Capitolo ottavo

Poi il mare, forse perché gli mancava il suo oro, cominciò a giocare strani scherzi ai pescatori. Il primo episodio io raccontò Enin, venendo una sera alla locanda con un Tull Olney stralunato che si trascinava dietro di lui. Pallidissimo, fradicio dalla testa ai piedi, gli occhi arrossati dall’acqua, Enin si fermò al bancone del bar a tracannare una birra dopo l’altra, come se dovesse togliersi strati di sale dalla gola. E Tull appariva altrettanto malconcio. Fiord, che saliva dalla cucina con una grossa pagnotta appena sfornata, si bloccò sull’ultimo gradino a sentire le parole di Tull: «Succede qualcosa di strano, nel mare.»

«Nella tua testa, se mai!» lo rimbeccò Enin. «Datemi un’altra birra.»

«Li hai sentiti anche tu, i canti!»

«Ho sentito qualcuno che strombazzava in una conchiglia. Tutto qui» si rivolse agli altri pescatori, nonché all’oste e a Marli, che era scivolata nella stanza sentendo la sua voce. «Tull e io stavamo fuori a pesca, con le barche vicine. Lui dice di aver sentito cantare, io dico che era una conchiglia…»

«Un canto!» borbottò Tull da dietro il suo boccale.

«Era un suono profondo, pastoso, voi sapete come. Una conchiglia, insomma, di quelle che usano nei villaggi del nord per chiamare a raccolta i pescatori. Be’, subito dopo ho sentito un tonfo. Mi volto, ed ecco Tull che nuotava a tutto spiano, con tanto di stivali addosso, all’inseguimento di una foca!»

«Non era una foca!»

«L’ho chiamato, ma lui niente, sempre dietro la foca. Poi quella si è immersa, e Tull si è trovato ad annaspare nell’acqua con gli stivali che lo tiravano giù. Be’, indovinate un po’ chi ha dovuto tuffarsi per riportarlo indietro?» tracannò un lungo sorso di birra, gettando a Tull un’occhiataccia. Ma dietro quello sguardo feroce Fiord vide un’ombra di paura.

Tull sbatté il boccale sul bancone: «Era un canto. E quella era una donna!»

«Una foca, ti dico! Una foca bianca…»

«Una donna con i capelli bianchi e…»

«E gli occhi scuri.»

«E gli occhi scuri.» Tull si guardò intorno nella stanza improvvisamente silenziosa. Sembrava allucinato «Cantava. Era una creatura piccola, graziosa, bianca come una conchiglia, e giocava nell’acqua come se fosse il suo elemento naturale. Mi ha spruzzato d’acqua, ridendo, e io… Come ha detto Enin, mi son tuffato a capofitto senza preoccuparmi di niente, neanche fossi una foca…» rabbrividì. «Poi lei è svanita, lasciandomi tutto solo nell’oceano vuoto. Il suo canto… non so… sembrava che venisse da un sogno dove io volevo a tutti i costi entrare. Ho cominciato a ingollare acqua… era come se cercassi di bere il mare… e poi Enin mi ha tirato su.»

I pescatori lo fissavano a occhi sgranati, le facce immobili. Qualcuno accennò una risatina. Seduta a un tavolo, Ami piegò la testa sulle braccia e rise fino alle lacrime.

«Una foca! Razza di balordo col cervello di gambero, tuffarsi in alto mare per far capriole con una foca!»

«Non era una foca!»

«La prossima volta sarà il Re dell’Oceano in persona che ti soffia la sua conchiglia diritta nell’orecchio…»

«Per poco non annegavo!» protestò Tull, sdegnato: ma a quel punto stavano tutti ridendo così forte che non lo sentivano neppure.

Stringendosi al petto la pagnotta calda, come per trarne conforto, Fiord sgusciò via rapidamente: e nello sguardo che lanciò a Tull ed Enin, prima di uscire, non c’era barlume di sorriso.

Poi fu la volta di Bel e Ami. Se ne arrivarono una sera litigando furiosamente per una rete persa: da quanto si riuscì a capire, avevano pescato qualcosa che Ami si era rifiutata di tirare a bordo.

«Era un vecchio pesce martello, morto stecchito!» dichiarò Bel con una smorfia di disgusto.

«Era un bambino!» gemette Ami. «Un sirenotto luccicante, con le squame bianco-verdi, catturato nella rete insieme agii altri pesci. Pensavo che fosse morto, ma lui ha aperto gli occhi e mi ha sorriso…»

«E quella scema ha lasciato ricadere la rete!» sbottò Bel. «Era così pesante che da sola non ce la facevo a trattenerla, come se qualcuno la tirasse giù. Ami stava strillando a più non posso, e così ho dovuto mollare anch’io. Sirenotto un cavolo! Non era altro che un vecchio squalo morto. Col bel risultato che adesso ci serve una rete nuova!»

Nel corso della settimana successiva, a una buona metà dei pescatori capitò qualche brutta avventura durante le battute di pesca: e nessuno aveva più voglia di ridere, adesso. Ce n’era uno che aveva quasi sfasciato la barca sugli scogli nel tentativo di raggiungere due incantevoli sirenette che si asciugavano al sole le lunghe chiome. Un altro, seguendo i cenni d’invito di una vaga figura che da una barca lo guidava verso un favoloso banco di pesci, si era spinto pericolosamente lontano dalla costa, e qui aveva visto la misteriosa imbarcazione dibattersi tra i flutti e poi affondare: nello stesso punto dove, molti anni prima, era naufragata una barca straniera.

I misteriosi avvistamenti si susseguivano giorno dopo giorno: candidi mostri marini che da un groviglio di alghe protendevano lunghi tentacoli; grandi navi fantasma di un passato ormai dimenticato, che emergevano silenziose dalle onde per veleggiare tra i pescherecci come ombre gelide e nebbiose. I pescatori uscivano in mare sempre più di rado; la locanda era più che mai frequentata, e l’oste faceva fatica a mantenere sufficienti scorte di birra. Peggio di tutto, gli ospiti estivi avevano avuto sentore di quelle storie, e se le passavano l’un l’altro fra grandi risate.

«Diventeremo gli zimbelli dell’isola» osservò cupamente Enin, affacciandosi a salutare le ragazze. «Ancora un po’, e saremo talmente spaventati che non oseremo neppure bagnarci i piedi nella risacca, figuriamoci lasciare il porto!»

«Rivogliono indietro l’oro» disse Marli, con tranquillo buon senso.

«Ma noi non l’abbiamo!»

«Lo so.»

«Quello zuccone di mago l’ha trasformato in fiordalisi…»

«Lo so.»

«Be’? E allora cosa pensi che dobbiamo fare?»

Marli stava pulendo la griglia del camino; sospese un attimo il lavoro e alzò gli occhi: «Secondo me bisogna scovare il mago prima che il mare vi respinga sulla terraferma una volta per tutte. Ma visto che non avete dato retta a quel che dicevo…» aggiunse, e riprese furiosamente a spalettare, sollevando una nuvola di cenere.

«Andiamo, Marli…» disse Enin, tossicchiando.

«… Mi sembra improbabile che cominciate a farlo adesso.»

«Dove pensi che sia finito, il mago?»

«L’hai trovato una volta, no? Puoi benissimo trovarlo un’altra volta.»

Enin sospirò: «Diventeremo la favola del paese. Tutti ci rideranno dietro.»

«Dici? Chi è che sta più ridendo, al villaggio? Era davvero l’oro, la causa di tutto? si chiedeva»

Fiord tornando alla capanna. O non era piuttosto il figlio del re che il mare rivoleva indietro, di nuovo incatenato, e ignaro di ogni linguaggio umano? E quella notte sarebbe venuto da lei, come ogni notte. Si stava ormai abituando, Fiord, a farsi svegliare nel buio dalla sua voce gentile che diceva le cose più imprevedibili. Un brivido gelato le serpeggiò lungo la schiena, anche se l’aria era tiepida e dolce. Il mare stava tormentando i pescatori, adesso. Quanto tempo doveva passare, prima che trovasse la strada della sua capanna?

Lyo aveva liberato il drago dalla catena d’oro, ma non dal mare. E il drago non poteva vivere sulla terra più di quanto il suo fratellastro potesse vivere nell’acqua.

Chi poteva aiutarli? C’era una soluzione, per l’uno o per l’altro? Dov’era Lyo?

Si fermò in mezzo alla spiaggia: non riusciva più a pensare, da quanto si sentiva impotente e preoccupata. Poteva solo gridare, con tutte le sue forze, disperatamente, senza aspettarsi risposta.

«Lyo!»

«Che c’è?» disse la voce del mago, al suo fianco. Il grido divenne un urlo, e Fiord sobbalzò così violentemente che parve librarsi in aria, agli occhi di Lyo. I molluschi che teneva nel grembiule si sparpagliarono sulla sabbia. Lyo si chinò a raccoglierli, e quando Fiord ricadde a terra e abbassò lo sguardo su di lui, lo vide tremare tutto.

«Lyo, dov’eri?»

«Qui» rispose, con una strana tensione nella voce. S’acquattò di nuovo, come a sfuggirla, mentre un gorgoglio strozzato gli usciva dalla gola.

«Be’? Perché non me l’hai detto?»

«E tu perché non mi hai chiamato prima?»

«Come facevo a sapere che saresti venuto?»

«Scusami…» si rimise in piedi, passandosi una mano sugli occhi; poi sorrise. «Eri così… Oh, Fiord, per un attimo ti si sono rizzati tutti i capelli: sembravi un istrice gigante. Non avevo mai visto una cosa simile!»

«Un istrice! Figuriamoci!» ma anche lei sorrideva, rinfrancata dalla sua voce allegra e dalla danza segreta dei suoi occhi. Allargò il grembiule perché Lyo vi gettasse i molluschi appena raccolti. «Lyo, sta succedendo qualcosa, nel mare.»

«Lo so. Ho sentito le storie che si raccontano.»

«Hai notato qualcosa, mentre stavi col drago?»

«No.»

«È lui, il drago, che il mare rivuole indietro.»

«Dici?»

«Che cos’altro potrebbe aver provocato il suo sdegno? I pescatori pensano che tutto questo sta succedendo perché hanno cercato di rubargli l’oro.»

«Già» un ironico sorrisetto gli incurvò un angolo della bocca. «E adesso vogliono me, perché rimetta al suo posto la catena…»

«Ma se lo fai…»

«Non intendo farlo.»

«Ma se non lo fai, finirà che i pescatori saranno così terrorizzati che non usciranno più a pesca. E devono pur guadagnarsi da vivere.»

«Lo so.»

«E allora? Cosa farai?»

Attorcigliandosi i capelli tra le dita, il mago sorrise. Poi lasciò vagare lo sguardo sulle onde che sciabordavano pigre contro le guglie: «Be’, sappiamo che esistono dei sentieri tra la terra e il mare. La madre di Kir ne ha trovato uno. E io ho passato un po’ di tempo a studiare un modo perché gli uomini possano raggiungere quel paese segreto in fondo al mare…»

«Andare fin laggiù?» sussurrò Fiord, sgomenta e affascinata al tempo stesso.

«C’è gente che lo fa. Qualche volta. Ma non senza fatica, e spesso a un prezzo straordinario. Il tempo scorre diversamente, nel mondo sotto il mare. Gli uomini possono perdere anni, memorie, amori, e tutte le cose più preziose. E tornare indietro è ancor più difficile.»

«Oh!» le sfuggì un sospiro, lento e sommesso. «Ma allora che cosa…»

«C’è una sola cosa che potrebbe esserci d’aiuto, o per lo meno è l’unica che riesco a immaginare: e cioè parlare con la madre di Kir.»

«Sua madre» mormorò Fiord, guardandolo di sottecchi.

«Ha rapito e incatenato il figlio umano del re. E ha concepito il figlio marino del re. Forse è lei la responsabile di quanto sta accadendo ai pescatori: forse questo è il modo in cui cerca di parlare al re, di mandargli un messaggio, di attirare la sua attenzione sul mare.»

«Solo che lui non c’è.»

«Ma ci siamo noi. Noi la stiamo ascoltando.»

«Credi che accetterebbe di parlare con te?»

«Con noi.»

«Con te. Non ha mai parlato neppure con Kir.»

«A volte la gente è così arrabbiata che non sa udire altro che la propria rabbia.»

«Con chi è arrabbiata?»

«Col re.»

«Ancora? Dopo tutti questi anni?»

«Suppongo che lo ami ancora.»

«Come può amarlo ed essere arrabbiata con lui allo stesso tempo?» chiese Fiord, sconcertata.

«Accade spesso» disse Lyo. S’interruppe per raccogliere un piccolo frammento d’agata e l’alzò davanti agli occhi, guardando il sole attraverso la sua delicata superficie. «Amore e rabbia sono come la terra e il mare: s’incontrano in molti luoghi diversi. Dunque, il re ha due figli. Quello che conosce e quello che non sa di avere. È tempo che conosca il figlio della sua vera moglie.»

«Ma assume l’aspetto umano solo per un paio d’ore ogni notte! Per il resto appare in forma di drago. Non puoi mettere in barca un re e portarlo in alto mare per presentarlo a un drago!»

«Effettivamente no.»

«E allora? Come pensi di…» la voce le morì in gola. «Oh, no, Lyo. No!»

«Non c’è altro modo.»

«Lyo, ti prego!» l’afferrò per un braccio, supplichevole. «No… non puoi portare il re a casa mia!»

«Fiord, deve saperlo che ha un secondo figlio. E se non facciamo subito qualcosa, i pescatori non usciranno mai più in mare. Oppure il drago sarà di nuovo incatenato, e ricacciato in abissi così profondi che sarà perso per sempre. O credi forse di potergli insegnare abbastanza parole perché trovi da solo la strada per andare da suo padre?»

Fiord scosse la testa, confusa: «Non lo so. Non ci ho mai pensato. Ma chissà quando torneranno, Kir e il re!»

«Kir non lo sa ancora che ha un fratello?»

«Se n’è andato prima che il drago si trasformasse. Non ha ancora intuito quella parte della storia.»

Lyo annuì, pensieroso: «Diglielo, quando torna. E io lo dirò al re.»

Fiord sgranò gli occhi: «Non hai paura? Entrare difilato nella reggia e dirgli che ha un figlio segreto in forma di drago marino?»

imperturbabile, Lyo si strinse nelle spalle: «Qualcuno deve pur dirglielo. Tre persone lo sanno: tu, io e la madre di Kir. E così tocca a me.»

Altri fatti enigmatici continuarono a susseguirsi, il giorno dopo e quello successivo. Ci fu il caso del pescatore che aveva trovato nella rete una strana creatura viva: e questa gli si era avvinghiata al collo in un abbraccio amoroso, quasi trascinandolo sott’acqua. Oppure la grande nuvola che era comparsa misteriosamente in un cielo limpidissimo, inghiottendo alcune barche, e i pescatori, accecati dalla foschia, si erano persi e avevano vagato per ore e ore, senza meta, e nel buio udivano rintocchi di campane, piccoli scrosci di risate e addirittura un dolce, incredibile suono d’arpa, fioco e leggero come un improvviso picchiettare di pioggia. Uscirono dalla nuvola quand’era già sera inoltrata: senza un solo pesce nella rete, e così lontani dal porto che vi approdarono solo a notte fonda.

Dopo tali episodi si diffuse nel villaggio un vero terrore: i pescatori si sentivano perseguitati da chissà quali stregonerie, e mandarono frenetici messaggi su e giù lungo la costa, invocando il ritorno del mago.

«È come se riprendessero vita tutte le vecchie leggende del mare» osservò Marli, pensierosa. Avevano finito la loro giornata di lavoro, e le tre ragazze si trovavano nel ripostiglio a riporre scope e strofinacci. «Mi chiedo chi è che abbiamo offeso, facendo scomparire quella catena…»

«Senza ricavarne una soia moneta d’oro, fra l’altro» sospirò Carey. «Non è giusto. Probabilmente è il mago che l’ha rubata; probabilmente ha raccolto dall’acqua tutti quei fiordalisi e li ha di nuovo trasformati in oro. Figuriamoci se si farà vivo!»

«Oh, non dirlo neppure per scherzo! È la nostra unica speranza…»

«Forse. O forse il re può fare qualcosa, quando torna.»

«E cosa potrebbe fare? Anche ammesso che creda ai racconti dei pescatori? Non me lo vedo proprio, a saltar giù dalla sua grande nave, con tanto di stivali addosso, per nuotare all’inseguimento di una foca! Lui le onde le osserva dall’alto della sua bella casa; lui naviga di isola in isola sulla sua comoda nave, e gli unici pesci che vede sono coperti di salsa, nel suo piatto. Cosa ne sa, lui, del mare?»

«Qualcosa» mormorò Fiord, senza pensarci.

«Che cosa?»

«Qualcosa, ho detto. Forse qualcosa la può fare. Forse.»


Ci fu una gran burrasca, quella notte. Nere nubi gonfie di pioggia si radunarono sull’orizzonte, al calar del sole, e rapidamente mossero verso la costa. Poco dopo già diluviava. Svegliata nel cuore della notte dallo scoppio di un tuono, Fiord si alzò giusto in tempo per vedere il drago che si dibatteva tra le onde selvagge; il mare lo depositò a riva più in fretta del solito. E quando raggiunse l’uscio della capanna era fradicio d’acqua.

«Ho visto una barca» disse.

«Una barca?» ripeté Fiord, inorridita. «Una barca di pescatori? Con una simile burrasca?»

Lui scosse la testa, strizzandosi l’acqua dai capelli: «No barca. La parola è troppo piccola. Era più grande di una barca. Dopo calato il sole. Lontana lontana. E io nuotavo così lontano che la terra era sottile.»

«Una nave?»

«Una nave» convenne lui. «Nella pioggia. E io ho nuotato vicino, per ascoltare le voci.»

«Notte tremenda, per starsene in alto mare. Anche per una nave» disse Fiord, accigliandosi. Si preparava a fargli una domanda difficile, e ciò la rendeva nervosa. Improvvisamente il drago le posò una mano sulla fronte, dove le sopracciglia tendevano ad avvicinarsi.

«Cosa stai facendo?»

«Cosa sto… Oh!» le sopracciglia si distesero di colpo. «Stavo aggrottando la fronte.»

Cercò di imitarla, con la mano che ancora indugiava sul suo viso. Scoppiò a ridere. Poi, vedendo che lei non rideva, prese a scrutarla intensamente: «La tua faccia parla. Ma io non posso sentire cosa dice.»

Fiord respirò profondamente, come per farsi coraggio, e gli chiese: «Quando tu… quando tu nuoti nel mare, hai un nome?»

Il drago s’irrigidì, lasciando cadere la mano, e spostò gli occhi sul fuoco. Si strinse nelle coperte.

Comprendendo che non voleva o non poteva rispondere, Fiord tentò un’altra strada: «Chi è che ti ha messo al collo quella catena?»

Ancora non rispose. Tenne gli occhi fissi sulle fiamme, come se ne ascoltasse la voce. Lentamente, la fronte di nuovo aggrottata, lei aggiunse: «È questo il mondo che ti appartiene. Non il mare. Tu fai parte di questo mondo, fatto di aria e di fuoco; tu sei nato per camminare su questa terra. Tu appartieni a tutto ciò che si trova sopra il mare. Rispondimi. Se puoi. Se ricordi. Chi ti ha incatenato al mare?»

Si volse a guardarla, finalmente, in silenzio. Lacrime venate di fuoco gli rotolavano sul viso. Straziata, la gola stretta in una morsa, Fiord gli posò le mani sulle spalle. Dopo un momento, lui sollevò una mano, se la passò sulla guancia, e poi restò a fissare le dita inumidite. Era sorpreso: «Cosa sto facendo?» domandò.

«Piangi» bisbigliò Fiord. «Stai piangendo lacrime. I figli del mare non piangono.»

«Lacrime.»

«Sei triste. Qui» si mise una mano sul cuore. «Cos’è che ti fa piangere?»

Il drago tornò a scrutare il fuoco, come se nel lento turbinio delle fiamme vedesse un mondo che lei non poteva immaginare: «Non ho le parole» sussurrò. «Tu insegnami.»

«Quali… quali parole ti servono?»

«Tutte le parole che ci sono in fondo al mare.»


Non sapendo come risolvere il problema, la sera dopo Fiord si fermò sulla spiaggia e chiamò il mago dal suo segreto nascondiglio; l’aveva sorpreso nel mezzo di uno spuntino, evidentemente, perché quando apparve stava ancora masticando. Le offri un pezzo di pane e formaggio.

«Lyo» disse Fiord, a bocca piena.

«Sì?»

«Dove stai, quando non sei qui?»

«Oh…» indicò la scogliera. «Da quelle parti. C’è un boschetto dietro i ginestroni. Dimmi, che c’è?»

«Ho bisogno di qualcosa.»

«Cosa ti serve?»

«Qualcosa che contenga parole.»

«Un libro?» suggerì Lyo. Fiord gli gettò uno sguardo dubbioso. Allora lui aggiunse, delicatamente, cercando di trattenere il sorriso: «Sai leggere?»

«Naturale che so leggere» ribatté Fiord, con un’occhiataccia. «Tutti sanno leggere. È solo che… dopo che hai imparato, è una cosa che non fai più.»

«Oh!»

«Non in questo villaggio, per lo meno. Mia madre ha un libro, e lo usa per metterci dentro i fiori da appiattire. Ma non è quello che mi serve.»

«Cosa…»

«Mi serve qualcosa per il drago. Lyo, la mia casa è troppo piccola. Non ci sono più parole. Lui vuole dirmi qualcosa del paese sotto il mare, ma non sa le parole, e io non posso insegnargliele, perché non so che cosa sta vedendo.»

«Oh!» esclamò Lyo, illuminandosi. Poi i suoi pensieri s’allontanarono da Fiord, e gli occhi s’incupirono in un’espressione remota. «Ma…» aggiunse, tornando a lei «… ma devi stare molto attenta.»

«Attenta a cosa?»

«Al libro.»

«Quale libro?»

«Zitta un po’… Fai molta attenzione, Fiordaliso. È il libro degli incantesimi. Non leggerlo, guarda solo le figure. Dovrebbero aiutarti. E promettimi che non cercherai di pronunciare le formule magiche.»

«Te lo prometto» disse lei, sgomenta ma affascinata.

«Guarda che parlo sul serio. Potresti farti cadere tutti i capelli, o trasformarti in chissà che.»

«Un fiordaliso?»

Lyo scoppiò a ridere, dimenticando la gravità con cui l’aveva esortata: «Forse.»

«A proposito, Lyo. L’hai fatto apposta, a trasformare quell’oro in fiordalisi?»

Gli occhi del mago si fecero chiari, scherzosi, e lei non poté fare a meno di sorridere. «Be’… in effetti avevo il tuo nome in mente.»

«L’hai fatto apposta, allora.»

«Che luogo noioso sarebbe il mondo se venissero rivelati tutti i suoi misteri!… Aspettami un momento.» Svanì, lasciando sulla sabbia la sua ombra, o almeno così sembrò agli occhi sbigottiti di Fiord. Quando ritornò, poco dopo, aveva un grosso libro nero sotto il braccio: «Elementi introduttivi per un approccio al mare» disse, porgendole il volume. Le loro mani parvero offuscarsi un poco, sul nero della copertina. Poi Lyo mormorò alcune parole, e nel libro apparve un confuso tremolio di righe, che subito si fermarono, facendosi nitide: «Ecco, ora è aperto. È una specie di abbecedario per apprendisti stregoni.»

«Oh.»

«Non preoccuparti» la rassicurò. «Ci sono una quantità di illustrazioni.» Parve sul punto di aggiungere qualcosa, ma s’interruppe; scostò col piede una medusa morta sulla sabbia. «Chiamami, quando hai bisogno di me.»

«Come fai a sentirmi, da lassù?»

«Facilissimo. La tua voce viene dal nulla, mi aggancia per il colletto come un amo da pesca, e mi trascina da te.» Fiord rise, sentendosi improvvisamente avvampare. Lui la ricambiò col suo rapido, obliquo sorriso, poi tornò serio. «Fai molta attenzione» ripeté. E scomparve.

Il libro aveva disegni fantastici. Seduta sul gradino del focolare, Fiord passò la serata a sfogliarne le pagine, una dopo l’altra, lentamente. Cerano formule misteriose, ciascuna accompagnata da un’illustrazione. A una prima occhiata sembravano semplici disegni, ma guardandoli più a lungo cominciavano a muoversi. Creste d’onda che si gonfiavano, vento che sollevava spruzzi di spuma e li rovesciava come pioggia sulla superficie del mare: «Come ottenere una piccola burrasca». Sirene che nuotavano tra languide foreste d’alghe: «Come attrarre l’attenzione di taluni abitanti del mare». Tra un mare immobile come vetro e un caldo cielo senza vento si gonfiava una vela di nave: «Come suscitare una brezza nella bonaccia». Un elegante cavallo nero galoppava sul ciglio della marea: «Come riconoscere taluni pericoli del mare». Kir, pensò Fiord, riconoscendolo. Il bruno cavaliere uscito dal mare…

Si addormentò su quella pagina. Si svegliò alcune ore dopo, intorpidita, col focolare ormai freddo; inginocchiato davanti a lei, il drago le domandava perplesso: «Cosa stai facendo?»

Rapidamente accese il fuoco, e nella luce tremolante delle fiamme mostrò al drago le strane, mobili immagini del libro.

«Guarda» gli disse. «Il libro di Lyo.»

«Libro.»

«Questi sono disegni. Queste sono parole.» Il drago guardò con espressione dubbiosa le formule scritte nel libro, caratteri evanescenti che per lui non significavano nulla: ma sembrava affascinato dalle illustrazioni. Nuotavano tra le pagine infiniti pesci e creature marine. Ogni tanto ridacchiava, riconoscendoli, e li indicava a Fiord perché ne dicesse il nome.

«Medusa. Balena. Delfino…»

Voltò una pagina che a prima vista sembrava semplicemente rappresentare i fondali marini, con alghe giganti, colonie di coralli, molluschi, variopinte chiocciole di mare sparpagliate sulla sabbia. Poi il disegno mutò, come se un’onda improvvisa avesse sollevato i banchi d’alghe, rivelando una foresta di pallide, luminose torri di conchiglie e perle; sentieri di perle si ramificarono sulla sabbia e i brillanti gusci dei molluschi divennero monete d’oro e gemme sparse lungo i sentieri, come se fossero cadute da antiche navi naufragate e poi imprigionate, ne! loro freddo affondare, tra le pieghe di grandi scogli subacquei. Sbigottita, Fiord si chinò a scrutare quel nuovo paesaggio. C’era qualcuno che camminava su uno dei sentieri? Una figura di donna, forse, in abito di perle, lunghe chiome ondeggianti, adorne di minuscole stelle e anemoni marini?

Bianco in volto, il drago mandò un gemito, e la sua mano aperta calò sulla pagina, come per nasconderla alla vista.

«Catena» bisbigliò. Guardò Fiord, disperatamente, lottando per trovare le parole: ma erano ancora intrappolate dietro i suoi occhi, malgrado gli sforzi di Fiord. «Qui.» La donna avanzò di un passo, lentamente; e l’acqua di nuovo inondò il disegno, nascondendo il magico reame. Ma il drago lo vide ancora, celato dietro la nera cortina d’alghe: «Qui. Cominciava qui.»

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