23 Tempesta e bonaccia

La costante brezza dell’ovest allontanava dall’isola di Minerva la Costanza, e Gaby trasse un respiro di sollievo. Guardando il cielo, vide che la valvola bassa si era chiusa. Sapeva per amara esperienza che il raggio sovrastante, con la chiusura della valvola, sarebbe entrato nella sua fase invernale. Gli alberi e ogni altra cosa si sarebbero ricoperti di uno strato di ghiaccio. Una volta iniziato il disgelo, tutta quell’acqua e una rispettabile quantità di rami spezzati si sarebbero accumulate sulla valvola, e, alla riapertura, Rea sarebbe diventata un ambiente poco igienico per tutti. In cinquanta rivoluzioni, Nox saliva di due metri e più.

Nessuno chiese a Cirocco dove era stata. Gaby sospettava che se avessero saputo la risposta, tutti sarebbero rimasti assai sorpresi, titanidi inclusi.

Cirocco si era recata a parlare con Rea, il cervello-satellite che dominava il territorio per un’area di cento chilometri in tutte le direzioni. Non era soggetto ad altra autorità che a quella di Gea. Inoltre era completamente pazzo.

L’unico modo di visitare i cervelli regionali era quello di servirsi dei cavi verticali centrali. I cervelli vivevano al di sotto di essi, al fondo di una scala a chiocciola lunga cinque chilometri. Neppure i titanidi erano al corrente di questo. La loro conoscenza dei dodici semi-dèi era alquanto limitata; quando aveva fatto i titanidi, completi di usi e costumi e di memoria razziale, Gea non aveva visto la necessità di informarli di quel particolare. Per loro, i cervelli erano delle appendici di Gea e niente di più, servomeccanismi quasi-intelligenti che controllavano il funzionamento del loro ristretto regno. Se i titanidi avessero pensato a essi come e divinità subordinate, avrebbero venerato di meno Gea. Di conseguenza, i titanidi sapevano, di quelle grandi masse di tessuto nervoso, soltanto ciò che sapeva il più ignorante dei turisti. Per loro, Iperione era un luogo, e non una persona.

La realtà era invece assai diversa, e lo era da molto prima che nascessero i titanidi. Forse i cervelli erano totalmente sottomessi a Gea quando lei era giovane. Gea diceva che era così. Ma oggi tutti e dodici tendevano all’indipendenza. Per farsi obbedire, Gea doveva ricorrere alle lusinghe o alle minacce.

Con un cervello regionale come Iperione bastava una semplice richiesta. Iperione era il migliore alleato di Gea sulla circonferenza. Eppure, il fatto che fosse costretta a chiedere, era indicativo del punto a cui erano giunte le cose. Gea non aveva più il controllo diretto della periferia della ruota.

Gaby aveva conosciuto numerosi regionali; era scesa decine di volte a visitare Iperione. Gli pareva spento e noioso, una sorta di automa, e aveva l’impressione che, come sempre, le canaglie fossero più interessanti dei buoni figlioli. Iperione riusciva a infilare in ciascuna frase almeno per due volte il nome di Gea. Gaby e Cirocco l’avevano visto poco prima del Festival. Il cavo centrale di Iperione ricordava a Gaby un avvenimento che avrebbe preferito dimenticare. L’aveva visitato con Cirocco e altri membri dell’equipaggio del Ringmaster durante le sue prime settimane su Gea. Senza saperlo, erano giunte a poche centinaia di metri dall’ingresso del pozzo. Se lo avessero trovato, si sarebbero evitate un faticosissimo viaggio.

Nel caso di Rea, invece, le cose erano alquanto diverse. Gaby non aveva mai potuto visitare i nemici di Gea. Cirocco invece li aveva visitati tutti a eccezione di Oceano. Aveva potuto farlo perché era la Maga, e di conseguenza era protetta dal salvacondotto di Gea. Se Cirocco fosse morta, la collera di Gea si sarebbe scatenata sul territorio del colpevole. Se fosse morta Gaby, Gea avrebbe forse provato fastidio, ma poco di più.

Tuttavia non era giusto definire Rea un nemico di Gea. Anche se si era alleata con Oceano durante la sua ribellione, era troppo imprevedibile perché l’uno o l’altro dei contendenti potesse fidarsi di lei. Cirocco era scesa una volta sola da lei, e si era salvata per il rotto della cuffia. Rea era un pessimo inizio per la loro missione, e Gaby lo sapeva, ma non si poteva saltarla per poi ritornare in seguito. Infatti, lei e Cirocco intendevano fare visita a tutt’e dodici i cervelli regionali. E si auguravano che Gea non lo avesse ancora scoperto,

Era rischioso, certo, ma Gaby pensava che lo si potesse fare senza destare sospetti. Non si aspettava di essere perfettamente al sicuro: sarebbe stata una sciocca a pensarlo. Anche se gli occhi e le orecchie di Gea non erano onnipresenti come pensava molta gente, la sorveglianza da lei esercitata sulla circonferenza della ruota era sufficiente a farle sapere, prima o poi, tutto quello che succedeva.

Perciò, intendevano affidarsi soprattutto alla loro faccia tosta. In alcuni punti, la missione poteva essere assai facile. Sarebbe stata una scortesia da parte della Maga, per esempio, passare per Crio senza scendere a fargli visita. E se Gea avesse voluto sapere perché la Maga era scesa a visitare un nemico come Giapeto, Cirocco avrebbe potuto rispondere che desiderava controllare la situazione della circonferenza: un controllo che costituiva una parte del suo lavoro. Se poi Gea le avesse chiesto perché non l’aveva informata preventivamente, lei avrebbe potuto rispondere che Gea non le aveva mai chiesto di informarla di ogni minuzia, cosa che del resto era vera.

Ma spiegare il motivo della visita a Rea poteva risultate difficoltoso. Il povero, confuso cervello di Rea poteva essere il più pericoloso regionale di Gea, se veniva preso di punta. Attraversare la sua regione non era un pericolo. Rea passava tutto il tempo assorto nei propri pensieri, e non si curava di quello che succedeva alla superficie. Per quel motivo, il territorio andava pian piano in rovina. Ma non si potevano prevedere le sue reazioni, nel caso che qualcuno fosse sceso a visitarlo. Gaby aveva cercato di convincere Cirocco a saltare Rea, e il pericolo era uno solo dei motivi. Sarebbe stato difficile spiegare perché la Maga aveva voluto correre quel rischio.

La misteriosa creatura che era salita a visitarli sull’isola aveva preoccupato Gaby. Aveva pensato dapprima che fosse uno degli strumenti di Gea, come il ballerino che accoglieva i nuovi pellegrini al loro arrivo nel mozzo. Ma poi si era convinta che la spiegazione era poco plausibile. Più probabilmente si trattava di uno dei fenomeni da baraccone creati da Gea. Gea passava gran parte del tempo a studiare nuove forme biologiche da mettere in libertà sulla circonferenza. Come le bombe volanti. Quelle erano davvero una trovata odiosa.

Quando chiese a Cirocco come fosse andata l’udienza, la Maga parve ragionevolmente sicura che fosse andata bene.

— Ho coltivato il suo orgoglio con tutta l’attenzione possibile. Ho cercato di convincerlo che era talmente superiore a Gea da non doversi preoccupare di rispondere, la prossima volta che Gea lo chiamerà. Se non le parla, non le può dire della mia visita.

— Spero che tu non gli abbia detto di non riferirlo.

— Concedimi un minimo di intelligenza. Credo di conoscere Rea meglio di chiunque altro. No, non sono scesa nei particolari e ho solo parlato di argomenti di routine, considerato anche che avevo bruciature di secondo grado su metà del corpo, l’ultima volta che mi sono separata da lui. Detto per inciso, puoi tirare una bella riga sul suo nome, ammesso che tu non l’abbia già fatto.

— Vuoi scherzare? Non l’ho neppure messo nella lista.

Cirocco chiuse gli occhi per un momento. Si strofinò la fronte. — Il prossimo è Crio, ed è un altro nome da cancellare. Non credo che approderemo a niente, Gaby.

— Non ho mai detto che saremmo approdate a qualcosa. Ma almeno dobbiamo fare il tentativo.

Il vento li portò al di là della lunga catena di isolette che punteggiavano la parte centrale di Nox, poi svanì. Attesero per quasi un giorno che riprendesse a soffiare e, quando vide che non si decideva a levarsi, Gaby ordinò a tutti, Cirocco compresa, di mettersi ai remi.

La valvola cominciò ad aprirsi una ventina di rivoluzioni più tardi. Contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, dal foro che si allargava progressivamente sopra di loro non cadde alcun torrente d’acqua. La valvola era come una spugna. Assorbiva l’acqua del disgelo, e poi, dilatandosi, la cedeva gradualmente. L’acqua fuoriusciva sotto forma di un miliardo di rivoletti e si rompeva in gocce. Da quel momento in poi, il fenomeno era complesso: le masse di acqua e aria fredde toccavano le masse di aria calda sottostante e le comprimevano. Poiché in quel momento la zattera si trovava a est della valvola, anche se di poco, la pioggia torrenziale e le peggiori tempeste tendevano in un primo tempo ad allontanarsi da loro, muovendosi come si era mossa Robin durante il Grande Salto: in direzione ovest, verso Iperione. Era impossibile prevedere in che momento il vento sarebbe diventato pericoloso.

Invece, il destino dei frammenti solidi di cui era cosparsa la superficie superiore della valvola non si poteva determinare in base a semplici equazioni matematiche. Quando toccavano la superficie marina, facevano uno schizzo di tutto rispetto. Alcuni dei frammenti erano alberi interi, più grandi degli abeti terrestri. Gaby sapeva che non costituivano un problema, perché non subivano che in misura limitata l’attrito atmosferico e tendevano anch’essi a cadere verso ovest.

Si misero di lena ai remi, anche quando si alzò la brezza che avevano previsto, e videro la progressiva discesa delle nubi temporalesche. Scesero per ore, finché non giunsero a lambire la superficie del mare, e a questo punto cominciarono ad allargarsi come un fungo messo al contrario.

La zattera fu colpita dalle prime onde, e i primi soffi di vento fecero sbattere la robusta tela della vela. Gaby riusciva a vedere la pioggia che si avvicinava, udiva il suo sibilo farsi più forte. Quando li colpì, fu come essere finiti sotto una cascata. Quel tipo di pioggia che secondo suo padre, tanto tempo prima, "strangolava le rane".

Il vento era meno forte del temuto, ma Gaby sapeva che poteva diventare molto più forte. La terraferma distava almeno un chilometro. Tutti coloro che non erano occupati a remare presero le pertiche e cominciarono a saggiare la profondità dell’acqua. Quando incontrarono il fondo, i titanidi lasciarono i remi agli umani e cominciarono a spingere con le pertiche. Ormeggiare la zattera si presentava come un compito difficile, perché ormai le onde erano alte più di due metri, ma fortunatamente non c’era da temere la presenza di scogli. Presto Cornamusa saltò nell’acqua con una cima, nuotò fino a riva e cominciò a tirare in secco la zattera.

Gaby cominciava a pensare che i pericoli fossero finiti, quando un’onda superò la poppa della zattera e colpì Robin, trascinandola nell’acqua. Chris era il più vicino; si tuffò in mare e in poche bracciate la raggiunse. Gaby si sporse dalla zattera per aiutarlo a riportare a bordo la ragazza, ma a quel punto si faceva più in fretta a portarla a riva, e Chris lasciò che le onde lo portassero dove l’acqua era più bassa. Poi aiutò Robin ad alzarsi in piedi, e a quel punto entrambi furono travolti da un’immensa ondata. Per un momento, Gaby non riuscì più a vederli; poi vide riapparire Chris, che, con Robin tra le braccia, la portava al di là del frangente. La posò a terra, e lei cadde in ginocchio e si mise a tossire, ma gli fece cenno col braccio di lasciarla sola.

I titanidi portarono a riva la Costanza e per cinque minuti saltellarono tra le onde sempre più alte, per portare a riva tutto l’equipaggiamento. La vela venne trascinata via dal vento quando provarono a staccarla. A parte quella, tutto il resto fu messo in salvo.

— Be’, con un po’ di fortuna ce l’abbiamo fatta — disse Cirocco, una volta giunti in un punto elevato dove si poteva montare l’accampamento perché c’era una fila di alberi che faceva da barriera al vento. — Cosa abbiamo perso, oltre alla vela?

— Si è aperta la mia sacca — disse Valiha. — L’acqua è entrata all’interno e ha fatto dei danni, e la tenda di Chris è finita in bocca ai pesci. — Aveva un’aria talmente triste, che Chris non poté fare a meno di ridere.

— Può venire nella mia — disse Robin. Gaby non si aspettava una simile proposta. Adocchiò Robin, che continuava a fissare la tazza di caffè bollente che stava bevendo. Sedeva accanto al fuoco che era stato acceso dai titanidi, aveva una coperta sulle spalle e sembrava un topo bagnato.

— Immagino che voialtri preferiate stare nelle tende, questa volta — disse Cirocco, guardando i titanidi.

— Se voialtri ci darete il permesso — disse Salterio. — Anche se credo che sarete una compagnia alquanto noiosa.

Gaby sbadigliò. — Penso che abbiate ragione. Cosa ne dite, piccolini? Ci infiliamo a letto e li annoiamo?

Gaby era diventata di fatto il capo della spedizione, perché Cirocco non aveva voluto diventarlo lei. Da quando aveva rinunciato al grado di capitano, Cirocco non aveva più cercato quel tipo di responsabilità, anche se si era sempre comportata nel migliore dei modi quando era stata costretta ad accettarle. Questa volta non era neppure disposta ad ascoltare; il capo era Gaby, e basta. Gaby accettò la situazione: non provava alcun fastidio neppure quando i titanidi guardavano involontariamente Cirocco quando Gaby dava loro le istruzioni. Non riuscivano a evitarlo. Cirocco era la Maga, ma erano disposti a fare tutto quello che diceva Gaby, purché fosse chiaro che Cirocco non aveva obiezioni.

E Cirocco migliorava progressivamente. Il risveglio era ancora il momento peggiore della giornata. Poiché passava più tempo dormendo di chiunque altro, doveva affrontare un maggior numero di risvegli. Al risveglio aveva sempre un aspetto funereo. Le tremavano le mani, e si guardava attorno con aria smarrita, come se cercasse aiuto e non lo trovasse. I suoi sonni non era molto meglio. Nella notte, Gaby la sentiva piangere.

Ma doveva essere lei stessa a risolvere il proprio problema. Gaby al momento si preoccupava soltanto di problemi di viaggio. Erano approdati sull’arco settentrionale della Lunga Baia. Quando Gaby attraversava Nox, si dirigeva sempre alla Baia del Serpente, il sottile istmo che conduceva a Ofione. Le due baie erano separate da una costola di roccia. Per via di terra, dal punto in cui si trovavano al fiume c’erano soltanto cinque chilometri, percorrendo invece la costa ce n’erano non meno di venticinque. Gaby non conosceva bene quella regione, non ricordava se la spiaggia si interrompeva in qualche punto. Le pareva che nella catena rocciosa a nord ci fosse un passo, ma non ne era del tutto certa. Inoltre c’era la tempesta. Seguendo la costa, avrebbero trovato un vento fortissimo. Passando per via di terra avrebbero invece incontrato fango e sentieri scivolosi, e l’oscurità della foresta.

Attese qualche ora, per vedere se la tempesta si decideva a diminuire di intensità, poi si consultò con Cirocco, che risultò saperne quanto lei, e infine ordinò di togliere le tende e disse a Salterio di prendere la via di terra.

Non seppe mai se fosse stata la scelta migliore, ma in complesso non fu una cattiva scelta. In alcuni punti dovettero fare attenzione a dove passavano, ma il percorso era meno accidentato del previsto. Discesi dalle montagne, si trovarono sulla costa meridionale della Baia del Serpente: una costa molto stretta, perché la baia aveva le pareti a picco come un fiordo norvegese; ma da quel punto in poi Gaby sapeva la strada. La Circum-Gea si univa a Ofione in quel punto, dopo avere attraversato la parte settentrionale di Rea ed essere discesa per i tortuosi passi dei Monti Nemesi occidentali.

Per qualche motivo, la costruzione di Gaby era in migliori condizioni, in quel tratto di una trentina di chilometri, che in qualsiasi altro punto di Gea. L’asfalto era fessurato e pieno di buche, in parte era stato portato via dalla pioggia, ma per tratti lunghi a volte anche un centinaio di metri si poteva camminare su una superficie non molto diversa da quella preparata dalle squadre di Gaby. In quella zona il terreno era particolarmente stabile e robusto. Gaby aveva dovuto usare gli esplosivi per aprirsi la strada, ma era convinta che le piogge l’avessero cancellata già da tempo.

Arrampicandosi sulla montagna, la strada passava accanto alle sette grandi pompe collocate sul ciglio della rupe. Gaby le aveva chiamate Dotto, Gongolo, Eolo, Brontolo, Pisolo, Cucciolo e Mammolo, e da tempo aveva smesso di chiedere scusa di quella libertà; ma non aveva potuto farne a meno, avendo esaurito la scorta di nomi greci. Di tutti quei nomi, Brontolo era il più appropriato, perché le pompe facevano un baccano infernale.

La tempesta era quasi finita quando giunsero in cima al sistema. Era il punto più alto di Ofione. Dal livello di Nox, che era il più alto dei dieci principali mari di Gea, i Sette Nani sollevavano l’acqua di altri 4000 metri. Il punto era chiamato Passo di Rea. Da lassù, guardando a ovest, si scorgevano le valli alpine dei Monti Nemesi: neri denti di pescecane visibili sullo sfondo verde e azzurro di Crio, di cui, dietro quelle montagne, si scorgevano i laghi settentrionali e le pianure meridionali, che salivano verso il cielo. Sul passo pioveva ancora a rovesci, ma più a est il cielo era sereno. Gaby decise che era meglio costruire le canoe e discendere il fiume fino a trovare un terreno asciutto, prima di montare le tende.

Ancora una volta, Gaby si divertì a osservare Chris. Il giovanotto era tutt’occhi nel vedere come i titanidi sceglievano gli opportuni alberi-canoa e come, con pochi colpi di scure, si procuravano centine e plance già pronte per il montaggio. Scuoteva la testa, meravigliato, nel vedere come s’incastrassero perfettamente tra loro a formare uno scheletro che richiedeva soltanto più la copertura di tessuto impermeabile, la stessa che era stata recuperata dalle canoe originali. In poco più di una rivoluzione erano pronti a partire.

Continuò a guardare Chris anche mentre i titanidi portavano sulle canoe l’equipaggiamento. Lei stessa era sorpresa della cosa, ma trovava irresistibile Chris sotto vari aspetti. La sua curiosità, l’attenzione con cui ascoltava lei e Cirocco quando gli spiegavano le meraviglie di Gea, erano come quelle di un bambino, e destavano in lei una punta di invidia. Anche lei era così, un tempo. In questo, Chris era diametralmente opposto a Robin, che di solito ascoltava quanto le bastava per capire che la cosa non la riguardava. Probabilmente, era stata la vita dura a far diventare Robin così, ma neanche Chris doveva avere avuto la vita facile. Lo si capiva dai suoi accessi di malinconia. Era un po’ timido, ma non fino al punto di confondersi con la tappezzeria. Quando era sicuro di essere ascoltato, diventava un grande chiacchierone.

Inoltre, e tanto valeva ammetterlo, si sentiva fisicamente attratta da lui. Cosa alquanto inconsueta, perché la sua ultima avventura con un uomo risaliva a vent’anni prima. Ma quando Chris sorrideva, si sentiva contenta anche lei. E quando sorrideva a lei, si sentiva al settimo cielo. Aveva la faccia leggermente storta, e questo lo rendeva più interessante; aveva braccia e spalle robuste, fianchi sottili. Il leggero strato di grasso attorno allo stomaco stava già scomparendo, e in qualche settimana sarebbe diventato ancora più snello e robusto: come piacevano a lei. Provava già un mezzo desiderio di passargli una mano tra i capelli e l’altra nella braghetta per controllare la situazione.

Ma non in quel viaggio, con Valiha che perdeva le bave dietro di lui, con Cirocco tenuta a freno soltanto dai postumi delle sue mega-sbornie e, come Gaby cominciava a sospettare, con la stessa Robin che stava entrando nell’idea di fare qualche tentativo di esplorazione inter-culturale.

Il poveretto aveva già la sua dose di problemi, senza bisogno che Gaby Plauget cercasse di infilarlo tra i cocci della sua vita amorosa. Inoltre, lei sapeva che il più grosso problema di Chris era quello che finora pareva il minore. Il problema che aveva nome Cirocco. Chris non era ancora pronto per lei, e Gaby intendeva fare tutto quello che poteva per impedire che cadesse tra le sue grinfie.

Il segmento di Ofione in cui entravano adesso era assai diverso da quello che avevano percorso su Iperione. Richiedeva esperienza. Per le peggiori rapide, Gaby voleva che su ciascuna canoa ci fossero due esperti rematori, uno davanti e l’altro dietro. Tutti i titanidi erano esperti, e così lo erano Gaby e Cirocco. Chris era alle prime armi, ma poteva essere utile, Robin era una principiante assoluta, e inoltre non sapeva nuotare. Gaby la mise tra due titanidi, e fece salire gli altri due sulla seconda canoa; lei, Chris e Cirocco salirono sulla terza, e si portarono la quarta a rimorchio. Nei punti tranquilli lasciò che Robin passasse in testa e si unì a lei, mostrandole come condurre la barca. Come in tutto quello che faceva, Robin si dedicò completamente a quel compito, e presto mostrò dei miglioramenti.

Fu un viaggio entusiasmante. Chris era al settimo cielo, e Robin era eccitatissima quando giunsero alla fine di una serie di rapide. Una volta giunse addirittura a suggerire di ritornare indietro per rifare la discesa: mentre lo diceva, pareva una bambina di tre anni. Moriva dalla voglia di guidare da sola la sua canoa, e Gaby poteva capirla perfettamente: c’erano poche cose che Gaby apprezzasse più di una corsa in canoa sopra una rapida. Quando viaggiava con Salterio, Gaby amava sfidare il fiume, mettersi nel pericolo. Ora, anche se si divertiva, imparava una cosa che Cirocco aveva scoperto molto tempo prima. Quando si è a capo della spedizione, il divertimento non è più lo stesso. Essere responsabili degli altri porta le persone a essere conservatrici e anche un po’ pedanti. Era costretta a essere inflessibile con Robin, che non voleva mettersi il giubbotto salvagente.

Raggiunsero la zona crepuscolare a occidente di Crio, e solo allora montarono le tende. Tutti erano felicemente esausti. Consumarono una cena leggera e un’enorme colazione, e ripartirono in direzione di territori che si rischiaravano gradualmente. L’unica cosa che poteva far aumentare la gioia di stare sul fiume era quella di uscire dalla pioggia di Rea per entrare nel sole di Crio.

Ofione entrava in piena luce del giorno in un punto leggermente a nord del cavo inclinato occidentale, l’equivalente della Scala di Cirocco, ma inclinato nella direzione opposta. Il fiume poi si dirigeva a sud e proseguiva in questa direzione per più di cento chilometri. Le rapide divennero meno frequenti, anche se il fiume scorreva veloce. Procedettero senza sforzi, dando qualche raro colpo di pagaia in quelle acque tranquille, riposando e lasciandosi trasportare dalla corrente.

Gaby diede l’alt prima del tempo, quando giunsero in un punto che conosceva bene per essersi già accampata laggiù in precedenza. Secondo lei, era il più bel posto di tutta la catena dei Monti Nemesi e annunciò che si sarebbero fermati per otto rivoluzioni, avrebbero dormito, e poi avrebbero ripreso il viaggio. Il programma piacque a tutti, soprattutto ai titanidi, che per la prima volta, dopo vari giorni, poterono preparare un pasto decente.

Quando Chris suggerì di andare a pescare qualcosa che i titanidi potessero cucinare, Gaby gli mostrò quali vegetali tagliare per fare le canne da pesca. Anche Robin pareva interessata, e Gaby le insegnò a infilare l’esca sull’amo, a legare l’amo alla lenza, a girare i semplici verricelli portati dai titanidi. Si misero in un punto dove l’acqua era bassa, posarono bene i piedi su una pietra piatta, e cominciarono a pescare.

— Cosa si prende, da queste parti? — domandò Chris.

— Che cosa pescheresti, al tuo paese, in un fiume come questo?

— Delle trote, probabilmente.

— E allora vorrà dire che pescherai delle trote. Penso che una dozzina sarà sufficiente.

— Dici sul serio? Sono davvero trote?

— Certo, e non si tratta semplicemente di una imitazione di Gea. Molto tempo fa, a Gea è venuto in testa di richiamare un po’ di turisti. Adesso gliene importa poco, ma a quell’epoca ha fatto immettere i pesci in molti fiumi, e questi pesci si sono moltiplicati. Diventano molto grossi. Come questo. — La sua canna si piegò a semicerchio. Pochi minuti più tardi infilò nella rete la più grossa trota che Chris avesse mai visto, per non dire pescato.

Al primo pesce che abboccò, Robin ruppe la lenza, però in seguito riuscì a prendere un pesce altrettanto grande. In una mezz’ora catturarono la dozzina di pesci occorrenti per la cena, ma proprio a quel punto abboccò all’amo di Chris una bestia che pareva più una balena che un pesce normale. Eppure, quando uscì dall’acqua, videro che aveva la forma e il colore della trota, nonché lo spirito battagliero. Dopo venti minuti di lotta, Chris riuscì a infilare nel suo retino un pesce talmente grosso da far dire alla stessa Gaby di non averne mai visto uno simile. Chris lo fissò con grande orgoglio, poi lo sollevò verso il cielo.

— Cosa te ne pare, Gea? — gridò. — È abbastanza grosso?

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