si era fatta rifare completamente il viso. Quando era ancora mia moglie. Io mi arrabbiai così tanto, che mi piantò. È successo tre anni fa. Adesso è morta. Lei e il suo amante erano a bordo di un razzo che è precipitato al largo della Nuova Zelanda.
— Mi dispiace immensamente — disse Vanna Marshak. — Sa, non mi sarei mai sognata di sottopormi a un intervento di plastica, se allora avessi conosciuto Vosrt. Ero una persona fragile. Insicura. Oggi, invece, so chi sono e che cosa voglio, ma ormai è troppo tardi per riavere indietro la mia faccia. In ogni caso penso di essere abbastanza carina lo stesso.
— Deliziosa — confermò Kirby. — Mi parli di Vorst.
— È molto semplice. Il suo fine ultimo è quello di restaurare quei valori spirituali in cui il mondo non crede più. Vuole che gli uomini imparino a riconoscere la loro comune natura e a perseguire obiettivi più elevati.
— Che si esprimono nel fissare la radianza di Cerenkov in squallidi stanzoni — disse Kirby.
— Il Fuoco Azzurro è solo di contorno. Ciò che conta è il messaggio interiore. Vorst vuole che gli uomini conquistino le stelle. Vuole che usciamo dall’incertezza e dalla confusione e che mettiamo a frutto i nostri veri talenti. Vuole salvare gli esperiani che impazziscono ogni giorno, imbrigliarli, come l’acqua in una diga, e sfruttare le loro potenzialità per poter compiere il prossimo importantissimo passo nella storia del progresso umano.
— Capisco — disse Kirby serio. — Che sarebbe?
— Gliel’ho detto. Conquistare le stelle. Pensa che possiamo accontentarci di Marte e di Venere? Ci sono milioni di pianeti nello spazio che aspettano che l’uomo scopra il modo di raggiungerli. Vorst è convinto di esserci riuscito. Ma per questo è indispensabile che tutti noi uniamo le nostre energie mentali, in una sorta di fusione cosmica… Be’, lo so che tutto questo suona un po’ mistico. Però Vorst è nel giusto. Il suo sistema funziona. Per lo meno guarisce le anime afflitte. Che è l’obiettivo che perseguiamo nel breve periodo: la comunione, il bendare le ferite, mentre il nostro obiettivo a lungo termine è la conquista delle stelle. Certo, per raggiungere questo scopo, dobbiamo in primo luogo superare gli attriti fra i pianeti, convincere i marziani a essere più tolleranti e poi, in qualche modo, riprendere i contatti con gli abitanti di Venere, se in loro è rimasto ancora qualcosa di umano. …Lo vede che la nostra religione offre prospettive concrete, che non è soltanto un insieme di riti feticistici, che non è un imbroglio?
Ma Kirby non riusciva a vederci niente di ciò che diceva Vanna. Gli sembrava soltanto un’accozzaglia di idee confuse e incongruenti. Vanna Marshak aveva una voce dolce e persuasiva e c’era una serietà in lei che la rendeva attraente. Riusciva perfino a perdonarle di aver permesso a quei cani di ridurle il viso così. Ma quando si trattava di Vorst…
Il comunicatore che aveva in tasca suonò. Era un segnale di Ridblom, che significava che doveva mettersi immediatamente in contatto con l’ufficio. Kirby si alzò.
— Mi scusi un attimo — disse. — Si tratta di una questione urgente.
Barcollando, attraversò la sala bar, si ricompose, trasse un profondo respiro ed entrò nella cabina. Infilò la targhetta nella fessura e, con dita tremanti, digitò il codice.
Sullo schermo si materializzò il volto di Ridblom.
— Abbiamo trovato il tuo uomo — annunciò blandamente il funzionario della Sicurezza.
— Vivo o morto?
— Vivo, sfortunatamente. È a Chicago. È passato al Consolato Marziano, si è fatto prestare mille dollari dalla moglie del console e, come se ciò non bastasse, ha cercato di violentarla. Ma, per fortuna, la signora è riuscita a sbarazzarsi di lui e ha chiamato la polizia. E la polizia ci ha avvertito. Al momento abbiamo una squadra di cinque uomini sulle sue tracce. È diretto a un tempio vorsteriano in Michigan Boulevard ed è ubriaco fradicio. Dobbiamo intercettarlo?
Kirby si morse un labbro in preda all’angoscia. — No, no. In ogni caso gode dell’immunità. Lasciate fare a me. C’è un elicottero libero nell’eliporto dell’O.N.U.?
— Sì, certo. Ma ti ci vorranno quaranta minuti per raggiungere Chi, e…
— Sì, lo so, è un sacco di tempo. Adesso ascolta bene quello che devi fare: cerca la più bella esperiana di tutta Chicago, magari un’empatica; un tipo sexy, possibilmente un’orientale, come quella che ha avuto quella crisi a Kyoto, la settimana scorsa. Fa in modo che incontri Weiner prima che lui raggiunga il tempio. Dovrà sfoderare tutto il suo fascino e fare in modo di trattenerlo fino al mio arrivo. E se per farlo dovrà perdere il suo onore, assicurale che verrà ampiamente ricompensata. Se non riesci a trovare un’esperiana, prendi una donna poliziotto con grandi capacità di persuasione o qualcosa di simile.
— Non vedo la necessità di tutto ciò — rispose Ridblom. — I vorsteriani sono perfettamente in grado di badare a se stessi. Ho sentito dire che conoscono una tecnica misteriosa per mettere fuori gioco chiunque li infastidisca…
— Sì, lo so, Lloyd. Ma questa sera lo hanno già messo K.O. una volta e, per quel che ne so, una doppia dose di quel trattamento nell’arco di poche ore potrebbe essergli fatale. E noi finiremmo nei guai. Per cui devi intercettarlo.
Ridblom scrollò le spalle. — Sarà fatto.
Kirby uscì dalla cabina. Era di nuovo perfettamente sobrio. Vanna Marshak era seduta al bar, dove l’aveva lasciata. A quella distanza e in quella luce c’era qualcosa di quasi bello nella sua deturpazione.
Lei gli sorrise. — Novità?
— L’hanno trovato. Non so come è riuscito ad arrivare a Chicago e, a quanto sembra, ha intenzione di scatenare il putiferio anche nella cappella vorsteriana di quella città. Devo andare ad acchiapparlo prima che combini qualche altro pasticcio.
— Sia gentile con lui, Ron. È un uomo pieno di problemi. Ha bisogno di aiuto.
— Tutti ne abbiamo bisogno, non crede? — Poi sbatté le palpebre. All’improvviso l’idea di fare il viaggio da solo fino a Chicago gli parve orribile. — Vanna? — domandò.
— Sì?
— Ha qualche impegno nelle prossime due ore?
L’elicottero volava a punto fisso sull’allegria spumeggiante di Chicago. In lontananza, Kirby vide il grande specchio lucente del Lago Michigan e gli splendidi grattacieli di altezza chilometrica che sorgevano lungo le sue sponde. Sopra di lui risplendeva l’indicatore temporale locale, color verde pallido a strisce blu scuro:
— Scendiamo — ordinò Kirby.
Il robopilota virò in direzione di un’area di atterraggio. Era impossibile sfidare i forti venti che spiravano nei canyon, perciò sarebbero dovuti atterrare sul tetto di un palazzo attrezzato a eliporto. L’atterraggio fu morbido. Kirby e Vanna uscirono dall’abitacolo e si allontanarono di corsa dalle pale rotanti. Per tutta la durata del viaggio Vanna gli aveva illustrato la parola di Vorst e adesso lui non sapeva più se giudicare quella religione un cumulo di baggianate, un sinistro attentato alla stabilità e al benessere del paese o un credo realmente profondo, mirato alla elevazione spirituale degli uomini: o forse un insieme di tutte e tre le cose.
In ogni caso, si era fatto un’idea generale del movimento vorsteriano. Vorst aveva dato vita a una religione assolutamente eclettica, condendo assieme alla meglio elementi di diverse fedi: la confessionalità del cattolicesimo, un certo ateismo proprio del buddismo e il principio della reincarnazione caro all’induismo. E poi aveva lardellato il tutto con trappole supermoderne, reattori nucleari su ogni altare e un’abbondanza di chiacchiere sul sacro elettrone. Ma la sua filosofia contemplava anche lo sfruttamento dei poteri degli esperiani per conquistare nuovi pianeti, la comunione delle menti, anche quelle non esperiane, e, fatto ancora più sconcertante e sicuramente di maggior impatto emotivo sulle persone, la prospettiva dell’immortalità: non la reincarnazione, non la speranza del Nirvana, ma la vita eterna in spoglie umane, in carne e ossa. Considerando i problemi di sovrappopolazione della Terra, nessun uomo sano di mente poneva l’immortalità in cima alla lista delle priorità. Non l’immortalità degli altri, quanto meno: a chi non piaceva pensare di poter vivere per sempre? Vorst predicava la vita eterna del corpo e la gente accorreva da lui. Nell’arco di otto anni, il numero degli adepti era passato da cinquanta unità a svariati milioni e il numero delle chiese si era centuplicato. Le vecchie religioni erano fallite: Vorst, invece, elargiva monete d’oro e, se anziché d’oro erano fatte di ferro dorato, ai suoi seguaci sarebbe occorso molto tempo per accorrersene.
— Andiamo — disse Kirby. — Non c’è tempo da perdere.
Smontò di corsa dall’elicottero, poi si voltò a porgere la mano a Vanna per aiutarla a scendere gli ultimi gradini. Attraversarono correndo l’area di atterraggio, entrarono in un pozzo di gravità e, dopo una discesa mozzafiato di cinque secondi, raggiunsero il livello stradale. Una pattuglia della polizia municipale lo stava aspettando. Avevano tre lacrime.
— In questo momento si trova a un isolato dalla chiesa dei Vorsteriani, libero cittadino Kirby — lo informò uno dei poliziotti. — L’esperiana lo sta intrattenendo da mezz’ora, ma lui è più deciso che mai a raggiungere il tempio.
— Per quale motivo? — domandò Kirby.
— Vuole il reattore. Sostiene di volerlo portare su Marte per poterlo sfruttare.
Vanna sgranò gli occhi scandalizzata di fronte a quella bestemmia. Kirby scrollò le spalle, si sedette e guardò fuori dal finestrino. Dopo una rapida corsa, la lacrima si fermò. Sul lato opposto della strada, Kirby riconobbe Nat Weiner.
La ragazza che era insieme a lui era ben tornita e terribilmente sexy. Camminavano a braccetto. Lei gli si strusciava contro e gli stava mormorando qualcosa all’orecchio. Weiner scoppiò in una risata sguaiata, poi si voltò e l’attirò a sé. Ma dopo un istante la allontanò. Lei gli strinse di nuovo al fianco. Stavano per litigare, pensò Kirby. La strada era stata sgomberata. Alcuni poliziotti e un paio degli uomini di Ridblom seguivano la scena da lontano, cupi in volto.
Kirby avanzò e fece un cenno alla ragazza. Lei percepì immediatamente chi fosse, sciolse il proprio braccio da quello del marziano e fece un passo indietro. Nat Weiner si voltò di scatto.
— E così mi hai trovato?
— Non volevo che commettessi qualcosa di cui poi ti saresti pentito.
— Molto leale da parte tua, Kirby. Be’, visto che adesso sei qui, puoi diventare mio complice. Sto andando alla chiesa vorsteriana. Sprecano prezioso materiale fissile facendo funzionare quei reattori per niente. Così, mentre tu distrai il prete io afferro il reattore, dopodiché vivremo tutti felici e contenti. Bada però che non ti colpisca. Non è una cosa piacevole.
— Nat…
— Sei dalla mia parte o no, amico? — Weiner gli indicò il palazzone squallido quasi quanto quello di Manhattan, che ospitava il tempio. L’edificio sorgeva a metà circa dell’isolato successivo, dalla parte opposta della strada.
Weiner attraversò. Kirby lanciò a Vanna un’occhiata titubante. Poi seguì il marziano. Si accorse che anche la ragazza, profondamente turbata, li stava seguendo.
Quando Weiner fu sul punto di varcare la soglia della chiesa, Vanna scattò in avanti e gli si parò dinnanzi.
— Aspetti — gli disse. — Non entri lì dentro a combinare guai.
— Levati di torno, brutta sgualdrina con la faccia finta!
— La prego — lo implorò lei con dolcezza. — Lei è un uomo pieno di problemi. Non vive in armonia con se stesso e men che meno con il mondo che la circonda. Entri insieme a me e io le insegnerò a pregare. C’è un tesoro che l’aspetta lì dentro. Se solo fosse disposto ad aprire il suo cuore e la sua mente, anziché continuare a crogiolarsi nel suo odio, nel suo caparbio rifiuto di vedere…
Weiner la colpì.
Un manrovescio in pieno viso. Le protesi chirurgiche sono fragili: non sono fatte per venire prese a schiaffi. Vanna cadde in ginocchio, piangendo e premendosi le mani sul volto. Ma, anche in quella posizione, continuava a sbarrare la strada al marziano. Weiner piegò una gamba come se stesse per sferrarle un calcio ma, in quel momento, Reynolds Kirby scordò che lo pagavano per fare il diplomatico.
Avanzando con decisione, afferrò Weiner per il gomito e lo costrinse a voltarsi. Il marziano perse l’equilibrio e cercò di aggrapparsi al braccio di Kirby. Ma lui gli allontanò la mano con uno schiaffo, poi serrò il pugno e lo affondò nel suo addome muscoloso. Weiner boccheggiò e barcollò. Erano trent’anni che Kirby non colpiva un uomo in un eccesso di rabbia e fino a quel momento non si era mai reso conto del piacere selvaggio che procurava un gesto così primordiale. Il suo corpo fu percorso da una scarica di adrenalina. Colpì Weiner di nuovo, appena sotto il cuore. Il marziano, gli occhi sgranati per lo stupore, crollò e finì lungo disteso in mezzo alla strada.
— Alzati — urlò Kirby, quasi stordito dalla rabbia.
Ma Vanna gli tirò la manica della tunica. — Si fermi, adesso. Basta — mormorò. Aveva le labbra metalliche completamente deformate e le guance luccicanti di lacrime. — La prego, non gli faccia del male.
Weiner, ancora a terra, scuoteva debolmente la testa. Il trio fu raggiunto da un quarto individuo: un uomo basso con il viso coriaceo. Il console marziano. Kirby si sentì serrare la bocca dello stomaco.
Il console disse: — Sono terribilmente spiacente, libero cittadino Kirby. Immagino che il libero cittadino Weiner abbia perso la testa e si sia comportato da vero sciocco. Da questo momento ce ne occuperemo noi. Quello di cui ha bisogno adesso è che qualcuno della sua razza gli spieghi quali stupidaggini ha commesso.
— No, la responsabilità è soltanto mia — balbettò Kirby. — L’ho perso di vista e non doveva succedere. La colpa non è sua. Lui…
— Comprendiamo benissimo, libero cittadino Kirby. — Il console gli rivolse un sorriso benevolo, poi fece un cenno ai suoi tre assistenti, che si avvicinarono e sollevarono Weiner fra le braccia.
In men che non si dica, la strada si svuotò. Kirby rimase solo con Vanna davanti all’ingresso del tempio, esausto e stordito. Tutti gli altri se ne erano andati e Weiner era svanito come l’orco di un brutto sogno. Non era stata una serata molto felice, pensò Kirby. Ma adesso era tutto finito.
Poteva finalmente ritornare a casa.
In un’ora e mezzo sarebbe arrivato a Tortola. Una veloce e solitaria nuotata nell’acqua tiepida dell’oceano e l’indomani una seduta di mezz’ora nella Camera del Nulla. No, di un’ora, decise Kirby. Avrebbe avuto bisogno di almeno un’ora di trattamento per recuperare la fatica e lo stress di quella sera. Un’ora di dissociazione dalla realtà, un’ora in cui crogiolarsi nel liquido amniotico, caldo, protetto, lontano dalle tensioni, un’ora di fuga codarda ma meravigliosa, dal mondo. Bello. Stupendo.
— Le va di entrare? — gli domandò Vanna.
— Nel tempio?
— Sì, la prego.
— Adesso è tardi. La riporto subito a New York. Pagheremo noi i costi di ricostruzione… del suo viso. L’elicottero ci sta aspettando.
— L’elicottero può aspettare — replicò Vanna. — Entri insieme a me.
— Voglio ritornare a casa.
— Anche quello può aspettare. Mi dedichi due ore del suo tempo, Ron. Entri e ascolti quello che hanno da dirle lì dentro. Si accosti all’altare con me. Non dovrà fare niente, soltanto ascoltare. Vedrà, si rilasserà, glielo prometto.
Kirby fissò il suo volto artificiale deturpato dallo schiaffo di Weiner. Sotto quelle palpebre grottesche c’erano occhi veri, occhi pieni di luce, che lo fissavano con espressione implorante. Perché tutto quell’entusiasmo? Gli adepti venivano pagati per ogni anima smarrita che riuscivano a trascinare al cospetto del Fuoco Azzurro? O era possibile che Vanna credesse veramente in quella religione, che fosse coinvolta anima e corpo in quel movimento, che fosse sinceramente convinta che i seguaci di Vorst sarebbero vissuti in eterno e che avrebbero visto gli uomini attraversare lo spazio e conquistare nuove stelle?
Si sentiva così stanco.
Si domandò come avrebbero reagito al dipartimento per la sicurezza della Segreteria Generale, se un funzionario di alto grado come lui avesse mostrato simpatia per il credo vorsteriano.
Si domandò anche se avesse ancora una carriera da salvare dopo il clamoroso fallimento di quella sera con il marziano. Che cos’aveva da perdere? In più ne avrebbe approfittato per riposarsi un po’. Gli scoppiava la testa. Magari in quella chiesa avrebbe incontrato un’esperiana disposta a massaggiargli i lobi frontali. Gli esperiani erano molto attratti dalle chiese vorsteriane, ora che ci pensava.
Quel luogo esercitava uno strano fascino anche su di lui. Aveva fatto del lavoro la sua religione, ma ne valeva veramente la pena? Forse era giunto il momento di rilassarsi, di gettare quella maschera di indifferenza e cercare di capire che cosa spingesse tutte quelle persone ad affollare i templi dei vorsteriani. O, forse, era soltanto giunto il momento di cedere le armi e di lasciarsi travolgere dall’onda di quel nuovo credo.
Il cartello appeso alla porta recitava:
— Allora? — domandò Vanna.
— D’accordo — borbottò Kirby. — Sono pronto. Andiamo ad armonizzarci con il Tutto.
Lei lo prese per mano. Entrarono nella sala adibita al culto. C’erano una decine di fedeli inginocchiati nei banchi. Sull’altare, un uomo robusto e dai modi risoluti stava facendo uscire lentamente le barre del moderatore da un piccolo reattore, e un primo riflesso azzurrognolo cominciava a diffondersi nella stanza. Vanna condusse Kirby verso l’ultima fila di banchi. Kirby guardò in direzione dell’altare. La luce diventava sempre più intensa e gettava uno strano riflesso sull’uomo. Ora era bianca-verdastra, ora rossa, ora il Fuoco Azzurro dei vorsteriani.
L’oppio delle masse, pensò Kirby, ma all’improvviso quella frase fatta gli apparve stupidamente cinica. Dopo tutto, che cos’era la Camera del Nulla se non l’oppio di pochi privilegiati? E i palazzi degli sniffatori? Per lo meno lì la gente veniva a cercare il benessere della mente e dell’anima, non i piaceri del corpo. Valeva comunque la pena investire un’ora del suo tempo per ascoltare.
— Fratelli — esordì l’officiante con voce pacata e uniforme come la nebbia — siamo qui per celebrare l’Unità di tutte le cose. Uomo e donna, stella e pietra, albero e uccello, sono tutti fatti di atomi e ogni atomo contiene particelle che si muovono a una velocità portentosa. Queste particelle, fratelli, sono gli elettroni. E gli elettroni ci mostrano la via della pace, come adesso vi spiegherò. Queste minuscole entità…
Reynolds Kifby chinò la testa. D’un tratto, era come se non potesse più sostenere la vista di quel reattore. Qualcosa palpitava nel suo cervello. Accanto a lui Vanna era una presenza sfocata, eppure sorridente, calda, vicina.
Sto ascoltando, pensò Kirby. Va avanti. Parla! Dimmi tutto! Voglio sentire. Dio e onnipotente elettrone aiutatemi… Io voglio sentire!