Capitolo nono

Il mattino dopo, Fiord trovò sulla soglia una perla nera.

Il suo grido fece accorrere Lyo, allarmatissimo, dal boschetto segreto dietro i ginestroni: in un lampo fu da lei, spazzandosi sterpi e foglioline dai capelli, gli occhi così cupi che sembravano neri come la perla. Gliela tolse di mano, silenziosamente, mentre Fiord farfugliava parole sconnesse, e la esaminò con attenzione. Aveva le dimensioni di una ghianda, la forma perfettamente sferica e una bruna lucentezza di seta.

«È bellissima!» disse, facendo un fischio.

«Lyo!»

«Be’, prova a immaginarti come doveva essere grande l’ostrica che s’è affannata a costruirla, ciecamente, nel silenzio del suo guscio, intorno a un granello di sabbia…» La gettò in aria, pensosamente, e la riprese al volo, gli occhi stretti sul luminoso mare del mattino.

«Lyo, non era certo un’ostrica quella che se n’è uscita dall’acqua per portarla da me! Era lei! Lei sa che il drago viene qui ogni notte! Lo troverà, lo rimetterà in catene…»

«No, non lo farà.»

«Ma…»

«Ti ha mandato un messaggio.»

«Sì?!»

«Un messaggio per dirti: «Io so di te, tu sai di me». Se voleva indietro il drago se lo sarebbe ripreso, senza preoccuparsi di lasciare perle sulla porta di casa tua. Lei consente che il drago venga qui. Anche se…» aggiunse, deviando dai suoi stessi pensieri «… anche se resta un mistero perché mai debba trasformarsi in uomo solo per poche ore ogni notte. È inspiegabile. La magia appare così confusa…»

Anche Fiord era confusa: «Ma allora… cosa vuole? Oh, Lyo, cos’è che vuole? Il drago l’ha riconosciuta, stanotte… lei, o una creatura come lei… Camminava in uno dei disegni del tuo libro. Qualcuno deve averla vista, per poterla ritrarre in quel modo: dev’essere sceso negli abissi, per poi tornare su! E allora perché non può farlo Kir? Perché non puoi farlo tu? Scendi, Lyo, e chiedile che cosa vuole.»

«Hai mai visto una sirena?»

«No.»

«Ma sapresti disegnarla?»

«Be’, sì.»

«E come? Se non ne hai mai viste?»

«Non lo so. Tutti sanno com’è fatta una sirena. E adesso» sospirò «… continuano a vederne…»

«Ma già conoscevano la parola, prima di vedere la sirena.»

Fiord annuì, perplessa: «La gente racconta tante storie…»

«E parole» aggiunse Lyo. «Come tesori che si tramandano attraverso il tempo. Sono poche, pochissime le persone che penetrano davvero negli abissi del mare. È un viaggio fuori dal mondo. Ma chi racconta, o ascolta, la storia di un simile viaggio, può scendere laggiù e poi tornare indietro senza correre rischi. Perciò non è necessario supporre che il pittore sia sceso di persona a vedere quel mondo coi propri occhi: forse ha dipinto il viaggio che ha compiuto con la mente, la prima volta che ne ha udito la storia.»

«Sì, ma… Lyo, il drago l’ha riconosciuta!»

Lyo grugnì un breve assenso. Si passò le dita fra i capelli, nervoso, raccogliendone un ultimo residuo di sterpi. «Bene» ammise «forse hai ragione. Tanto tempo fa, il disegnatore è sceso negli abissi, portandone indietro un tesoro di strane conoscenze… Ma né a te né a me toccherà fare altrettanto.»

«E allora come potrai parlare con la madre di Kir?»

«Tutti e due le parleremo, non io soltanto. Be’, andremo a fare una piccola battuta di pesca coi pescatori.»

«Non c’è quasi più nessuno disposto a prendere il mare, adesso come adesso» obiettò Fiord. «Diranno che è scoppiata una burrasca, e aspettano che passi.»

«Qualcuno ha subito danni, finora?»

«No, ma…»

«Allora andiamo. A meno che tu non preferisca aspettare, per vedere che cosa troverai domattina sulla tua porta.»

«No» bisbigliò lei. «Non lo farò.»

Quando raggiunsero il porto, i pochi pescatori disposti ad affrontare i capricci del mare erano già usciti. Nessuno vide arrivare il mago — tanto sospirato dall’intero villaggio — tranne una mezza dozzina di gabbiani che sonnecchiavano sulle bitte.

Dopo aver pronunciato una breve formula per eliminare eventuali incrostazioni, Lyo sciolse il “Riccio” e tuffò i remi nell’acqua. Fiord capì subito che questa volta avrebbe fatto ricorso alla magia: e infatti uscirono dal porto e si trovarono al largo molto più rapidamente di quanto fosse normale per una piccola barca da pesca. Ma invece di ricongiungersi ai vaghi puntolini dei pescherecci, sparsi sull’orizzonte, Lyo seguì una propria rotta, parallela alla riva: puntava verso le guglie.

Fradicia di spruzzi e un tantino stordita, Fiord osservava i due affilati scogli che spuntavano alti dall’acqua e sembravano avvicinarsi sempre più. Non li aveva mai visti da quella angolazione. Li aveva sempre guardati dalla spiaggia, aveva sempre guardato le onde che s’insinuavano tra loro: non li aveva mai visti incorniciare la costa come pilastri spezzati di un antico cancello fra terra e mare. Man mano che Lyo si avvicinava, il paesaggio compreso tra le guglie pareva trasformarsi: ora una vuota, scintillante distesa d’acqua; ora un’onda che si frangeva su uno sgretolato spuntone di roccia; ora candida sabbia e verde muraglia di ginestroni; ora la capanna della vecchia, minuscola e sbiadita ai piedi della scogliera, così come poteva apparire a un drago… o a qualcuno che nuotasse in direzione delle guglie, portando una perla nera quale messaggio del mare… Fiord batté le palpebre, incerta. Quelle guglie erano una porta d’ingresso alla terraferma o al mare? Su che cosa s’affacciavano, verso l’interno o verso l’esterno? Qual era il vero paese?

Batté ancora le palpebre, e in quell’attimo calò su di loro una nuvola bianco-perla, abbagliante. Lyo smise di remare. Si scambiarono un lungo sguardo, i capelli imperlati di nebbia.

Il mare, che poco prima rifletteva un cielo azzurro e terso, adesso era di seta grigia. Si udì una lieve risatina, quasi il suono che potrebbe fare l’acqua frusciando sotto la chiglia. Fiord si acquattò sul fondo della barca, tremando di freddo. Qualcosa fece vibrare la prua del “Riccio”, come una mano di gigante che giocasse con una barchetta giocattolo. Fiord si appiattì ancora, cercando di farsi piccola piccola. Lyo era impallidito: un bizzarro pallore, come di latte, che pareva confondersi con quella strana foschia. In silenzio si alzò, e gettò in mare la perla nera.

Una mano affiorò a prenderla. Un viso di donna li guardava da sotto la fredda, tranquilla superficie dell’acqua. Lunghe chiome si avvolgevano e svolgevano, morbidamente; erano ornate di piccole stelle marine e anemoni e lunghe, sinuose collane di perle multicolori. In quel viso, pallidissimo, spiccavano due ardenti occhi a mandorla: occhi bruni, di madreperla scura… Gli occhi di Kir.

Era molto vicina, e tuttavia più remota di un sogno, con le onde che scivolavano leggere sul suo viso. Teneva la perla nel palmo aperto della mano, sott’acqua, e parve a Fiord che fosse in attesa di qualcosa. Non accadde nulla. Lyo sembrava pietrificato. Ondeggiando nell’acqua, lei continuava a scrutarli, gli occhi inespressivi, o troppo strani per poterli decifrare. Finalmente disse qualcosa: colonne di bollicine salivano verso l’alto. E le parole schioccarono in superficie, lievissime, come se provenissero anche quelle da remote lontananze. Lyo sorrise. Dalla nebbia raccolse dei fiordalisi, e li sparpagliò sull’acqua. Alcuni affondarono lentamente, altri si posarono sui capelli della donna. Sorrise anche lei, allora, un piccolo, guardingo sorriso senza allegria.

«Cosa ha detto?»

«Ha detto che sono molto forte» spiegò Lyo.

«Che cosa strana da dire» commentò Fiord, cupamente.

«Non proprio» la voce di Lyo tremava. Quella che gli imperlava la faccia non era soltanto nebbia, notò Fiord: era sudore. «Al momento stiamo discutendo che cosa fare del “Riccio”…»

Fiord chiuse gli occhi: «Vorrei essere al lavoro» bisbigliò. «Vorrei essere alla locanda, a strofinare pavimenti. Vorrei essere…»

«Dov’è il tuo senso dell’avventura?»

«Mai avuto. Che succede, se perdi?»

«Non credo certo che sarò io a vincere…»

Un pensiero improvviso folgorò la mente di Fiord. Aprì gli occhi, fissando la piccola pozzanghera d’acqua che s’era formata sul fondo della barca; stava ancora tremando di freddo, ma non aveva più alcuna paura. Si rivolse a Lyo: «Chiedile…» disse, con fermezza «chiedile se ha mai provato a distruggere questa barca. Chiedile se la riconosce.»

Lyo spostò lo sguardo su di lei, sbalordito. Un gabbiano dagli occhi rosso-sangue era sbucato dal nulla, appollaiandosi sulla sua spalla. «Chiediglielo tu» disse.

Sporgendosi dal fianco della barca, Fiord si chinò a scrutare la donna, quella strana donna con gli occhi di Kir, che ondeggiava nel mare con la leggerezza di un raggio di luna: «L’hai fatto?» bisbigliò. In quell’immobile densa foschia, anche una lacrima, cadendo nell’acqua, avrebbe suscitato un’eco. «Sei tu che hai sbalzato mio padre dalla barca, mentre era fuori a pescare? Mia madre pensa di sì. Mia madre cerca il paese sotto il mare. Pensa che lui si trovi lì, adesso, e che sia stata tu a trascinarlo laggiù, mandandoci a casa la sua barca, vuota.»

La donna le ricambiava fermamente lo sguardo, gli occhi segreti, senza fremiti. Parlò di nuovo: la sua voce pareva un gocciolio d’acqua che cadesse in un luogo nascosto.

«Cos’ha detto?»

«Dice che da molti anni nessuno del mondo dell’aria è sceso nel regno del mare.» Il gabbiano intanto gli stava beccando l’orecchio; Lyo scosse la spalla, irritato, e l’uccello volò via con una risatina beffarda.

«È uscito in mare, e non è più tornato.»

«Succede a molti pescatori» disse Lyo, dolcemente. «Sono rischi che sanno di correre.»

La donna aggiunse qualcos’altro, continuando a chiudere e aprire la mano con la perla. Fiord non riusciva a dipanare le sue parole dal mormorio delle onde.

«Dice che se tuo padre avesse gettato il cuore nel mare, in questo reame vagherebbe anche il suo corpo» tradusse Lyo. «Ma il suo cuore torna ogni notte nel porto, con la barca. Le sue ossa possono trovarsi nel mare, ma il suo cuore rimane là dov’è sempre stato, tutta la vita.»

Fiord restò in silenzio. La donna continuava a studiarla intensamente, anche lei silenziosa. Il “Riccio” era sempre fermo nello stesso punto, la prua rivolta verso lo stesso groviglio di ginestroni, sulla lontana scogliera: era la donna a tenerla ferma. Un’ondata di spuma le offuscò il viso, per un attimo, e i capelli ondeggiarono come una pallida fiamma. Parlò di nuovo.

«Dice che non ha alcun motivo d’astio con i pescatori.»

«Neanche se volevano il suo oro?»

«Dice che nel suo paese l’oro cade da navi perdute, così come sulla terra cade la pioggia. Per lei conta ben poco: è opera di uomini, e appartiene al mondo che sta sopra il mare.»

«Dunque non lo rivuole indietro?»

Spuntò dall’acqua la mano fino allora nascosta, e lanciò nella barca un piccolo oggetto d’argento: cadde ai piedi di Fiord, facendola sussultare. Fu Lyo a raccoglierlo.

«Un anello…» disse. La sua voce era di nuovo tesa. «Ci sono delle lettere…»

«KUV» mormorò Fiord, in un soffio. «È l’anello del re. Sono io che l’ho gettato nel mare.»

«Ma naturalmente! Avrei dovuto immaginarmelo! Le giovani sguattere se ne stan sempre lì a gettare in mare anelli di re…»

«È stato Kir a portarmelo…» Spalancò gli occhi, e affannosamente aggiunse: «Lyo, dille di Kir!»

«Sa di Kir. È sua madre, no? È lei che l’ha dato al re, quando è nato… Per cosa credi che siano scoppiate tutte le burrasche di questi ultimi giorni?»

«Ma dille…» s’interruppe; d’impulso, sporgendosi dalla barca fino a inclinarla su un fianco, gridò: «Si tratta di Kir! Kir vuole venire da te! Ti prego, lascialo venire! Ti prego…»

«Fiord!» urlò Lyo. Pallide mani si erano protese ad afferrarla per i polsi, e la trascinavano giù, giù, finché il “Riccio” fu quasi rovesciato: e i suoi capelli fluttuavano nelle onde, e il suo viso era sommerso nell’acqua gelida. Fiord cercò di divincolarsi, cercò di gridare, ma inghiottì altra acqua. Poi il “Riccio” ebbe un brusco sobbalzo all’indietro, e Fiord rotolò sul fondo della barca, boccheggiando e grondando acqua dagli occhi, dal naso, dai capelli. La prua era libera, adesso, e la nebbia sembrava assottigliarsi. Fiord rimase rannicchiata sul fondo della barca. Sbalordito, Lyo le stava fissando le mani.

«Cos’è che stringi fra le mani?»

Fiord batté le palpebre, abbassò gli occhi… Ragnatele di luce sottile, attaccate a cerchi e quadri irregolari di sterpi e alghe secche… Si asciugò il naso nella manica, e guardò ancora, incredula. Nel cuore di ogni ragnatela brillava una minuscola luna bianca, chiara come cristallo… Le mancò il respiro.

«I miei malefici!»

«I tuoi… cosa?»

«I miei malefici. Erano ghirlande che avevo fatto per maledire il mare. Lyo, guardale!»

«Le sto guardando» disse Lyo, sconcertato.

«Le avevo cucite con filo nero, e lei l’ha trasformato in raggi di luna!»

«Aspetta un momento…»

«E non c’era dentro nessuna luna, quando le ho gettate in mare, legate all’anello del re… Pensavo che il drago se le fosse mangiate!»

La nebbia s’era dissolta, e la barca dondolava pericolosamente vicina alle guglie. Lyo si gettò sui remi, lottando contro la marea. Gabbiani stridevano sopra di loro, volteggiando in cerchio; una lontra marina, che schiacciava una conchiglia col ventre premuto alla roccia, si fermò un attimo a guardarli, curiosa. Lyo le fece un amichevole cenno di saluto, poi si rivolse a Fiord: «Sarà meglio che tu cominci dal principio. Cominciamo con la parola malefici. Chi ti ha insegnato a farli in quella forma?»

«La vecchia.»

«Quale vecchia?»

«La vecchia che è scomparsa, quella che stava nella casa dove ora abito io. È lei che me l’ha insegnato. Li ho fatti per maledire il mare, perché mi aveva preso mio padre… ed è stato allora che ho visto il drago per la prima volta…»

«Quando…»

«Quando li ho gettati nell’acqua. Anche Kir la stava cercando; la vecchia, voglio dire… e un giorno mi ha trovato sulla scogliera mentre disegnavo sulla sabbia i miei… ecco, i malefici…»

Lyo ritrasse i remi sugli scalmi e vi appoggiò le braccia: la barca continuò ad avanzare per conto proprio. «Kir conosceva la vecchia?» domandò.

«Dice che una volta era uscita a guardare il mare insieme a lui. Voleva parlarle; dice che lei conosceva le cose. Ma lei era già andata via.»

«Via dove?»

«Via. È andata via e non è più tornata.» Fece un breve sospiro, guardando la capanna nella sua cornice di ginestroni.

«Quanta gente ti ha lasciata, in quest’ultimo anno!» mormorò Lyo, dolcemente.

«Sì» annuì Fiord. «Anche mia madre. Non che sia proprio partita, ma… È come dicevi tu: è andata a fare un viaggio nel mare, con la mente. Ma non è ancora tornata indietro. Ad ogni modo, quando Kir mi ha trovata a far ghirigori sulla sabbia, mi ha chiesto di gettare in mare un messaggio, a nome suo.»

«Che messaggio?»

«C’erano delle piccole cose, tra cui l’anello di suo padre.»

«Ah…» sussurrò il mago, quasi tra sé. Aveva ancora le braccia puntellate ai remi; e gli occhi, per chissà quale motivo, erano grigi come ali di gabbiano. «E adesso il mare ti ha reso l’anello del re, e le tue ghirlande malefiche…»

«Ma le ha cambiate. Erano bruttissime, prima, tutte contorte e nere… orrende, proprio come volevo che fossero. E adesso sono piene di magia!»

Lyo ne toccò una, curiosamente: «È vero» bisbigliò, scacciando alcuni uccelli che si erano posati sui remi.

«Ma perché? Perché le ha restituite?»

«Perché il vento, perché il mare…? Te le ha rese per un’ottima ragione.»

«Quale ragione?»

«Non ne ho la più pallida idea» disse lui, e tornò a tuffare i remi nell’acqua. Poi i suoi occhi fissarono qualcosa alle spalle di Fiord, si strinsero, mutarono colore: «Guarda!»

Fiord si voltò e vide all’orizzonte la grande nave del re, le vele bianco-oro spiegate nel vento, la prua puntata verso il villaggio.

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