Capitolo dodicesimo

Cinque notti dopo Fiord sedeva alla finestra, le braccia piegate sul davanzale, ad aspettare la luna, ad aspettare Kir. Piano piano abbandonò la testa sulle braccia e cedette al sonno; si svegliò bruscamente, ore dopo, inondata di luce. Una gran luna piena veleggiava alta sopra le guglie, e onde pigre spumeggiavano in cascatelle d’argento prima di rovesciarsi sulla sabbia.

Scorse il cavaliere bruno in fondo alla spiaggia, e una lama di fuoco le bruciò la gola. “Forse…” una voce sottile le bisbigliava nella mente “… forse l’incantesimo di Lyo non funzionerà, forse Kir sarà costretto a rimanere… Ma anche se fosse rimasto, sarebbe sempre tornato sul ciglio della marea, fra le conchiglie vuote, a cercare il suo cuore perduto negli abissi.”

Un secondo cavaliere lo raggiunse: il re. Entrambi fissavano l’abbacinante sentiero di luce che s’insinuava tra le guglie.

Fiord apri la porta, trovando Lyo fermo davanti alla capanna. Anche lui fissava il mare. Aveva le mani piene di piccole ghirlande.

«Cosa ne pensi?» le chiese. «Una sola? Tutte?»

«Una di che?»

«Le ghirlande.»

«Non avrai mica intenzione di gettare un altro maleficio sul mare?» ribatté lei, perplessa.

Lyo sorrise.

«Spero di no.»

Fiord tornò a guardare Kir, lasciandosi sfuggire un breve sospiro silenzioso. Lyo le diede una pacca gentile sulla spalla: «Su, vieni» disse, e s’incamminò verso i due cavalieri.

Il tratto di spiaggia fra la capanna e il mare, tra lei e Kir, sembrava essersi dilatato, e la sabbia, cosparsa di alghe e detriti, le ostacolava il passo; quando raggiunse l’orlo della risacca le parve di aver compiuto un lungo, lungo viaggio.

Kir distolse lo sguardo dal mare e scivolò da cavallo, venendole incontro. La tenne stretta fra le braccia, in silenzio; e Fiord s’abbandonò al suo abbraccio, mentre le lacrime le rigavano il viso. Poi Kir si staccò da lei, le prese una mano e vi posò un piccolo oggetto.

«Cos’è?» domandò Fiord. La sua voce era roca, spezzata, come se avesse pianto a lungo.

«È la perla nera» mormorò lui. «La perla che non oserò mai portarti quando sarò nel mare.» Le raccolse i capelli tra le mani, e la baciò sulle guance, sulla bocca. Fiord sollevò il viso, a incontrare i suoi occhi scintillanti di luna.

«Sii felice» bisbigliò. Percepiva acutamente il fruscio delle onde, che rotolavano verso di lei, si ritraevano, di nuovo s’avvicinavano, ammiccanti. E di nuovo le salì nella gola quell’affilata lama di sofferenza. «Quando sarò vecchia…» aggiunse «… più vecchia della donna che mi ha insegnato i malefici, torna da me.»

«Lo farò.»

«Promettimelo. Promettimi che quando sarò vecchia mi porterai perle nere e canterai per me.»

Con dita tremanti gli sfiorò il viso, gli occhi: ma già i pensieri di Kir s’allontanavano da lei, si ritraevano insieme alla marea.

Lasciò cadere le mani: vuote, a parte la perla nera. Kir le diede un ultimo bacio, e Fiord fu sola.

Arretrò d’un passo, barcollando, e Lyo fu pronto a sostenerla.

Lentamente il re li raggiunse e smontò da cavallo: «Non so se verrà» disse a Lyo.

«Come faceva a chiamarla, prima?»

«Non è che la chiamassi… o almeno, non coscientemente. Ci chiamavamo l’un l’altra, penso. Camminavo lungo la riva, desiderandola, ed ecco che la vedevo scivolare tra le onde, con quei suoi lunghi, pallidi capelli che brillavano sotto la luna.» Guardò il figlio, immobile nella risacca. «Se ora non può più sentire me, forse potrà sentire lui. Forse il suo desiderio potrà raggiungerla.»

«Sì» disse Lyo, gentilmente. Una delle ghirlande parve incendiarsi: un fuoco bianco gli divampava fra le dita.

Il re ne fu sorpreso: «Cosa intendi farne?»

«Non lo so ancora con certezza… Penserò a qualcosa.»

«Sei giovane, per essere così esperto di arti magiche.»

«Sono attento alle cose. Tutto qui» disse lui. Fiord e il re lo fissavano, in un silenzio trepidante.

“Deve accadere qualcosa” pensò Fiord, e di nuovo volse lo sguardo al mare, incantata dal sentiero di luna che scintillava sull’acqua e s’allungava, s’allungava, per andare… dove? Sì, qualcosa sarebbe accaduto, ne era certa.

Lyo fissava l’intreccio di luce che gli tremava tra le mani. «Non è fuoco» bisbigliò. «Qui c’è luce. Qui ci sono lune e chiari di luna.» Improvvisamente sollevò una ghirlanda e la gettò in aria: volò verso le guglie, trasformandosi in una enorme ruota sfolgorante che si specchiava sull’acqua. Poi cadde in mare, ma non affondò: galleggiava, ancora irradiando il suo riflesso sulle onde. E poi l’angolo di luce mutò; qualcuno l’aveva afferrata, pensò Fiord. Il riflesso non seguiva più il movimento del mare: s’infilava tra le guglie, sollevandosi in una gigantesca ragnatela sospesa tra l’uno e l’altro scoglio, appena sopra la superficie. E dalla spiaggia non si vide più il sentiero di luce.

Lyo fece un borbottio di sorpresa. E il re, sbigottito, gli domandò: «È opera tua?»

«No.»

Kir si stava muovendo; incurante degli spruzzi che gli turbinavano sui piedi e poi sulle ginocchia, avanzava verso la ragnatela. Già sembrava averli lasciati, pensò Fiord, lei, suo padre, tutti. Se il mare non l’avesse accolto, sarebbe comunque cambiato; anche in terraferma, la marea avrebbe continuato a ruggirgli nella mente, col suo incessante invito, più forte di ogni voce umana. Lo seguì con lo sguardo, e un brivido improvviso le gelò il sangue: qualcosa si agitava attraverso la fiammeggiante ragnatela sospesa ira le guglie, qualcosa scivolava oltre i flutti…

Il re mandò un grido soffocato. Le onde continuavano a rotolare, ad avvicinarsi in lunghe volute d’argento, a infrangersi fremendo sulla spiaggia, a ritirarsi. L’acqua spumeggiava intorno a Kir, torcendogli il mantello; Kir se lo tolse e lo gettò sul mare come un’ombra. Continuò ad avanzare, in acque sempre più profonde. Nella risacca appariva e spariva una testa di donna: un baluginare di capelli pallidi, lisci; un luccichio di perle, di squame… Lyo gettò un’altra ghirlanda. Cadde sulla sabbia, formando un vibrante labirinto di luce, che la marea non poté cancellare. E verso il labirinto avanzò la misteriosa figura: affiorarono le spalle, e la lunga chioma lucente, fradicia d’acqua. L’abito, che prima fluttuava vaporoso nelle correnti, le ricadeva ora sul corpo, appesantito. E la donna emerse dalla risacca, lentamente.

Il re le andò incontro, fermandosi sull’orlo della grande ragnatela di fuoco; un’onda vi rotolò sopra, e, quando si ritrasse, la donna era ferma nel centro luminoso del labirinto.

Dal mare, Kir si volse a guardarla. Lyo gli gettò un’altra ghirlanda: cadde davanti a lui, dilatandosi, proprio mentre si accingeva a tornare sulla spiaggia per raggiungere sua madre. Ma invece di aiutarlo parve chiuderlo in una trappola, e imprigionarlo, impotente e sbigottito, nel cuore di quel nuovo labirinto. Lyo mormorò qualcosa. In preda all’orrore, Fiord gii afferrò un braccio: «Lyo!»

Il mago borbottò qualcos’altro, esasperato; poi parve placarsi. «Sshh…» bisbigliò, un dito sulle labbra. «Aspettiamo. Il mare sta creando e sciogliendo i propri incantesimi.»

La donna del mare aveva i capelli lunghi fino ai piedi, e le spalle curve sotto il peso delle perle. Mentre studiava il re, i suoi grandi occhi blu-notte parevano inespressivi. Poi mormorò qualcosa, e Fiord avvertì il respiro di sollievo di Lyo.

«Cos’ha detto?»

«Ha detto «Sei cambiato».»

«Succede» disse il re «agli esseri umani.»

La donna parlò ancora. Fiord guardò Lyo, e con sorpresa vide che si chinava a raccogliere una conchiglia.

«Prendi.»

«Cosa dovrei…»

Pazientemente, Lyo si toccò un orecchio: «Ascolta.»

Fiord si accostò all’orecchio la conchiglia, e udì la voce del mare.

«Allora è da molto tempo che sono arrabbiata» disse la madre di Kir. Passando nelle circonvoluzioni interne del guscio, la sua voce sembrava lontana, come in un sogno.

«Sì.»

«Non mi sono resa conto di quanto tempo fosse trascorso finché non ho sentito il grido di mio figlio, il suo desiderio di tornare nel mare… È molto, secondo il tempo degli uomini?»

«Sì» bisbigliò il re. «Molti anni.»

«Allora, molti anni fa, per molte notti, io ti ho aspettato nella marea, ma tu non sei venuto né mi hai detto perché.»

«Per me eri come un sogno. Dovevo lasciarti, dovevo tornare al mio mondo. Lo so, avrei dovuto dirtelo.»

«Sì.»

«Avrei dovuto dirti che allontanarmi da te era come rinunciare al vento e alla luce. Ma dovevo farlo. Puoi perdonarmi?»

La donna sollevò un poco le mani e le apri, come se lasciasse cadere degli oggetti invisibili: «Ho rapito il tuo bambino nato sulla terra perché volevo che al posto suo tu avessi il mio, il nostro bambino. Perché tu amassi lui, visto che non potevi più amare me. E perché tu potessi ricordarti sempre di me, ogni volta che lo guardavi.»

«Così è stato» sussurrò il re.

«Ma ho preso l’altro tuo figlio. Ero arrabbiata con te, e ho fatto della mia rabbia una catena, e ho trasformato il tuo biondo bambino in qualcosa che tu non avresti mai visto, mai riconosciuto. Puoi perdonarmi, per questo?»

«Come potrei non perdonarti, quando io stesso ti ho aiutata a forgiare quella catena? Anello dopo anello, la mia colpa, la tua colpa…»

«L’ho tenuto così a lungo in quella forma che quasi mi ero dimenticata chi fosse. Solo la catena mi ricordava la mia rabbia. Ma un giorno la catena si è allungata oltre i confini della mia magia, affiorando sulla superficie del mare. Non potevo più nascondere il tuo figlio-drago. Nuotava fra i pescatori, finché i loro occhi ingordi furono attratti dall’oro. E poi svanì anche l’oro, scomparve la catena.»

«E così hai consentito che il drago venisse in terraferma a riprendere la sua forma d’uomo?»

«No. Non ho fatto nulla. La magia mi era ormai sfuggita dalle mani: era diventata confusa, inestricabile. E proprio allora avevo cominciato a sentire mio figlio che mi chiamava, mi chiamava, e io lo cercavo, ma non riuscivo a raggiungerlo. Non potevo far altro che disturbare i pescatori con piccoli incantesimi, sperando che si rivolgessero a te per avere un aiuto, e che tu finalmente mi trovassi.» Sospirò una piccola onda lontana. «E finalmente sei venuto.»

«Per ridarti tuo figlio. E per prendere il mio dal mare, e riportarlo nel mondo al quale appartiene.»

«Spero di non averlo trattenuto troppo a lungo, che per lui non sia troppo tardi per entrare nel vostro mondo.»

«Non credo. Ma…» la sua voce lenta, sommessa, s’insinuava nell’alterno fruscio delle onde «… ho molto amato il tuo irrequieto figliolo: e ora, prendendolo, tu mi prendi un altro pezzo di cuore. Se c’è un prezzo da pagare, per questo passaggio, non ho altro da darti.»

«Non c’è nessun prezzo» la voce della donna parve incrinarsi. «Il suo desiderio è il suo sentiero. Ma tu devi lasciarlo libero…»

«Lo mando a te liberamente…» s’interruppe, accarezzando con lo sguardo il suo volto lunare, il pallido luccichio di seta delle perle. «Ero così giovane, pochi anni più di Kir, la prima volta che ti ho vista…»

«Ricordo.»

«Sembra strano, adesso, guardando il tuo viso immutato, che io non sia più quel giovane che camminava lungo il mare, in una notte d’estate, quando l’intero firmamento pareva caduto nell’acqua, e tu mi sei apparsa tra la spuma, scuotendo dai capelli grappoli di stelle…»

La donna sorrise: un delicato, guardingo sorriso in cui, questa volta, c’era più calore. «Sì, ricordo. Il tuo cuore cantava, quella notte, cantava al mare. E quel canto è arrivato fino a me, nella mia torre di corallo, e sono salita a raggiungerlo. Gli uomini dicono che il mare leva il suo canto verso di loro per incantarli, ma certe volte è il canto umano che imprigiona il mare. Chi lo sa dove finisce la terra e comincia il mare?»

«La terra inizia dove inizia il tempo» disse il re. «Ed è tempo che Kir mi lasci. Riuscirà a penetrare nei tuo mondo, o per lui è troppo tardi?»

La donna volse la testa, e per la prima volta posò gli occhi su suo figlio. Kir vacillava un poco, come se lo sguardo della madre gli facesse perdere l’equilibrio; o forse era l’urto della risacca? Ancora non riusciva a liberarsi dal magico labirinto. E il sorriso s’era spento sulle labbra della donna, quando tornò a guardare il re.

«A malapena scorgo la sua forma umana, tanto è già viva in lui la sostanza dei mare. Il suo corpo è un’ombra, e le sue ossa fluide come l’acqua.»

«È troppo tardi?»

«No, non è tardi. Ma è urgente per lui lasciare il vostro tempo. Ora capisco perché il suo grido mi arrivava come un canto di marea.» Parve afflosciarsi, stremata dalla gravità terrestre; anche i capelli sembravano troppo pesanti, e l’avvolgevano come una cappa appena sopportabile. «Devo andarmene — sussurrò.»

«Portalo via con te.»

«Sì. Ma tu devi lasciarlo libero» indugiò ancora, mentre le onde frusciavano ai suoi piedi, coprendo e scoprendo il labirinto.

Per un attimo, parve a Fiord che il re si avvicinasse, o che si avvicinasse la donna, o forse era soltanto il turbinio della marea a creare l’impressione che si accostassero l’uno all’altra: ma per un attimo i loro volti furono pieni di pace. La donna bisbigliò qualcosa, ma la sua voce era troppo bassa per varcare la soglia del labirinto. Poi si voltò, entrò in mare e si dissolse nella spuma.

Kir lanciò un tale grido di strazio e disperazione che Fiord si sentì fermare il cuore. Lottava furiosamente per uscire dalla ragnatela, ma ancora ne sembrava intrappolato: immerso nell’acqua fino alla cintola, le onde io investivano e lo sommergevano tutto, senza trasformarlo: era ancora umano.

«Fa’ qualcosa, Lyo!» gemette Fiord, il viso rigato di lacrime.

«Fa’ qualcosa, mago» ordinò il re con voce aspra d’angoscia. «Ha detto che dovevamo liberarlo. Lascialo libero, dunque.»

Lyo abbassò gli occhi sull’ultima ghirlanda che gli rimaneva in mano: «Sono così imprevedibili…» mormorò, sconcertato. «Dimmi, Fiord, mentre le facevi hai per caso pronunciato qualche formula magica? Hai detto qualcosa, mentre le gettavi in acqua?»

«N… non lo so. Io…» balbettò lei, sconvolta. «Io credo… sì, ho gridato. Ho gridato contro il mare.»

«E che cosa hai gridato?»

«Non lo so. Qualcosa… ero così arrabbiata!» s’interruppe. Il mondo tacque improvvisamente intorno a lei, tanto era concentrata a pensare… Una bassa marea, onde pigre che s’acquattavano dietro le guglie… un mare perfido che bisognava maledire… Come la madre di Kir, anche lei aveva dato una forma alla sua rabbia… Sentì freddo, un gelo che sapeva di notte, che sapeva di magia. «L’ho fatto!» bisbigliò. «Oh, Lyo, ci sono riuscita!»

«A far che cosa?» domandarono insieme Lyo e il re.

«A maledire il mare!» Inspirò a fondo e poi gridò a pieni polmoni: gridò così forte che pareva dovessero aprirsi tutti gli usci e le finestre del villaggio, e la gente affacciarsi insonnolita: «Sciolgo la mia maledizione, Mare! Ti libero dai miei malefici! Riprendo tutto ciò che ti ho gettato mentre ero preda dell’odio!» cercò disperatamente di ricordarsi il resto del sortilegio. «Che i tuoi incantesimi possano di nuovo intrecciarsi, e la tua magia torni limpida, non più confusa! Spalanca la porta fra la terra e il mare, e prendi con te quest’ultima cosa che amo, che appartiene alla terra e al mare, a noi e a te!»

Volò nell’aria l’ultima ghirlanda. Cadde sulla grande ragnatela sospesa tra le guglie, i cancelli del mare: i fili cedettero, si strapparono, rivelando una manciata di stelle, una porzione di luna, sbrindellati frammenti del sentiero di luce. Un’onda si rovesciò su Kir, sommergendolo, si arricciò sopra di lui, si ritrasse. Quando lo rividero, stava nuotando, libero, in direzione delle guglie.

Non si voltò a guardarli. S’immerse, e quando riaffiorò in superficie aveva movimenti di foca, agili, eleganti, aggraziati. Si tuffò di nuovo e rimase sott’acqua così a lungo che anche Fiord e gli altri, sulla spiaggia, trattennero il respiro. Caddero altre maglie della ragnatela, disfacendosi come una vecchia rete marcia: nodo dopo nodo, filo dopo filo, si sgretolavano nel mare, e la bianca luce di fuoco era sempre più tenue.

Poi Kir riapparve, pericolosamente vicino alle guglie. Poteva essere scaraventato contro le rocce, sballottato dai flutti impietosi: e invece scivolava leggero di onda in onda, lontra, o pesce, non più umano. Guardò i residui della ragnatela sulla sua testa, sospesi tra lui e l’ampio oceano nero. Cadde un altro filo, bianco, palpitante: Kir si protese ad afferrarlo e s’immerse un’ultima volta, trascinandolo con sé negli abissi. I lembi della ragnatela si staccarono dalle guglie, in un selvaggio dipanarsi, e la ghirlanda cadde con un’ultima vampata nell’ardente sentiero della luna.

A lungo frugarono il mare — Fiord, Lyo, il re — cercando Kir, ma non lo rividero più. Di tutte quelle luci di cristallo rimaneva solo la luna, che ancora tesseva la propria ragnatela fra le guglie.

Erano immersi nella risacca, come se avessero tentato di seguire Kir in quel suo ultimo viaggio. Fiord si trovò stretta fra le braccia di Lyo; era intorpidita dal freddo, troppo intorpidita per provare dolore, e le parve che il freddo non l’avrebbe mai più lasciata. Lentamente uscirono dall’acqua. Il re chiuse fra le mani il viso di Fiord, e le baciò la fronte.

«Grazie» disse. Poi guardò Lyo: «Grazie anche a te.»

Non c’era molta felicità nella sua voce: solo una vuota stanchezza, che Fiord comprendeva acutamente. Kir era partito. Kir era… Un movimento improvviso nella risacca la fece sussultare.

Era il drago, che affiorava tra le onde.

«Sta camminando!» bisbigliò Fiord. «Sta uscendo dal mare!»

Il principe camminava adagio nel suo corpo d’uomo, emergendo dall’acqua passo dopo passo, paziente come quando trascinava fuori il suo corpo di drago; si fermò una volta a raccogliere qualcosa — pareva un frammento di spuma, o una scheggia di luce. Finalmente li raggiunse, scosso dai brividi, le sopracciglia aggrottate.

«Kir è andato via» disse. Il re si tolse il mantello e lo adagiò sulle spalle del principe.

«Sì.»

«L’ho guardato andar via. E ora vado anch’io.»

«No» disse Fiord. «Tu hai lasciato il mare per sempre. Ora sei qui.»

«Sono qui.» Guardò il padre, con espressione incerta, complessa. «I tuoi occhi vogliono vedere Kir.»

«Kir desiderava partire. Era necessario, per lui.»

«Tu sei il re che aveva due figli.»

«Sì.»

Il drago scrollò lievemente le spalle, come se per un’ultima volta avvertisse il peso della catena: «Il mare non mi voleva. Se tu non mi vuoi, forse Fiord mi vuole.»

Fiord annuì, mentre Lyo scuoteva la testa. Il re sorrise, sfiorando la guancia del drago in una breve carezza: «Quanto assomigli a tua madre! I suoi occhi gentili, il suo sorriso… Potrà essermi utile, quando mi toccherà spiegare dov’è andato Kir, e perché ci sei tu al posto suo.»

«E perché non possiedo nessun nome al mondo» aggiunse il drago. Poi tacque, fissando il mare: il freddo, semplice mondo che non avrebbe più rivisto.

«Ti mancherà, il mare?» chiese bruscamente il re. «Anche tu, come Kir, indugerai sull’orlo della risacca, sognando di mutare la tua forma, di tornare negli abissi?»

Il drago lo fissò. Un’espressione compiutamente umana gli era affiorata sul volto: una forza, un lampo di dolore, una solitudine che nessuno avrebbe mai condiviso: «Ho lasciato il mare» disse. Allungò la mano e mostrò la ghirlanda che aveva raccolto nella spuma: uno sbrindellato groviglio di fili neri, dove non ardeva più quella luce misteriosa. Ma c’era ancora, al suo interno, la minuscola luna di cristallo, da cui si sprigionava un fioco barlume.

Lyo prese la ghirlanda dalle mani del drago, e toccò la piccola luna: e quella si ravvivò, per un attimo, divenne luminosa, incandescente. Allora Lyo si rivolse a Fiord: «Ti rendi conto di cosa hai fatto? Sei riuscita a sciogliere, confondere, o comunque ingarbugliare la potente magia degli abissi…»

Fiord aveva il volto in fiamme: «Mi dispiace» sussurrò. «Non avrei mai creduto che funzionasse.»

«Ti dispiace? Quando hai gettato la tua maledizione e hai confuso la magia del mare, hai fatto sì che la catena si svincolasse dai suoi confini e spezzasse la superficie fra la terra e il mare, e il drago ha potuto finalmente dare un’occhiata al mondo.»

«Ma ho intrappolato Kir sulla terra; non poteva più raggiungere il mare.»

«Fiord…» insisté Lyo, pazientemente. «Non mi stai ascoltando.»

«Certo che ti ascolto.»

«Ma non fai attenzione.»

«Lyo, cosa intendi…» s’interruppe, guardandolo di sottecchi. «Non faccio attenzione» ripeté, in un bisbiglio.

«Brulichi di magia come un alveare, Fiordaliso.»

«Devo essere… Sarà il caso che controlli bene ciò che maledico.»

«È il minimo che tu possa fare.» Lyo abbozzò un sorriso. Poi i suoi occhi si strinsero un poco, scintillando nel chiaro di luna; Fiord ne fu quasi ipnotizzata. «E ora rispondimi. La notte che il drago è uscito dal mare per la prima volta, mentre tu lo guardavi, hai forse detto qualcosa per provocare la sua metamorfosi?»

«Ma no!» esclamò lei, sorpresa.

«Pensaci, Fiord.»

«Be’, stavo solo guardando il cielo e le onde, e pensavo a Kir, e desideravo…»

«Desideravi cosa?»

«Desideravo che fosse…» spalancò gli occhi su Lyo, senza vederlo: vedeva solo il mare nero, punteggiato di stelle. «L’ho detto! Ho detto: «Vorrei che tu fossi un po’ più umano». Ma intendevo Kir, non il drago!»

«Ecco spiegato» mormorò il re. «Il drago passava di lì, in quel momento, ed è uscito dal mare, e ogni notte diventava più umano…» Stava sorridendo, un sorriso simile a quello di Kir, un sorriso che non era mai completamente libero. «Possiedi strani e portentosi doni, Fiord. Con la tua magia hai aiutato entrambi i miei figli. E ancor di più li hai aiutati con la tua amicizia.» Sospirò. «Vorrei solo che tu fossi stata così potente da trattenere Kir qui con me: ma forse non esiste magia sufficiente, per questo, né sulla terra né in fondo al mare. Ma almeno mi hai ridato questo figlio.» Mise una mano sulla spalla del drago, e il drago sussultò.

«Mi stai toccando» disse, ansiosamente.

Con un sorriso, il re se lo tirò fra le braccia. «Sì, ti sto toccando» disse, e la sua voce era roca, commossa. «Ti sto abbracciando. Gli uomini lo fanno, sai. Se sono folli abbastanza, o saggi abbastanza. E ora vieni a casa con me, prima che tu cambi idea e torni a inseguire le onde.» Si rivolse a Lyo: «Mi servirà il tuo aiuto, per lui. Puoi rimanere?»

Lyo annuì, le labbra che s’incurvavano nel suo privato, obliquo sorriso: «Oh, sì. Ho ancora un affaruccio incompiuto, riguardo a certi fiordalisi.»

«Fiordalisi» ripeté il drago, senza capire.

«Piccoli fiori azzurri» spiegò Lyo. «Non sono pesci.»

E per la prima volta, tanto il re quanto il drago scoppiarono a ridere.

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