Prologo

La pioggia tamburellava sul cappuccio dell'impermeabile. Percepiva le gocce, ma non riusciva a udirle. Quella mattina era uscita senza apparecchio acustico e senza bifocali. Intorno a lei il paesaggio era tranquillo come un sogno, indistinto, privo dei particolari sgradevoli che l'avrebbero deturpato, carte di caramella o mozziconi di sigaretta. Sentì un odore di pelo bagnato sfrecciarle accanto correndo. Fu lenta a mettere a fuoco il dorso del cane, che dal vialetto si lanciò su per il pendio fitto di cespugli. Una mano invisibile diede uno strattone deciso al collare e l'animale fu proiettato per aria in una mezza capriola all'indietro.

Cora strizzò gli occhi e si rese conto che il guinzaglio del cane si era impigliato nei rovi. L'animale, in preda al panico, riuscì a liberarsi a furia di strappi e strattoni, poi riprese a salire lungo il pendio, scomparendo alla sua vista.

Cora sistemò una ciocca di capelli bianchi che il vento aveva scompigliato e tornò a essere invisibile, l'impermeabile verde militare perfettamente mimetizzato con la vegetazione che non aveva ancora assunto le tonalità grigie del dicembre inoltrato.

Era ora di rientrare, lo sapeva, ma un'invitante teoria di panchine vuote, la vernice verde lucida d'acqua, si allungava nel vialetto davanti a lei. Si sedette sulla prima, rimanendo in ascolto delle sue vecchie ossa che la rimproveravano per averle costrette a uscire nella pioggia.

Ma, ribatté alle ossa, solo la pioggia poteva farla sentire al sicuro nel parco. Con quel tempaccio era improbabile che gli scippatori lavorassero, tanto più a quell'ora del mattino.

Il suo corpo ebbe l'ultima parola: una fitta di artrite la colse mentre allungava il braccio all'indietro sulla panchina e posava la mano sul tronco di un albero che cresceva lì accanto. Un attimo più tardi sentì qualcosa muoversi lentamente sul suo polso.

Una macchia scura che strisciava sulla pallida carne aggrinzita. Chinò la testa finché la macchia che avanzava sul dorso della mano fu a pochi centimetri dai suoi miopi occhi azzurri.

Trattenne il respiro attraverso i denti ingialliti.

Era un necroforo, insetto dedito alla profanazione e all'essiccamento dei cadaveri. Con un sorriso Cora si disse che il minuscolo addetto delle pompe funebri era arrivato in anticipo. Fintantoché una donna anziana respirava ancora, esistevano regole da rispettare. Forse l'insetto era confuso a causa della temperatura insolitamente calda per la stagione. In ogni caso sarebbe dovuto tornare un altro giorno.

In quel momento una seconda creatura si introdusse nel suo campo visivo, un insetto a otto zampe che inseguiva il necroforo.

Incredibile!

Secondo le leggi della natura, quel particolare tipo di aracnide moriva in autunno per essere divorato dai figli. Il ragno era rimasto in vita più del dovuto. E adesso il trasgressore si trovava a meno di un centimetro dalla sua preda, il necroforo…

Ma Cora non aveva intenzione di assistere a scene di violenza tanto presto al mattino.

L'anziana naturalista scosse il polso in modo da allontanare l'insetto dalle fauci del ragno. A quel movimento improvviso, il ragno si arrestò, si voltò e strisciò via, le otto zampe vuote.

Una volta ripristinata la serenità del mattino, Cora alzò la testa a contemplare il laghetto, un grigio specchio del cielo. Oltre la distesa d'acqua scura, scorse due sagome in piedi accanto alla riva, due grandi ombrelli che parlavano.

Dall'ombrello più alto spuntavano un paio di lunghe gambe marroni, da quello più basso un paio di gambe azzurre. L'ombrello dalle gambe azzurre stava indietreggiando. L'ombrello alto protese un braccio per avvicinare nuovamente Gambe Blu a sé.

Cora sorrise. Fidanzatini. Probabilmente un incontro segreto, dal momento che di tanto in tanto Ombrello Alto si guardava attorno come per assicurarsi che nessuno li stesse osservando. Teneva stretta Gambe Blu, che per qualche motivo cercava di sottrarsi al suo abbraccio. A un tratto l'ombrello di lei si rovesciò, volò via e atterrò capovolto nel laghetto. Prese a mulinare sempre più velocemente sotto l'effetto di un'improvvisa folata d'aria fresca di pioggia.

Ombrello Alto si abbassò. Stava raccogliendo qualcosa da terra? Sì, e adesso lo sollevava all'altezza del viso dell'amata. Dietro l'ombrello Gambe Blu fece un mezzo giro su di sé.

Le ha dato un regalo, pensò Cora socchiudendo gli occhi. Gambe Blu doveva averlo gradito, poiché aveva cessato di resistere alle effusioni di Ombrello Alto. Qualcosa di rosso brillante le ornava i capelli dorati, come un fiore che sbocciasse sulla sua fronte. Era immobile, abbandonata tra le braccia di lui.

Il preludio a un bacio?

Cora guardò l'orologio. Fece forza sulle gambe dolenti e si alzò. Era ora di muoversi. Era in ritardo di qualche minuto, senza contare il fatto che i due innamorati avevano diritto alla loro privacy.

Quando l'ombrello cadde al suolo e due grandi mani afferrarono la testa di Gambe Blu, Cora aveva già voltato le spalle alla coppia. Aveva appena imboccato il vialetto quando le dita di lui affondarono nei riccioli lucenti e la testa dorata di Gambe Blu ruotò bruscamente, innaturalmente sotto la loro pressione, liberandola dalla costrizione del tempo come lo intendono i vivi.

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