Capitolo Terzo

22 dicembre


Riker salì le scale della clinica veterinaria e arrivò in una sala d'aspetto che aveva le dimensioni di un auditorium, immersa in una cacofonia di latrati, miagolii e cinguettii. Dalle file di sedie si levava l'odore tipico dei negozi di animali, mescolato a quello di detergenti. I proprietari degli animali sussurravano parole di consolazione in risposta ai versi che provenivano dalle rispettive gabbiette. Altri stringevano forte i guinzagli trattenendo i cani, che altrimenti avrebbero messo a soqquadro la stanza. Quella gente, almeno un centinaio di persone, aveva tutta l'aria di amare davvero gli animali.

Cosa ci faceva Mallory in un posto del genere?

Alla sua destra e alla sua sinistra c'erano le uniche sedie libere della sala.

Il gatto che aveva in grembo stava tentando di leccarle la faccia. Mallory fissò l'animale negli occhi. Il gatto interpretò correttamente quello sguardo e si raggomitolò sui jeans di Mallory, abbassando un orecchio lacero, dalla punta mozza.

I proprietari di uccelli e cani lanciavano sguardi nervosi verso la coppia, seccati perché il gatto di Mallory non fosse nella gabbietta regolamentare.

Riker rimase a osservarla per un altro minuto. Era chiaramente infastidita dal contatto con l'animale, il cui ronfare compiaciuto era udibile a quattro file di distanza. In quel momento la testa di Mallory ruotò lentamente finché i suoi occhi non trovarono quelli di Riker.

Gli rivolse un cenno della testa. Passò accanto a un cane e a un pappagallo, a un altro cane, a una lucertola e a diverse sedie vuote per andare a sedersi accanto a lei.

Guardò il gatto, che guardava solo Mallory. «Ti illudi che il Dipartimento pagherà il conto del veterinario?»

«Per forza. Il gatto è un testimone oculare.»

«Molto spiritosa.»

«Il gatto conosce l'assassino, e l'assassino conosce il gatto.»

«Riesci sempre a sorprendermi, piccola.»

I suoi occhi gli intimarono: "Non chiamarmi piccola".

«Coffey non è entusiasta dello scambio di appartamenti che hai organizzato. Sarebbe stato meglio parlargliene prima.»

«Dove abito non sono affari suoi.»

«Coffey non ha tutti i torti. Amanda Bosch aveva la tua età, il tuo stesso tipo fisico, anche se era po' più bassa. Ci sono buone probabilità che l'assassino si accorga di te.»

«Lo so.»

Il viso di Mallory si mosse insieme a quello del gatto. Due paia di occhi obliqui lo fissarono.

«Che nome usi?»

«Il mio.»

«Rischioso, no? Il tuo bel visino è comparso alla televisione, si è parlato di te come dell'agente Mallory, morta assassinata. È probabile che lui ti abbia vista. Se non ti ha visto, qualcuno glielo dirà.»

«Bene. Aspetta solo che veda il gatto.»

«Non sai chi è. Se decide di farti del male non avrai difesa.»

«Il nostro uomo non è esattamente un infallibile genio del male. Di computer, per esempio, ne sa meno di una segretaria. È un bugiardo che è stato smascherato. Ed è il tipo che si fa prendere dal panico.»

Si chinò verso la borsa di tela ai piedi della sedia e ne estrasse una cartelletta di cartoncino marrone chiaro. «Questo è l'elenco degli inquilini, corredato di qualche informazione sul loro conto.»

Riker prese la cartelletta e l'aprì, emettendo un leggero fischio di ammirazione mentre scorreva i nomi delle compagnie di carte di credito, delle società di assicurazione e degli istituti finanziari di cui gli inquilini del Coventry erano clienti. Questo spiegava gli occhi rossi di Mallory: aveva trascorso la notte al computer, infiltrandosi in innumerevoli banche dati. Probabilmente si era dedicata anche al romanzo che aveva estratto dal computer di Amanda Bosch, cinque o seicento paginette che aveva evitato di menzionare nell'inventario dell'appartamento.

Come era riuscita ad accedere ai file riservati dell'esercito americano? A lui occorreva almeno una settimana per riuscire a ottenere i fascicoli personali.

«A che ti servono i registri del servizio militare?»

«Contengono una serie di dati essenziali. Altezza, gruppo sanguigno, eccetera.»

«Peccato che noi non abbiamo niente che ci permetta di identificare il gruppo sanguigno dell'assassino.»

«Lui non lo sa. Ha meticolosamente pulito l'appartamento con tutto ciò che conteneva, compresi gli oggetti più assurdi. Non dorme la notte chiedendosi che cosa possa aver tralasciato…»

Stava guardando un elenco di nomi, più di quaranta dei quali erano stati cancellati a penna.

«Perché li hai cancellati?»

«La maggior parte non raggiunge l'altezza richiesta. E ho cancellato tutti gli uomini e le donne single. Più il tizio sposato che ha fatto fortuna come creatore di sofisticatissimi software: lui dovrebbe sapere che recuperare un file cancellato è un gioco da ragazzi. Ho cancellato gli appartamenti di proprietà di società occupati da inquilini di passaggio che si fermano solo per qualche giorno. Il nostro assassino vive qui. Infine ho cancellato gli appartamenti sfitti. Quelli che restano hanno caratteristiche compatibili con quelle dell'assassino».

«E questo scrittore, Eric Franz? È un single, giusto?» Sollevò il fax che riportava le statistiche degli incidenti stradali, aggiornato agli ultimi giorni di novembre. «Sua moglie è morta più di un mese fa.»

«La relazione con la Bosch è cominciata prima. Circa un anno fa, non ti ha detto così la signora Farrow? E la Bosch era incinta da più di tre mesi quando ha abortito.»

Un pastore tedesco dall'aspetto famelico avanzò di tre file in direzione di Mallory e del gatto. La proprietaria, un'anziana signora, tirò il guinzaglio e piantò i talloni nel linoleum per costringere il cane a fermarsi.

«Qualche sospetto in particolare?»

«Sì. Accanto ai loro nomi ho messo degli asterischi. Quattro non hanno orari di lavoro regolari. Sarebbero stati liberi di passare dei pomeriggi con Amanda.»

Il pastore tedesco riprese l'avanzata, trascinando lentamente la sua padrona con sé. Riker e Mallory si scambiarono uno sguardo.

«Se spari al cane è meglio che spari anche alla padrona. Anche se al questore Beale non piacerà.»

Sembrava che il gatto non avesse mai visto un cane prima di allora.

Nose sedeva docile in grembo a Mallory, blandamente interessato al grosso animale che mostrava un gran desiderio di saltargli addosso. Riker riprese la lettura dei documenti contenuti nella cartellina. Mallory aveva messo un punto interrogativo accanto al nome di Harry Kipling. Un appunto a matita diceva: "Legami con la Kipling Electronics?".

Quel nome poteva procurare qualche noia a Coffey. I pezzi grossi erano i peggiori. Non restava che augurarsi che Kipling risultasse essere un mago dell'informatica, e venisse così automaticamente escluso dal novero dei sospetti. «Dove hai trovato il gruppo sanguigno di Kipling? Il suo nome non figura sui registri del servizio militare.»

Lo guardò per un momento, e Riker comprese che i file del sistema ospedaliero cittadino non dovevano essere più difficili da violare di quelli dell'esercito degli Stati Uniti.

«Merda» disse Riker. Stava fissando altri due nomi di pezzi grossi nell'elenco. Uno era stato nominato di recente alla Corte Suprema, ed era in attesa della ratifica da parte del senato. L'altro nome era quello di un importante reporter televisivo titolare di un talk show pomeridiano. Oltre ai loro, altri due nomi erano contrassegnati da un asterisco.

Quando alzò di nuovo lo sguardo, il pastore tedesco impazzito era sul punto di spiccare un balzo verso il gatto. Una delle lunghe gambe di Mallory era flessa, pronta a sferrare un calcio micidiale.


Dietro la porta chiusa dell'ufficio di Charles si stava svolgendo una conversazione pacata. Mallory depose la grande borsa di tela sulla scrivania della stanza vicino all'ingresso. Il gatto uscì dalla borsa e si strofinò sul suo braccio mentre lei apriva il cassetto per controllare i messaggi sulla segreteria telefonica.

Charles era contrario a mescolare apparecchiature moderne con pezzi d'antiquariato, così lei aveva fatto in modo di nascondere le prime alla sua vista. Per lo stesso motivo Charles non sapeva nulla del sistema d'allarme che lei aveva installato.

Allontanò il gatto, schiacciò il bottone e udì la voce di Coffey che diceva: «Voglio parlarti appena rientri a casa. È chiaro, Mallory?».

Ma certo.

Un urlo di donna si levò oltre la porta dell'ufficio di Charles. Il gatto, spaventato, ebbe uno scatto.

Mallory aprì la porta e fece irruzione nell'ufficio del suo socio con la pistola in pugno mentre una voce maschile diceva: «Justin, non farlo!».

L'unica donna nella stanza respirava in fretta, come se stesse facendo un esercizio di iperventilazione. Aveva gli occhi fuori dalle orbite e le scapole quasi al livello delle orecchie. Era pallida in viso e tremava violentemente, salvo le mani, aggrappate ai braccioli della poltrona come quelle del pilota di una navetta spaziale pronta al lancio.

L'uomo ululava: «Per l'amor di Dio, Sally, torna in te. È solo una maledetta matita!».

«Sembra che tu le piaccia, Sally» disse il ragazzo che sedeva nel mezzo. «Perché non le dai un nome e non la porti con te a passeggio nel parco?»

«Ora basta!» disse l'uomo al ragazzo.

Mallory guardò la matita che giaceva in grembo alla donna senza riuscire a notare niente di sinistro. Ma la donna la fissava come se fosse un serpente a sonagli.

Mallory si girò. Aveva avvertito una lieve vibrazione alle sue spalle, e in quel momento vide il vaso dondolare precariamente sul bordo della libreria. Il vaso cadde. Mallory riuscì ad agguantarlo a pochi centimetri dal pavimento.

L'uomo riprese a sbraitare contro il ragazzo. «Justin, ti ho detto di piantarla!»

Il ragazzo si girò per guardare da sopra la spalla il vaso nella mano di Mallory e la pistola che rientrava nella fondina. La donna che aveva paura delle matite si stava coprendo la bocca con la mano. Solo Charles non pareva agitato. Guardava la scena con aria tranquilla.

«Non sono stato io» disse il ragazzo.

«Non ha fatto cadere lui il vaso» confermò Charles. «Sotto questo edificio passano treni della metropolitana in continuazione. A volte le vibrazioni fanno muovere gli oggetti. E quel vaso si trovava molto vicino al bordo.»

Mallory era in piedi alle spalle della famigliola e fissava il socio con manifesta incredulità. Le mani giunte dietro la nuca, Charles sedeva comodamente nella sua poltrona e le sorrideva come se settemila dollari di terraglia del V secolo non fossero stati sul punto di andare in frantumi.

«Non sono stati i treni a far volare la matita» disse l'uomo in un tono piatto che sottintendeva la scarsa intelligenza di Charles.

«Signor Riccalo, posso presentarvi la mia socia, Mallory?»

Mallory avanzò fino alla scrivania e si voltò verso la famigliola. Mentre Charles procedeva con le presentazioni, lei si mise a esaminare per primo il ragazzo.

I capelli biondi di Justin Riccalo erano impomatati e pettinati all'indietro, e le labbra dischiuse mostravano due incisivi superiori sporgenti. L'effetto complessivo era quello di un coniglio bagnato con le efelidi. All'apparenza si sarebbe detto un undicenne. Uno scolaro non troppo dotato, con un astuccio di plastica nel taschino della maglietta, dentro il quale erano allineate penne e matite. Batteva i piedi sul pavimento, evidentemente ansioso di andarsene. Gli occhi blu elettrico danzavano a un ritmo frenetico, scandito da una serie di impliciti "Là cosa c'è, qua cosa c'è, sul soffitto cosa potrebbe esserci?".

Sally Riccalo, la bruna emotiva, fu presentata come la matrigna di Justin. Mallory era quasi in grado di udire la tensione ronzare attorno al corpo sottile della donna, come se fosse collegato a una presa elettrica. La signora Riccalo adesso era appollaiata sul bordo della poltrona, gli occhi castani spalancati supplicavano "non fatemi del male" a tutti quelli che incrociavano il suo sguardo.

Il padre, Robert Riccalo, era un pezzo d'uomo. Un ex militare, come era evidente dai capelli quasi rasati e dalle spalle quadrate. Stava sull'attenti anche da seduto.

Quando il ragazzo guardava in viso la matrigna, il collo gli si allungava e dagli occhi trapelava un'ironia tinta di cattiveria. Le labbra erano percorse da un tremito nervoso. Il padre mise una mano sulla spalla esile del ragazzo. Quando Justin guardava suo padre, la testa sembrava ritrarsi all'indietro come quella di una tartaruga. E gli occhi azzurri danzavano sui ritmi alternati del divertimento e della paura.

Il ragazzo alzò il viso verso Mallory, dando inizio a una muta cospirazione di sguardi. "Ti conosco", diceva ciascuna delle due facce all'altra, sebbene lei e il ragazzo non si fossero mai incontrati. Gli occhi di Charles passavano dall'uno all'altra, chiedendo "Un momento, mi sono perso qualcosa?".


Fu fissato un altro appuntamento per il giorno seguente, e la famigliola si avviò alla porta in fila, il padre in testa. Quando la porta esterna dell'ufficio si chiuse alle loro spalle, Mallory si girò verso Charles con il vaso in mano.

«A proposito di quei treni…»

«Non è l'originale. È una copia. Sono stati davvero i treni. Ho sistemato io il vaso in modo che cadesse.»

Andò alla libreria e raccolse un fiammifero da cucina. «Con questo fiammifero. L'ho sistemato in modo che aumentasse la suscettibilità del vaso alla naturale forza di gravità. La minima vibrazione lo avrebbe fatto cadere. Mi chiedevo come l'avrebbe presa il ragazzo.»

«E allora?»

«La reazione di Justin dimostra che ha dei buoni riflessi. Ma ha negato ogni responsabilità a proposito della matita e del vaso. È strano. Insiste col dire che lui non sta facendo niente. Non è coerente con il profilo del soggetto psicocinetico medio.»

«Quindi?»

«Be', la cosa rende tutto più interessante. Forse non è lui a far muovere gli oggetti. In ogni caso non sembrava spaventato. Come se fosse abituato a vedere oggetti volare per casa, e ne fosse quasi annoiato.»

«Bene. Prova a cavarne fuori qualcosa prima che anche la moglie numero tre ci rimanga secca, d'accordo?» Mallory andò alla scrivania dell'altra stanza e si chinò sulla borsa di tela.

Il gatto fece capolino da dietro la scrivania, i baffi tesi, saggiando l'aria per controllare la presenza di urla e altri rumori fastidiosi. Rassicurato, uscì dal suo nascondiglio e alzò lo sguardo verso Charles, inclinando la testa da un lato come se l'orecchio bendato portasse tutto il peso da quella parte.

«Ciao» disse Charles, chinandosi per coccolarlo. Il gatto gli sgusciò tra le mani. Aveva occhi solo per Mallory. Si sfregò contro la sua gamba, e lei lo spinse via.

«Il gatto è un testimone oculare. Ridi e ti sparo.»

«Cosa si è fatto all'orecchio?»

«Non sono stata io. Puoi tenerlo per una notte? Oggi faccio cambio di appartamento con i Rosen. Non posso riportarlo a casa mia.»

«Naturale.»

Mallory estrasse dalla borsa di tela la lettiera del gatto e due scatolette di cibo. «Si chiama Nose. Ti chiedo solo di tenerlo fuori dal mio ufficio. Non voglio peli sui miei computer.»

«Lo porterò a casa mia.»

«Grazie. Allora, a parte gli oggetti volanti, com'è andato il colloquio? Chi di loro è il responsabile, se non è il ragazzo?»

«Non lo so.»

Mallory estrasse una cartellina dalla borsa.

«La prima signora Riccalo è morta per un attacco di cuore. Adesso che ho visto il marito, capisco che doveva essere vittima di un forte stress. Ecco l'incartamento dell'ospedale.»

Glielo porse e lui esitò come cercando di decidere quanto sporco potesse essere.

«L'hai rubato, vero?»

«Vero» disse lei. «Ma questo no.»

Il secondo incartamento che gli porse aveva sulla copertina il timbro del Dipartimento di Polizia di New York. Charles scorse il rapporto dettagliato sul suicidio della seconda moglie di Robert Riccalo. Era lungo tre pagine. «Per la polizia si è trattato di suicidio, nessun riferimento a circostanze sospette o…»

«Io non sono affatto sicura che si sia suicidata.»

«Perché?»

«Quando si analizzano i dati relativi ai suicidi, si scopre che a saltare dalla finestra sono in maggioranza uomini. Le donne che scelgono di togliersi la vita di solito preferiscono sistemi più… puliti. Non ha lasciato alcun biglietto. Generalmente alle donne piace fare le cose per bene con i loro cari, prima di andarsene.»

«Le prime due signore Riccalo avevano qualcosa in comune?»

«Lavoravano entrambe e avevano una normale assicurazione sulla vita garantita dai rispettivi datori di lavoro. Ma questo non significa che non potesse esserci una polizza integrativa, magari due. Ci sto ancora lavorando. Anche Sally Riccalo è assicurata presso l'impresa finanziaria dove lavora come analista di sistema. Secondo il suo curriculum vitae, lei e Robert Riccalo lavoravano per la stessa società dieci anni fa, quando la prima signora Riccalo era ancora viva. Interessante, non credi?»

«Ci hanno sottoposto un caso piuttosto semplice riguardante alcuni oggetti volanti. Non credi che ipotizzare un omicidio sia quanto meno prematuro? Immagino che il beneficiario dell'assicurazione fosse…»

«Robert Riccalo. Che è il beneficiario della polizza anche nel caso della moglie numero tre.»

«È normale che il beneficiario sia il coniuge.»

«Già, anche se più spesso è la moglie a riscuotere. Ricapitolando, abbiamo un attacco di cuore, un suicidio e la moglie numero tre sul punto di esplodere. Tante scene per una matita. Quali altri oggetti hanno minacciato la sua incolumità ultimamente?»

«Vediamo. Un paio di forbici, qualche pezzo di vetro.»

«Qual è la reazione del padre?»

«Rabbia, incredulità.»

«Eppure ha accusato il ragazzo di aver mosso il vaso.»

«La matrigna è l'unica a credere nel paranormale. Probabilmente Riccalo pensa che il ragazzo metta in atto dei trucchi.»

«Uno di loro lo sta facendo, questo è poco ma sicuro. Sei sicuro che sia stata la tua matita a volare verso di lei?»

«Scusa?»

«Charles, sei un'offesa alla memoria di Max Candle.»

«L'arte dell'illusione non è un fatto genetico. Avere un mago nell'albero genealogico non garantisce lo stesso talento al resto della stirpe.»

«Accidenti, c'è un intero negozio di magia nel tuo scantinato. Potresti far volare un elefante con quell'attrezzatura.»

«Non esattamente. Max eseguiva alcuni geniali giochi di prestigio, ma la sua specialità era sfidare la morte. Solo Malakhai sapeva davvero far muovere le cose attraverso l'aria, e non parlo di matite. Un tempo era il più grande.»

«Malakhai? Lo smascheratore?»

«Be', in realtà smascherare le frodi pseudo-paranormali è diventato il suo interesse principale solo dopo il ritiro dal palcoscenico. Prima che tu nascessi, Malakhai faceva un numero con la moglie morta… Sembri scettica. No, veramente. Era la sua assistente.»

«La sua assistente morta?»

«Sì. Da viva era una compositrice e una musicista.»

«Cos'ha fatto, l'ha imbalsamata?»

«No, non è mai comparsa in pubblico in carne e ossa. Era sempre sottinteso che ci fosse, e tuttavia che non fosse lì… morta ma non interamente scomparsa dalla faccia della terra, se capisci quello che voglio dire. Bene, una volta che il pubblico si abituava all'idea che lei non era solo invisibile ma era morta, gli oggetti più disparati cominciavano a fluttuare nell'aria mentre lei glieli passava…»

«Mmm… un match perfetto per la nostra famiglia delle matite volanti.»

«Ogni volta che qualche impostore vanta capacità paranormali, Malakhai arriva e sventa l'ennesima truffa.»

«Stai pensando di consultarlo per questo caso?»

«No. Malakhai adesso ha più di settant'anni. Lui e Louise vivono in tranquilla solitudine. Meglio non disturbarli.»

«Louise?»

«La defunta consorte. Se ti interessassi meno di computer e più di musica classica, conosceresti il suo nome. Il Concerto di Louise è la sua unica composizione, ma è geniale. Nessuna raccolta di musica classica può dirsi completa senza quel concerto. Ha fatto da colonna sonora a tutte le esibizioni del marito. E alla vita di Malakhai. Lui si accompagna a Louise sempre: vive con lei, parla con lei, dorme con lei. Durante i suoi numeri creava le illusioni degli oggetti volanti in modo che anche il pubblico potesse vederla.»

«E questo tizio, un pazzo furioso, smaschera i millantatori di poteri paranormali?»

«Sì. Come spesso accade ai matti, è abbastanza coerente. Lui sa di essere l'artefice della sua stessa follia. Non crede certo che Louise sia una presenza soprannaturale! Louise se ne è andata molto giovane. Ha scritto quello splendido concerto e poi è morta. Lui la conosceva da quando era una bambina, non poteva rinunciare a lei, ne sarebbe morto, così l'ha ricostruita.»

«Spiegati meglio.»

«L'ha ricreata servendosi dei ricordi, della conoscenza intima che ne aveva. Era già stato fatto, una pratica abbastanza diffusa in certi remoti monasteri asiatici. I succubi, cioè gli spiriti demoniaci che secondo la superstizione medievale prendevano sembianze di donna per accoppiarsi con uomini durante la notte, erano prodotti dell'immaginazione dei religiosi. La creazione di Malakhai era basata su una donna esistita veramente. Conosceva Louise alla perfezione. Sapeva quale sarebbe stata la sua risposta in qualunque circostanza. E ne costruì un modello fedele. Dopo un po', riusciva non solo a parlarle, ma anche a vederla e a toccarla. Grazie a un'immensa capacità di concentrazione. Capisci, l'immagine evocata deve essere ossessivamente fedele al modello, per reagire nella stessa…»

«Ma è un trucco.»

«Un'illusione, un inganno. Un capolavoro. Molti di noi fanno qualcosa di simile con i loro cari che non ci sono più. A volte non ti chiedi cosa farebbe o direbbe Markowitz in una data situazione?»

Mallory girò il viso verso la finestra, e lui si prese mentalmente a schiaffi, dandosi dello stupido per aver oltrepassato il confine dei suoi sentimenti personali. Era uno dei pochi a credere che potesse averne.

«Un'altra differenza tra Malakhai e i monaci era che loro evocavano le loro illusioni e poi le scacciavano. Louise era una compagnia costante per Malakhai. Lo è ancora.»

Mallory si girò verso di lui, dandogli modo di osservare il lavorio frenetico del suo cervello dietro il suo sguardo assorto.

«Ma questo Malakhai… è decisamente pazzo, giusto?»

«Ci vuole un cervello decisamente brillante per diventare decisamente pazzi. Se consideri la quantità di concentrazione necessaria per alimentare un'illusione tridimensionale…»

«E quando lui le parla, lei risponde come quando era viva, anche se nella realtà non hanno mai avuto quella conversazione?»

«Sì, certo. La verità e la logica sono il collante dell'inganno.»

«Tu saresti capace di mettere in atto la stessa tecnica? Saresti in grado di parlare con una donna morta?»

«Malakhai e Louise sono cresciuti insieme. Quello che lei avrebbe detto o fatto, in qualunque circostanza, per lui era prevedibile. Conosceva la sua mente, i suoi pensieri più riposti. Io non conosco nessuno così a fondo.»

Certamente non te, Mallory.

«Dovresti essere pazzo per riuscire a creare un'illusione del genere?»

«O malato della follia dell'amore. Una donna una volta mi disse che gli innamorati sono tutti da manicomio. Credo che sia così. Malakhai ha mobilitato le zone più oscure della sua psiche per riportare in vita Louise. Questo è il tipo di amore di cui è fatta la follia. Malakhai è pazzo, ma anche geniale e affascinante. Tutte le volte che andavo da mio cugino Max, Malakhai e Louise venivano a cena.»

«La morta godeva di buon appetito?»

«Da bambino, quelle cene mi turbavano. C'era sempre aria di magia a casa di Max. Apparecchiavano un piatto per lei e le versavano il vino, e nel corso della serata piatto e bicchiere si svuotavano. Sicuramente il cibo e il vino venivano fatti sparire nei momenti di distrazione generale, ma una parte di me ha sempre creduto nell'esistenza di Louise.»

«Ti sei mai cimentato con questo genere di illusioni tridimensionali?»

«No. Perché avrei dovuto? Perché chicchessia dovrebbe desiderare oltrepassare quel confine?»

Se non per amore.

Mallory fece per prendere qualcosa dalla borsa di tela, poi ci ripensò. Si girò verso di lui. «Vorrei riavere Amanda Bosch viva, per cinque minuti soltanto.»

«La donna del parco, suppongo.»

«Sì, penso di avere individuato un possibile movente» disse, chinandosi di nuovo per frugare nella borsa. Ne estrasse un dattiloscritto e si sedette alla scrivania, scorrendo rapidamente le pagine e infine estraendo un gruppo di fogli tenuti insieme da una graffetta.

«L'ho trovato nel computer della Bosch. A giudicare dall'ora in cui è stato caricato, questo è l'ultimo file che ha aggiornato. Ha lavorato su questo libro per quasi un anno. È un romanzo, ma non credo che sia tutta finzione.»

«L'arte è fatta di bugie che dicono la verità. Chi l'ha detto?»

«Sei tu quello con la banca dati nel cervello.» Gli porse il romanzo.

«Memoria eidetica, e non funziona come un computer. Io non posso richiamare i dati come fai tu con le tue macchine.»

«Ecco, apri a pagina 254, settimo capitolo. Vai all'ultimo paragrafo. Ricorda, l'ha aggiornato il giorno in cui è morta.»

Charles guardò la pagina e lesse: "Stava andando via ancora una volta, recitando la litania di tutte le cose che aveva da fare, tutto più… BUGIARDO, BUGIARDO, BUGIARDO, BUGIARDO".

«Capisco quello che intendi» disse Charles. «La parola "bugiardo", ripetuta quattro volte, non è una parte del testo. Sembra più il frutto di un impeto emotivo, uno sfogo sbocciato davanti alla tastiera.»

«Esatto. L'ho notato mentre stavo stampando il file. Ho dato una scorsa al dattilo per controllare eventuali danni al file. Sono quasi settecento pagine. Sono abbastanza sicura che il mio assassino sia lì dentro, descritto nei dettagli. Sei l'unico essere umano di mia conoscenza capace di leggere alla velocità della luce. Io non ho tempo. Potresti dargli un'occhiata e segnalare le parti che ti sembrano reali?»

«Certo.» Charles prese a girare le pagine l'una dopo l'altra. Si sarebbe detto che le stesse semplicemente scorrendo, invece stava leggendo ogni parola e scoprì che Mallory aveva mentito. Aveva notato i suoi occhi rossi, e adesso ne capiva la ragione osservando i segni lasciati da pollice e indice alla base di ogni pagina che lei aveva letto prima di lui. Dopo pochi minuti di lettura rapida sollevò lo sguardo su di lei.

«Quale bugia può averle raccontato? Fin dall'inizio lo descrive come un uomo sposato…»

«Non troveremo la risposta a questa domanda nel romanzo. Almeno non credo. Secondo me l'ha colto in fallo recentemente, qualche giorno, forse qualche settimana prima di morire.»

«Una possibilità interessante. Credi che tradisse la donna con la quale stava tradendo sua moglie?»

«Anche se fosse, non è questo il punto. Secondo me, Amanda ha usato l'assassino unicamente per rimanere incinta. Ma poi ha abortito. Una bugia come movente per un delitto è un'ipotesi difficilmente dimostrabile, me ne rendo conto, ma è tutto quello che ho. Amanda Bosch era una ricercatrice professionista. Potrebbe aver fatto qualche indagine sul conto del padre del bambino che desiderava più di ogni altra cosa. Così ha scoperto che il nostro uomo le aveva mentito…»

«Questo non restringe granché il campo. Esistono tante categorie di bugie quante sono le persone.»

«È un peccato che il tuo vecchio amico Malakhai non possa ricostruire Amanda e chiederle quale fosse la bugia. Se non chiudo il caso rapidamente, l'assassino la farà franca. Quando finisci di leggere il romanzo, lascialo nel mio ufficio.»

«D'accordo, ma se fossi in te non mi farei troppe illusioni circa la sua utilità. Non credo che uno scrittore si basi sulla vita più di quanto faccia un attore quando interpreta un ruolo. L'attore non mette in scena la sua vita e, immagino, perfino quando scrive un'autobiografia uno scrittore non racconta la sua vita.»

«E tutti quei "BUGIARDO"? Contro chi stava inveendo Amanda se non contro un personaggio del libro?»

«D'accordo, lo leggerò tenendo presente la tua ipotesi.»

«Domani sera giochi a poker?»

«Naturale.» La serata di poker era il piatto forte della settimana di Charles. Aveva ereditato il posto dall'ispettore Louis Markowitz, e con il posto tre amici. Ogni nuovo amico era qualcosa di prezioso per lui, dopo anni trascorsi nell'isolamento dell'accademia e dell'Istituto. «Se non mi presentassi mi toccherebbe spedire un assegno in bianco. Gli amici contano sul fatto che io perda sempre. La mia assenza comporterebbe un discreto danno finanziario per gli altri giocatori.»

«Charles, un giorno mi siedo vicino a te e ti insegno come battere quei ragazzi a poker.»

Mallory stava spuntando delle voci dalla lista di cose da fare che aveva scritto su un taccuino. Il programma per il resto della giornata era ancora molto fitto. Charles si girò verso la finestra e guardò la strada, due piani più sotto. «Il rabbino Kaplan sostiene che il fatto che io perda sempre depone a mio favore.»

«Ti ha spiegato perché?»

«Giammai. Kaplan il Criptico rischierebbe di rovinarsi la reputazione. Temo che si aspetti che ci arrivi da solo.» Lo sguardo sulla strada seguiva l'avvicinarsi di una figura familiare avvolta in un cappotto informe. Si voltò verso di lei. «Tu cosa ne pensi?»

«È chiaro. Il rabbino intendeva lodare la tua onestà, Charles. Il poker è un gioco per bugiardi. Domani sera Slope e Duffy ti consegneranno del materiale per me.» E spuntò un'altra voce dal suo elenco, che doveva riguardare proprio Charles. «Ho dato a tutti e due una lista della spesa, cose che voglio ottenere senza passare attraverso Coffey o Riker.»

«Sai, Mallory, nella polizia ci sono altri agenti oltre a te. Tendono a considerarsi membri di una squadra.»

«Sì, Riker ha la stessa idea.» C'era un che di tagliente nella sua voce, più impazienza che rabbia. «Crede di essere il mio allenatore.»

Qui Charles avrebbe voluto dire qualcosa in difesa di Riker, poiché aveva grande stima dell'uomo, ma sapeva per esperienza che era molto pericoloso darle motivo di sospettare di non essere al cento per cento dalla sua parte. Con Mallory la cautela non era mai troppa. «Perché non vieni alla partita con me? Il rabbino Kaplan dice che alle carte sei uno squalo nato.»

«Non posso. Quando avevo tredici anni Kaplan e gli altri mi hanno bandita dalle loro partite.»

Una chiave stava girando nella serratura, e quando la porta si aprì, il tubo dell'aspirapolvere precedette la piccola testa scura della signora Ortega.

Questo impedì a Charles di approfondire la questione.

La signora Ortega si irrigidì sulla soglia e squadrò il gatto, probabilmente progettando di scuoiarlo per farsene una borsa. Il gatto si sfregò contro i jeans di Mallory, e la signora Ortega guardò la giovane donna con meraviglia.

Mallory allungò alla donna un biglietto da venti dollari, sottintendendo con quel gesto di sapere che i peli del gatto avrebbero significato una bella seccatura. La signora Ortega intascò il denaro e lanciò al felino uno sguardo più benevolo.

Suonò il campanello, acuto e irritante. Mallory alzò la mano per bloccare Charles che si avviava alla porta.

«Chi è?» gli chiese.

«Riker» disse lui, senza neppure il consueto millesimo di secondo di esitazione.

Aprì la porta, nel cui vano comparve Riker in tutta la gloria del suo aspetto trasandato. Mallory contrasse la mascella. Charles si accorse che non l'aveva bevuta. In nessun modo lui avrebbe potuto sapere chi c'era dall'altra parte della porta. Anche Mallory riusciva a riconoscere il suono discreto dei passi di Henrietta Ramsharan del terzo piano, e quello sincopato del musicista del primo. Ma Riker non aveva stile, in nessun senso della parola, in nessun aspetto dell'esistenza.

«Salve, Charles» disse Riker. Fece un cenno del capo a Mallory e un inchino esagerato alla signora Ortega, che con una smorfia andò nell'altra stanza mormorando qualcosa che avrebbe potuto essere "Dannati sbirri".

«Hai chiamato Charles per dirgli che stavi arrivando» affermò Mallory rivolta a Riker. Poi guardò Charles in attesa di una conferma.

Charles sorrise e scosse la testa. Aveva visto arrivare il sergente dalla finestra. E quello fu il suo esordio nell'arte del poker, dal momento che aveva deciso di non darle spiegazioni. Mentre Riker sprofondava nel divano imbottito, la mente di Charles giocava con l'insolita speranza di poter vincere alla grande al tavolo dell'indomani.

Riker estrasse dalla tasca interna del cappotto un fascio di carte ripiegate e se le posò in grembo, lisciandole nel tentativo di rimediare al danno. La prima pagina era una mappa di Central Park con linee gialle tracciate in due aree. Guardò in direzione di Mallory, che stava ancora fissando Charles.

«Heller ha localizzato il punto dove Amanda è caduta. Ha portato dei campioni di terreno al Dipartimento di Agricoltura. Lo sporco nella ferita era pieno di microscopiche creature che non vivono nella zona ombreggiata dove l'abbiamo ritrovata.»

Riker si appese una sigaretta alle labbra e si frugò in tasca alla ricerca di un fiammifero. «Allora, Mallory, sei pronta per una visita al luogo del delitto?»

Lei prese il foglio con i segni gialli. «E perché? Sono capace di leggere una mappa.»

«Come vuoi, Mallory. Ma alla maggior parte di noi piace farsi una passeggiata sulla scena del crimine, così, giusto per dare uno sguardo al posto dove è morta la vittima.»

«Tempo sprecato. Ho letto il verbale. Sul posto ci sono stati quelli della Scientifica e almeno una dozzina di sbirri con i loro giganteschi piedoni. Non riuscirei a vedere niente di niente.»

«Non si sa mai, piccola.» Nella sua mano si accese un fiammifero; la fiamma morì liberando una nuvola di fumo.

«Non chiamarmi piccola.»

La signora Ortega tornò nel soggiorno e fece per inserire la spina dell'aspirapolvere. Riker le sorrise.

«Sa, signora Ortega, abbiamo un sospetto che a lei piacerebbe molto. Tutto quello che sappiamo di lui è che vive in un palazzo di lusso, e che sa tirare a lucido un appartamento come un professionista.»

«Quindi non è nato ricco.»

«Come?»

«I bambini dei ricchi sono sempre viziati. Mallory conosce la differenza tra sporco e pulito.» Si girò verso Charles. «Sua madre, invece, la trattava come un principino. In casa sua avevate almeno una domestica a tempo pieno. Come faccio a saperlo? Lei non sa cosa sia una paglietta, né a cosa serva. Mi accorgo sempre quando è lei a pulire dopo un pasto nella cucina dell'ufficio. Mallory è stata allevata nel modo giusto, lei no.»

«Ma il nostro uomo allevato nel modo giusto è diventato un assassino» fece notare Charles, sulla difensiva.

«Secondo lei Mallory porta la pistola come zavorra contro il vento?» La signora Ortega si chinò sull'aspirapolvere e agitò un dito verso Charles. «Si distinguono sempre i bambini nati ricchi. Se il marito o la moglie se la squagliano, non mangiano per una settimana. Ti accorgi di quanto sono sconvolti dalla quantità di alcol e di pillole che ingurgitano. Ma se li lascia la donna delle pulizie, gli cade addosso il mondo intero. Tornano a vivere come animali. Per cui è facile che il vostro amico non sia nato con i soldi.»

Mallory assentiva mentre la donna parlava.

«Si capisce molto del carattere di una persona dal modo in cui pulisce e da quello che tiene in casa» aggiunse la signora Ortega, assumendo un inconsueto tono filosofico.

«Sai» disse Riker, rivolgendosi a Charles, «ho chiesto alla signora Ortega di pulire il mio appartamento circa un anno fa. Si è segnata contro il malocchio e mi ha voltato le spalle. Adesso credo che sia stata una fortuna che non l'abbia mai visto.» Un cilindro di cenere grigia cadde dalla sigaretta di Riker, sbriciolandosi sui suoi pantaloni mentre si toglieva il cappotto.

«Non ho bisogno di vedere il suo appartamento, signor Riker.» La signora Ortega esaminò con occhio critico il completo spiegazzato e le scarpe logore del sergente. «Lei ha almeno tre sacchi di spazzatura ammucchiati in cucina. Non cambia le lenzuola da un mese, e ci sono delle bottiglie di birra sotto il letto. Nella credenza devono esserci al massimo due piatti puliti. Si trova bene in compagnia dei ragni, e stasera vedrà una donna.»

Tre teste si girarono verso la signora Ortega.

«Come fa a sapere della donna?» chiese Riker.

«Stamattina lei ha usato uno smacchiatore da pochi soldi. Lo si capisce da quegli aloni intorno alle macchie. Normalmente non si sarebbe mai preoccupato di tentare di camuffarle.»

Mallory assentì e si diresse alla porta del suo ufficio. «Devo prendere la mia attrezzatura. Torno subito.»

«È bello vederti di nuovo, sergente» disse Charles. «Posso offrirti una tazza di caffè?»

«È ancora mattina?»

«No.»

«Allora prenderò una birra.»

L'aspirapolvere si muoveva lentamente verso di loro, risucchiando la loro conversazione. Quando la signora Ortega ebbe spento l'attrezzo e iniziato a spolverare, Charles allungò a Riker una birra gelata.

«Quello che Mallory si prepara a fare è piuttosto pericoloso, non credi? Mi sorprende che tu le dia corda.»

«Deve fare così, Charles, non ha scelta. Non ci sono prove, niente arma, né testimoni, né movente. Potrebbe essere stato chiunque in grado di reggere una pietra. Il luogo del delitto è a sei minuti dall'edificio. Potrebbe essere stato anche il portiere. Capisci qual è il problema? Se non riesce a fare in modo che esca allo scoperto al più presto, il bastardo rischia di farla franca.»

Charles era perplesso. Niente movente, aveva detto? Possibile che Riker non sapesse del romanzo posato sulla scrivania tra di loro? Mentre gli occhi di Riker scivolavano sul mucchio di carta, l'istinto suggerì a Charles di distoglierne l'attenzione dell'uomo.

«Sai, a Markowitz non sarebbe per niente piaciuto. Le starai sempre vicino, non è vero?»

«Non ha bisogno di me. Non è più una bambina. Non aveva bisogno di nessuno neanche quando lo era». Sorseggiò con calma la sua birra.

«Ma Louis riteneva che Helen…»

«Helen vedeva solo il lato buono delle cose, quando c'era di mezzo Kathy. Ricordo la sua gioia quando Lou cominciò a portare Kathy con sé al lavoro dopo la scuola: era l'unico modo per impedire alla bambina di svaligiare mezza New York. Ma Helen pensava solo al modello di comportamento positivo che gli agenti avrebbero costituito per la piccola.»

«Beh, evidentemente aveva ragione, o Mallory oggi non sarebbe un'agente.»

«Per cinque pomeriggi alla settimana la piccola viveva in mezzo agli assassini, mentre le sue amichette giocavano con le bambole.»

«Mallory non giocava mai con gli altri bambini?»

«Giocava con Markowitz. Adesso gioca da sola.»

«Che tipo di giochi le piacevano?»

«Una volta, poteva avere tredici anni, le chiesi quale fosse il suo gioco preferito. "Il gioco più bello è l'omicidio", mi rispose. Provai una strana sensazione. Era il modo in cui l'aveva detto. Chiesi a Markowitz se pensava che la bambina fosse capace di uccidere. "Oh, certo", fece lui, come se gli avessi chiesto se Kathy sapeva andare in bicicletta.»

«Tutto ciò non spiega la tua fiducia nel fatto che possa incastrare l'assassino senza lasciarci le penne.»

«Se i sospettati di questo palazzo non fossero ricchi contribuenti dei quartieri alti dotati di ottimi avvocati, li metteremmo tutti sotto torchio. Quando Mallory metterà le mani sull'assassino, non ci saranno avvocati in giro. Lo metterà alle strette. Gli si scioglierà la lingua e lei registrerà tutto. La gente del genere parla sempre, anche dopo che gli abbiamo letto i loro diritti. Mentono, ma parlano, si contraddicono. Se non a sbrighiamo, se un avvocato fa in tempo a chiudergli la bocca, lo perdiamo. Niente prove, niente caso. Bisogna fare in fretta. Deve portarlo allo scoperto e incastrarlo, o se la svignerà.»

«Ma il pericolo…»

«Il pericolo più grande è che lei incappi negli sporchi segretucci di qualche pezzo grosso. Al Coventry Arms c'è la stessa percentuale di merda che in qualunque casa popolare.»

Charles raccolse una fotografia caduta sul pavimento dalla piccola pila di carte di Riker.

«Questa chi è?»

«Amanda Bosch.»

«Non somiglia per niente a Mallory. Come hanno potuto scambiare…»

«Questa fotografia è stata fatta quando era viva. Io stesso ho dovuto guardare il corpo un paio di volte dopo che gli insetti avevano cominciato ad attaccarlo.»

«Avete avvisato la famiglia?»

«Non ci sono parenti vivi da avvisare. Per Mallory è meglio… meno rischi di fughe di notizie.»

«Cosa le accadrà?»

«I soldi del suo conto bancario andranno all'ufficio delle imposte del comune. La padrona di casa venderà la sua roba per recuperare gli affitti arretrati o la metterà per la strada. Avrà una tomba che nessuno visiterà. E poi sparirà dalla faccia della terra. O forse no. Mallory potrebbe renderla famosa.»

Il gatto stava tra di loro, ignorandoli entrambi e giocherellando con la benda che gli fasciava l'orecchio. Charles si ricordò di qualcosa che aveva detto Louis Markowitz: vivere con Mallory era come avere in casa un animale ferito.


L'edificio era stato costruito per durare e così era stato. Le travi di legno scuro e la facciata di stucco si elevavano per dieci piani. La vecchia dimora sulla West Side sarebbe stata perfetta in un racconto gotico.

Riker depose le pesanti scatole per prendere fiato. Mallory aveva appena allungato al portiere un biglietto da cento dollari.

La piccola ha stile.

Riker si chiese come avrebbe fatto a giustificare tanta generosità nella nota spese del Dipartimento.

Mentre Mallory parlava, il portiere sorrideva adorante.

«Aspetto una visita di Amanda Bosch. La conosce di persona?»

«Certo» disse il portiere, che si chiamava Arthur. «L'amica della signorina Hyde? Quella ragazza graziosa con gli occhi tristi? La conosco.» Il sorriso divenne esitante. «Sta bene?»

«Perché me lo chiede?»

«Si comportava in modo strano l'ultima volta che l'ho vista.»

«Quando è stato?»

«Forse cinque, sei giorni fa. Non è entrata nel palazzo. Si è limitata a sedersi laggiù, come se stesse aspettando qualcuno.» Indicò la panchina di ferro battuto a circa quattro metri dall'ingresso. «Ho pensato che fosse un po' strano, perché la signorina Hyde non era in città. E che io sappia la signorina Bosch non conosce altri inquilini dell'edificio. Dopo un po', la signorina Bosch si è alzata di scatto. Sembrava agitata per qualche motivo, è corsa via. Molto strano, davvero.»

«Che cosa l'ha indotta ad andarsene?»

«Non ne ho idea, signorina. Avevo da fare, aprire la porta, chiamare un taxi per un inquilino, la gente andava e veniva.»

«Ricorda chi?»

«Inquilini, visitatori, bambini e cani. Molti inquilini qui hanno un cane.»

Riker stava sollevando le scatole di cartone dal marciapiede quando Mallory girò di scatto la testa, gli occhi fissi su una zona vuota del marciapiede al di là della strada.

Adesso cosa c'è? pensò Riker, allarmato. L'assassino viveva in quell'edificio, ed era in grado di stabilire un legame tra Mallory e Amanda Bosch. Ma l'unica persona nelle immediate vicinanze era una donna bruna che camminava rapidamente verso di loro.

Riappoggiò la scatola sul marciapiede mentre la bruna dai movimenti nervosi si rivolgeva a Mallory: «Mi perdoni se l'ho seguita. Posso parlarle un momento in privato?».

Mallory fece un cenno al portiere, che chiuse la porta. Le due donne si allontanarono lungo il marciapiede fuori dalla portata dell'udito di Riker. La bruna era agitatissima. Le sue mani volavano in un gesticolare forsennato. Mallory disse poche parole alla donna e la brunetta scosse la testa, gli occhi che roteavano nelle orbite come biglie impazzite. Poi la donna si strinse al petto la borsetta come per proteggersi. Arretrò di qualche passo e si affrettò sul marciapiede verso un taxi in attesa. Mallory tornò indietro.

Il cartone fu issato in aria ancora una volta.

Il portiere aveva ammainato il suo sorriso al neon nel momento in cui Mallory gli aveva voltato la schiena. Adesso quel sorriso sfavillava di nuovo, e nei suoi occhi si leggeva la frase "Ecco la mia migliore amica" mentre Mallory e Riker gli passavano accanto per entrare nell'androne.

L'atmosfera lì dentro era quella di un altro secolo. Mentre Mallory porgeva una lettera al custode seduto dietro il banco di legno intarsiato, Riker osservò gli arazzi e i dipinti a olio che adornavano i muri. Ognuno dei tappeti dai disegni raffinati doveva costare un anno di stipendio. Un lussuoso velluto verde rivestiva i divani e le sedie raggruppati per la conversazione. Una donna attraversò l'ingresso, indossando in quel giorno nuvoloso occhiali neri che dicevano "Io sono una celebrità, e tu no".

Il custode li guidò verso un ascensore di ferro e legno intarsiato che sembrava uscito da un film in bianco e nero degli anni Trenta. Furono affidati alle cure di un operatore addetto all'ascensore e salirono veloci, guardando i piani avvicendarsi, ciascuno diverso dall'altro.

La porta di ferro si aprì al terzo piano e uscirono su un corridoio illuminato da luci calde che nel secolo precedente sarebbero state delle lampade a gas. Su un tavolino, un vaso racchiudeva una piccola fortuna in fiori freschi. Il profumo delle rose li seguì mentre Mallory infilava la chiave nella serratura e apriva la porta dell'appartamento dei Rosen.

Riker appoggiò le scatole sul pavimento dell'ingresso. «Okay, Mallory… quella donna, giù di sotto. Qual è la storia?»

«Sally Riccalo. Ci ha seguito quando siamo usciti dall'ufficio. È una cliente con l'interessante idea che il suo figliastro voglia trafiggerla con una matita volante.»

«Pensavo che Charles si occupasse solo di stronzate accademiche. Chi dei due è suonato? Lei o il bambino?»

«Troppo presto per dirlo. Lei sembra piuttosto spaventata.»

«Cosa le hai detto?»

«Di lasciare la città.»

«E lei cos'ha detto?»

«No.»

Si guardò intorno nel soggiorno dei Rosen e si chiese che cosa avrebbero pensato della spartana semplicità dell'appartamento di Mallory. Nel soggiorno c'era un museo di foto di famiglia. I pesci nel grande acquario tropicale nuotavano rapidi e colorati. Sullo specchio si vedeva l'impronta appiccicosa di una piccola mano senza dubbio appartenente a qualche nipote o bisnipote. Attraverso le porte semiaperte di un piccolo studio rivestito in legno si intravedeva un computer acceso.


Mentre Mallory esplorava l'appartamento, Riker spalancò la porta dello studiolo e scrutò lo schermo. Su un lato del monitor era appiccicata una lista di istruzioni per analfabeti informatici come lui. Riker premette un tasto e sullo schermo presero a scorrere lentamente informazioni sugli interventi di manutenzione previsti nel palazzo, poi l'avviso di una prossima riunione condominiale da tenersi nell'area comune dell'ultimo piano. Quest'ultima voce era evidenziata da un'iconcina che diceva URGENTE, corredata da una anonima richiesta di ampia partecipazione alla riunione. Sullo schermo scorsero altri appunti, segnalazioni di pacchi in attesa in portineria, e la relazione dell'ultima assemblea.

Il colpetto sulla spalla lo fece sussultare. Mallory era in piedi dietro di lui, il suo sorriso diceva "Ti ho beccato". Il vecchio le aveva insegnato anche questo: come camminare senza fare il minimo rumore. Per essere un uomo dalla corporatura pesante, Markowitz era dotato di una leggerezza incredibile. Cogliere gli altri di sorpresa spuntando d'un tratto alle loro spalle era uno dei suoi sport preferiti.

«Ho trovato una stanza nella quale installarmi» disse Mallory.

Riker prese i cartoni e la seguì in una piccola biblioteca. Li posò sulla scrivania e lei cominciò a scaricare l'attrezzatura del computer e la webcam, i fili e altri aggeggi cui Riker non avrebbe saputo dare un nome. Solo l'attrezzatura per l'intercettazione telefonica era riconoscibile, e lui ne distolse gli occhi, sapendo che per quella non esistevano autorizzazioni.

Non era stato Markowitz a insegnarle a maneggiare quegli aggeggi con i quali, fino al giorno della morte, il vecchio aveva conservato un pessimo rapporto.


Mallory uscì dall'ascensore al livello dell'attico. Aveva fatto pochi passi quando le teste cominciarono a girarsi. Indossava il completo nero che aveva messo il giorno del funerale di suo padre. La gonna lasciava intravedere le gambe, che scopriva di rado, mostrando polpacci atletici e belle caviglie sottili sui tacchi alti. Una dozzina di paia di occhi, maschili e femminili, la seguirono mentre attraversava il gruppo di una quarantina di inquilini.

Ogni tanto si fermava ad ammirare qualcuno dei pezzi art déco persi in un mare di arredi appariscenti e volgari. Alzò il viso verso il lucernario che occupava tutto l'ampio soffitto. Una luna cerea splendeva in cielo in compagnia di due stelle. Una nuvola opaca attraversò velocemente il vetro, raggiungendo la luna e uccidendone la luce.

«La morte le dona, mia cara» disse soavemente una voce raffinata. Mallory si voltò a guardare una donna con i capelli neri e un volto che mostrava una sessantina d'anni, non tanto per le rughe, quanto per i troppi lifting. «Immagino che stia per dirmi quanto sono ben conservata per essere un cadavere.»

La donna più vecchia sorrise, una sottile riga di rossetto color cremisi. Le porse la mano.

«Sono Betty Hyde.» La voce mutò rivelando origini popolari che Mallory situò nella Hell's Kitchen, quando ancora in città comandavano i gangster, e la donna salì di un punto nella stima di Mallory.


«Mallory.»

«Kathleen Mallory, vero? Lasciato il Dipartimento di Polizia di New York, si è data alla società di consulenza Mallory & Butler. Abiterà nell'appartamento dei Rosen per i prossimi dieci giorni, mentre il suo palazzo viene rimodernato. Sono vecchi amici di famiglia, e lei ha la loro delega per votare a favore della piscina nel seminterrato. Ho spie dappertutto, mia cara.»

Mallory contò due spie. Il custode sapeva che aveva la delega dei Rosen e, come previsto, Arthur il portiere le aveva riferito il resto della storia.

«E lei vende pettegolezzi» ribatté Mallory. «Vende la sua rubrica a cinquanta quotidiani in tutto il paese. Ha un segmento di cinque minuti su Channel Two News. Vive qui da quindici anni. Ama giocare a biliardo e cambiare accompagnatore con la frequenza con cui io cambio i jeans. Dovrebbe pagare meglio le sue spie, signorina Hyde. Non sono affatto leali.»

Il volto della donna si allargò in un sorriso luminoso.

«Mi chiami Betty. Lo fanno tutti. Mi piace il suo stile, mia cara. Posso chiamarla Kathy?»

«No.»

«Bene, signorina Mallory…»

«Solo Mallory. Amanda Bosch mi ha dato il suo nome come referenza.»

Porse alla donna un biglietto da visita, e Betty Hyde lesse le parole ad alta voce. «Indagini discrete? Le adoro.»

«I nostri clienti sono dipartimenti governativi e università, ci occupiamo di progetti di ricerca e stime. Ha qualcosa di buono da dire sulla Bosch? Se decidessimo di servirci di lei, dovrebbe lavorare su materiale molto delicato.»

«Mi fido di lei per le informazioni su gente altolocata, ma non mi fido di nessuno per la roba veramente buona. Quel tipo di ricerca lo faccio per conto mio.»

«Avevo l'impressione che vi frequentaste di tanto in tanto.»

«È così anche se negli ultimi mesi preferisce starsene tranquilla. Di solito mi facevo accompagnare alle feste. Quando vado a caccia di uomini giovani, ho bisogno di una buona esca. Amanda attrae gli uomini quasi quanto lei.»

«E in cambio lei presentava alla Bosch le persone giuste?»

«Sì.»

«C'è n'è qualcuna qui stasera? Qualcun altro che potrebbe garantire per lei?»

La bocca di Betty Hyde si piegò da un lato come per dire "Va bene, fingiamo di credere a questa favola". Mallory valutò attentamente quell'atteggiamento, e parò il colpo con un sorriso che diceva "Sì, fingiamo, almeno per il momento".

«Ho portato Amanda a parecchi ritrovi in questa stessa stanza. Immagino che abbia incontrato qualcuno degli inquilini. Non so quali possano averla incaricata di svolgere qualche lavoro di ricerca. Vuole che la presenti agli altri? Magari più tardi potrebbe accompagnarmi a una festa.»

Mallory stava guardando al di sopra della testa della donna, gli occhi fissi sull'uomo in piedi vicino al lungo tavolo del buffet.

«Credo di riconoscere il giudice Heart.» Mallory fece un cenno della testa verso un uomo alto, con i capelli ingrigiti sulle tempie, che indossava un completo nero di buon taglio. Torreggiava sulla donna sottile al suo fianco, che aveva capelli biondo-cenere raccolti in un austero chignon sulla nuca.

«Sì, è lui. E quella è sua moglie, Pansy. Nota i fili invisibili con cui la controlla? La poveretta non può allontanarsi più di un metro dal marito.»

Mallory ebbe l'impressione che effettivamente l'uomo manovrasse la donna come una marionetta. A ogni parola del giudice la donna sollevava il viso verso di lui con un sorriso troppo rapido, troppo ampio.

Betty Hyde disse a voce più bassa: «Quando le andrà più vicino, mi dica se sotto tutto quel trucco non c'è un livido».

«Sta scherzando. Pensavo che fosse…»

«In corsa per un posto alla Corte Suprema, anche grazie alle sue battaglie in qualità di campione dei diritti delle donne? Già. Divertente, vero? Se potessi dimostrare che è lui a picchiare la moglie, non ci penserei due volte a distruggerlo. Vivono nell'appartamento sopra il suo. Se dovesse sentire qualcosa, sappia che vale oro, mia cara Mallory. Un grido, il rumore del corpo di una donna indifesa che sbatte contro il muro… Una prova qualsiasi dei miei sospetti mi interessa enormemente.»

La Hyde fissò la donna più giovane, e il suo sorriso divenne una linea sottile mentre spostava il peso da un piede all'altro in attesa che Mallory dicesse qualcosa. Per una pettegola di professione, il suo silenzio protratto era come la luce del sole per un vampiro.

«Ho già appurato che non stanno affatto mettendo a nuovo il suo palazzo» disse la Hyde. «E Amanda Bosch non cerca alcun nuovo cliente. Semmai il contrario: vuole prendersela comoda. Mi sembra di capire che la sua sia una gravidanza difficile.»

La Hyde sorrise di nuovo.

E continuò a sorridere.

Mallory la fissava, il volto privo d'espressione.

Betty Hyde cessò di sorridere, e le donne si squadrarono a vicenda, prendendo mentalmente misure e appunti. La Hyde si arrese per prima.

«Lasciamo perdere tutte queste frottole sui progetti di ricerca. Lei è un investigatore privato, giusto? Lo sbocco professionale più logico per un ex poliziotto. Dico bene?»

Mallory si strinse nelle spalle, e la Hyde mostrò tutti i denti.

«Adesso che è passata al settore privato, lasci che le dia qualche dritta.» Passò il braccio sotto quello di Mallory e la guidò verso un angolo tranquillo, affollato solo di felci in vaso.

«Mallory, lei non ha perso i modi da poliziotto. Non parla – lei interroga. Se non vuole sembrare uno sbirro deve sorridere molto, avere l'aria di divertirsi, non di stare lavorando. A questa gente piace parlare di sé. Dunque, lei sta lavorando a un caso, questo ormai è chiaro. Amanda le ha passato qualche informazione? So bene che, se anche così fosse, lei non me lo direbbe. So bene quanto sia importante proteggere le proprie fonti.»

«Credo che noi due dovremmo collaborare, signorina Hyde.»

«Mi chiami Betty.»

«Laggiù, vicino all'ascensore… quello non è Moss White, il conduttore dell'omonimo talk show?»

«Sì, e l'abbronzatura è autentica. È appena tornato da una settimana di riprese in esterni in California.»

«Quando è tornato esattamente?»

«Stamattina.»

Cancellato.

«Qual è Harry Kipling?»

«Quello» disse la Hyde, indicando un bell'uomo alto, con i capelli neri e gli occhi azzurri. «Affascinante, ma a parte l'aspetto fisico non è niente di speciale. Sua moglie è infinitamente più interessante. Eccola. Vede quella donna laggiù accanto alla libreria? Angel Kipling è un crimine contro la natura. Tutti i troll dovrebbero essere piccoli. Angel è alta quanto lei.»

«Intende quella donna di mezz'età con i capelli in disordine?»

«Ho sempre preferito l'espressione "una donna di una certa età".»

«Chi è l'uomo alto con lei?»

«Il cieco? È Eric Franz.»

«Cieco?» Cancellato anche questo.

«Sì. Angel gli ha tolto gli occhiali neri e il bastone perché ha pensato che così sarebbe stato più "a suo agio" fra la gente normale. È terrorizzato da lei, così naturalmente non oppone mai resistenza di fronte alle sue iniziative. In qualche modo abbiamo tutti paura di Angel. È una di quelle persone che hanno imparato tardi a stare a tavola. Fa delle domande scortesi tipo quanti anni hai, quanto guadagni e questi sono i tuoi veri denti. Dà sui nervi. Un po' come un terremoto che ti sconvolge la vita una volta alla settimana o qualcosa di simile. Nessuno riesce a farci l'abitudine.»

Mallory tornò a guardare Harry Kipling. «Fanno davero una strana coppia.»

«Per il fatto che Harry è così ridicolmente bello? Perché Angel sembra una strega delle favole?»

«Viene da chiedersi quale sia l'origine del potere di lei sul marito.»

«Mi piace come funziona la sua mente, Mallory.»

«Harry Kipling… è uno degli eredi della Kipling Electronics?»

«No.»

«Qual è la sua storia?»

«La solita. Vive con i soldi della moglie e si spaccia per consulente finanziario. Dubito fortemente che Angel gli permetta di gestire il suo denaro. Credo che lei gli passi una specie di paglietta. Tutti gli addebiti bancali sono a nome della moglie. Bisogna guardarsi da Angel. Mai nome fu meno appropriato. È lei l'erede della Kipling Electronics. Suo padre ha fondato la compagnia.»

«E poi l'ha chiamata con il nome di suo genero?»

«Harry ha preso il cognome di Angel. Era una condizione dell'accordo prematrimoniale. Se lei fosse più interessata ai pettegolezzi, lo saprebbe.»

«Qual è il suo vero nome?»

«Nessuno ha mai provato abbastanza interesse per quel bamboccio da chiederselo. Se sta pensando che potrebbe avere una storia interessante, ne dubito. Prima di dare il suo assenso alle nozze, il padre di Angel ha passato in rassegna ogni aspetto del suo passato, gli ha controllato persino le orecchie, per sincerarsi che fossero perfettamente pulite. Attenzione, Mallory, ecco il troll in arrivo. Probabilmente l'ha vista mentre guardava suo marito. Ha portato un'arma, cara?»

In effetti aveva lasciato la pistola nell'appartamento.

Angel Kipling stava attraversando la stanza in linea retta con incedere militaresco. Mentre si avvicinava a loro, Betty Hyde arretrò leggermente, senza rendersene conto. Mallory non la imitò.

La Kipling aveva scarso rispetto per lo spazio vitale delle persone. Adesso il suo viso era troppo vicino, e incontrava lo sguardo di Mallory da un'altezza di circa un metro e settanta, più i tacchi alti.

«Mi dicono che lei è un'amica dei Rosen» disse Angel Kipling. «È vero che tengono in casa un piccolo squalo?» Abbassò lo sguardo verso la donna più anziana. «Oh, ciao Betty.»

Betty Hyde salutò Angel presentandole non la signorina Mallory, ma semplicemente Mallory.

Mallory non riusciva a distogliere lo sguardo dai peli che orlavano il labbro superiore di Angel Kipling. Erano come i baffi di un gatto, solo non simmetrici. Il corpo era una patata attaccata a gambe come stuzzicadenti e braccia come salsicce. La sommità della testa era un'interessante miscela di tre esperimenti di tintura falliti, striati di castano alla radice, poi biondi e neri.

Una donna ricca con i capelli fai-da-te. Interessante.

«Allora, mi dica, signorina Mallory, cosa pensa del nostro edificio?»

«Solo Mallory.»

«È una specie di monumento, sa. Lilian Russel, la vecchia attrice, teneva un appartamento qui in modo che Diamond Jim Brady potesse farle visita di nascosto.»

«E Dylan Thomas ha vomitato su questo tappeto» aggiunse Betty Hyde.

Angel Kipling guardò in basso come se potesse esserci una macchia recente. Si rivolse nuovamente a Mallory. «Mi permetta di presentarla a mio marito.»

Il troll sollevò una mano con il tozzo dito alzato come se volesse attirare l'attenzione di un tassista o di un cameriere. Dall'altra parte della stanza, Harry Kipling si volse a guardarla e si affrettò nella sua direzione.

«Ha figli?» chiese Angel a Mallory.

«No. E lei?»

«Sì. Si chiama Peter, ma è via per la maggior parte dell'anno.» L'uomo alto entrò nel piccolo circolo femminile. «Harry, questa è la signorina Mallory. Sta nell'appartamento dei Rosen mentre sono fuori città. Ho sentito che Hattie Rosen doveva essere ricoverata alla Mayo a causa di un cancro. È vero? Signorina Mallory… Kathy, giusto?»

«Solo Mallory.» Come faceva Angel Kipling a sapere il suo nome di battesimo? Forse le spie di Angel erano pagate bene quanto quelle di Betty Hyde.

Angel Kipling si rivolse all'uomo alto con i capelli scuri e gli occhi color cobalto. «Stavo giusto dicendo a Kathy del nostro edificio.»

Harry Kipling era più che un bell'uomo. Aveva le spalle larghe, che gli davano l'aspetto di un atleta – ottimo materiale per la riproduzione. Cosa faceva con il troll? Se si era sposato per soldi, avrebbe potuto trovare di meglio.

«Uso i chip per il computer prodotti dalla compagnia di sua moglie» disse Mallory.

«Temo di non saper distinguere un chip da una patatina fritta. Il mio campo sono gli investimenti.» La sua voce aveva un che di fumoso, di seducente nelle note morbide.

Betty Hyde prese il braccio di Mallory e, sorridendo ai Kipling, la condusse via, dicendo: «Ha fissato Harry troppo a lungo. Non si volti. Credo che lei sia il suo tipo. Naturalmente lui è un po' troppo vecchio per i miei gusti. Non tocco mai un uomo sopra i trent'anni, e lui ne ha quasi quaranta. No, non si giri. Sua moglie la sta prendendo di mira. Se gli sguardi fossero pallottole, lei si ritroverebbe sul pavimento con un buco sanguinolento in mezzo ai suoi begli occhioni.»

«Mi scusi» disse Harry Kipling raggiungendole, senza Angel, che era tornata a terrorizzare il cieco. «Lei non era in televisione, morta, l'altra sera?»

«Stavo recitando» disse Mallory.

«Ah, quindi è un'attrice» disse Kipling.

«Pensavo fosse un'agente di polizia» disse Moss White, il conduttore televisivo, comparso d'improvviso accanto a Kipling. White era la roba per la quale i dirigenti della televisione andavano in visibilio. La bocca era piena e sensuale, di una morbidezza ribadita dai liquidi occhi castani. Nato per la televisione.

«Dunque lei è un'attrice» disse White. «Mi chiedo se non potremmo discutere una sua comparsa al mio show. Potrebbe essere una buona cosa per la sua carriera. Giusto una breve intervista in cui lei racconta al pubblico cosa significa essere dichiarato morto dai media.»

Mallory si girò lentamente verso Harry Kipling, che stava atteggiando i suoi lineamenti all'equivalente di una sfavillante tastiera di pianoforte.

Betty la stava di nuovo tirando per un braccio, decisa a pilotarla verso il giudice Emery Heart, il candidato alla Corte Suprema.

«Moss White ha un accento straniero» disse Mallory. «Inghilterra o Australia?»

«Stato dell'Indiana. Quattro anni fa ha passato sei settimane a Londra. Ha cominciato a parlare così da allora. Moss impara presto. Io per il mio accento ho pagato cento dollari all'ora, e mi ci sono voluti anni.»

Adesso Mallory e la Hyde erano di fronte a un uomo austero che sembrava uscito da una pubblicità di vestiti di lusso per uomini di mezz'età.

«Giudice Heart, posso presentarle Mallory, la nota personalità televisiva?»

Il giudice emanava l'inconfondibile odore del buon politico. Il sorriso era pronto, e gli occhi castani avevano uno sguardo penetrante. «Mi perdoni, io non guardo molto la televisione, signorina Mallory. In quale programma lavora?»

«Sono comparsa in TV solo per cinque minuti. Nel ruolo di un cadavere.»

Il sorriso esitò per un momento mentre l'occhio indagatore del giudice calcolava quanta importanza attribuire a Mallory. Il sorriso tornò pieno. «Be', si dice che non esistano piccole parti, ma solo piccoli attori, giusto? Questa è mia moglie, Pansy.»

Mallory si girò verso la piccola donna ansiosa al fianco del giudice. Sì, esistevano senza dubbio dei fili invisibili che la tenevano legata al marito. «Non è vero, Pansy?» la sollecitò il giudice. «Niente piccole parti?»

La donna annuì in modo meccanico, rigido. Sorrise con convinzione eccessiva. Sì, sotto lo spesso strato di trucco c'era un livido.

«Ha famiglia, signorina Mallory?» chiese Pansy.

«Solo Mallory. No.»

«Be', adesso che Rosie se ne è andata, siamo soli anche noi. Rosie, oddio, non mi ci faccia pensare. Piango ogni volta che penso alla nostra piccola Rosie. È un tale angelo. Emery le ha insegnato a stringere la mano. Vero, caro? Rosie è una cosina così intelligente, vero, Emery? E sa mettersi seduta e supplicare.»

«Rosie è un cane» disse Betty Hyde, dopo aver trascinato via Mallory spiegando che aveva promesso di presentarla agli altri.

«L'avevo capito» disse Mallory.

«Adesso lasci che le presenti il nostro Premio Pulitzer.» Betty Hyde si fermò accanto a una libreria per recuperare un paio di occhiali neri e un bastone. «È meraviglioso con un bastone in mano. Ho pensato di dargli una possibilità di tagliare la corda prima che Angel ritorni.»

«Mi chiedo come mai lui non la mandi al diavolo.»

«Purtroppo Eric è molto beneducato. Penso che lei potrebbe trovarlo interessante. E una delle mie fonti migliori. La gente non fa attenzione a quello che dice in presenza di Eric. Sembra che considerino tutti gli handicap equivalenti, prendendolo anche per sordo e scemo.» Betty posò una mano sul braccio dell'uomo. «Ciao, Eric. Voglio presentarti Mallory, una nuova inquilina.»

«Come sta» disse Eric Franz.

La voce era quella di un uomo raffinato, colto. Gli occhi fuori fuoco fissavano il nulla.

Betty Hyde gli fece scivolare il bastone in una mano e gli occhiali nell'altra. In tono da cospiratore, lui chiese: «Cosa c'è tra me e la porta?».

«Quattro persone di cui mi importa pochissimo. Colpiscile con il bastone, se puoi.»

Inforcati gli occhiali scuri, fece un inchino cortese chiaramente inteso per Mallory, sbagliando direzione di mezzo metro. «È stato un piacere.»

Attraversò la stanza affollata con la sicurezza di un uomo che possedeva il dono della vista, senza urtare nessuno al suo passaggio. Mallory si chiese come avesse perso la vista, e se in quell'occasione avesse ricevuto dei soldi dall'assicurazione, e se sua moglie avesse avuto un'assicurazione sulla vita.

«Non è completamente cieco, sa» disse Betty. «Distingue impostori e truffatori anche al buio. Ha tutte le capacità di sopravvivenza necessarie per cavarsela a New York.»

Mallory sapeva che Harry Kipling la stava guardando. Vide che girava la testa per seguire con lo sguardo lei e Betty Hyde che attraversavano la stanza. Si girò a osservare la moglie di Kipling, che a sua volta stava seguendo ogni movimento del marito. Negli occhi della donna c'era un'espressione complessa, fatta di odio, rabbia, sospetto e dolore.

Quello dei Kipling non era un matrimonio felice.

«Conosco l'avvocato che ha redatto il loro contratto prematrimoniale» disse Betty Hyde, facendo un cenno verso i Kipling. «Hanno un figlio. Il patrimonio andrà dalla madre al figlio al raggiungimento della maggiore età. Ho visto il figlio solo una volta.»

«Non ho notato molti bambini, oggi.»

«Per la maggior parte dell'anno non ne circolano affatto. I bambini di questo edificio sono una nuova classe di ricchi senzatetto. Tornano a casa dai rispettivi collegi solo durante le vacanze. Ma se proprio i tuoi figli non ti piacciono, puoi sempre pagare un extra alla scuola perché te li tenga fuori dai piedi tutto l'anno.»

«Gli Heart hanno figli?»

«Il giudice Heart ha una figlia di primo letto. Non l'ho mai vista in carne e ossa, solo nelle foto pubblicitarie uscite nel supplemento domenicale prima delle udienze al Senato. Sospetto che la ragazza sia stata affittata per il servizio fotografico.»

«C'è qualcosa che non va nella ragazza?»

«Tipo droga o piccoli furti? Oh, Mallory, è una cosa talmente frequente in questa comunità che non mi abbasserei mai a scriverne.»

«Può esserci un'altra ragione per cui non la si vede mai, non so, qualcosa che… non va in lei?»

«Una figlia da tenere sotto chiave, troppo imbarazzante da mostrare in pubblico. Un'ipotesi interessante. Lasci fare a me, cara. Parlerò con le persone giuste e le farò sapere.»

«E il cieco? Eric…?»

«Eric Franz? No, nessun figlio, a parte il cane guida. Il cane è decisamente troppo dolce per essere figlio della defunta Annie.»

«Un matrimonio difficile?»

«Non una grande storia d'amore. Il massimo del divertimento per lei era risistemare i mobili in modo che lui ci inciampasse contro. Ed Eric era solito dire agli amici che lei gli dava da mangiare cibo per cani. Era il suo modo di scherzare, ma probabilmente lei lo faceva davvero. Aveva un senso dell'umorismo tutto suo.»


Era tardi e lui era in cucina, da solo. Batté un pugno sul ripiano, e una ciotola di frutta si impennò facendo rotolare una mela sul tavolo.

Quella puttana.

Lei sapeva che cosa aveva fatto e chi era lui. Sapeva.

La mela stava ancora rotolando sul ripiano, rossa come le labbra di lei. Raccolse il frutto maturo e frugò nel cassetto cercando un coltello. Pugnalò la buccia e guardò il succo che usciva. La pugnalò ancora e ancora. Poi affettò la buccia molto sottile, immaginando le urla del frutto mutilato nella sua mano.

Puttana.

Tutte le donne erano puttane.


Sedeva nella biblioteca dei Rosen, di fronte allo schermo del suo computer. Ci erano voluti cinque minuti per inserirsi nel cuore del sistema informatico dell'edificio. Eccoti sistemata la sicurezza. Adesso scorreva i file sugli inquilini e scriveva appunti sulle vie di accesso per prepararsi a "bypassare" tutti i computer tranne tre.

Predispose una finta finestra con l'indicazione MESSAGGI PERSONALI e scrisse tre versioni dello stesso messaggio, differenti solo nel nome del destinatario. Se quelli di cui sospettava non avessero controllato la bacheca elettronica quella sera, l'avrebbero fatto la mattina dopo. Poi la finta finestra con il suo messaggio sarebbe scomparsa senza lasciare traccia.

Esaminò l'elenco dei numeri di fax degli inquilini. Due dei sospetti possedevano un fax. Sarebbe tornato utile. Dopo un'occhiata allo schema dell'edificio, prese la torcia e l'astuccio degli attrezzi per il telefono e scese nel seminterrato dove erano collocate le linee telefoniche.

Trenta minuti più tardi, l'addetto all'ascensore la stava facendo risalire dal seminterrato. Al piano terra l'ascensore si fermò per accogliere un ragazzino che poteva avere quattordici anni.

Se Harry Kipling si era fatto delle amanti, sua moglie non aveva fatto altrettanto. Il ragazzo aveva gli stessi occhi azzurri, i capelli neri e la struttura robusta del padre. E adesso la stava avidamente squadrando da capo a piedi. Le sorrise con espressione maliziosa.

Mallory gli restituì lo sguardo con un'espressione che diceva "Stai scherzando, vero?".

Il ragazzo arrossì violentemente e uscì dall'ascensore al piano successivo, sebbene non fosse quello dove abitava.

Mallory si chiese se il dongiovannismo fosse un fattore ereditario.

Ripresero a salire.

Poco prima di raggiungere il piano dei Rosen, Mallory sollevò lo sguardo verso la griglia di ferro delle porte e vide la punta del bastone bianco ai piedi del cieco. Eric Franz era di fronte all'ascensore quando le porte si aprirono. Mentre Mallory usciva dall'ascensore, l'uomo inclinò la testa. «La signorina Mallory? L'ho cercata. Oh, scusi, solo Mallory, giusto?»

«Giusto» rispose lei, dopo un istante di esitazione.

«È il suo profumo» disse Eric Franz in risposta alla domanda che lei stava per fargli. Si strinse nelle spalle e sorrise. «Quando, purtroppo, si perde la vista, la natura ci compensa fornendoci altri doni. Betty Hyde mi dice che le interessa il giudice. Anche a me.»

«Anche il suo interesse è professionale? Io lavoro per un gruppo di ricerca. Immagino che la signorina Hyde le abbia detto anche questo.»

«Sì, me l'ha detto. Ma il mio interesse per il giudice è di natura… personale. Sono curioso a proposito di un vecchio incidente. Essere ciechi ha i suoi inconvenienti, sa. Ci sono sempre informazioni mancanti a qualche livello. Prenda il giorno in cui si presentarono gli incaricati dell'ufficio del medico legale per la morte della vecchia signora Heart, la madre del giudice.»

«Vuole insinuare che potrebbe non essersi trattato di morte naturale?»

«Si parlò subito di attacco di cuore. Forse è così, ma io ero nell'ingresso quando mezz'ora dopo arrivò il detective della polizia. Disse solo una parola al portiere… "Omicidio"».

«Mmm…»

«Interessante, vero? E adesso mi aspetto che lei voglia una precisa descrizione dell'agente di polizia.»

Mallory sorrise. Sì, certo.

«Era alto e magro. Camminava a grandi passi. Mi venne addosso. Ricordo di avergli detto "Ma cosa fa, è cieco?". Non perdo mai occasione di fare questa battuta. Si scusò e, a giudicare dal suo accento, veniva da Brooklyn. Oh, e si era messo troppo dopobarba. Una marca molto costosa. Indossava un cappotto di pelle.»

«Ha detto che c'era anche l'investigatore del medico legale.» Annuì.

«C'era anche il medico di famiglia degli Heart. Io ero nell'ingresso ad aspettare un amico che era rimasto bloccato dal traffico. Mi sono sfilati tutti davanti.»

Il detective che Franz aveva descritto poteva essere solo Palanski. Ancora e sempre Palanski. Un pessimo poliziotto, dotato di una moralità paragonabile a quella degli awocatucoli che inseguono le autoambulanze per speculare sugli incidenti stradali.


Il topo sgusciò silenzioso sul pavimento della cucina, facendo attenzione alle gigantesche gambe nel pigiama blu. I suoi occhietti erano pieni dei riflessi delle briciole di un croissant. Ne ghermì un frammento dorato e tornò in fretta nel suo nascondiglio sotto al frigorifero, dove si mise a mangiare al buio, follemente soddisfatto di se stesso.

Charles guardò la panna gonfiarsi nel pentolino alla fiamma bluastra del fornello e si chiese quanti giorni di vita potesse avere ancora il topo. La signora Ortega aveva tentato ripetutamente di ucciderlo disseminando trappole, di spezzargli la schiena con una scopa e di avvelenarlo. Fino a quel momento, l'astuto topo di città l'aveva elusa con abilità soprannaturale, guadagnandosi il rispetto di Charles. Ma non c'erano dubbi sul fatto che la fine del roditore fosse vicina.

Il caffè stillò nel bricco i suoi cremosi succhi scuri. L'aroma inebriante si sparse per la cucina.

Charles portò il caffè nel soggiorno e lo sistemò accanto al voluminoso dattiloscritto. Allontanò qualunque pensiero non attinente al compito che doveva svolgere.

Una cosa gli fu chiara fin dalle prime pagine: se Amanda Bosch era il personaggio femminile, non era capace di raccontarsi bugie. Interruppe la lettura veloce e proseguì la lettura a un ritmo più umano, poiché molto umani erano i sentimenti che palpitavano nel testo… Amanda si svegliava da un incubo e lo ritrovava sdraiato accanto a sé, nel letto.

Il personaggio maschile del romanzo non sembrava conoscere o curarsi delle regole che normalmente caratterizzano i rapporti fra amanti. La donna si chiedeva perché egli non troncasse una relazione nella quale sembrava nutrire scarsissimo interesse.

Le scuse che accampava per spiegare la sua frequente indisponibilità ai loro incontri erano offensive. Tuttavia Amanda non si ribellava, dicendosi che era preferibile essere accarezzata da quell'uomo freddo e privo di passione che non essere accarezzata affatto. Non gli chiedeva mai della moglie, temendo di scoprire che non aveva mai provato nulla neanche per lei, né per nessun'altra. Lui sapeva fare l'amore meglio di chiunque altro Amanda avesse conosciuto, però le donne non gli piacevano.

Quando erano insieme, inzuppavano le lenzuola di sesso e sudore. Lui faceva sempre in modo che lei venisse per prima, manipolando il suo corpo con sapienza, insistentemente. Dopo l'orgasmo di Amanda, l'amante tradiva un orgoglio da tecnico per il lavoro ben fatto.

Lo trovava già vestito quando usciva dal bagno. Si avviava verso la porta, recitando la litania delle solite scuse. Usciva senza un bacio.

Rimasta sola, Amanda toglieva le lenzuola madide dal materasso e le stendeva ad asciugare, al caldo del mese di luglio la prima volta, poi al freddo dell'inverno. Era meglio di niente, si diceva, sapendo che non era vero.

Charles alzò lo sguardo dal dattiloscritto per fissare la porzione di muro di fronte alla sua poltrona. Richiamò alla mente la fotografia di Amanda Bosch che Riker gli aveva mostrato una sola volta. La tristezza era implicita nella forma dei suoi occhi, un sentimento formatosi nel grembo materno.

Se solo avesse potuto richiamarla in vita per un minuto.

Ma solo Malakhai avrebbe potuto inscenare quel trucco stupefacente, ottenendo una prodigiosa, infallibile fedeltà alla vita.

Un'idea folle.

Eppure.

Quel romanzo non era un mero esercizio di imitazione della realtà. Era la mente di Amanda al lavoro. Con il dattiloscritto e la fotografia, il vecchio mago avrebbe potuto farlo. Ma Malakhai non era lì con lui in quel momento.

Charles tornò a concentrarsi sul dattiloscritto, ma il volto di Amanda era impresso nell'occhio della sua mente, non lo lasciava in pace.

Fissò il telefono, tentato di contattare il più grande illusionista di tutti i tempi.

Cosa avrebbe potuto dire a Malakhai? «Perdonami, ho anch'io un piccolo problema con una donna morta. Come si fa a diventare pazzi come te?» Forse era già sulla buona strada.

Scosse lentamente la testa.

La costruzione di un succubo non era roba per illusionisti dilettanti. Non doveva dimenticare il prezzo che Malakhai, un maestro, aveva pagato per quell'impresa.

Abbassò gli occhi sul dattiloscritto. Era quel momento della notte, pensò, in cui le idee più folli sembravano meravigliose.

Stava leggendo da un'ora quando un rumore attrasse la sua attenzione. Non era abituato ad avere compagnia, a quell'ora. Si era dimenticato della presenza di Nose. Adesso guardava il gatto, seduto a pochi centimetri dalle sue pantofole.

Il fatto che Nose fosse privo di artigli non gli aveva impedito di acchiappare il piccolo topo marrone che adesso si dibatteva fra le due file di aguzzi denti bianchi. Charles si accorse di parteggiare per il topo. I denti del gatto fecero scricchiolare le ossicine della sua preda. Il topo gemette. Non era uno squittio: l'animaletto stava piangendo.

Il gatto alzò lo sguardo su di lui: si poteva vedere molto di Mallory nel colore e nell'aspetto di quegli occhi.

Charles si chinò con l'intenzione di portargli via il topo per ucciderlo rapidamente. Il gatto emise un basso ringhio di avvertimento, la coda si agitava minacciosamente mentre la mano di Charles esitava.

"Indietro", dicevano gli occhi del gatto. "È il mio giocattolo, non il tuo."


Angel Kipling si strinse addosso la seta trapuntata della vestaglia, come se la stanza fosse fredda. Non era così.

Seduta davanti al computer, fissava attonita le parole nella finestra MESSAGGI PERSONALI. Vedeva suo marito riflesso nello schermo. Una minuscola copia di Harry fluttuava verso di lei. Avvertì il calore del corpo di lui, in piedi dietro la sua sedia.

«Angel, cosa c'è?»

«Oh, niente, Harry.» Continuava a fissare lo schermo. «È un messaggio personale. Credo che sia per te.»

Si alzò e si avviò a passi lenti in direzione della camera da letto in cui da tempo dormiva sola. Si girò e lo vide curvarsi verso il monitor del computer e leggere il messaggio che scorreva sullo schermo: BUGIARDO, BUGIARDO, BUGIARDO, BUGIARDO…


Voleva allontanarsi dal luogo in cui il gatto stava mangiando il topo. Uscì sul pianerottolo e aprì la porta dell'ufficio. Al tocco di un pulsante, la stanza si riempì della morbida luce proveniente dagli antichi paralumi di vetro colorato.

Nella stanza accanto, l'ufficio di Mallory era un altro pianeta. Lo scatto dell'interruttore lo inondò di una luce cruda, acida, proiettando Charles dritto nell'era dell'elettronica. Le macchine brillavano e lo fissavano con occhi grigi privi di vita.

Il collage di immagini sul pannello di sughero sul muro opposto alla porta lo fece trasalire. Come aveva fatto Mallory a raccogliere tanto materiale in così poco tempo? Non dormiva mai?

C'erano fotografie di Amanda, del suo appartamento, campioni della sua grafia, un'immagine di una vecchia culla di legno in attesa di un bambino mai nato.

Guardò le foto dell'autopsia, quelle del luogo del delitto, mentre in lui cresceva la sensazione di conoscere profondamente quella donna.

Mentalmente sovrappose la rosea carne viva della foto di Riker a quella bianca e morta. Amanda aprì gli occhi e gli sorrise. Charles scoprì che poteva modificare quel sorriso in un'espressione più appropriata alle circostanze. Ora lo sguardo di Amanda era amichevole e interrogativo. "E adesso?" chiedeva. Trattenne questa nuova immagine di lei troppo a lungo, tanto che gli sarebbe rimasta nella memoria per anni.

Scorse l'inventario degli oggetti trovati nel suo appartamento. Notò la presenza di una bottiglia di profumo alla rosa che compariva anche in una foto della mensola del bagno. Il nome e la marca erano quelli di un flacone che ricordava di aver visto in cantina, tra i costumi adorni di lustrini, le scatole del trucco e gli attrezzi da illusionista un tempo appartenuti a Maximillian Candle.


Quando entrò nella stanza, suo marito stava fissando lo schermo del computer.

Pansy Heart si avvicinò silenziosamente. I rumori di qualsiasi tipo lo irritavano. Al di sopra della sua spalla lesse le parole BUGIARDO, BUGIARDO, BUGIARDO, BUGIARDO. Riempivano l'intero schermo.

Suo marito si voltò a guardarla. La sua faccia era rossa di rabbia.

«Cosa fai, mi spii? Non sgattaiolare mai più alle mie spalle in questo modo!»

Pansy si ritirò in fretta, la mano istintivamente alzata a proteggersi. Ma lui si limitò a girare di nuovo la faccia verso lo schermo. Colpì la consolle con un pugno, mandando all'aria libri e carte. Pansy si inginocchiò sul tappeto e cominciò a raccogliere gli oggetti caduti.

«Fuori di qui!» urlò lui. «Fuori!»

Procedette carponi fino alla porta, poi si rizzò in piedi e si allontanò svelta lungo il corridoio. Quando entrò in camera da letto, lo specchio le restituì l'immagine di sé che correva incontro. Si fermò di scatto e represse un grido.

Quando era dimagrita così tanto?

Con i capelli tirati indietro, come lui insisteva che li portasse, con la magrezza del suo corpo e l'espressione da animale braccato, era l'immagine vivente della defunta madre del giudice Emery Heart.


La stampante braille emise il messaggio, riempiendo foglio dopo foglio con la stessa maledetta parola.

Eric Franz sedeva immobile, intento a osservare una scena che si svolgeva dentro la sua testa, un film dell'orrore che non finiva mai. Un lenzuolo di neve brillante cadeva oltre l'ampia finestra, grandi fiocchi illuminati dalle luci esterne dell'edificio. Eric Franz si allontanò dalla finestra e liberò il rotolo di carta dalla stampante.

Un momento dopo nevicava anche in casa, mentre Eric strappava la stampata in una cascata di piccolissimi pezzi. Lavorava al buio.


Aveva le mani piene quando tornò nel soggiorno del suo appartamento. Charles allineò gli ingredienti per fare una donna sul tavolino da tè. Avrebbe usato anche il pacchetto di sigarette dimenticato da Riker. Secondo il rapporto del medico legale, Amanda era stata una fumatrice. Non c'erano sigarette nel meticoloso inventario affisso sul pannello di Mallory. Amanda poteva aver smesso quando aveva saputo di essere incinta, ma il suo romanzo traboccava di immagini legate al fumo: fiammiferi sfregati nel buio quando si svegliava da sola nel cuore della notte, portaceneri pieni, granelli di polvere che turbinavano nel fumo bluastro.

Il contributo del cugino Max era la boccetta di profumo alla rosa che Charles aveva recuperato da un baule della cantina. La Louise ricreata da Malakhai era perennemente avvolta da una fragranza di gardenia.

Evocò il viso di Amanda, proiettandolo mentalmente sul muro di fronte a sé.

Qual era la ricetta di Malakhai?

Probabilmente avrebbe dovuto cominciare da un bel trauma cranico grave quanto quello che Malakhai aveva sofferto durante la guerra di Corea.

Be', in assenza di traumi fisici, poteva senz'altro fare affidamento sulle ferite del cuore e della mente. Ne aveva riportate in abbondanza, e qualcuna si poteva considerare il contributo di Mallory a quella stregonesca faccenda.

Gli anni di solitaria detenzione che il vecchio mago aveva trascorso in una cella coreana erano un secondo ingrediente difficilmente reperibile. Malakhai era riemerso dalla prigione in compagnia del fantasma di Louise.

Charles rifletté sui propri anni di isolamento. Un grande campus universitario era difficilmente paragonabile a una cella di neanche sei metri quadrati. Ma poi pensò ai semestri di assoluta solitudine, quando era un ragazzino precoce e "strano" in mezzo a studenti di dieci anni più grandi di lui. Poi era stata la volta dell'Istituto di Effrim Wilde, un grembo accogliente in grado di proteggerlo dalle insidie del mondo esterno, e infine della società di consulenza, il suo attuale rifugio.

Per la maggior parte della sua vita Charles era stato un essere a parte, un alieno in mezzo alla gente normale. Un'esperienza per certi versi affine all'isolamento patito da Malakhai in Corea.

Ma Charles non aveva bisogno di andare tanto indietro nel tempo per percepire acutamente il peso della propria solitudine. Si sentiva disperatamente solo ogni volta che Mallory lasciava una stanza.

Un altro contributo alla mia impresa, grazie, Mallory.

Se fosse accaduto qualcosa a Mallory, non sarebbe stato possibile ricostruirla come Malakhai aveva fatto con Louise, come Charles avrebbe tentato di fare con Amanda Bosch. Nessuno aveva accesso ai pensieri e ai sentimenti di Mallory.

Oh, che sciocco! A un tratto si ricordò della musica. Il concerto era stato un ingrediente essenziale nella creazione di Louise da parte di Malakhai. La sua copia del concerto era irreparabilmente danneggiata, ma da qualche parte in cantina doveva esserci un vecchio 78 giri, e il giradischi adatto a suonarlo. Tuttavia per il momento si sarebbe accontentato di immaginare la musica. Aveva ascoltato il pezzo infinite volte, fin da bambino.

Bene, aveva tutti gli ingredienti della follia di Malakhai. La musica, il profumo, la solitudine.

Sì, poteva farcela.

Accese una delle sigarette di Riker e la posò sul posacenere. Si concentrò sul volto di Amanda, ricreando l'immagine che aveva composto nell'ufficio di Mallory. Adesso gli occhi di Amanda Bosch erano fissi nei suoi. C'era mistero in quegli occhi, e un profondo senso di perdita.

Cercò le note del Concerto di Louise.

Era un bambino di sette anni la prima volta che aveva udito il pezzo, in sottofondo alla messa in scena folle e magica allestita da Malakhai per Louise morta. Il cugino Max lo aveva portato allo spettacolo come regalo per il suo compleanno.

Avevano raggiunto i loro posti alla luce tremolante delle candele ai piedi del palco. La bacchetta del direttore d'orchestra si stava alzando quando si sistemarono nelle poltroncine di velluto rosso.

La musica lo aveva avvolto, potente e misteriosa, per spezzarsi a un tratto, nel modo più inaspettato, aprendo una voragine vuota e sanguinante che aveva inghiottito gli ascoltatori improvvisamente angosciati. Era uno spazio vacante che l'orecchio si affrettava a riempire con gli echi del ritornello, udibili solo nella mente, per cancellare quel silenzio terribile, insopportabile.

Ma poi la musica era tornata a sgorgare, li aveva inondati, restituendoli a se stessi purificati dall'attraversamento del vuoto.

Il sipario si era alzato. Malakhai aveva creato Louise sul palco, una presenza tangibile, reale. Poi l'aveva mandata tra il pubblico. Per un lungo attimo il profumo di gardenia aveva aleggiato fra le poltrone.

Poi, nel vuoto, nel ricorrente silenzio che gli ascoltatori riempivano di magiche note fantasma, si era levato il grido di una donna.

Molto tempo dopo che la sala si era svuotata, il cugino Max era ancora seduto in prima fila, intento a stringere la mano di un bambino spaventato a morte.

Una volta Max gli aveva detto che la musica migliore seguiva il ritmo naturale del cuore. Come il Concerto di Louise. Charles sedette per un tempo imprecisato, ricordando e ascoltando, prima di sentire di aver ricreato la musica, nota per nota, proprio come l'aveva udita quella prima sera tanto tempo addietro.

Accese un'altra sigaretta per sostituire la prima, di cui era rimasto solo un tizzone scuro. Charles aspirò il profumo delle rose.

Forse il profumo era stato un errore. L'aroma nella bottiglietta dorata che aveva recuperato in cantina era alterato dal passare degli anni. Sapeva di boccioli appassiti molto prima della nascita di Amanda.

Le melodie del concerto si dispiegavano nella sua mente vividamente, cammini pieni di tristezza, e poi… Amanda.

Era un'immagine a due dimensioni, come una fotografia, ma infusa dell'energia palpabile di lei. Aggiunse un po' di luce ai teneri occhi azzurri, e le donò lo splendore dei capelli dorati di Mallory.

Era pronto.

Si sporse in avanti. «Amanda?»

L'immagine chinò la testa in segno di assenso. Sembrava un foglio di carta piegato arbitrariamente, un goffo tentativo di animare l'immagine piatta di una donna morta.

«Perché ti hanno uccisa, Amanda?»

Lei rispose con la voce di Mallory. Charles l'aveva creata prendendo solo la seta di Mallory, lasciando da parte il suo sarcasmo. «Lui mi ha mentito.»

C'era una ferita nel suo sguardo, come se Charles fosse stato troppo diretto, troppo precipitoso. Gli occhi azzurri si appannarono, e Amanda scomparve.

«Sono così spiacente» disse Charles rivolto al nulla. Il suo patetico tentativo era fallito miseramente.

Rimise il tappo alla bottiglia di profumo, ma l'olezzo di morte delle rose assassinate restò sospeso nell'aria. Quando passò nelle altre stanze, quell'odore lo seguì. E quando fu nel suo letto, più vulnerabile, con le mani e i piedi legati dal sonno, Amanda tornò.

Per tutta la notte assistette all'uccisione di tenere, freschissime rose.

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