45 Fama e fortuna

Valiha aveva lasciato le stampelle per la versione titanide di una sedia a rotelle. Aveva due pneumatici di un metro di diametro e un telaio di legno poco più largo del suo corpo. Dalle ruote si innalzavano due sbarre verticali robuste a cui era legata un’imbracatura di tela con fori per infilarci le zampe anteriori e con cinghie per tenere fermo il tutto. A Chris pareva buffa, ma si ricredette nel constatarne la praticità. Avevano prescritto a Valiha di usarla ancora per qualche tempo. Le ossa si erano saldate, ma i guaritori titanidi preferivano andare sul sicuro, quando si trattava di fratture alle gambe.

Sulla carrozzella, Valiha era più veloce di Chris. L’unico problema era quello di cambiare direzione e, come tutte le carrozzelle, era un disastro sulle scale. Ora Valiha fissava la larga scala di legno ai margini dell’albero di Titantown; dopo avere fatto una smorfia, disse: — Penso di farcela.

— E io penso che faresti un ruzzolone — disse Chris. — Vado a prendere Robin. Serpentone, dov’è il cestino per il picnic?

Il bambino fece la faccia sorpresa, poi avvilita.

— Temo di essermene scordato.

— Allora, va’ a casa a prenderlo, e non fermarti per la strada.

— Certo. Arrivo subito. — Scomparve in una nuvola di polvere.

Chris raggiunse la scala. Per armonizzarsi con l’ambiente arboreo, aveva un tocco rustico: una serie di lettere costituite di bastoni legati insieme, che componevano la scritta TITANTOWN HOTEL. Salì al quarto piano e bussò alla porta numero tre. Robin disse che era aperto. Aprendo la porta, Chris vide che la ragazza era intenta a infilare mucchi di vestiti dentro una sacca da viaggio che non riusciva a contenerli.

— Non ho mai avuto l’istinto dell’accumulatrice — disse, asciugandosi la fronte con il dorso della mano. Quel giorno, in Iperione faceva caldo. — Pare che anche questo sia cambiato, in me. Adesso non so decidermi a buttare via niente. Perché non ti siedi? Aspetta, tolgo la roba da lì sopra… — Cominciò a spostare mucchietti di calzoni e di camicie, di produzione prevalentemente titanide, che erano appoggiati sul letto.

— Sono sorpreso di vederti partire — disse lui, sedendosi. — Pensavo che rimanessi ancora qui, ad aspettare notizie di Cirocco.

Robin buttò sul letto un oggetto sgraziato di metallo. La vecchia eredità di famiglia, la Colt 45.

— Me l’hanno consegnata poche ore fa — disse. — Non te l’hanno detto? Pensavo che ne parlasse tutta la città. I segni che abbiamo letto qualche giorno fa sono giusti: c’è stata una grande battaglia nei cieli, e la Maga è fuggita. Ma Gea è scontenta, e le sue spie sono dappertutto. Il Festival è permanentemente abolito; la razza è segnata. Oppure che il Festival si terrà ancora, ma in ritardo. Che Cirocco è ferita. Che è in coma. O che sta benissimo e che ha ferito Gea. Ecco le voci che ho sentito in giro, e questo senza neppure lasciare l’albergo.

Chris era sorpreso, ma non del fatto di non avere sentito le notizie. Era rimasto per tutto il giorno in casa con Valiha e Serpentone, poi si erano recati all’albergo quando avevano finito di preparare. Avevano parlato degli strani avvenimenti alcune decariv prima, quando il cavo della Casa del Vento si era messo a dondolare lentamente, e da Rea era giunto un ininterrotto rombo di tuono.

— Ma cosa sai, di sicuro?

Robin indicò la pistola. — Questo. La pistola è qui, e quindi Cirocco è riuscita a raggiungere la circonferenza. Spero che l’abbia usata bene. Oltre a questo, non so niente.

— Forse non osa mostrarsi qui.

— Una delle voci che circolano è appunto questa. Io speravo… oh, che venisse di persona a consegnarmi la pistola, in modo da poterla… ecco, quando se n’è andata, non l’ho ringraziata come volevo. Adesso non potrò più farlo. Volevo ringraziarla di avere mandato Trini ad aspettarmi.

— Non credo che saresti riuscita a trovare le parole adatte. Io non sono riuscito.

— Già.

— E l’ultima volta che l’ho vista, continuava a chiedermi scusa per avermi procurato tanti fastidi.

— Anche a me. Credo che si aspettasse di morire. Ma ora come potrei darle la colpa? Non poteva sapere che cosa sarebbe… successo… — Si portò la mano allo stomaco, e per un attimo fece una strana faccia.

— Attenzione — la ammonì Chris.

— Be’, con te dovrei poterne parlare, no?

— Hai sentito qualcosa allo stomaco?

— Non so bene. Più che altro, doveva essere la paura di sentire qualcosa. Non sarà molto facile, sopportare questa faccenda.

Chris sapeva benissimo cosa intendeva dire Robin, ma era certo che in pochi mesi si sarebbe abituata anche all’ultimo scherzo di Gea.

Un mistero era stato risolto, ma la natura della spiegazione impediva di comunicarla ad altri. Entrambi, quando avevano pensato alla cosa, avevano giudicato strano che, dopo tutte le analisi fatte su Gea e dopo tutte le esperienze dei pellegrini recatisi da lei per guarire, nessuno avesse mai citato il Grande Salto. Il motivo era semplice. Gea non permetteva a nessuno di parlarne. Non potevano parlare delle loro prove individuali e di quelle di altri; anzi, non potevano dire che i pellegrini che si recavano su Gea dovevano fare qualcosa in cambio delle sue cure.

Secondo Chris, quello era il segreto del secolo. Al pari delle altre migliaia di persone che ne erano al corrente, capiva perché nessuno ne avesse mai parlato. Tanto lui quanto Robin avevano voluto infatti controllare di persona l’efficacia del sistema, non appena erano stati informati della sua esistenza, al loro ritorno a Titantown.

E nessuno di loro aveva voglia di fare una seconda prova.

A Chris dispiaceva, ma sapeva che era vero. Gea gli aveva messo un blocco psicologico. Era flessibile, a modo suo: Chris poteva parlare liberamente con Robin e con gli altri che già ne erano al corrente. Ma se avesse cercato di raccontare a estranei la storia del Grande Salto, delle sue avventure su Gea, o delle prodezze di qualcun altro alla ricerca della cura miracolosa, avrebbe provato dei dolori talmente forti da impedirgli di parlare. I dolori cominciavano prendendo allo stomaco, e si allargavano poi in tutto il corpo, come serpenti arroventati che corressero sotto la pelle.

Non c’era nessuna scappatoia, così gli avevano detto. Anche in questo caso, non aveva voglia di fare la prova. Se avesse cercato di scrivere il resoconto delle proprie esperienze, il risultato sarebbe stato lo stesso. Se gli avessero rivolto delle domande che minacciavano di sconfinare nella zona proibita, non avrebbe potuto rispondere né sì, né no; «Niente da dire» era una risposta permessa, e «Fatevi i fatti vostri» era ancora meglio. Ma la cosa preferibile era fare scena muta.

Il sistema aveva una sua certa eleganza, ammesso di non esserne vittima. E, a quanto aveva visto Chris, era infallibile. Tutti coloro che giungevano su Gea dovevano usare il sistema degli ascensori a capsula, anche solo per passare dalla periferia ai moli di ormeggio posti sull’esterno. Mentre viaggiavano, erano anestetizzati, esaminati, preparati per la partenza. Nessuno che fosse a conoscenza del segreto poteva lasciare Gea senza ricevere il blocco.

Chris aveva deciso di attenersi alla massima circospezione con tutti, eccettuati Robin, Valiha e i titanidi. Alcuni degli umani di Gea sapevano quello che sapeva lui, ma era difficile capire quali fossero. Se non era più che certo di rivolgersi a un già informato, bastava che aprisse la bocca per parlare del suo viaggio per sentire una fitta simile a un forte mal di denti. Non occorreva di più.

Robin aveva già riempito una sacca, e ora cominciava con la seconda. Da quando erano ritornati, pareva che ogni titanide della città avesse voluto regalarle qualcosa. E anche loro, a casa di Valiha, avevano occupato tutto lo spazio disponibile per mettere in mostra i regali.

— Non capisco — disse Robin, avvolgendo nella carta un bellissimo servizio di posate. — Non che mi lamenti, a parte il fatto che non so dove mettere tutta questa roba, ma perché ci fanno questi regali? Noi non abbiamo fatto niente per loro.

— Valiha me lo ha spiegato, in parte — disse Chris. — Noi siamo famosi. Meno di Cirocco, ma un po’ famosi anche noi. Siamo partiti come pellegrini, e siamo ritornati guariti, e questo dimostra che Gea ci considera eroi. Essendo degli eroi, meritiamo i regali. Inoltre, anche se negheranno sempre di essere superstiziosi, i titanidi pensano che dobbiamo essere stati ben fortunati, se abbiamo superato tanti pericoli. E sperano che, comportandosi gentilmente con noi, un po’ della nostra fortuna possa passare anche a loro, in occasione del prossimo Festival. — Abbassò gli occhi. — Nel caso mio, c’è poi un altro motivo. Chiamalo la festa del benvenuto o il ricevimento di nozze. Io entro a far parte della comunità. Vogliono che mi senta a casa mia.

Robin lo guardò, aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse. Riprese a fare i bagagli.

— Secondo te, è un errore — disse Chris.

— Non ho detto niente di simile. E poi, anche se lo pensassi, non lo direi. Comunque, non lo penso. So l’importanza che ha Valiha per te. Almeno, mi pare di saperlo, anche se io non ho mai provato niente di simile per nessuna persona.

— Qui ti sbagli — disse Chris.

Robin sollevò le braccia, esasperata. — Ascolta. Adesso sono io che devo fare la diplomatica, mentre tu ripeti tutte le vecchie cose che ti passano per la mente. Accidenti! Volevo essere gentile, ma tanto vale dire che sono certa che non sai bene quello che fai. Per prima cosa, dovrai vivere sotto la paura di Gea per il resto della vita, e per seconda cosa, non sai ancora cosa proverai quando Valiha si porterà in casa qualche amichetto. Tu credi di essere superiore a questo, ma il primo a non esserne sicuro sei proprio tu.

— Faccio le mie scuse.

— Non ho ancora finito. — Ma poi alzò le spalle, si sedette accanto a lui e continuò, con più calma: — Non so, può darsi che faccia uno sbaglio anch’io. Trini… — Scosse la testa. — Qui dentro ho capito molte cose, e non tutte negative. Temo ormai di essere alquanto cambiata, rispetto a quella che ero, e di incontrare delle difficoltà di inserimento, quando sarò di nuovo a casa. A proposito di casa, anzi, a volte non ricordo neppure com’è fatta. Mi sembra di essere qui da un milione di anni. Ho visto che molte cose in cui credono le mie sorelle sono solo delle favole, ma non credo di essere in grado di dirglielo.

— Quali cose? — chiese Chris.

Lei lo guardò con la coda dell’occhio, e incurvò l’angolo della bocca.

— Cosa vuoi, l’ultimo rapporto della donna venuta da Marte? Va bene. La prima cosa è che il pene maschile non è lungo come il mio braccio, anche se agli uomini piacerebbe che lo fosse. Mia madre si sbagliava. Un altro suo errore è che gli uomini vogliano sempre violentare le donne, senza un minuto di tregua. Terzo, che gli uomini siano sempre malvagi.

«Ma negli ultimi tempi ho parlato molto con Trini. Per la prima volta, ho potuto parlare con una donna che conosce la società della Terra. E ho visto che c’erano delle esagerazioni. Il sistema di repressione e di sfruttamento non è grave come credevamo noi, ma c’è ancora, anche dopo un secolo dal giorno in cui le mie sorelle se ne sono andate. Mi sono chiesta se consigliare alla Congrega di fare qualche apertura in tal senso, ma poi ho deciso di non farlo. Se sulla Terra ci fosse l’uguaglianza perfetta, forse avrei potuto decidere diversamente, ma anche in tal caso non ne sarei proprio sicura. Perché cambiare? In noi non c’è niente di anormale. Poche mie sorelle potrebbero fidarsi di un uomo, e pochissime potrebbero amarlo; quindi, a cosa ci serve la Terra?»

— Non lo so neanch’io — disse Chris. Poi aggiunse: — Voglio dire, io non ho proprio niente contro la Congrega. Non c’era bisogno che tu difendessi ai miei occhi il vostro modo di vivere. Non ha bisogno di essere difeso agli occhi di nessuno. — Gli venne in mente una cosa. — A proposito, penso che nella comunità sarai più rispettata, adesso.

— Cosa intendi dire?

— Il tuo nuovo dito. Farsi ricrescere il dito deve essere prova di grande labra.

Lei si fissò la mano per un momento, poi fece una risatina perfida.

— Già, hai ragione.

Chris si recò alla finestra, e guardò Valiha, in paziente attesa ai piedi della scala.

— Quando parte la tua nave?

Robin guardò l’orologio, e anche Chris guardò il suo. Dal loro ritorno, non riuscivano a vivere senza guardare continuamente l’orologio.

— Ho ancora una decariv… dieci ore.

— Valiha ha preparato un picnic. Pensava a un posticino fresco, accanto al fiume. Venivo a invitarti, ma adesso può diventare la festa d’addio. Vieni?

Lei sorrise. — Mi piacerebbe, ma prima devo fare i bagagli.

Chris la aiutò, e presto finirono di riempire le tre sacche. Robìn ne prese due, e cercò di prendere anche la terza.

— Vuoi che ti dia una mano?

— No, posso farcela da… cosa dico? Io mi occupo di queste, e tu prendi l’altra. Lasciamole al portiere; le manderà lui alla nave.

Scesero la scala e consegnarono ì bagagli. Poi si recarono da Valiha e Serpentone. Si allontanarono dall’albergo di Titantown, senza fretta, e si trovarono sotto la Finestra di Iperione. Faceva caldo, ma da Oceano giungeva una leggera brezza che prometteva un abbassamento della temperatura. Nel cielo c’era un po’ di foschia, che aveva origine da un punto degli altopiani dove le forze aeree di Cirocco avevano trovato una creatura produttrice di carburante, madre e assistente delle bombe volanti. Continuava a bruciare da mezza chiloriv.

Ma l’aria era dolce, nonostante quel lontano fumo, era piena dell’odore dei raccolti dei titanidi, ormai prossimi alla mietitura, e per il momento era priva di minacce. La strada polverosa da loro seguita si snodava in mezzo a basse collinette. Da ogni lato si alzava la curva di Gea, come le braccia protettrici di una madre.

Stesero la tovaglia sulla riva dell’Ofione. Mentre mangiavano, Chris guardava il fiume, chiedendosi quante volte quelle acque fossero già passate da quel punto, e quante volte ancora vi sarebbero ritornate, prima che la lunga vita di Gea avesse termine. Quando i titanidi cominciarono a cantare, anche lui si unì senza riserve. Dopo un poco, anche Robin cantò con loro. Risero, bevvero, piansero un poco e cantarono, finché non giunse l’ora di andarsene.

Загрузка...