La porta della fattoria tremò sotto i colpi furiosi; la pesante sbarra vibrò nelle staffe di sostegno. Fuori della finestra accanto alla porta si mosse la sagoma dal muso sporgente di un Trolloc. C’erano finestre da tutti i lati e altre sagome indistinte all’esterno. Non troppo, però. Rand riusciva sempre a scorgerle.
"Le finestre” pensò, disperato. Si scostò dalla porta, tenendo davanti a sé la spada, impugnata a due mani. “Anche se la porta resiste, sfonderanno le finestre. Come mai ancora non ci provano?"
Con un assordante gemito metallico, una staffa di sostegno si staccò dall’intelaiatura della porta e penzolò dai chiodi divelti. La sbarra tremò per un altro colpo e i chiodi gemettero di nuovo.
«Dobbiamo fermarli!» gridò Rand. Solo, non potevano fermarli. Si guardò intorno alla ricerca d’una via di fuga, ma c’era solo quella porta. La stanza era una gabbia. Una sola porta e tante finestre. «Dobbiamo fare qualcosa!»
«Troppo tardi» disse Mat. «Non l’hai capito?» Sul viso esangue aveva un ghigno assurdo e dal petto gli spuntava l’elsa di un pugnale, ornata d’un rubino che splendeva come se avesse un fuoco interiore. La gemma aveva più vita del viso di Mat. «Troppo tardi per cambiare qualcosa.»
«Finalmente mi sono liberato di loro» disse Perrin, ridendo. Il sangue gli colava in rivoli, come diluvio di lacrime, dalle orbite vuote. Tese le mani sporche di rosso e cercò di costringere Rand a guardare che cosa vi teneva, «Sono libero, adesso. È finita.»
«Non è mai finita, Rand al’Thor» gridò Padan Fain, facendo capriole sul pavimento. «La battaglia non finisce mai.»
La porta esplose in una miriade di schegge e Rand si abbassò per non essere colpito. Due Aes Sedai vestite di rosso varcarono la porta e con un inchino introdussero il loro padrone. Il viso di Ba’alzamon era coperto da una maschera color sangue secco, ma dai fori per gli occhi Rand scorse le fiamme e udì il ruggito dei fuochi.
«Fra noi non è ancora finita, al’Thor» disse Ba’alzamon e parlò insieme con Fain, come se fossero un tutt’uno. «Per te, la battaglia non finisce mai.»
Con un ansito soffocato Rand si alzò a sedere sul pavimento e si svegliò di colpo. Gli pareva di udire ancora la voce di Fain, come se l’ambulante fosse fermo al suo fianco. Non è mai finita. La battaglia non finisce mai.
Con occhi annebbiati si guardò intorno per convincersi d’essere ancora nascosto dove l’aveva lasciato Egwene, su di un pagliericcio nell’angolo della stanza della ragazza. La fioca luce d’un singolo lume illuminava l’ambiente. Rand fu sorpreso di vedere Nynaeve, occupata a sferruzzare, su di una sedia a dondolo, dall’altra parte del letto ancora intatto. La notte era scesa da un pezzo.
Snella, occhi scuri, Nynaeve portava i capelli raccolti in una grossa treccia passata sopra la spalla e lunga fin quasi alla cintola. Non aveva rinunciato alle usanze del suo paese. Era serena in viso e pareva non accorgersi di niente: badava solo a sferruzzare e a dondolarsi piano. L’unico rumore era il click-click dei ferri. Il tappeto soffocava il cigolio della sedia a dondolo.
C’erano state notti, di recente, in cui Rand aveva desiderato un tappeto, sulla fredda pietra del pavimento della sua stanza; ma nello Shienar le stanze degli uomini erano sempre arredate severamente, senza tante comodità. Qui le pareti avevano due arazzi, paesaggi montani e cascate, e tende ricamate a fiori ai lati delle feritoie. Fiori recisi, bianche stelle del mattino, erano disposti in un vaso rotondo e basso, sul tavolino accanto al letto, e altri spuntavano da recipienti smaltati di bianco, appesi alle pareti. In un angolo c’era uno specchio a figura intera; un altro era appeso sopra il portacatino con la bacinella e la brocca a strisce bianche e blu. Rand si domandò perché mai Egwene avesse bisogno di due specchi: nella sua stanza non ce n’era nessuno e lui non ne sentiva la mancanza. Solo un lume era acceso, ma altri quattro erano disposti per la stanza, larga quasi quanto quella che lui divideva con Mat e con Perrin, mentre questa era tutta per Egwene.
Senza alzare gli occhi, Nynaeve disse: «Se dormi di pomeriggio, non puoi avere sonno di notte.»
Rand corrugò la fronte, pur pensando che Nynaeve non potesse vederlo. La donna era più anziana di lui di qualche anno soltanto, ma il fatto d’essere Sapiente le aggiungeva cinquant’anni d’autorità. «Mi occorreva un nascondiglio ed ero stanco» rispose; ma si affrettò a precisare: «Non sono venuto qui da solo. Mi ha invitato Egwene.»
Nynaeve abbassò il lavoro a maglia e gli rivolse un’occhiata di divertimento. Era una bella donna, cosa che Rand non avrebbe mai notato, al villaggio, perché non si guardavano le Sapienti come se fossero donne normali. «La Luce mi aiuti, Rand. Diventi più shienarese ogni giorno che passa. Già, proprio invitato!» Sbuffò. «Fra poco ti metterai a parlare del tuo onore e chiederai alla pace di favorire la tua spada.»
Rand arrossi e si augurò che lei non se ne accorgesse, nella penombra. Nynaeve guardò la spada, la cui elsa sporgeva dal fagotto posato per terra accanto a lui. Non approvava le spade e Rand lo sapeva; ma per una volta non aveva detto niente contro la sua. «Egwene mi ha raccontato perché ti serve un nascondiglio. Non preoccuparti. Ti terremo nascosto dall’Amyrlin o da qualsiasi altra Aes Sedai, se è questo che vuoi.»
Lo guardò negli occhi e distolse di scatto lo sguardo, ma non prima che Rand vi leggesse il disagio che Nynaeve provava. E il dubbio che l’affliggeva. Lui era davvero capace di usare l’Unico Potere. Nynaeve avrebbe dovuto aiutare le Aes Sedai a dargli la caccia per domarlo.
Corrucciato, si aggiustò il farsetto di cuoio procuratogli da Egwene e si girò in modo da appoggiarsi con la schiena alla parete. «Alla prima occasione, mi nasconderò dentro un carretto oppure uscirò di soppiatto. Non dovrete nascondermi a lungo.» Nynaeve non replicò; tenne lo sguardo sul lavoro a maglia e brontolò quando le cadde un punto. «Dov’è Egwene?» domandò Rand.
Nynaeve si lasciò cadere in grembo il lavoro a maglia. «Non so nemmeno perché continuo a lavorare, stanotte: non riesco neppure a tenere il conto delle maglie. Egwene è scesa a trovare Padan Fain. Ritiene che vedere facce conosciute possa aiutarlo.»
«La mia non l’ha certo aiutato. Dovrebbe stare lontano da lui. È pericoloso.»
«Egwene vuole aiutarlo» replicò Nynaeve, calma. «Sai che si addestrava per diventare la mia assistente e noi non ci limitiamo a prevedere il tempo, ci occupiamo anche di curare e guarire. Egwene ha il desiderio e il bisogno di guarire chi sta male. Se Padan Fain fosse così pericoloso, Moiraine le avrebbe proibito di andarlo a trovare.»
Rand scoppiò a ridere. «Non le avete detto niente. Egwene l’ha ammesso. E proprio non ti vedo a chiedere il permesso per qualcosa.» Nynaeve inarcò il sopracciglio e a Rand passò la voglia di ridere. Però si rifiutò di scusarsi. Erano molto lontano da casa e Rand non vedeva come Nynaeve potesse continuare a essere la Sapiente di Emond’s Field, se andava a Tar Valon. «Hanno già iniziato a cercarmi?» domandò. «Egwene non è convinta che mi cercheranno; ma Lan dice che l’Amyrlin Seat è qui per causa mia e mi sembra che la sua opinione abbia più valore.»
Per un momento Nynaeve non rispose. Giocherellò con le matasse di lana. «Non sono sicura» disse infine. «Poco fa è venuta una domestica; voleva preparare il letto, come se Egwene andasse già a dormire senza partecipare alla festa per l’Amyrlin. L’ho mandata via. Non ti ha visto.»
«A noi uomini nessuno prepara il letto.» Nynaeve gli scoccò un’occhiata che un anno prima l’avrebbe fatto barcollare. Rand scosse la testa. «Non userebbero le domestiche per cercarmi.»
«Quando, sul presto, sono andata in cucina a prendermi una tazza di latte, c’erano troppe donne nei corridoi. Le invitate alla festa avrebbero dovuto prepararsi; e le altre, o aiutarle, o prepararsi a servire in tavola, o...» Corrugò la fronte, preoccupata. «Con la presenza dell’Amyrlin, c’è fin troppo lavoro per tutti. E non erano soltanto negli alloggi delle donne. Ho visto lady Amalisa in persona, col viso sporco di polvere, uscire da un magazzino accanto alla dispensa.»
«Ridicolo. Perché proprio lei si unirebbe alla ricerca? O le donne, per questo? Useranno i soldati di lord Agelmar e i Custodi. E le Aes Sedai. Prepareranno solo qualcosa per la festa. Non ho la minima idea di come siano le feste nello Shienar.»
«A volte sei una testa di rapa, Rand. Gli uomini non sapevano che cosa facessero le donne. Alcuni si lamentavano di dover fare tutto il lavoro da soli. Lo so, non ha senso che siano le donne, a cercarti. Nessuna Aes Sedai pareva interessata. Ma lady Amalisa di certo non si preparava per la festa sporcandosi i vestiti in un magazzino. Le donne cercavano qualcosa, qualcosa d’importante. Anche se ha cominciato a prepararsi subito dopo che l’ho vista, Amalisa avrà avuto appena il tempo di fare il bagno e di cambiarsi. A proposito, se Egwene non torna in fretta, dovrà scegliere se cambiarsi o presentarsi in ritardo.»
Solo allora Rand si accorse che Nynaeve non indossava le vesti di lana dei Fiumi Gemelli. Aveva un abito di seta celeste, con fiori di bucaneve a ricamo intorno al collo e in fondo alle maniche. Ogni fiore aveva al centro una piccola perla e la cintura era d’argento lavorato, con una fibbia d’argento guarnita di perle. Rand non l’aveva mai vista in un abito del genere. Nemmeno l’abito della festa, giù a casa, era paragonabile a quello.
«Partecipi al banchetto?»
«Certo. Anche se Moiraine non avesse detto che dovevo parteciparvi, non le avrei mai lasciato pensare che...» Per un momento gli occhi le mandarono lampi e Rand capì a che cosa si riferiva. Nynaeve non avrebbe mai mostrato a nessuno d’avere paura, anche se l’aveva. Certo non a Moiraine e soprattutto non a Lan. Rand si augurò che Nynaeve non sapesse che lui si era accorto dei suoi sentimenti nei confronti del Custode.
Dopo un momento Nynaeve ammorbidì lo sguardo e lo posò sulla manica della veste. «Me l’ha data lady Amalisa» disse, a voce così bassa che Rand si chiese se lei parlasse tra sé. Nynaeve lisciò la seta, seguì col dito il contorno dei fiori ricamati, sorrise con aria sognante.
«Ti sta molto bene, Nynaeve. Sei bellissima, stanotte.» E trasalì, perché ogni Sapiente era irascibile, sul proprio conto, e Nynaeve lo era più di tante altre. La Cerchia delle Donne, a casa, l’aveva sempre guardata di storto, perché Nynaeve era giovane e forse anche perché era bella, e i suoi litigi col Sindaco e il Consiglio del Villaggio erano argomento di tante storie.
Nynaeve tolse di scatto la mano dal ricamo e guardò di storto Rand, corrugando la fronte. Rand parlò in fretta, per precederla.
«Non possono tenere chiuse le porte per sempre. Appena le riaprono, me ne vado e le Aes Sedai non mi troveranno mai. Perrin dice che ci sono dei posti, nelle Montagne Nere e nella Prateria Caralain, dove per giorni interi non s’incontra anima viva. Forse... forse troverò il modo di risolvere...» Scrollò le spalle, a disagio. A lei non occorreva precisarlo. «E se non ci riesco, non farò danno a nessuno.»
Dopo un attimo di silenzio, Nynaeve disse lentamente: «Non ne sono così sicura, Rand. Per me hai l’aria di un qualsiasi ragazzo del villaggio, ma Moiraine insiste che sei ta’veren e mi sembra convinta che la Ruota con te non ha ancora terminato. Pare che il Tenebroso...»
«Shai’tan è morto» disse Rand, in tono aspro. All’improvviso la stanza parve traballare. Rand si strinse la testa, in preda a ondate di vertigine.
«Idiota! Stupido, pazzo idiota! Nominare il Tenebroso, attirare su di te la sua attenzione! Non hai già guai a sufficienza?»
«È morto» borbottò Rand, strofinandosi le tempie. Deglutì. Le vertigini già svanivano. «D’accordo, d’accordo. Ba’alzamon, allora. Ma è morto. L’ho visto morire, l’ho visto bruciare.»
«E io non ti guardavo, quando l’occhio del Tenebroso si è posato su di te un attimo fa? Non dirmi che non hai sentito niente, altrimenti ti prendo a schiaffi. Ho visto la tua faccia.»
«È morto» ripeté Rand, testardo. Nella mente gli passò in un lampo il ricordo della presenza invisibile che lo osservava e del vento in cima alla torre. Rabbrividì. «Cose bizzarre accadono così vicino alla Macchia.»
«Sei davvero uno sciocco, Rand al’Thor. Ti prenderei davvero a ceffoni, se servisse a mettere un po’ di buonsenso in quella tua...»
Il resto della frase fu soffocato da un fragoroso scampanio per tutta la rocca.
Rand balzò in piedi. «L’allarme! Cercano...» Bastava nominare il Tenebroso per attirarsi il male.
Nynaeve si alzò più lentamente e scosse la testa a disagio. «No, non credo. Se cercassero te, non ti avvertirebbero suonando le campane. L’allarme non riguarda te.»
«Cosa, allora?» Si precipitò alla più vicina feritoia e scrutò fuori.
Luci saettavano come lucciole nella rocca ammantata dalla notte: lampade e torce mosse qua e là. Alcune andavano verso le mura esterne e le torri, ma la maggior parte si muoveva nel giardino sottostante e nella corte di cui Rand scorgeva solo una parte. La causa dell’allarme era all’interno della rocca. Le campane tacquero e permisero di udire le grida degli uomini, ma Rand non riuscì a distinguere le parole.
Se l’allarme non era per lui... «Egwene» disse all’improvviso. Se Ba’alzamon era ancora vivo, in teoria doveva venire contro di lui.
Nynaeve, che scrutava da un’altra feritoia, si girò. «Cosa?»
«Egwene» ripeté Rand. Andò al fagotto e afferrò la spada. Luce santa, doveva colpire lui, non Egwene. «È scesa nelle celle. Che Fain sia riuscito a liberarsi?»
Nynaeve lo bloccò alla porta, afferrandolo per il braccio. Gli arrivava appena alla spalla, ma mostrò una stretta ferrea. «Non essere più stupido di quanto sei stato finora, Rand al’Thor. Anche se l’allarme non riguarda te, le donne cercano qualcosa! Luce santa, ragazzo, questi sono gli alloggi delle donne. Probabilmente ci saranno Aes Sedai nei corridoi. Egwene se la caverà. Passava a prendere Mat e Perrin. Se si è cacciata nei guai, ci penseranno loro.»
«E se non li ha trovati? Egwene non avrebbe mai rinunciato solo per questo. Sarebbe andata da sola, come faresti tu, e lo sai bene. Luce santa, le avevo detto che Fain è pericoloso. Gliel’avevo detto!» Si liberò il braccio, spalancò la porta e uscì di corsa.
Una donna strillò, nel vederlo con abiti da servo e spada in pugno. Anche invitati, gli uomini non portavano armi negli alloggi delle donne, a meno che la rocca non fosse assalita. Le donne riempivano il corridoio, serve in nero e oro, dame in seta e merletti, donne in scialli con ricami e lunghe frange; parlavano tutte insieme, a voce alta, per sapere che cosa accadeva. Dappertutto c’erano bambini in lacrime attaccati alle sottane materne. Rand si tuffò nella calca, cercando se possibile di non urtare nessuna e borbottando frasi di scusa quando non ci riusciva, fingendo di non vedere le loro occhiate di sorpresa e di stupore.
Una donna con lo scialle si girò per tornare nella propria stanza; Rand scorse sulla schiena la lucente goccia bianca. All’improvviso riconobbe facce viste nella corte esterna. Aes Sedai, che ora lo fissavano, allarmate.
«Chi sei? Cosa fai, qui?»
«Hanno assalito la rocca? Rispondi, uomo!»
«Non è un soldato! Chi è? Cosa accade?»
«È il giovane lord del meridione!»
«Fermatelo!»
Per la paura Rand snudò i denti, ma continuò a muoversi e cercò di andare più in fretta.
Poi una donna uscì nel corridoio e si trovò faccia a faccia con lui; senza volerlo, Rand si bloccò. Riconobbe soprattutto il viso: l’avrebbe ricordato anche se fosse vissuto in eterno. L’Amyrlin Seat. La donna sgranò gli occhi e fece per ritrarsi. Un’altra Aes Sedai, la donna alta che Rand aveva visto reggere il bastone, si frappose fra lui e l’Amyrlin, gridandogli qualcosa che Rand non riuscì a distinguere, nel frastuono sempre più forte.
"Lei sa tutto” si disse Rand. “La Luce mi aiuti, Moiraine le ha parlato." Con un ringhio, riprese a correre. “Luce santa, concedimi solo di vedere Egwene in salvo, prima che loro..." Udì le grida alle sue spalle, ma non le ascoltò.
Uscì dagli alloggi delle donne e si trovò nella confusione. Uomini correvano per le corti, spada in pugno, senza guardarlo. Al di sopra del frastuono delle campane d’allarme ora Rand udì altri rumori. Grida. Urla. Fragore di metallo contro metallo. Ebbe appena il tempo di capire che erano rumori di battaglia (battaglia? dentro Fal Dara?) quando tre Trolloc girarono di corsa l’angolo e lui se li trovò di fronte.
Musi irsuti storpiavano facce altrimenti umane, una delle quali munita di corna da ariete. I Trolloc ringhiarono, sollevarono spade simili a falci e si precipitarono contro di lui. Nel corridoio, fino all’attimo prima pieno di uomini che correvano, c’erano adesso solo tre Trolloc e Rand. Colto di sorpresa, quest’ultimo sguainò goffamente la spada e tentò la figura Il colibrì bacia la rosa. Scosso nel trovare i Trolloc dentro la rocca, la eseguì così male che Lan, se l’avesse visto, se ne sarebbe andato con una smorfia di disgusto. Un Trolloc dal muso ursino evitò facilmente la lama e per un attimo urtò gli altri due, facendo perdere loro il passo.
A una tratto una decina di shienaresi passò accanto a Rand e si lanciò contro i Trolloc: uomini in abito da festa, ma con la spada pronta. Il Trolloc dal muso ursino ringhiò e cadde morto; gli altri due fuggirono, inseguiti dagli uomini vocianti. Grida e urla arrivavano da tutte le parti e riempivano l’aria.
Egwene, ricordò Rand.
Si inoltrò nella rocca e corse nei corridoi deserti, anche se di tanto in tanto vedeva a terra il cadavere di un Trolloc. O di un uomo.
Poi arrivò a un incrocio: alla sua sinistra c’era la coda d’uno scontro. Sei soldati, sporchi di sangue, giacevano immobili; un settimo era moribondo. Il Myrddraal diede alla spada un’ultima torsione ed estrasse la lama dal ventre dell’uomo, che lanciò un grido, lasciò cadere la spada e crollò a terra. Il Fade si mosse con la grazia d’una vipera, e la similitudine con i rettili era rafforzata dalla corazza di piastre sovrapposte, nere, che gli proteggeva il petto. Si girò: il suo viso livido, privo d’occhi, studiò Rand. Il Fade avanzò, con un sorriso esangue, senza alcuna fretta. Non era necessaria, per un uomo solo.
Rand rimase radicato sul posto, la lingua incollata al palato. L’arma del Senza Occhi è la paura, si diceva lungo le Marche di Confine, Con mani tremanti, Rand alzò la spada; non pensò nemmeno di cercare la calma del vuoto. Il Fade aveva appena ucciso sette soldati: che cosa poteva fare, lui?
All’improvviso il Myrddraal si fermò, senza più sorridere.
«Rand, questo è mio.»
Nell’udire la voce, Rand sobbalzò; si trovò accanto Ingtar, scuro e tozzo, in una giubba gialla da festa, spada impugnata a due mani. Gli occhi scuri di Ingtar non lasciarono mai la faccia del Fade; se lo shienarese sentiva la paura, non lo mostrava. «Fai allenamento con un paio di Trolloc» proseguì Ingtar «prima d’affrontare uno di questi.»
«Scendevo per vedere se Egwene è salva. Andava nelle celle a trovare Fain e...»
«Allora vai a cercarla.»
Rand deglutì. «Lo affronteremo insieme, Ingtar.»
«Non sei ancora pronto, per questo. Vai a trovare la ragazza. Su! Vuoi che i Trolloc la scoprano per primi?»
Per un momento Rand si trattenne, indeciso. Il Fade aveva alzato la spada. Un ringhio muto distorse le labbra di Ingtar, ma Rand sapeva che non si trattava di paura. E forse Egwene era da sola nei sotterranei, con Fain o creature peggiori, Ma si vergognò, mentre correva verso la scala che portava ai sotterranei. L’aspetto del Fade generava paura in ogni uomo, ma Ingtar aveva dominato il proprio terrore. Lui invece aveva ancora un nodo allo stomaco.
I corridoi sotto la rocca erano silenziosi e poco rischiarati da lumi guizzanti ben distanziati lungo le pareti. Quando fu vicino alle prigioni, Rand rallentò e procedette in punta di piedi. Il fruscio di stivali sulla pietra nuda parve assordarlo. La porta delle prigioni era socchiusa, anziché sbarrata.
Rand sentì un groppo in gola. Aprì la bocca per gridare un richiamo, ma la richiuse subito. Se Egwene era lì dentro e si trovava nei guai, il richiamo avrebbe solo allarmato chiunque la minacciasse. Inspirò a fondo e si decise.
Con un solo movimento spalancò la porta, spingendola con il fodero che reggeva nella sinistra, e si lanciò nelle prigioni, gettandosi di spalla per rotolare sullo strame del pavimento; si rialzò subito e si girò da una parte e dall’altra, con tale rapidità da non avere un quadro chiaro della stanza, alla disperata ricerca di un eventuale assalitore, alla ricerca di Egwene. Nella stanza non c’era nessuno.
Lo sguardo gli cadde sul tavolo. Si bloccò di colpo, impietrito. Ai lati del lume ancora acceso, quasi a formare un centrotavola, c’erano due teste mozzate, in una pozza di sangue. Gli occhi sbarrati per il terrore fissavano lui e la bocca era spalancata nell’ultimo grido che nessuno poteva udire. Rand si sentì soffocare e si piegò in due, in preda a conati di vomito. Alla fine riuscì a tenersi dritto e con la manica si pulì la bocca; gli pareva d’avere la gola scorticata.
A poco a poco notò il resto della stanza. Pezzi di carne sanguinolenta erano disseminati sullo strame. L’unica cosa riconoscibile come umana erano le due teste. Alcuni pezzi parevano strappati a morsi. Ecco quale fine avevano fatto i corpi delle due guardie. Si sentì calmo, come se avesse raggiunto il vuoto senza cercarlo. Era lo shock, capì vagamente.
Rand non riconobbe nessuno dei due; da quando era sceso nelle prigioni, c’era stato il cambio della guardia. Ne fu contento: sapere chi erano, sarebbe stato peggio. Il sangue imbrattava pure le pareti, ma si trattava di lettere scarabocchiate, parole singole e frasi intere. Alcuni caratteri erano rozzi e spigolosi, in una lingua che Rand non conosceva, anche se riconobbe la scrittura dei Trolloc. Altri riuscì a leggerli e lo rimpianse: bestemmie e oscenità che avrebbero fatto impallidire uno stalliere.
«Egwene» si lasciò sfuggire. La calma era svanita. Rand s’infilò nella cintura il fodero, prese il lume e non si accorse nemmeno che le due teste rotolarono di lato. «Egwene! Dove sei?»
Si diresse alla porta interna e dopo due passi si bloccò: sul battente c’era una scritta, in lettere scure, luccicanti e umidicce, assai chiare.
CI INCONTREREMO DI NUOVO A CAPO TOMAN.
NON È MAI FINITA, AL’THOR.
Con dita improvvisamente inerti, Rand lasciò cadere la spada. Senza staccare lo sguardo dalla porta, si chinò a raccoglierla. Invece afferrò una manciata di paglia e cominciò a sfregare con furia le parole sul battente. Ansimando, continuò finché non ci fu un’unica macchia di sangue, ma non riuscì a smettere.
«Cosa combini?»
Alla brusca domanda, Rand si girò di scatto e si chinò a riprendere la spada.
Nel vano della porta esterna c’era una donna dai capelli biondi acconciati in treccioline; aveva occhi scuri e acuti che risaltavano; pareva poco più anziana di Rand, di una bellezza accigliata, ma con una bocca dura che a Rand non piacque. Portava uno scialle dalla lunga frangia rossa.
Una Aes Sedai, pensò Rand. E dell’Ajah Rossa. Disse: «Stavo solo... È una robaccia schifosa. Ignobile.»
«Bisogna lasciare ogni cosa come si trova. Così possiamo esaminarla. Non toccare niente.» Avanzò di un passo, per scrutarlo meglio, poi si scostò. «Sì. Sì, come pensavo. Uno di quelli giunti con Moiraine. Cosa c’entri, con questa roba?» Indicò le teste sul tavolo e le scritte sulle pareti.
Per un minuto Rand la guardò a occhi sbarrati. «Io? Niente! Sono sceso a cercare... Egwene!»
Si girò per aprire la porta interna e l’Aes Sedai gridò: «No! Prima risponderai a me!»
All’improvviso Rand non riuscì a muoversi: rimase dritto, reggendo lume e spada. Il gelo lo serrava da tutti i lati, la testa pareva in una morsa di ghiaccio, la pressione sul torace gli consentiva a stento di respirare.
«Rispondimi, ragazzo. Dimmi come ti chiami.»
Rand emise un brontolio involontario, nel tentativo di rispondere nonostante il gelo che gli premeva contro il cranio la carne del viso, che gli serrava il petto come fasce di ferro. Strinse i denti per non emettere suono. Rovesciò gli occhi e la guardò con odio, tra le lacrime. “La Luce ti fulmini, Aes Sedai” pensò. “Non dirò una parola, che l’Ombra ti porti!"
«Rispondimi, ragazzo. Subito!»
Aghi ghiacciati gli trafissero il cervello e raschiarono contro le ossa. Dentro di lui si formò il vuoto, prima ancora che lui stesso ci pensasse, ma non riusciva a tenere fuori il dolore. Confusamente Rand percepì luce e calore, da qualche parte: in lontananza, eppure a portata di mano. “Luce santa, che freddo. Devo afferrare... che cosa? Mi sta uccidendo. Se non lo afferro, mi uccide." Disperato, si protese verso la luce.
«Cosa succede qui?»
Di colpo gelo, pressione e aghi svanirono. Rand si sentì piegare le ginocchia, ma si irrigidì e rimase in piedi. Non sarebbe caduto, non le avrebbe dato la soddisfazione. Anche il vuoto era svanito, con la repentinità con cui era comparso. L’Aes Sedai aveva cercato davvero di ucciderlo. Ansimando, sollevò la testa. Nel vano della porta c’era Moiraine.
«Ho domandato cosa succede qui, Liandrin» disse Moiraine.
«Ho trovato questo ragazzo» replicò con calma l’Aes Sedai Rossa. «Le guardie sono state uccise e qui c’è lui. Uno dei tuoi. E tu cosa fai qui, Moiraine? La battaglia è di sopra.»
«Potrei domandarti la stessa cosa, Liandrin.» Moiraine si guardò intorno e serrò le labbra alla vista del carnaio. «Perché sei qui?»
Rand girò loro le spalle, con gesti impacciati tolse i chiavistelli della porta interna e la spalancò. «Egwene è scesa qui sotto» annunciò a chi interessava; tenne alto il lume ed entrò nelle prigioni. «Egwene!» chiamò.
Da destra provenne un gorgoglio rauco. Rand spostò il lume da quella parte. Il carcerato con la giacca elegante si accasciò contro le sbarre della cella: si era impiccato con la sua stessa cintura. Sotto gli occhi di Rand, scalciò ancora una volta e strusciò i piedi sul pavimento coperto di strame. Poi rimase immobile, con lingua e occhi che parevano schizzare fuori del viso diventato quasi nero. Con le ginocchia sfiorava il pavimento, quindi avrebbe potuto tenersi in piedi, se avesse voluto.
Rand soffocò un brivido e scrutò nella cella seguente. Il tipo grande e grosso era accucciato in fondo alla cella, a occhi sbarrati. Nel vedere Rand, si mise a urlare e si girò, artigliando freneticamente la parete di pietra.
«Non ti farò niente» gli gridò Rand. L’uomo continuò a urlare e a scavare. Aveva le mani tutte insanguinate e lasciava striature rossastre su altre scure: non era il primo tentativo di scavare a mani nude la pietra.
Rand si allontanò, contento di non avere più niente nello stomaco. Non poteva aiutare nessuno dei due. «Egwene!»
Finalmente arrivò in fondo alla fila di celle. Quella di Fain era aperta e vuota, ma c’erano due figure distese per terra lì davanti. Con un balzo Rand le raggiunse e si inginocchiò.
Egwene e Mat giacevano scompostamente, svenuti... o morti. Rand vide subito, con sollievo, che respiravano ancora. E pareva che non avessero segni di ferite.
«Egwene? Mat?» Posò la spada e scosse piano Egwene. La ragazza non aprì gli occhi, «Moiraine!» chiamò Rand. «Egwene sta male! E anche Mat!» Mat, livido, respirava a fatica.
«Non muoverli» disse Moiraine; non parve sconvolta, nemmeno sorpresa.
All’ingresso delle due Aes Sedai, l’ampio corridoio si riempì di luce: tutt’e due le donne reggevano in equilibrio sopra la mano un globo splendente di luce fredda, librato a mezz’aria.
Liandrin avanzò direttamente nel corridoio, reggendosi le sottane; Moiraine si soffermò a dare un’occhiata ai due carcerati. «Per uno non c’è più niente da fare» disse. «L’altro può aspettare.»
Liandrin raggiunse Rand e si chinò su Egwene, ma Moiraine la precedette in fretta e furia e posò la mano sulla testa della ragazza. Liandrin si raddrizzò, con una smorfia.
«Non è ferita gravemente» disse Moiraine, dopo un attimo. «È stata colpita qui.» Indicò una zona sul lato della testa, che a Rand parve identica al resto. «Non ha riportato altre ferite. Si riprenderà benissimo.»
Rand guardò da una Aes Sedai all’altra. «E Mat?» domandò. Liandrin inarcò il sopracciglio e si girò, con aria diffidente, a guardare Moiraine.
«Silenzio» disse Moiraine. Tenne le dita sulla parte colpita e chiuse gli occhi. Egwene borbottò e si agitò, poi rimase tranquilla.
«Cos’ha?»
«Dorme, Rand. Starà bene, ma deve dormire.» Moiraine passò a Mat, ma lo toccò solo un istante e subito si ritrasse. «Qui la faccenda è più grave» mormorò sottovoce. Gli sbottonò la giubba e frugò nella cintola, con un brontolio di rabbia. «Il pugnale è sparito.»
«Quale pugnale?» domandò Liandrin.
Dalla prima stanza provennero all’improvviso voci maschili piene di disgusto e di rabbia.
«Da questa parte» chiamò Moiraine. «Portate due barelle. Presto.»
«Fain è scomparso» disse Rand.
Le due Aes Sedai lo fissarono «Lo vedo» disse Moiraine, in tono piatto.
«Le ho detto di non venire qui. Le ho detto che era pericoloso.»
«Quando sono arrivata» disse Liandrin, con voce fredda «lui cancellava la scritta sulla porta.»
Rand cambiò posizione a disagio. Le Aes Sedai sembravano uguali, adesso. Lo soppesavano e lo valutavano, gelide e terribili.
«Era... era oscena» disse Rand. «Solo oscena.» Le due continuarono a fissarlo, senza aprire bocca. «Non crederete che io... Moiraine, pensi davvero che sia implicato in... in quel che è avvenuto qui dentro?»
Moiraine non rispose e Rand provò un senso di gelo che non fu alleviato dagli uomini giunti di corsa, con torce e lumi. Moiraine e Liandrin lasciarono spegnere i due globi di fuoco. Lumi e torce davano meno luce e le ombre balzarono dal cuore delle celle. Uomini con le barelle, guidati da Ingtar, accorsero accanto alle due figure distese per terra. Ingtar tremava di rabbia e pareva ansioso di trovare qualcuno su cui usare la spada.
«Così anche l’Amico delle Tenebre è scomparso» ringhiò. «Be’, è il meno di quel che è accaduto stanotte.»
«Il meno anche qui» disse Moiraine, brusca. Diede istruzioni agli uomini delle barelle. «La ragazza dev’essere portata nella sua stanza. Ha bisogno di una donna che la tenga d’occhio, nel caso si svegliasse durante la notte. Forse sarà spaventata, ma più di tutto ora ha bisogno di sonno. Il ragazzo...» Toccò Mat, mentre due uomini sollevavano la barella su cui era disteso, ma ritrasse in fretta la mano. «Portatelo nelle stanze dell’Amyrlin Seat. Cercate l’Amyrlin e ditele che lui è lì. Ditele che si chiama Matrim Cauthon. Andrò da lei appena possibile.»
«L’Amyrlin!» esclamò Liandrin, «Credi d’avere a disposizione l’Amyrlin per guarire il tuo... il tuo cucciolo? Sei pazza, Moiraine.»
«L’Amyrlin Seat» replicò Moiraine, calma «non ha i tuoi pregiudizi d’Ajah Rossa, Liandrin. Guarirà un uomo anche senza secondi fini. Precedetemi» ordinò ai barellieri.
Liandrin guardò andare via Moiraine e gli uomini che portavano Mat e Egwene; poi si girò a fissare Rand. Il ragazzo cercò d’ignorarla; rimise nel fodero la spada e si tolse di dosso i fili di paglia rimasti attaccati alla camicia e alle brache. Quando rialzò la testa, Liandrin lo studiava ancora, con la faccia vuota come un pezzo di ghiaccio. Senza una parola, l’Aes Sedai si girò a soppesare gli altri uomini. Uno teneva sollevato il cadavere dell’impiccato, mentre un altro cercava di staccare dalle sbarre la cinghia. Ingtar e gli altri aspettavano. Liandrin diede un’ultima occhiata a Rand e se ne andò, a testa alta come una regina.
«Donna dura» borbottò Ingtar. Parve sorpreso d’averlo detto. «Cos’è accaduto qui, Rand al’Thor?»
«So soltanto che Fain è riuscito a fuggire. E ha colpito Egwene e Mat. Ho visto il corpo di guardia, ma qui... Qualsiasi cosa fosse, Ingtar, ha terrorizzato quel poveraccio che si è impiccato e ha fatto impazzire l’altro.»
«Stanotte rischiamo d’impazzire tutti.»
«Il Fade... l’hai ucciso?»
«No!» Con un colpo secco Ingtar rimise nel fodero la spada. Parve arrabbiato e vergognoso al tempo stesso. «Ormai è fuori della rocca, insieme con chi non siamo riusciti a uccidere.»
«Tu almeno sei vivo, Ingtar. Quel Fade ha ucciso sette uomini!»
«Vivo? Ti pare così importante?» A un tratto la voce di Ingtar non era più rabbiosa, ma stanca e addolorata. «Era nelle nostre mani. Nelle nostre mani! E l’abbiamo perduto, Rand. Perduto!» Pareva non riuscire a convincersi.
«Perduto cosa?» domandò Rand.
«Il Corno! Il Corno di Valere. Sparito, scrigno e tutto.»
«Ma era nella stanza del tesoro.»
«La stanza del tesoro è stata saccheggiata. Non hanno preso molto, a parte il Corno. Quel che potevano mettersi in tasca. Magari avessero preso tutto, tranne il Corno. Ronan è morto, con le sentinelle poste a guardia della stanza del tesoro.» Abbassò il tono di voce. «Quand’ero ragazzo, Ronan tenne la Torre Jehaan, con venti uomini contro un migliaio di Trolloc. Ma non è caduto facilmente. Il vecchio aveva sangue, sulla spada. Nessun uomo può chiedere di più.» Rimase in silenzio per qualche istante. «Sono entrati dalla Porta del Cane e sono usciti dalla stessa parte. Ne abbiamo uccisi più di cinquanta, ma troppi ci sono sfuggiti. Trolloc! Non avevamo mai avuto Trolloc, dentro la rocca. Mai!»
«Come hanno fatto a entrare dalla Porta del Cane? Lì un uomo può tenerne a bada cento. E tutte le altre porte erano sbarrate.» Si mosse a disagio, ricordando il motivo. «I soldati di guardia non avrebbero aperto a nessuno.»
«Li abbiamo trovati con la gola tagliata. Due bravi uomini, macellati come maiali. Qualcuno ha agito dall’interno: li ha uccisi e ha aperto la porta. Qualcuno che poteva accostarli senza sospetti, qualcuno conosciuto.»
Rand guardò la cella dove era stato rinchiuso Padan Fain. «Allora significa. ..»
«Sì. A Fal Dara ci sono Amici delle Tenebre. O c’erano. Lo sapremo presto. Kajin sta controllando se manca qualcuno. Santa pace! Traditori nella rocca di Fal Dara!» Accigliato, si guardò intorno e guardò gli uomini in attesa. Tutti impugnavano la spada, nonostante gli abiti da festa; alcuni avevano anche l’elmo. «Qui non concludiamo niente» disse. «Fuori! Tutti!» Rand si unì agli altri. Ingtar gli toccò il farsetto di cuoio. «E questo? Hai deciso di diventare garzone di stalla?»
«È una storia lunga» rispose Rand. «Troppo, per raccontarla qui. Un’altra volta, forse.» E forse mai. Forse sarebbe riuscito a fuggire, nella confusione. Ma non poteva andarsene senza sapere che Egwene si era rimessa. E che Mat stava bene: cosa gli sarebbe accaduto, senza il pugnale? «Immagino che lord Agelmar abbia raddoppiato le guardie a ogni porta» disse.
«Triplicato» precisò Ingtar, in tono soddisfatto. «Nessuno varcherà le porte, né per entrare, né per uscire. Appena al corrente dell’accaduto, lord Agelmar ha ordinato che nessuno lasci la rocca senza il suo permesso personale.»
«Ingtar, e prima? Cioè, il precedente ordine di non far uscire nessuno?»
«Quale ordine precedente? Rand, la rocca non era chiusa, finché lord Agelmar non ha saputo dell’attacco. T’hanno riferito male.»
Rand scosse lentamente la testa. Né Ragan né Thema si sarebbero inventati un ordine del genere. E anche se a darlo fosse stata l’Amyrlin Seat, Ingtar l’avrebbe saputo. Allora chi? E come? Guardò di sottecchi Ingtar, domandandosi se per caso mentisse. E si rispose che diventava pazzo sul serio, se cominciava a dubitare di Ingtar.
Intanto erano arrivati nel corpo di guardia delle prigioni sotterranee. Le teste mozzate e i macabri resti erano stati portati via, ma c’erano ancora macchie rossastre sul tavolo e zone umide nello strame sul pavimento. Nella stanza c’erano due Aes Sedai dall’aria tranquilla, in scialle marrone: studiavano le scritte sulle pareti, senza badare se con le sottane strusciavano per terra. Tutt’e due portavano alla cintura penna e calamaio e prendevano appunti su di un libricino. Al passaggio degli uomini, non alzarono nemmeno gli occhi.
«Guarda qui, Verin» disse una delle due, indicando una parte di parete coperta di righe di scrittura Trolloc. «Pare interessante.»
L’altra si accostò, procurandosi qualche altra macchia rossa sulle sottane. «Sì, vedo. Una grafia migliore del resto. Non è stato un Trolloc. Molto interessante.» Si mise a scrivere sul libricino, alzando gli occhi di tanto in tanto per leggere i caratteri spigolosi e tradurli.
Rand si affrettò a uscire. Anche se non fossero state Aes Sedai, non voleva restare nella stessa stanza con chi riteneva ‘interessante’ una scritta Trolloc tracciata col sangue umano.
Ingtar e i suoi uomini lo precedettero a passo deciso. Rand rimase indietro, chiedendosi dove andare adesso. Tornare negli alloggi delle donne non sarebbe stato facile, senza l’aiuto di Egwene.
Non era ancora arrivato alla prima rampa di scale per i piani superiori, quando Lan lo trovò. «Puoi tornare nella tua stanza, se vuoi, pastore» disse il Custode. «Moiraine ha mandato a prendere le tue cose e le ha fatte portare lì.»
«Come sapeva...»
«Moiraine sa un mucchio di cose, pastore. Ormai dovresti averlo capito. Faresti meglio a controllarti. Le donne non fanno che parlare di te che correvi per i corridoi, agitando la spada. E squadrando l’Amyrlin, dicono.»
«Mi spiace che se la siano presa, ma ero stato invitato. Quando ho udito l’allarme, ho pensato subito a Egwene, che era scesa qua sotto.»
Lan sporse le labbra, pensieroso. «Oh, non sono arrabbiate, a dire il vero. Anche se molte ritengono che tu abbia bisogno di una mano forte che ti rimetta a posto. Affascinate, direi meglio. Perfino lady Amalisa non la smette di fare domande su di te. Alcune cominciano a credere alle chiacchiere delle serve. Ti ritengono un principe sotto falso nome, pastore. Non è una brutta cosa. C’è un vecchio proverbio, qui nelle Marche di Confine: ‘Meglio avere al proprio fianco una donna che dieci uomini’. Da come parlano fra loro, cercano di stabilire chi abbia la figlia più forte per tenerti a freno. Se non stai attento, pastore, ti ritrovi sposato a una shienarese prima di rendertene conto,» All’improvviso scoppiò a ridere. L’effetto fu bizzarro, come la risata d’una pietra. «Correre negli alloggi delle donne, in piena notte, con un farsetto da stalliere e agitando la spada. Se non ti faranno frustare, come minimo ne parleranno per anni. Non hanno mai visto un maschio insolito come te. Qualsiasi moglie scelgano per te, sarà una donna che si metterà a capo della tua casa in dieci anni e ti farà credere che sei stato tu a farlo, Peccato che tu debba andartene.»
Rand era rimasto a bocca aperta a guardare il Custode. Ora brontolò: «Ho provato ad andarmene. Le porte sono sorvegliate e nessuno può uscire. Ho tentato quando era ancora giorno. Non ho nemmeno potuto portare via Red dalla stalla.»
«Ora non importa. Moiraine mi ha mandato a dirtelo. Puoi andartene quando ti pare. Anche subito. Moiraine ha detto ad Agelmar di esentarti dall’ordine.»
«Perché ora e non prima? Perché non potevo andarmene oggi? Allora è stata lei a ordinare che sbarrassero le porte? Ingtar ha detto che non ne sapeva niente e che le porte erano aperte, prima di stanotte.»
Il Custode parve preoccupato, ma si limitò a dire: «Se ti regalano un cavallo, pastore, non lamentarti perché non è veloce quanto vorresti.»
«E Egwene? E Mat? Stanno davvero bene? Non posso andarmene, se non so che stanno bene.»
«La ragazza sta benissimo. Si sveglierà domattina e forse non ricorderà nemmeno cos’è accaduto. I colpi in testa fanno spesso questo effetto.»
«E Mat?»
«La decisione è tua, pastore. Puoi andartene subito, o domani, o la prossima settimana. Decidi tu.» Si allontanò, lasciando Rand lì fermo come un allocco.