Capitolo Primo

20 dicembre


La bambina aveva il numero di telefono scritto a penna sul palmo della mano, per precauzione, nel caso in cui si fosse persa. Ma le prime tre cifre erano sbavate in un'umida macchia di sangue.

Più avanti aveva imparato a elemosinare qualche spicciolo dalle prostitute, le uniche persone che mai l'avrebbero riconsegnata agli assistenti sociali. Infilava le monete nei telefoni pubblici, componeva una sequenza di tre cifre che non aveva ancora sperimentato, seguita dalle quattro che conosceva. Se a rispondere era una donna, diceva: «Sono Kathy. Mi sono persa».

All'età di sette anni sapeva riprodurre i toni dei telefoni pubblici modulando alla perfezione il fischio che apriva i circuiti delle chiamate interurbane, e aveva imparato tutti i prefissi internazionali. Con il fischio era in grado di farsi restituire le monete dal telefono.

In questo modo la rete telefonica nutriva il suo esile corpo e la sua fissazione. Migliaia di chiamate che avevano come costante il suo semplice messaggio e le ultime quattro cifre di un numero telefonico.

A tanti anni di distanza, c'erano ancora donne, sparse per il globo e attraverso tutti i fusi orari, ossessionate dalla voce spettrale di una bambina persa nel cyber spazio.


Il sergente Riker della Sezione Crimini Speciali non sapeva nulla delle origini di Kathy Mallory. Nessuno sapeva. Quando era entrata nella vita dell'ispettore Louis Markowitz era un essere umano completamente distrutto. Aveva dieci anni, forse undici. Chi poteva essere certo dell'età di una bambina di strada? E la sua storia apparteneva solo a lei.

La moglie dell'ispettore, Helen Markowitz, aveva lavato la bambina e, sotto la patina di sporcizia, aveva scoperto qualcosa di notevole. Separando una cascata di capelli puliti del colore dell'oro brunito, aveva portato alla luce un paio di scintillanti occhi verdi, un viso dalla bellezza dolente, sagomato da angoli e incavi delicatamente scolpiti e una bocca rossa e piena. Quell'aspetto angelico, unito all'eccezionale intelligenza di Kathy, testimoniavano un raro eccesso di generosità da parte della natura.

Quattordici anni dopo, secondo il rapporto del detective Palanski, Kathy Mallory giaceva morta su un tavolo autoptico oltre la porta.

Il sergente Riker la aprì e fu investito da una folata di aria gelida. Una pozza di luce vivida circondava la tavola di metallo, i carrelli e gli strumenti tra cui risaltavano incongruamente attrezzi da falegname, un trapano e una sega. Abbassò lo sguardo sul corpo parzialmente ricoperto da un lenzuolo.

Accanto al tavolo, con una mascherina che gli lasciava scoperti solo gli occhi, un giovane dottore stava indossando il camice verde e i guanti di gomma. Si erano già incontrati davanti ad altri cadaveri. Il medico legale fece un cenno a Riker. Poi volse la faccia verso il microfono sospeso sopra il cadavere e riprese la sua litania.

«Femmina completamente sviluppata, età approssimativa venticinque anni…»

Riker si piegò a osservare il cadavere mentre la lampada soprastante accendeva ogni singolo capello argenteo sulla sua testa e approfondiva i solchi di un viso e di un abito ugualmente stanchi e segnati.

«…ferita ed escoriazioni sul lato dell'avambraccio…»

Una ferita da difesa? Quindi c'era stata una colluttazione.

Il viso di porcellana era incorniciato da riccioli biondi. Riker lanciò uno sguardo obliquo al sangue essiccato della ferita alla testa e ai danni prodotti dal banchetto di larve e scarafaggi.

Era il viso sbagliato.

«…ferita laterale sul cranio…»

Sollevò la palpebra di un occhio sformato e ormai del tutto opaco. Quell'occhio non era verde né lo era mai stato. Riker osservò le radici della capigliatura. Non erano bionde.

Non era Kathy.

«…lunghezza del corpo 168 centimetri…»

A quella giovane donna mancavano una decina di centimetri, ma era snella, come Kathy, e aveva la stessa età.

«…le ossa delle vertebre cervicali sono rotte…»

Gradualmente Riker riguadagnò il controllo dei muscoli del viso e della gola in grado di impedire a uno sbirro scoppiato e ubriacone che in trentacinque anni di servizio ne aveva viste di tutti i colori di mettersi a piangere per la gioia. Chiuse gli occhi.

«Il detective Palanski è un maledetto idiota», disse una voce familiare alle sue spalle. Riker si voltò e si trovò di fronte al capo della Sezione di Medicina Legale. Il dottor Edward Slope si stava infilando un paio di guanti di gomma. Dal suo volto duro come una roccia e privo di espressione penzolava una mascherina chirurgica verde. Anche Slope conosceva Kathy sin da quando era piccola.

«Non si somigliano affatto.»

«Palanski è un ragazzino», disse Riker, che definiva a quel modo chiunque fosse sotto i quaranta. «E non lavora a stretto contatto con Mallory.»

«…le mani sono frantumate, non c'è perdita di sangue. La ferita è stata inferta dopo la morte…»

Riker aprì il taccuino ed estrasse la penna. Evitò di guardare la donna sul tavolo, adesso privata del lenzuolo, esposta alle luci, agli occhi degli uomini, all'aria gelida. «Il corpo è stato trovato nel parco, a quattro o cinque isolati dall'abitazione di Mallory, nella Upper West Side. La vittima indossava blue jeans e una giacca, come Mallory. C'era il suo nome sull'etichetta della sartoria.»

Il dottor Slope fissava il cadavere. «Gli occhi di Kathy Mallory sono di un verde al limite della legalità. Questi sono azzurro chiaro.» La sua voce fremeva di rabbia.

«Non deve neppure averglieli sfiorati, gli occhi», disse Riker. «Mallory lo terrorizza. Era convinto che fosse morta, e continuava a terrorizzarlo.»

«Rigor mortis in corrispondenza del collo e della mascella…»

Il dottor Slope si avvicinò al tavolo, fece un cenno del capo al patologo più giovane e afferrò una lavagnetta che pendeva da una catenella. Poi si voltò nuovamente verso Riker. «Cosa avete in mano sino a ora?»

«Coffey ha ricevuto un rapporto preliminare dalla squadra della West Side. Il medico legale che è stato sul luogo del delitto ritiene che la morte risalga a ieri mattina tra le 6 e le 9. E che il cadavere sia stato spostato entro un'ora dalla morte. Un entomologo sta lavorando sulle larve degli insetti.»

Sul taccuino di Riker era scritta un'unica parola: insetti.

Riker non aveva bisogno di guardare la donna per sapere che cosa le stessero facendo. Il giovane con la maschera e il bisturi stava praticando la prima incisione in diagonale da una spalla allo sterno, e poi sull'altra spalla, tracciando una V con la lama. Con la coda dell'occhio, Riker vide la fase successiva, il movimento verso il basso della mano armata di coltello che apriva il corpo dal petto al monte di Venere. L'odore del sangue si mescolò a quello dell'urina e delle feci. Percepì il gorgoglio dei liquidi che defluivano nei buchi ai lati del tavolo.

«Il primo detective ad arrivare sul posto è stato Palanski. Secondo lui la donna non è stata uccisa nel parco.»

«Lei cosa ne pensa, Riker?»

«Non lo so. Sugli abiti ci sono macchie d'erba. Potrebbe averla fatta fuori sul prato e poi averla trascinata dove la vegetazione è più fitta per lavorarle le mani indisturbato.»

Si udì il suono del primo organo lasciato cadere sulla bilancia. Un polmone, o forse il cuore.

Slope assentì. «Le mani sono state fracassate dopo la morte. Le ferite non hanno provocato perdita di sangue. Non credo che sarà possibile prenderle le impronte digitali.»

Il dottore estrasse una radiografia da una grande busta gialla e la sollevò, tenendola contro luce. «Il colpo alla testa è stato forte ma non mortale. Le ha spezzato il collo dopo averla stordita. Le fratture fanno pensare che l'assassino si sia servito di un oggetto contundente piuttosto pesante.»

«Un sasso?»

«Forse. Dalla direzione dei frammenti ossei, sembrerebbe averla colpita standole di fronte, con l'oggetto nella mano destra. Non ci sono lividi sulla gola. Probabilmente ha usato entrambe le mani per romperle il collo torcendole la testa. La trovo nei paraggi per il verbale?»

«Non lo so», disse Riker. «Dato che non è una dei nostri, il caso tocca a quelli della West Side. Non c'è niente che possa interessare la Crimini Speciali.»

«…segni di un aborto recente…»

L'assistente continuava a pesare gli organi. Per la terza volta si udì il tonfo freddo del tessuto molle sul metallo.

Riker teneva gli occhi inchiodati al taccuino. «Mi pare che il dottor Oberon abbia rilevato la presenza di ferite da difesa sul braccio.»

Slope prese il braccio della vittima e si chinò a esaminarlo. «No. Sembra più un'escoriazione provocata dalla stretta dell'assassino. Il bastardo deve avere le mani grandi, e forti. Ah, mi raccomando, faccia sapere a Palanski che gli aizzerò contro Mallory. Mi ha rovinato la mattina.»

Senza alzare lo sguardo dal taccuino, Riker sapeva che gli organi del busto erano stati tutti pesati ed esaminati. Il patologo più giovane si disponeva a praticare la lunga incisione che da un orecchio sarebbe giunta alla sommità del capo per poi proseguire fino all'altro orecchio. Quindi l'assistente avrebbe sollevato la pelle dal cranio e l'avrebbe abbassata sopra il viso della ragazza che non era Kathy. Compì quelle azioni rapidamente, con i gesti sicuri del macellaio. Azionò la sega. Ancora un minuto e il cervello sarebbe stato sulla bilancia. La penna di Riker svolazzava sul taccuino mentre il minuto si trascinava con lentezza. Poi tutto finì.

Era stata sventrata e svuotata.

Poiché aveva temuto che la vittima potesse davvero essere Kathy, Riker era insolitamente scosso. Fin da quando Kathy Mallory era bambina, Riker aveva avuto un debole per lei. Kathy era penetrata nelle sue parti più segrete e vulnerabili, e c'era cresciuta dentro.

Più tardi Riker avrebbe allagato la propria angoscia nello scotch, senza riuscire ad annegarla. Il giorno dopo sarebbe stata lì ad attenderlo, insieme ai postumi della sbronza. Avrebbe aperto gli occhi e disperazione e mal di testa, alleati ai piedi del suo letto, lo avrebbero catturato appena sveglio.


Per tutta la durata della sospensione dal servizio, la protuberanza della Smith & Wesson 357 non avrebbe deformato le linee eleganti dei suoi blazer di sartoria. Sarebbe potuta passare per una comune cittadina, una civile, non fosse stato per quegli occhi verdi, che di civile avevano ben poco. Si era comodamente sistemata su un divano di broccato del Settecento, in una calda chiazza di sole pomeridiano. La gamba snella fasciata di jeans era ripiegata sotto il corpo, ma la suola della scarpa da jogging non toccava il tessuto. Helen Markowitz le aveva insegnato a rispettare i mobili, fossero quelli antichi di cui era pieno il suo ufficio, con i tappeti persiani e i paralumi di vetro colorato, o quelli più spartani del Dipartimento di Polizia di New York.

«Parlagli, Mallory», le disse Effrim Wilde, che, conoscendola da quasi dieci anni, si guardava bene dal chiamarla Kathy o Kathleen.

Quando si voltò verso Effrim i suoi occhi dal taglio allungato erano aperti solo a metà. «Spero che il ragazzo non sia posseduto dal diavolo», disse. Lanciò un'occhiata a Charles. «È una cosa che detesto, davvero.»

Charles Butler sfoderò un largo sorriso. Effrim Wilde non era altrettanto divertito.

Effrim era una sagoma tondeggiante nella luce smorzata che si diffondeva dall'ampia finestra centrale. Rimpicciolito dall'imponenza delle tre finestre ad arco, faceva pensare a un chierichetto, sebbene avesse passato da un pezzo i cinquanta. Il viso di cherubino cresciutello era incorniciato da capelli ondulati, ormai più sale che pepe.

«Charles, la questione è affascinante.»

«Smettila, Effrim.»

Charles avrebbe volentieri scambiato il proprio grosso naso con quello rincagnato di Effrim. Non poteva guardare da nessuna parte senza vederlo, o senza notare l'ombra che quella sua specie di proboscide proiettava su tutti i muri. Charles non era un bell'uomo, lo sapeva. Si era da tempo rassegnato al fatto che quanti lo incontravano per la prima volta tendessero a prenderlo per un lunatico appena scappato dal manicomio, forse a causa dei suoi grandi occhi ovoidali e delle iridi che come piccole biglie azzurre roteavano in mezzo a tanto bianco, conferendogli l'aspetto di uno perennemente colto di sorpresa.

«Non ho alcuna voglia di occuparmi di certe sciocchezze», proseguì, alzandosi da una sedia Queen Anne e incombendo senza volere sull'uomo più piccolo. Charles era alto quasi due metri e per lui incombere era inevitabile.

«Non sono sciocchezze, Charles. Ho i dati…»

«Dei russi o dei cinesi? Non importa. In entrambi i casi quegli esperimenti non mi convincono, non sono stati condotti con alcun rigore. Perché non appioppi il caso a Malakhai?»

«Malakhai, quello che smaschera i finti fenomeni paranormali? Credevo che fosse morto.»

«No. Adesso è in pensione, ma non credo che il caso di un ragazzino rappresenterebbe uno sforzo eccessivo. Non verrà a costarti troppo per un quarto d'ora di lavoro, vedrai.» Charles si girò verso Mallory. «Malakhai è un vecchio amico di famiglia. Ha girato l'Europa con mio cugino Max quando faceva il mago. Naturalmente tu eri di là da venire.»

«Charles, non sono i costi a preoccuparmi», disse Effrim.

«Bene. Non che Malakhai abbia bisogno di denaro. Vuoi che gli telefoni?»

«Assolutamente no. Ogni caso di cui si è occupato in vita sua è diventato un vero circo. Io ho bisogno di discrezione. Si tratta di un bambino, un bambino con dei grossi problemi.»

«Ah sì?» Charles si sollevò sulla punta dei piedi, sorridendo affabilmente. «Credevo che stessi lisciando il padre del ragazzo perché controlla un comitato per la concessione di fondi. È in questo periodo dell'anno che l'istituto va a caccia di contributi, giusto? Io mi occupo solo di talenti concreti, quantificabili.»

«Far levitare oggetti non è un talento?» Gli occhi di Effrim rotearono pieni di incredulità.

«Effrim, sai benissimo che la storia del ragazzo è una bufala. Non fa levitare proprio niente. Ed è inutile che guardi Mallory con quegli occhi supplichevoli. Non è particolarmente sentimentale quando si tratta di bambini, vecchiette o cagnolini. Lei non crede che gli oggetti inanimati possano volare senza una causa fisica. A proposito, il termine appropriato è "psicocinesi".»

«D'accordo, d'accordo, conosci il gergo tecnico meglio di me», disse Effrim, agitando la mano in un gesto di concessione. «Terrò conto della precisazione. Grazie.»

«E se il ragazzo fa levitare del cibo, si chiama maleducazione.»

«Grazie, Charles.»

Charles osservò Effrim, che sorrise amaramente prima di emettere un sospiro afflitto, consapevole del fatto che il suo vecchio amico stava solo raccogliendo le forze prima di un nuovo attacco.

«Questo bambino è passato attraverso una fase di terribile travaglio emotivo» disse Effrim nel tono che avrebbe usato per dire: "Fratelli e sorelle, preghiamo". «Sua madre morì che aveva appena nove anni. E quattordici mesi più tardi la stessa sorte toccò alla sua prima matrigna.»

«Niente da fare, Effrim. La psicocinesi non è il mio campo.»

Effrim levò gli occhi al cielo, alla maniera dei santi emaciati della pittura del Trecento. «Il tuo campo è scoprire nuove doti e trovare il modo di applicarle, giusto? Questo bambino è un caso eccezionale. Il suo quoziente d'intelligenza è pari al tuo. E poi il caso è piuttosto urgente. L'attuale moglie di suo padre è terrorizzata. Sembra che il ragazzo abbia deciso di impiegare le sue facoltà in un modo piuttosto terrificante.»

Un braccio lungo e sottile, terminante in cinque unghie laccate di rosso, si allungò sul retro del divano mentre Mallory si riscuoteva dall'apparente stato di letargo.

«Allora il suo bersaglio è la nuova matrigna?»

Charles guardò Effrim mentre questi rivalutava mentalmente Mallory come possibile alleata, studiando una strategia su misura per lei.

«Spero proprio di no» disse Effrim con squisita ipocrisia. «Il ragazzo si diverte a far levitare oggetti affilati.»

Charles riempì di sherry il bicchiere vuoto di Mallory.

Si scambiarono uno sguardo, e in quello sguardo ebbe luogo una breve conversazione, nel corso della quale l'uomo la scongiurò di non incoraggiare Effrim.

Poi Charles offrì la bottiglia di vetro al suo buon amico di tanti anni, sulla cui onestà e affidabilità non avrebbe certo scommesso. «Effrim, se credi che il ragazzo sia traumatizzato, non sarebbe il caso di mandarlo da uno psichiatra?»

«Probabilmente no» disse Mallory, rispondendo al posto di Effrim. «Quanti psichiatri davvero in gamba ci sono al mondo? Se si tratta di un trucco e il ragazzo è sveglio come dici, uno strizzacervelli qualunque non sarebbe certo in grado di aiutarlo.»

Charles guardò nella sua direzione, con un sorriso tirato che significava: "Ti avevo pregato di non farlo".

Mallory ignorò il suo sguardo. Charles trovò curioso che lei prendesse le parti di Effrim pur nutrendo tanta istintiva diffidenza nei suoi confronti.

«Come sono morte la madre e la prima matrigna?» chiese Mallory a Effrim.

Ecco la ragione dell'interesse di Kathy. Charles avrebbe dovuto intuirlo. Era stufa di lavorare con lui. Finito il periodo di sospensione, Mallory sarebbe tornata a lavorare nella Sezione Crimini Speciali. Charles non aveva nulla da offrirle, niente cadaveri né rompicapo appassionanti quanto un omicidio.

Effrim guardò nel suo bicchiere, leggendo nello sherry la mossa successiva. «Due tragedie, due vere tragedie. La madre naturale del ragazzo morì per un attacco cardiaco. Fatto strano, visto che era molto giovane, solo ventott'anni.» Alzò lo sguardo per saggiare l'effetto dell'esca lanciata a Mallory, ma il suo volto non esprimeva alcuna emozione. La fissò negli occhi troppo a lungo e il suo sguardo lo turbò. Tornò al bicchiere e si rivolse allo sherry. «La prima matrigna si suicidò… senza lasciare un biglietto.»

Mallory sollevò leggermente il mento. Adesso gli occhi erano completamente aperti.

Charles fissò il soffitto. Ottimo lavoro, Effrim.

«Una bella dose di sfortuna per una famiglia sola» commentò.

«Per le donne della famiglia» precisò Mallory. Poi aggiunse: «Accettiamo il caso», senza curarsi di interpellare Charles neppure con lo sguardo. Non che lui avesse qualcosa da obbiettare. La faccenda del bambino avrebbe fatto sì che Mallory rimandasse di qualche tempo l'inevitabile dipartita dalla Mallory & Butler. Quando fosse stata reintegrata in servizio, mantenere un secondo lavoro le sarebbe stato impossibile, o almeno questo era quanto stabiliva la legge.

Effrim si stava avviando alla porta.

Giusto, Effrim. Colpisci e poi scappa. Niente di meglio.

Nel salutarli Effrim mise in atto il suo trucco più sbalorditivo: regalò loro un sorriso che, come quello dello Stregatto di Alice nel paese delle meraviglie, continuò a indugiare nella stanza anche dopo che lui si fu chiuso la porta alle spalle.

Mallory si alzò dal divano. «Verificherò l'esistenza di eventuali polizze sulla vita della prima e della seconda moglie a beneficio del padre del ragazzo.»

«Un momento, Mallory. Ci è stato chiesto di accertare le doti psicocinetiche del ragazzino, non di indagare sulla sua storia familiare.»

«Stai scherzando, vero?»

«Sì. Pranziamo?»

«Nel frigo non c'è niente.»

Era normale che il frigo dell'ufficio fosse vuoto. Mallory aveva affidato a lui il compito di fare la spesa. Lui aveva usato la lista per appuntarsi un paio di numeri telefonici e poi come segnalibro, ma aveva dimenticato di usarne una parte qualsiasi per la spesa.

«Andiamo da me.»

Attraversarono l'atrio che portava all'appartamento di Charles, dove l'occhiuta signora Ortega, impietosita dal pessimo rapporto che Charles mostrava di avere con i supermercati, si occupava dei rifornimenti. Quel giorno la donna delle pulizie aveva lasciato un biglietto sulla porta del frigorifero. Era una piantina della cucina con indicata la collocazione di tutte le trappole per topo da lei predisposte. Charles provò pena per il roditore che da qualche tempo frequentava casa sua.

Mallory si sedette al tavolo. La cucina era la stanza preferita di Charles. Sulle rastrelliere fissate ai muri erano allineate spezie, condimenti e strumenti per torturare gli ortaggi, affettarli, tagliarli a dadini e cuocerli nell'olio bollente. Charles posò sulla tavola tutto quanto trovò in frigo. Prelevando avanzi da vari contenitori di plastica e combinando cinque diversi tipi di formaggio, Mallory confezionò alcuni sandwich fin troppo creativi.

«Eri più felice alla Crimini Speciali, vero?» le chiese.

«Quando Markowitz era ancora vivo» rispose lei, dopo aver aperto un vasetto di sottaceti, averlo annusato e quindi approvato il contenuto con un cenno della testa. «Lavorare con Coffey non è la stessa cosa. Se torno, mi inchioda per sempre al centro informatico. Era veramente incazzato, l'ultima volta che ho visto la sua faccia. Non mi farà mai più lavorare sul campo.»

«Pensavo che la sospensione fosse solo una formalità.»

«Lo è. Quando spari a un criminale, vieni sospeso dal servizio e nel frattempo il Comitato civico di controllo esamina il caso.»

«Ma tu il rapinatore non l'hai ucciso, e lui aveva picchiato e derubato quel vecchio.»

«Coffey vede le cose sotto un'altra angolazione.»

«Allora non hai intenzione di sciogliere la nostra società?»

«No, non mi è mai passato per la mente. Ma questo non significa che non tornerò alla Crimini Speciali quando la sospensione sarà finita.»

Controllò l'orologio e andò ad accendere la piccola televisione poggiata sul bancone della cucina. Era l'ora del notiziario, e Mallory voleva tenersi aggiornata sui crimini che si verificavano in città.

«Credevo che il Dipartimento di Polizia vietasse agli agenti di avere un doppio lavoro.»

«Precisamente.» "E allora?" domandarono provocatoriamente le sue sopracciglia, inarcandosi.

Il telegiornale riferiva della carneficina quotidiana mostrando le immagini dell'Orologio della Morte di Times Square. Mentre il commentatore parlava, il numero delle morti per arma da fuoco degli Stati Uniti cresceva a ritmo vertiginoso sotto gli occhi di orde di automobilisti, di pedoni e di milioni di telespettatori.

«Odio quell'affare» disse Mallory, osservando l'avvicendarsi delle cifre sull'orologio.

«Mallory, mi sorprendi. Pensavo che apprezzassi questo approccio matematico alla morte per omicidio. Rende tutto così pulito ed efficiente.»

Mallory non replicò. Il suo volto si trasformò in una maschera gelida che indusse Charles a tacere a sua volta. Aveva sbagliato. Comprendere e anticipare le reazioni della sua socia era impossibile. Quel che le accadeva dentro era un mistero attorno al quale lui non riusciva a smettere di arrovellarsi.

Charles fissava il televisore, ma pensava all'ufficio in cui Mallory custodiva i suoi pericolosi giocattoli informatici. Indubbiamente, conservare la società aveva i suoi vantaggi per Mallory. Le permetteva di dedicarsi a una delle sue attività preferite fuori dal controllo di quanti nella sua attrezzatura avrebbero visto l'equivalente elettronico degli attrezzi di uno scassinatore.

«La notizia è appena pervenuta» disse lo speaker, riportando la mente di Charles in cucina e al momento presente. Sullo schermo televisivo era apparsa la faccia di Mallory.

«Un ufficiale di polizia è stato assassinato a Central Park. La vittima è il sergente Kathleen Mallory, figlia dello scomparso ispettore Louis Markowitz, morto in servizio nell'adempimento del suo dovere. Durante lo svolgimento delle indagini i particolari relativi all'omicidio non saranno resi pubblici.»

Charles guardò la Mallory viva, solida e tridimensionale che aveva di fronte come se avesse bisogno di verificarne l'esistenza. Nessuno dei due parlò.

Un po' di zapping confermò che anche gli altri telegiornali stavano dando la notizia della morte di Kathy.

Il telefono e il campanello della porta trillarono contemporaneamente. Le prime chiamate di condoglianze, pensò Charles. Mallory andò alla porta mentre lui sollevava il ricevitore.

«Pronto?»

«Charles, sono Riker. Non ascolti mai i messaggi in segreteria?»

«Riker, è per la notizia della morte di Mallory?»

«Sì» disse Riker. «Ti chiamo dall'ufficio del medico legale. Sono ore che cerchiamo inutilmente di rintracciare Mallory. È lì da te? Ti spiacerebbe passarmi la cara salma?»

Mallory tornò in cucina, seguita dalla dottoressa Henrietta Ramsharan dell'appartamento 3A. I morbidi capelli scuri di Henrietta erano sciolti sulle spalle. Indossava un paio di vecchi jeans e una camicia di denim. Nei suoi occhi c'era la confusione che chiunque proverebbe nel vedersi aprire la porta da un morto.


Il tenente Jack Coffey sedeva alla sua scrivania, nell'ufficio dell'ispettore Markowitz. Nonostante Louis Markowitz fosse morto, sarebbe per sempre rimasto il capo della Sezione Crimini Speciali, e quello sarebbe sempre stato il suo ufficio. Jack Coffey ringraziava il cielo che lo stipendio non fosse intestato al vecchio. Ma in quel momento stava pensando alla figlia di Markowitz, Kathleen Mallory.

Il rapporto di Palanski giaceva sulla sua scrivania, circondato da informazioni preliminari sul luogo del delitto inviate per fax dai colleghi del distretto della West Side. Sui fax le foto apparivano buie, ma i capelli chiari risaltavano attraverso le ombre sgranate, e così il profilo del corpo sottile, i jeans, le scarpe da jogging e il blazer dalla linea familiare. Per completare il rapporto mancava soltanto l'identificazione definitiva da parte di un amico della vittima.

Il sergente Riker sarebbe crollato dopo questa storia. La morte di Markowitz era stato un duro colpo. Quella di Mallory sarebbe stato troppo.

Coffey spense la lampada e, nonostante avesse solo trentasei anni, nell'alzarsi in piedi si aggrappò al tavolo come un vecchio.

Fissando la bacheca dei comunicati sul muro in fondo all'ufficio, si chiese se un po' d'acqua sulla faccia non lo avrebbe fatto sentire meno esausto.

Quale bastardo poteva essersi avvicinato a lei tanto da colpirla in quel modo? Nessuno. Non poteva essere.

Ma la prova era sul suo tavolo, nero su bianco, e il suo volto grazioso era su tutti i canali della televisione. Quando avesse trovato il poliziotto responsabile della soffiata ai media, una testa sarebbe saltata.

Ah, Mallory.

Se solo avesse potuto riaverla per qualche minuto, avrebbe subito volentieri il suo sarcasmo, lo sguardo duro e affilato con cui pareva tranciare di netto le palle di quanti osavano preoccuparsi per lei.

"Coglione", avrebbero detto i suoi occhi. Gli sembrava quasi di vederla, là, in piedi. Immaginò persino di sentire il suo profumo. Era ora di tornarsene a casa, alla sua bottiglia. Si voltò.

«Oh, Cristo!»

Si aggrappò al telaio della porta e lo mancò. Al secondo tentativo riuscì ad afferrarsi a qualcosa di solido: la sedia. Il suo stomaco ebbe un violento soprassalto.

Sulla porta c'era Mallory. I suoi capelli dorati erano illuminati dalle luci degli ufficiralle sue spalle, e dietro di lei avanzava Riker, il volto disfatto, sbiadito.

«Lo so» disse Mallory. «Hai pensato che fossi io all'obitorio.»

«Be', Mallory» disse Riker. «Il tenente ha sentito che eri morta, ma sapeva che i tipi come te tornano sempre, dopo il tramonto.»

Riker lanciò il suo rapporto sulla scrivania. Macchie di cibo e di una qualche bevanda ne adornavano la prima pagina.

Coffey fissò il rapporto, sforzandosi di ritrovare la voce mentre sedeva alla sua scrivania e stirava le gambe smisuratamente lunghe. Riker trascinò un'altra sedia fino alla scrivania, estrasse il taccuino e si sporse ad accendere la lampada. Sul muro alle loro spalle, Mallory proiettava l'ombra rassicurante di una donna viva.

Coffey sprofondò nella sedia. Si teneva una mano sullo stomaco, nel vano tentativo di domare le viscere sconvolte. «La vittima indossava una giacca di cashmere marrone che era stata cucita per te, Mallory.»

Riker consultò il taccuino e annuì. «È stato confermato dal tuo sarto, sulla Quarantaduesima strada. Secondo il rapporto di Palanski, sei la sua cliente più… memorabile.»

«Sei in grado di spiegare quel blazer?» Rilassati, si disse Coffey. Non stai interrogando una sospetta. Ammorbidi il tono e aggiunse: «È l'unica traccia che abbiamo».

«Troverai una bruciatura provocata dalla sigaretta di Riker sulla manica sinistra» disse Mallory, con un tono che di morbido non aveva nulla. «Per questo me ne sono disfatta.»

«L'hai buttato?»

«No. L'ho dato ad Anna Kaplan, la moglie del rabbino Kaplan. Raccoglie indumenti per i senzatetto.»

Coffey abbassò lo sguardo sul rapporto di Riker e lesse attraverso le macchie di sugo. «Secondo il rapporto del medico legale questo è il corpo di una donna ben sviluppata, di età compresa tra i venti e i trent'anni. Nessuna indicazione che fosse una senzatetto, niente pidocchi né cimici.»

«E allora?» Mallory si strinse nelle spalle. «Parla con Palanski. Chissà quante altre cantonate ha preso, oltre al piccolo errore nell'identificazione del cadavere. Cos'abbiamo sinora?»

Mallory stava entrando in azione. Grande ammiratore del suo intuito, Coffey si chiese come potesse riaccoglierla in squadra senza dare l'impressione di dargliela vinta. Scorse le righe del rapporto di Riker.

«Sappiamo che ha subito un aborto negli ultimi dieci giorni. La ferita alla fronte è stata provocata da un colpo diretto. L'assassino le stava davanti. Potrebbe significare che fra loro esisteva un legame di qualche tipo, che i due si conoscevano. A parte questo, non abbiamo niente» disse Coffey. «Niente testimoni, niente arma del delitto.»

«Ieri mattina pioveva» disse Riker, picchiettando il ripiano della scrivania di Coffey col fascicolo del primo rapporto sull'omicidio. «La pioggia ha cancellato qualunque traccia. L'arma potrebbe essere stata una pietra, e quella pietra ora è in fondo al lago, se l'assassino ha un briciolo di cervello. Sempre che la donna sia stata uccisa nel parco. Sappiamo che il corpo dopo la morte è stato spostato.»

«Dal momento che la vittima non è uno dei nostri» disse Coffey «se non hai niente da aggiungere al rapporto, stasera lo consegno a quelli della West Side.»

Mallory sedeva apparentemente rilassata, gli occhi semichiusi. «Senza impronte, ci vorrà un mese prima che identifichino il corpo, forse di più, o forse non ci riusciranno mai. Passerà tra i casi non urgenti. Se il parco è semplicemente il posto in cui il corpo è stato scaricato, non troveranno mai il vero luogo del delitto.»

«Immagino che tu sapresti fare di meglio, e in molto meno tempo.» Era evidente che era esattamente ciò che Mallory stava pensando.

«Vuoi che te lo dimostri?»

«Voglio che tu riprenda a lavorare al centro informatico.»

«Sono ancora sospesa dal servizio e sto considerando un'offerta migliore.»

Mallory si alzò dalla sedia. Un istante dopo era fuori dalla stanza.

«Sai che ha ragione» disse Riker, sporgendosi a controllare che Mallory non fosse a portata d'orecchio. «Quelli della West Side faranno un buco nell'acqua. L'assassino la farà franca.»

«Non posso farci nulla.»

«Assegna il caso a Mallory.»

«È un'esperta di analisi criminologiche e informatica, le sue mansioni non prevedono il lavoro sul campo.»

«Ma lo ha fatto. Ha lavorato sul campo in passato.»

«Non ufficialmente, e solo perché ero a corto di uomini. Se vuole che sia ufficiale, deve fare richiesta scritta, seguire la trafila burocratica e lavorare per qualche tempo con un collega. Il fatto è: chi resisterebbe a lavorare con lei? E poi dimentichi che il caso in questione non è di nostra competenza.»

«Be', tecnicamente è ancora sotto la giurisdizione della Crimini Speciali. Perché non affidarlo a Mallory? Daglielo, chiudi un occhio e non farle troppe domande.»

«Come faceva Markowitz?» Quando lei infrangeva sei leggi al minuto, infiltrandosi nei sistemi informatici di mezzo mondo, preferendo scorciatoie illegali alle procedure che portano via troppo tempo e facendo a meno dei mandati. Dimostrandosi insostituibile. «Dovrei lasciare che gestisca il suo Dipartimento di Polizia privato? È questa la tua idea, Riker?»

«Sì.»

«Markowitz non voleva che lavorasse sul campo. Tanta era la sua ansia di proteggerla che se fosse dipeso da lui avrebbe fatto imbottire i muri di quel maledetto centro informatico. La imboccava con tutti i particolari di un caso…»

«Ho sempre pensato che sbagliasse.» Riker si accese una sigaretta senza chiedere a Coffey se gli desse fastidio.

A Coffey dava fastidio, ma lasciò correre.

«Lavorando sul campo avrebbe imparato di più» disse Riker soffiando una nuvola di fumo bluastro. «Anche se, a onor del vero, Mallory ha dimostrato di sapersela cavare nelle situazioni più difficili. È uno spreco tenerla chiusa al centro informatico.»

«È stata sospesa proprio perché ho permesso che ne uscisse.»

«Mallory ha fatto bene a sparare.»

«Sai benissimo come la vedo, Riker. Se avesse sparato per uccidere quel criminale, non sarebbe andata incontro ad alcuna sospensione. Mallory voleva giocare con lui.»

«È questo che pensano gli idioti del Comitato civico?»

«Il Comitato l'ha lodata per aver limitato l'uso della forza a un colpo teso a disarmare il delinquente. Ma sono civili, non sanno un accidente delle nostre regole, delle nostre responsabilità. È a me che quello sparo non va giù. Quello le teneva una pistola puntata contro. L'unica cosa sensata da fare era ficcargli la pallottola nel cuore. Ma se si fosse limitata ad ammazzarlo, che ne sarebbe stato del suo divertimento?»

Non trovi niente da ribattere, eh, Riker?

Coffey si assegnò mentalmente un punto. «Ho un mucchio di casi arretrati, e lei non è sostituibile al centro. È tutto.»

Coffey sparpagliò le carte sulla scrivania, quindi chinò la testa per leggerle. Se Riker fosse stato un essere umano normale, di fronte a quel gesto di congedo se ne sarebbe andato. Invece non si mosse. Coffey alzò la testa. «Riker, raggiungi Mallory e dille che il suo periodo di sospensione è terminato».

Riker fece segno di sì con la testa, senza troppa fretta di eseguire. «Se non dai a Mallory qualcosa di più interessante su cui lavorare se ne andrà» disse, esalando le parole insieme al fumo per economizzare le forze. «Continuerà a lavorare alla società di consulenza, con Charles.»

«La faccenda del doppio lavoro è assolutamente illegale, e deve finire, altrimenti le ritirerò il distintivo» disse Coffey, volendo sperimentare l'effetto di quella minaccia (nient'altro che un bluff) su Riker, prima di rivolgerla a Mallory.

«Non riuscirai a spaventare Mallory.»

Detestava ammettere che Riker aveva ragione. Se il Dipartimento avesse deciso di far rispettare il regolamento contro il doppio lavoro, a guardia della città non sarebbero rimasti più di tre poliziotti.

«Ti stai offrendo volontario per farle da balia, Riker?»

«Mallory non ha bisogno di me. Non ha bisogno di un solo essere umano su tutto il pianeta. Era così fin da bambina, un piccolo alieno completamente autosufficiente…»

«Pensavo che Markowitz fosse tuo amico, Riker. Come la prenderebbe se sapesse che sei qui a insistere perché sbatta la sua bambina in prima linea?»

«Se non fosse stata sua figlia, l'avrebbe usata nel modo giusto. Non avrebbe avuto pietà.»

Riker fece cadere la cenere sul tappeto. Il suo posacenere era il mondo intero.

«Perché dovrei affidarle questo caso? L'assassino ha colpito con violenza brutale. Probabilmente è uno psicopatico.» Coffey sollevò la foto dell'obitorio e Riker voltò la faccia per non vedere. «Prima le fracassa il cranio e poi le ruota la testa di centottanta gradi fino a spezzarle il collo. Mallory come potrebbe…»

«Se quello che temi è che gli spari a una mano, credo che abbia imparato la lezione.» Riker alzò la testa arruffata per fissare Coffey con intensità.

«Dalle una possibilità.» Poi si strinse nelle spalle per dimostrare che in ogni caso l'intera faccenda rivestiva per lui un'importanza relativa.

Coffey seppe allora che per Riker l'intera faccenda era di estrema importanza.

«Se anche le assegnassi il caso, non avrebbe in mano alcun indizio significativo. Roba da non sapere da che parte cominciare.»

«È proprio questo che le piace» disse Riker. «Quando hai parlato dell'assenza di indizi, i suoi occhietti da mostro si sono accesi come candele verdi. A volte guardandola si è tentati di credere all'esistenza dell'inferno.»

«L'unica cosa che possiamo dedurre sul conto dell'assassino è che rappresenti un pericolo per le donne e tu vuoi che io affidi il caso proprio a Mallory.»

Ottima idea. Dai alla piccola un pazzo pericoloso perché alleni i dentini.

«È perfetta per questo caso.»

«Come fai a saperlo?»

Mentre Coffey aspettava la risposta, abbassò lo sguardo sul verbale nel registro e prese una matita per siglarlo. Riker scivolò in fondo alla sedia e appoggiò i piedi sulla scrivania. La matita si spezzò tra le dita di Coffey.

«Sai» disse Riker con voce strascicata, soffiandogli in faccia un'altra boccata di fumo, «fin da quando Mallory era piccola, Markowitz ne era molto orgoglioso. Diceva sempre che non era da tutti avere per figlia una mina vagante.»

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