Capitolo tredicesimo

I giorni successivi parvero a Fiord incolori e deprimenti come l’acqua che rovesciava dal secchio ogni sera. Il cielo splendeva d’azzurro, ma lei non lo vedeva; i ginestroni, in piena fioritura, coprivano le scogliere d’una nuvola d’oro. I pescatori uscivano in mare regolarmente, ormai, e nessuno parlava più di incontri con sirene o vascelli fantasma. Per la prima volta, dopo settimane, Fiord poteva concedersi notti intere di sonno.

Ma ancora si svegliava nel buio, l’orecchio teso a individuare l’arrivo del drago, ancora cercava Kir sul ciglio della marea, e ancora il suo sguardo frugava le onde tra le guglie, aspettando inconsciamente un messaggio dagli abissi. Sentiva un gran vuoto dentro di sé: ogni magia era scomparsa, nulla le sarebbe mai più accaduto. Le era rimasta solo la perla nera, a ricordarle i misteri apparsi nella sua vita e poi svaniti, lasciandola a struggersi di nostalgia sulla riva del mare.

Il mistero aveva toccato anche il villaggio, e anche il villaggio pareva sentirne la mancanza: e tutti, come Fiord, desideravano che rientrasse nella loro vita.

«Non avevi detto che il mago era tornato?» chiese Enin un pomeriggio, mentre Fiord riponeva secchio e strofinacci.

«Certo.»

«E allora dov’è?»

Cupa in volto, Fiord scrollò le spalle: «Dal re, immagino.»

Marli le gettò un’occhiata strana: «E cosa ci fa, dal re? Siamo noi che l’abbiamo assunto, no?»

«L’aiuta con suo figlio.»

«Che cosa non va, con Kir?»

«Nulla» esitò un momento. «Nulla, adesso… Non si tratta di Kir» aggiunse. Del resto l’avrebbero saputo, prima o poi. «Kir è nel mare.»

«Annegato?» esclamarono insieme Enin e Carey, increduli.

«No.» Fiord si tolse il grembiule e l’appese al gancio. Poi continuò, quasi automaticamente: «Kir è tornato nel mare. Sua madre è una creatura marina. Il vero figlio del re, quello che ha avuto dalla sua vera moglie, è il drago. Ecco perché la donna del mare l’aveva messo in catene: era arrabbiata con il re. Ma l’amava, anche, e perciò gli ha dato Kir. E lui veniva a casa mia di notte, nella sua forma umana, per imparare le parole. Il drago, intendo. E adesso sta col re.» Gli altri la fissavano ad occhi sgranati, senza muoversi, senza parlare. Stancamente, Fiord si scostò i capelli dagli occhi. «E probabilmente c’è anche Lyo, con lui.» Tolse di tasca la perla nera. «Me l’ha data Kir, prima di andarsene.»

«Kir?» proruppe Carey, e subito tacque: era troppo stordita per dire altro.

Fiord rimase in silenzio, gli occhi abbassati sulla perla, la mente ricolma di ricordi: la luna, le mani di Kir nei suoi capelli, la promessa che le aveva fatto. Sollevò la testa, ma tutto si appannava dietro un velo di lacrime che inutilmente cercava di scacciare.

«Veniva da me, e parlavamo…» infilò in tasca la perla e prese il mantello.

In un bisbiglio, Carey chiese: «Com’è? Il nuovo principe?»

«Ha i capelli biondi e gli occhi azzurri. Come sua madre. Non sa ancora parlare molto bene, ma impara alla svelta.» Mise il mantello sul braccio e fece per uscire.

Impetuosamente Marli la bloccò sulla soglia: «Ragazza, un altro passo e ti scaravento una secchiata d’acqua. Ora tu vieni su con noi e ci racconti per filo e per segno tutta quanta la storia. Non credere di poterci lasciare a becco asciutto, dopo quel po’ po’ di guazzabuglio che hai tirato fuori: donne del mare, figli segreti, principi che piombano in casa tua di notte, regalandoti perle…»

«Non capisco perché debba essere successo proprio a lei!» frignò Carey. «Ma guardatela!»

Tutti le piantarono addosso gli occhi, gettandola nel più vivo imbarazzo. Nervosamente, Fiord cercò di difendersi: «Be’? Mi sono lavata i capelli giusto ieri!»

Marli emise un gemito sconsolato, mentre Enin scoppiava a ridere.


Il pomeriggio seguente, finito il lavoro, Fiord si sorprese a camminare verso la casa di sua madre. Le giornate cominciavano ad allungarsi, e l’aria era colma di profumi delicati, impalpabili. Il crepuscolo tingeva il mare di colori tenui, cangianti come seta. Il regno marino sembrava quasi affiorare in superficie, nascosto da un sottile velo d’ombre. Fiord trovò la madre appoggiata al cancelletto, gli occhi fissi sull’orizzonte. Alle sue spalle, l’orto si allineava in ordinati filari di germogli verdi; stranamente, non si notavano erbacce.

Vedendola arrivare lungo il viottolo, la madre sorrise e aprì il cancello; e per un po’ rimasero entrambe in silenzio a guardare il mare. Poi gli occhi di Fiord scivolarono sulle mani di sua madre: aveva le dita sporche di terriccio, e una striscia di fango sulla guancia.

«Hai lavorato nell’orto!»

«Be’, ho pensato di cavar via un po’ di cardi. Mi sembrava una bella giornata per un lavoretto del genere.» La sua voce appariva meno stanca del solito e le rughe sul viso meno profonde. Un pensiero improvviso s’insinuò nella mente di Fiord: che il mare avesse lasciato libera anche lei?

Seguirono insieme il rientro dei pescherecci, e quando anche l’ultimo ebbe varcato la bocca del porto, la madre sospirò: non di tristezza, parve a Fiord, ma di sollievo, perché tutti erano tornati sani e salvi.

«Mi manchi, bambina» disse la madre. «Di colpo la casa mi sembra terribilmente vuota. Pensi che ti piacerebbe tornare a vivere qui?»

Fiord alzò gli occhi a guardarla. Anche la capanna della vecchia, in quegli ultimi giorni, le dava la stessa impressione: troppo silenziosa, troppo vuota, vuota come il suo cuore.

«Tornar qui?» mormorò.

«Non ti ho mai chiesto dove abitavi, in tutto questo tempo.»

«Nella capanna della vecchia, sotto la scogliera. Mi ci sono stabilita dopo che lei è scomparsa.»

«L’avevo intuito» annuì la madre. «Certe volte mi capitava di pensarci, e immaginavo appunto che tu fossi là. Chissà dov’è andata, la vecchia!»

«Forse…» bisbigliò Fiord «… forse nel mare. Forse qualcuno… qualche creatura degli abissi, le ha lasciato una perla sulla porta di casa e le ha fatto sentire il suo canto. E lei ha seguito quella voce.»

«Non c’è nessun paese in fondo al mare, l’hai detto tu.»

«Be’…» sospirò Fiord, la mente immersa nei ricordi. «Non è che io sappia proprio tutto, non ti pare?»

«Credi che ti piacerebbe tornare qui?»

Fiord si voltò a guardare la casa. L’uscio era aperto, e un’ultima chiazza di luce si allungava attraverso la soglia. Sarebbe stato bello avere qualcuno con cui parlare, pensò, adesso che sua madre parlava di nuovo.

«Forse» disse. «Per un po’.»

«Ti servono dei vestiti nuovi, bambina.»

«Lo so. Non ci penso mai, a queste cose.»

«Stai ancora crescendo.»

«Lo so.» Staccò una scheggia dal cancello e prese a rigirarsela tra le dita, distrattamente, con gli occhi che vagavano sul mare.

S’era dissolta anche l’ultima luce, e lungo l’orizzonte si stendeva una sottile fascia azzurra, l’ombra della notte.

Sospirò di nuovo. Cosa le importava dove vivere? «D’accordo» decise. «Del resto cominciavo a stufarmi di cucinare.» Si sentì bruciare la gola, improvvisamente. «Che importa?» bisbigliò, inghiottendo quel nodo di fuoco.

In silenzio, sua madre la strinse fra le braccia. Il mare cominciava a imbrunire, l’ombra della notte si dilatava in un blu profondo, catturando le tonalità più cupe della madreperla…

Qualcuno fischiò nel buio. Fiord trasalì; le era sembrato che il fischio balzasse dalla strada al cancello, in un lampo.

«Lyo!»

«Santo cielo!» esclamò la madre, allarmata.

Ritto sul mucchio di erbacce, Lyo le dedicava un compitissimo inchino.

«Questo è Lyo» spiegò Fiord. «Il mago che ha trasformato in fiordalisi la catena d’oro.»

«Quale catena d’oro? Quali fiordalisi?» la madre era stupefatta.

«Dove hai preso quel vestito?» chiese Fiord. Lyo non indossava più la sua logora giubba di pelle macchiata di ginestroni, né il mantello di lana, ma una lunga tunica da mago, ricamata d’oro. Lo faceva apparire più alto, più imponente; anche i capelli sembravano più lisci e composti.

«È stato il re a darmela. Ha detto che cominciavo a odorare un po’ troppo di salmastro.»

«Oh. Ti dà un’aria molto… molto…»

Il giovane annuì, imperturbabile: «Grazie. Per il momento la tengo. Anche se mi sarà d’impaccio, prevedo, quando dovrò remare.»

«Hai intenzione di farlo?»

«Cosa?»

«Tornare in mare a riprendere l’oro. í pescatori continuano ad assillarmi.»

«Oh» commentò lui, ridacchiando.

«Allora, lo farai?»

«Non esattamente.»

Fiord lo scrutò perplessa. I suoi occhi continuavano a mutare misteriosamente colore, il verde tenero dei germogli, il bruno della terra… L’attraevano in modo irresistibile, ma riuscì a distogliere lo sguardo. «Come sta il drago?» gli chiese, visto che non intendeva parlarle dell’oro.

«Aidon» disse Lyo. «Il re ha deciso di chiamarlo Aidon.»

«Ha imparato a parlare senza fatica?»

«Migliora di giorno in giorno. Adesso gli sto insegnando a leggere. Ieri abbiamo fatto lezione di aritmetica, addizionare e sottrarre fiordalisi. Ed è appunto per questo che io…»

«Un drago parlante di nome Aidon!» l’interruppe la madre. «Ma che cosa dite? Un drago che legge?»

Lyo inarcò le sopracciglia: «Non gliel’hai detto?»

«No.»

«Dirmi cosa? Quale drago? Quale catena d’oro?» Era più che mai allibita. Scrutò la figlia; poi scrutò il mago dagli strani occhi cangianti. Vide che i due si scambiavano uno sguardo incerto. «Fiord, che cosa hai combinato mentre io non facevo attenzione?»

Fiord sospirò profondamente: «Ecco… è un po’ difficile da spiegare.»

«Allora sarà il caso che entriate in casa tutti e due, e mentre preparo la cena mi spiegherete l’intera faccenda» disse la madre, in tono perentorio: era tornata quella di una volta, pensò Fiord, e le salì nella gola un improvviso gorgoglio di risatine.

Mentre la madre affettava carote e cipolle, Lyo si sedette al focolare e cominciò il lungo racconto. Fiord continuava a interromperlo, ad aggiungere dettagli, finché Lyo si arrese e lasciò che fosse lei a proseguire. La madre ascoltava a bocca aperta, il coltello in una mano, una cipolla nell’altra. Il suo volto era acceso, mobilissimo. I vari episodi della storia la fecero ridere, o piangere, e quando Fiord descrisse l’ultimo incontro fra il re e la donna del mare, sotto la luna, una gran pace le si adagiò sul volto, come l’acqua che torna tranquilla dopo una burrasca. Aveva concluso il suo viaggio nel mare, intuì Fiord: era tornata al suo mondo quotidiano, quel mondo familiare in cui cantava vecchie ballate marinaresche e conosceva il nome di tutte le conchiglie sulla spiaggia.

Finita la storia, rimase assorta in un lungo, lungo silenzio. Fiord capì cosa stava vedendo: il vivido, sconfinato, fugace sentiero del tramonto, che scintillava tra le guglie.

Poi la madre abbassò gli occhi sulla cipolla che teneva in mano e finalmente si scosse: «Ma guarda» mormorò. «Ma guarda.»

«In parte è per questo che sono venuto qui» disse Lyo. «Il drago sente la mancanza di Fiord.»

«Posso indovinare il motivo. È la prima ragazza che ha visto in vita sua.»

«Sì» ammise Lyo, con una smorfia bizzarra. «Sì. Perciò il re desidera che Fiord prenda in esame l’idea di venire alla residenza estiva, per far lezione a suo figlio.»

«Dopo il lavoro, vuoi dire?» domandò Fiord, sbalordita.

«Puoi anche dimenticarteli, Fiord, secchi e spazzoloni. Il re ti pagherà profumatamente. E il dra… cioè Aidon, sarà felicissimo di rivederti. È contento di essere umano, ma tu gli manchi molto. Ha dovuto rinunciare a suo fratello; non vorrebbe perdere anche te. Allora, accetti?»

«Insegnare al drago nella casa dei re? Oh, sì!» annuì vigorosamente, pensando all’azzurro sorriso del principe, al suo bisogno di lei. «Ma il re vuole che rimanga anche tu, vero? Non sono poi molto istruita, dopo tutto: arrivo a malapena alle addizioni e sottrazioni…»

«Oh, mi tratterrò ancora un po’ di tempo… Per insegnarti un pizzico di magia» aggiunse, con aria sorniona. «Se sei d’accordo, beninteso. Giusto perché tu non ti cacci nei guai…» fece una pausa, fissando così intensamente un chiodo dell’impiantito che pareva dovesse venir fuori da solo. Poi si scosse, si arruffò i capelli e incrociò lo sguardo di Fiord: «Lo farai?» chiese.

«Che cosa?»

«Intendi innamorarti di altri principi?»

Senza distogliere gli occhi dai suoi, Fiord meditò sull’idea. Poi, con un profondo sospiro, la mano le scivolò nella tasca, a carezzare la perla che racchiudeva tutti i suoi ricordi: «Non credo. Un solo principe basta e avanza, in una vita.»

«Bene» disse lui con sollievo. Fece apparire dal nulla un bicchiere di birra, e un mazzo di narcisi, e una forma di pane fresco che sembrava appena sfornata dalle cucine dell’oste.

«Lyo!» la madre scoppiò a ridere, il viso sepolto tra i fiori.

«Non si preoccupi, sarà pagato domani» rovesciò nel grembo di Fiord un cestello di fragole. «Arriverà una tale messe di fiordalisi, con la marea di domattina, che il villaggio non potrà mai dimenticarsela.»

Sbigottita, Fiord vide cascatelle di fiordalisi rovesciarsi dal mare e riempire tutta la spiaggia, trasformandosi in oro.

«Renderà felice Carey» bisbigliò.

«Forse» disse Lyo. «Ma forse neppure quello saprà renderla felice. È una strana cosa, la felicità. Alcuni la ricavano dall’oro. O dalle perle nere. E altri, di gran lunga più fortunati, trovano la loro felicità nei fiordalisi.» Si chinò su Fiord, come spinto da un impulso misterioso, e la baciò teneramente. «È da un po’ di tempo che desideravo farlo» disse. «Ma avevi sempre tra i piedi questo o quell’altro figlio di re.»

Come lui, anche Fiord era avvampata fino alla radice dei capelli: «Be’, adesso no.»

«Adesso no» ripeté Lyo. La guardò con un sorriso incerto. Poi, ancora incerto, si sedette accanto alla madre per aiutarla a pulire i gamberetti. Gli occhi di Fiord scivolarono verso la finestra. Ma la magra, bruna faccia del mago, sempre sospesa tra riso e magia, continuava ad insinuarsi tra lei e il mare della notte. Allora si volse a guardar lui, dopo un poco, e cominciò a sorridere.


FINE
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