Capitolo Quarto

23 dicembre


Per un minuto buono, Charles Butler era rimasto accanto alla porta, ascoltando lo scalpiccio nel corridoio esterno. Dai passi leggeri che andavano e venivano, capì che si trattava di un bambino. Ed esattamente in quel momento, grazie a una combinazione di udito finissimo e sensibilità zen, distinse il suono di qualcuno che spostava il peso da una gamba all'altra. Aspettò con educazione che il visitatore superasse le sue esitazioni e suonasse il campanello.

Charles aprì la porta con il sorriso pronto, un sorriso sincero, dato che i bambini gli piacevano.

«Ciao. Sei venuto in anticipo.» Un'ora prima.

«Sì» disse Justin Riccalo, dondolandosi sui talloni. «Devo incontrare qui i miei genitori. La mia lezione di piano è stata annullata, e non sapevo dove andare.»

Perché non a casa sua? Forse là non si sentiva più il benvenuto?

Come se gli avesse letto nel pensiero, il ragazzo aggiunse: «Non ho le chiavi di casa. Posso andare da qualche altra parte. Mi dispiace…».

«Non devi scusarti. Stavo giusto scendendo nel seminterrato. Mi fa piacere avere compagnia. Ti piacciono i trucchi magici?»

La risposta di Justin non fu quella che si era immaginato. Il dondolio cessò.

«Se mi piacciono i trucchi? Signor Butler, questo è un modo indiretto per chiedermi se so far volare una matita?»

«Niente affatto. Vieni con me. Sono sicuro che il seminterrato ti piacerà.»

Con un'alzata di spalle, il ragazzo gli fece capire che ne dubitava, ma che l'avrebbe accompagnato ugualmente. Charles chiuse a chiave la porta dell'ufficio e insieme si avviarono lungo il corridoio seguendo il cartello che indicava l'uscita e portava alla scala. Il ragazzo si voltò a guardare l'ascensore e Charles spiegò che le scale erano l'unica via d'accesso ai piani sotterranei, aggiungendo che sperava che a Justin quattro scalini non dispiacessero. Justin procedette lento e con fatica accanto a Charles, come se le sue gambe pesassero un quintale ciascuna.

A quanto pareva le scale erano una novità per quel ragazzino. Quando la porta si aprì su una scala a chiocciola di ferro nero, Justin si afferrò al corrimano. La luce cruda di una lampadina deformava le ombre del ferro ondulato.

«Spaventoso» disse Justin, approvando i giochi aggrovigliati di luci e ombre. «Questo vecchio palazzo mi piace.»

«Non hai ancora visto niente.»

Charles camminava davanti, seguito dal ragazzo, dal cui passo era scomparsa ogni riluttanza.

«Cosa andiamo a fare laggiù, signore? Vuole che infili due dita nel suo rilevatore di paura?»

«No, niente macchinali strani o metodi sofisticati. Le chiacchierate e qualche test scritto sono gli unici ferri del mio mestiere.»

«In che genere di soggetti è specializzato? Alieni?»

«Niente di così eccitante. Mi occupo di persone dotate di qualche talento particolare. Trovo un modo per qualificare, quantificare e applicare queste qualità… Molte persone hanno alcune aree dell'intelligenza eccezionalmente sviluppate. Prendi la mia socia, Mallory. Ha un talento naturale per l'informatica.»

«I computer sono solo congegni meccanici» disse Justin nel tono di una persona di mezz'età. «Chiunque può farne funzionare uno con un manuale di istruzioni.»

«Be', Mallory non ha bisogno di manuali. Fa cose a cui i progettisti non hanno mai pensato. Non hai idea di quello che riesce a fare con un computer.»

Un momento. Forse Mallory non era quello che si dice un buon modello per un ragazzino.

«Ma il talento della sua socia ha già un'applicazione.»

«Sì. Nella maggior parte dei casi esamino persone il cui talento non ha alcun campo di applicazione apparente e identifico un modo di valorizzarlo. Poi trovo loro un posto in un progetto di ricerca. Sembra noioso, vero?»

«D'accordo, signor Butler. Vuole cominciare senza i miei genitori?»

«Oh, no. Facciamo questa gita per il semplice piacere di farla. Stavo per venire quaggiù per cercare un vecchio disco che apparteneva a mio cugino. Era un mago… Maximillian Candle. Ne hai mai sentito parlare? No, non puoi averne sentito parlare. È passato molto tempo da quando calcava il palcoscenico. Ti interessa la magia? Non mi hai risposto.»

Erano arrivati in fondo alla scala, e Charles stava armeggiando con la serratura della porta. Una volta entrato, cercò a tastoni la torcia sul mobile in ingresso. L'accese e diresse il raggio verso il ragazzo per illuminargli il cammino.

Si fecero strada tra un labirinto di scatoloni e casse, vecchi mobili e foto incorniciate.

Charles inserì una chiave in un'altra serratura e la parete posteriore cominciò a ripiegarsi su se stessa, come una gigantesca, silenziosa fisarmonica.

Lo spazio cavernoso oltre la parete era illuminato debolmente da un'ampia finestra. Le sbarre alla finestra erano opera di Mallory, così come le serrature a prova di ladro installate per tutto l'edificio. Avrebbe messo sbarre a ogni finestra se Charles glielo avesse consentito. C'era voluto del bello e del buono a convincerla che avrebbe preferito essere derubato piuttosto che sentirsi in prigione a casa propria.

Adesso il raggio della torcia illuminava un collage di satin e seta. Lustrini e cristalli scintillavano nelle custodie per vestiti trasparenti appese all'interno di un baule. Una parte della stanza era oscurata da un paravento di carta di riso raffigurante un grande drago dalla lingua fiammeggiante. Delle mensole fissate al muro ospitavano maschere, cappelli a cilindro, una gabbia per le colombe, carte da gioco giganti, scatole decorate e piccoli bauli pieni di trucchi magici.

«Tra un attimo accenderò la luce.» Charles toccò con un dito la sommità di una sfera di cristallo e quella si animò, illuminandosi con pulsazioni misteriose come se la luce al suo interno respirasse.

Si girò verso il ragazzo, la cui attenzione era focalizzata altrove. «Oh, quello è il cugino Max.»

«Come va?» disse il ragazzo alla testa mozza appollaiata sulla sommità di un baule. Justin guardava alternativamente Charles e la testa di cera. «Le assomiglia.»

«Morì quando avevo all'incirca la tua età.»

Charles prese in mano la testa. Lo fissava con occhi vivi e l'espressione di stupore caratteristica di Max quando era in vita.

«Il cugino Max salvò la mia infanzia.»

«Cosa intende dire?»

«Grazie alla magia. Era un mago fantastico. Naturalmente il più grande di tutti i tempi è Malakhai. Faceva un numero con una donna morta, un fantasma.»

«Come no, signor Butler.»

«Dico davvero. Si chiamava Louise. Morì a soli diciannove anni. Era una di quelle persone molto dotate di cui stavo parlando, che…»

«Louise Malakhai? Quella del Concerto di Louise?»

«A quanto pare qualcosa hai imparato a scuola.»

«No, cerco di non imparare niente alla Tanner School. E troppo rischioso. Non sono sicuro che sappiano quello che fanno. La mia prima matrigna era solita ascoltare il Concerto di Louise. L'ha conosciuta? Louise, intendo.»

«Be', sì e no.»

«Perché ha intitolato il concerto con il suo nome? È una sorta di autoritratto in musica?»

«Veramente lei aveva dato al concerto un titolo diverso. Fu Malakhai a cambiarlo, dopo che lei morì. Allora conosci quella musica.»

«Non proprio. Ho ascoltato il disco solo una volta dopo la morte della mia matrigna. Era un vecchio disco per giradischi…»

«D'antiquariato?»

«Sì. Probabilmente adesso si trova su CD. La mia matrigna… quella pazza che si è suicidata… amava quel disco. Lo ascoltava di continuo.»

«A te piaceva?»

«Non l'ho mai ascoltato tutto. Lo metteva quando era sola. Quando c'era qualcun altro spegneva, o lo ascoltava con le cuffie. Diceva che il concerto era… abitato dai fantasmi. Diceva di sentire qualcuno che si muoveva nella musica. Strano, no? Comunque, dopo la sua morte, un giorno che stavo ascoltando il disco, papà lo strappò dal giradischi e lo distrusse.»

Charles pensò a quel diabolico spazio vuoto, che ogni orecchio riempiva di significati diversi. Una volta lui aveva sentito Louise gridare. Un'altra volta, da adolescente infatuato della donna fantasma, l'aveva sentita ridere.

«Louise morì giovane. Il concerto fu la sua unica composizione, tutto ciò che Malakhai possedeva quando tornò dalla guerra di Corea. Lo usava come colonna sonora per tutti i suoi spettacoli.»

«Con una donna morta.»

«Sì, una donna morta invisibile. Gli faceva da assistente. Quando gli porgeva un oggetto di scena, lo si vedeva fluttuare dalla mano di Louise a quella di Malakhai.»

«Trucchi. Fili e roba del genere.»

«Ma Malakhai sapeva anche ispirare terrore. Mandava Louise tra la folla. Più tardi la gente del pubblico giurava di averla sentita passare, il fruscio del vestito, la corrente d'aria.»

«Come ci riusciva? Che tipo di trucchi usava?»

«Niente di tangibile, di concreto. Convinceva il pubblico dell'esistenza di Louise.»

«Tutto il pubblico?»

«In realtà è più facile quando c'è molta gente. Dall'ipnosi di massa alla psicosi, quanti più sono, meglio è. Si possono fare un'infinità di cose con una grande quantità di energia…»

«Ma nessuno l'ha vista davvero?»

«Lui la descriveva in modo così efficace che riesco a vederla ancora adesso. Portava il vestito che indossava quando morì. Era blu.»

«Com'è morta?»

«Nessuno lo sa. Fa parte del mistero di Louise. Alcuni dicono che sia stato Malakhai a ucciderla. Altre voci dicono che sia stata uccisa perché era una spia. Tutto molto romantico. Quando avevo la tua età ero innamorato di Louise.»

«Allora era pazzo quanto Malakhai.»

«Credo di sì. E hai detto bene… Malakhai è impazzito. È veramente sorprendente quello che la gente fa per amore… per conservarlo, ucciderlo, vendicarlo. Alcuni muoiono, per amore.»

Charles pensò a quello che aveva fatto Amanda. "Taglialo, strappalo da me", aveva detto al chirurgo, lei che adorava i bambini.

«Ne deduco» disse il bambino che aveva davanti, «che innamorarsi non sia l'aspetto più bello del diventare adulti.»

Charles sorrise. «Anche l'amore per un bambino può portare a comportamenti estremi. Le cose che la gente fa per i propri figli…»

«Oppure ai propri figli.»

Charles annuì.

Justin era stato maltrattato? Quale era l'origine dello sguardo di mutuo riconoscimento che era balenato tra lui e Mallory? Quei due avevano qualcosa in comune.

Ma anche lui, Charles, aveva qualcosa in comune con il ragazzino: Justin Riccalo non parlava come un bambino. Entrambi erano cresciuti circondati da adulti.

Individuò il vecchio giradischi e si chinò a togliere il grosso della polvere. Dov'erano i dischi?

Ah, eccoli.

Tirò fuori la cassa di vecchi album da sotto un tavolo, e cominciò a esaminarli. Il ragazzo gli gironzolava attorno, perennemente inquieto.

«Allora, Justin, quando non ci sono in giro matite volanti, come va con la tua matrigna?»

«Non la conosco molto bene.»

«Pensavo che la tua matrigna conoscesse tuo padre da molto tempo.»

«Credo che un tempo lavorassero insieme. Non ne sono sicuro. Forse a quel tempo mia madre era ancora viva. Non conoscevo bene neanche lei.»

«Come?»

«Ero quasi sempre a scuola. Fin da quando avevo quattro anni, i miei genitori mi iscrissero a una scuola speciale. Spesso non torno a casa prima delle otto o le nove. Come faceva Malakhai a far credere a quelle persone che Louise le avesse toccate?»

«Il pubblico se ne convinceva da solo.»

«Crede possibile che la stessa cosa accada alla mia matrigna, con le matite?»

«L'immaginazione non fa tutto da sola. Subentra a completare l'effetto del trucco.»

Charles fece scivolare il disco fuori dalla copertina consunta e lo mise sul giradischi.

Justin si sedette sui talloni. «Adesso si trova su CD, sa.»

«Me l'hai già detto. Silenzio. Ascolta.»

Il volume era troppo alto. Quando la musica si levò come una marea, la grande stanza parve troppo piccola per contenerla. Charles abbassò il volume fino a un livello accettabile, ma il concerto conservò tutta la sua potenza. Quella era vera magia.

Charles si smarrì nei ricordi di Louise con l'abito blu macchiato di sangue. Poi i suoi pensieri andarono ad Amanda Bosch. Louise e Amanda erano intrecciate nella sua mente. Come quando era piccolo, chiuse gli occhi e lasciò che la musica gli scorresse addosso nel buio.

La matrigna di Justin aveva descritto bene quella musica. Era abitata da spettri. Qualcuno si muoveva attraverso la musica, e nello spazio vuoto… questa volta piangeva.

Charles aprì gli occhi e guardò il ragazzo, che, ripiegato su se stesso, si teneva le mani premute sulle orecchie.

Cosa senti nel vuoto, Justin?

Charles trasalì.

Amanda Bosch era apparsa alle spalle di Justin.

Si chinava sul ragazzo raggomitolato ai suoi piedi.

La mano di Charles si precipitò a sollevare la puntina dal disco e la musica cessò.

Amanda non c'era più.


Riker fece una smorfia quando vide il detective Palanski, una pertica in giacca di pelle nera e occhiali da sole. Deve credersi una fottuta stella del cinema, per portare gli occhiali da sole al chiuso. Il detective stava agitando un dito appuntito a pochi centimetri dalla faccia di Martin, un agente in divisa che aveva l'ordine di tenere chiunque lontano dall'ufficio di Jack Coffey.

Nessun super-detective della West Side avrebbe sopportato un affronto del genere da un semplice poliziotto, diceva il dito di Palanski.

Riker toccò il braccio di Martin e gli fece cenno di allontanarsi. Martin arretrò fino alla porta dell'ufficio di Coffey e incrociò le braccia. Palanski si rivolse a Riker con la rabbia di un bambino di nove anni.

«Il mio capitano vuole sapere perché il tuo tenente si sta occupando di questo caso di omicidio… il cadavere nel parco. Nessuno dei vostri agenti è coinvolto.»

«E chi te lo dice?» ribatté Riker, tirando fuori una sigaretta e frugandosi nelle tasche per cercare i fiammiferi.

Possibile che a Palanski fosse giunta voce della faccenda del Coventry Arms? Sì, era così. Adesso il caso riguardava gente importante e lui desiderava ardentemente un'occasione di rifarsi dopo la recente figuraccia dell'errata identificazione del cadavere. Altrimenti perché venire a reclamare del lavoro supplementare in una città in cui notoriamente i cadaveri e i casi insoluti abbondavano?

«La vittima non è Mallory» disse Palanski. «Lo so per certo.»

«Quando hai visto il corpo la pensavi diversamente.»

Non aveva dubbi che fosse Palanski il responsabile dell'errore, colui che aveva annunciato l'assassinio di un agente alla stampa. Le informazioni erano denaro sonante a New York, e certamente Palanski era troppo avido, oltreché ambizioso per lasciarsi sfuggire un'occasione del genere. A dirla tutta, Riker sospettava che Palanski fosse anche corrotto. Si vestiva troppo bene per un poliziotto cui toccava mantenere una moglie, una ex moglie e due figli. Riker manteneva solo la bottiglia, eppure non poteva permettersi il costoso parrucchiere dove Palanski si faceva non già tagliare i capelli, ma ritoccare settimanalmente la pettinatura.

«Palanski, se tu hai pensato che fosse Mallory, forse l'ha pensato anche l'assassino.»

Palanski abbassò gli occhiali da sole e si avvicinò a Riker di un passo. «Non me la bevo.»

A ben pensarci, non era un po' strano che Palanski fosse stato il primo ad arrivare sul luogo del ritrovamento di Amanda Bosch? Un rapido controllo dei ruolini aveva confermato che quella mattina non era in servizio. Probabilmente Palanski pensava che l'elegante Upper West Side, dove abitavano i ricchi e famosi, fosse la sua riserva privata.

«Posso farti parlare con Mallory, se credi» disse Riker, sorridendo amabilmente a quell'uomo che detestava.

«No, non…»

«Nessun problema. È il suo caso. Potrai spiegarle perché vuoi portarglielo via.»

«Ascoltami, Riker, io non…»

«Toh, lupus in fabula. Eccola che arriva.»

Palanski sussultò.

In effetti Mallory veniva verso di loro e il suo riflesso si andava allargando negli occhiali scuri di Palanski. Al posto della consueta giacca di montone portava un cappotto nero lungo fino alle caviglie. E, notò Riker, le scarpe da jogging nere che riservava alle mise più formali.

Cosa aveva fatto Mallory a Palanski? Doveva ricordarsi di chiederglielo, un giorno.

«Non importa» disse Palanski a Riker. «Dirò al capitano che ritenete che l'omicidio sia collegato a una delle vostre operazioni. Troverà questa spiegazione perfettamente soddisfacente.»

Giunta a pochi centimetri da loro, Mallory salutò Riker e proseguì per il suo cammino, seguita da una scia di profumo da ottanta dollari il flacone. Palanski la seguì con lo sguardo mentre si allontanava. A un tratto Mallory si voltò.

Riker scosse piano la testa. Conosceva Mallory da tanto tempo, eppure non la conosceva affatto. Quando era una bambina, una volta Markowitz l'aveva descritta come una piccola strega con gli occhi di un killer mafioso. A distanza di tutti quegli anni il suo sguardo non era cambiato.

Fissò Palanski per un solo istante prima di girarsi e riprendere a camminare, ma in quell'istante il volto di lui sbiancò, come se lei avesse trovato un modo per succhiargli il sangue senza bisogno di affondargli i denti nel collo.


Jack Coffey passò in rassegna i presenti. Mallory era stata puntuale come al solito, né un secondo prima né uno dopo l'ora fissata, il dottor John J. Hafner era in ritardo.

«Che cos'hai scoperto, Mallory?»

«Harry Kipling mente alle banche. Sta cercando di ottenere un prestito. Le banche continuano a menare il can per l'aia perché lui non dice la verità.»

«Tutti mentono alle banche. È una cosa di poco conto. Cos'altro?»

«Mente sulla dichiarazione dei redditi. Vi figura come singolo, non insieme alla moglie. L'anno scorso il fisco lo ha inchiodato per un reddito non dichiarato. E ha un capitale crescente depositato all'estero.»

Coffey si coprì il viso con una mano. «Spero che stiamo facendo i controlli con discrezione.» Traduzione: "Stai rubando le informazioni, giusto? Non parli con esseri umani, ma solo con delle macchine, dico bene?".

«Ma certo.»

«E gli altri sospetti? Sono sempre quattro?»

«Forse sono scesi a tre. Uno non è abbastanza alto.»

«Ho paura di chiedere quanto è alto il giudice.»

«Un metro e novanta.»

«Se coinvolgi il giudice Heart, scateni un casino. Cos'hai su di lui?»

«Picchia la moglie.»

«Ah, grandioso, grandioso davvero. Il campione dei diritti delle donne! Sparami, Mallory, e facciamola finita.»

«Se posso interrompere…»

Il dottor Hafner, psicologo del Dipartimento di Polizia di New York e compagno di partite a golf del sindaco, entrò nell'ufficio senza bussare e senza scusarsi per il ritardo.

Coffey lanciò un'occhiataccia a Hafner, che sfoggiava ovunque un odioso sorrisetto del tipo "Io ho tutte le risposte e tu no".

«Un uomo che picchia la moglie calza con questo caso ancor più di quanto immaginiate» disse Hafner, sbottonandosi la giacca del completo prima di sedersi. Gli occhiali gli scivolarono sul naso. Hafner li risistemò, togliendosi immaginari peluzzi dai pantaloni di squisita fattura. Coffey represse l'impulso di schiaffeggiare quell'individuo irritante. Si chiese se Mallory avrebbe fatto altrettanto, se sarebbe riuscita a comportarsi correttamente fintanto che il caro amico del sindaco fosse stato nella stanza.

«Il giudice è candidato alla Corte Suprema» disse Coffey, sorridendo con cordialità. «Mi auguro caldamente che non c'entri nulla con questo omicidio.»

Inutile, borioso piccolo idiota.

Hafner si sistemò gli occhiali. «Avrete notato che Amanda Bosch non aveva con sé una borsetta né un portafogli. Non credo che le siano stati rubati. Ho esaminato l'inventario dell'appartamento. Le sue carte di credito e la patente erano in un cassetto, e non possedeva borsette. Le donne di solito ne possiedono diverse, una per ogni vestito…»

«Vada al sodo» disse Mallory. Era un ordine.

Hafner si tirò su gli occhiali, il perenne sorriso ancor più condiscendente, come se pensasse di avere a che fare con un bambino indisciplinato. «Le persone che non portano con sé un documento, mancano di un'identità propria. Una donna dotata di scarsa autostima è naturalmente attratta da uomini prepotenti, violenti, portati alla sopraffazione.»

«Secondo la signora Farrow» disse Mallory, «la Bosch non portava più la borsetta da che era stata derubata, tre anni fa. Il verbale del furto è registrato. Gliel'ho mandato con il resto delle carte. Lei legge i rapporti che le mandiamo? E poi mi risulta che al giorno d'oggi molte donne preferiscano le tasche alle borsette.»

Coffey vide gli occhi di Hafner abbassarsi per verificare il fatto che Mallory non aveva una borsa. Ora Hafner stava esaminando il suo viso, valutando Mallory come fosse un campione. Gli brillavano gli occhi, come se avesse scoperto una forma di vita unica al mondo. In effetti era così.

«Dottor Hafner» disse Coffey nel tono più controllato che seppe assumere. «Pensa che l'assassino possa uccidere di nuovo?»

«Certamente. Potrebbe aver ucciso molte volte. Non sappiamo se questo sia il suo primo delitto. Non credo che sarà capace di fermarsi.»

Coffey stava pensando: Cazzate, e gli occhi di Mallory erano d'accordo.

«Continui, dottor Hafner» disse Coffey.

«Le condizioni impeccabili dell'appartamento sono un esempio di comportamento rituale e compulsivo, l'estrema purificazione. Questi individui ossessivamente puliti soffrono di gravi disordini della personalità.»

«Quindi lei pensa che il nostro uomo abbia il profilo di un serial killer?» chiese Coffey.

«È altamente probabile. Mi interesserebbe avere notizie dettagliate circa il passato dei sospetti, e la loro infanzia in particolare. Ci sono stati traumi? Maltrattamenti? Abbandoni? Fughe da casa?»

Hafner sembrava affascinato da Mallory; mentre parlava esaminava apertamente il suo viso, come a misurare l'effetto che ogni parola aveva su di lei.

Hafner si sistemò di nuovo gli occhiali. «I rituali di purificazione normalmente vanno a braccetto con un'ossessiva osservanza della puntualità.»

Coffey si sporse in avanti.

Puntualità? Cosa c'entrava adesso la puntualità?

Forse Hafner aveva notato la pulizia che regnava nell'ufficio di Mallory, e altro ancora. Poteva aver avuto accesso alla valutazione psicologica di Mallory, resa necessaria dopo che lei aveva scaricato un'arma in servizio.

Il discorsetto del dottore non aveva nulla a che fare con il caso in questione. Quell'idiota voleva giocare con Mallory, voleva dissezionarla, studiarla e tormentarla come fosse un animale da laboratorio.

Coffey guardò la faccia di Mallory, e si accorse che lei era da tempo giunta alle sue stesse conclusioni. Avrebbe lasciato che quell'idiota se la cavasse da solo. Qualunque cosa lei avesse fatto a Hafner, Coffey non sarebbe intervenuto.

Distruggilo, Mallory.

Coffey osservò la pistola scivolare dalla fondina a spalla nella mano di Mallory. Non un revolver di ordinanza, ma una specie di cannone, in grado di fare buchi assai più grossi.

«Mi ascolti, idiota» disse Mallory, avvicinando la sedia a quella di Hafner.

«Non è stato un omicidio premeditato» disse scandendo le sillabe. «L'arma è un sasso pesante.»

Sollevò la pistola, toccò il metallo con una lunga unghia laccata di rosso e il tamburo uscì dal corpo della pistola con un suono metallico.

Hafner era rigido come un bastone. Una mosca gli passò accanto al viso ronzando. Non sembrò notarla. Gli occhiali gli scivolarono dal naso. Non li sistemò.

«Non ha portato un'arma sul luogo del delitto» disse Mallory. «Non aveva previsto di uccidere la Bosch quella mattina. Si è fatto prendere dal panico ed è scappato. Gli ci è voluta più di mezz'ora per riprendersi. Lo avrebbe saputo se avesse letto la nota del medico legale che parlava del corpo spostato.» Si lasciò cadere le pallottole in grembo, poi reinserì un proiettile nella pistola e rimise il tamburo al suo posto con uno scatto.

La mosca atterrò sulla guancia di Hafner.

Mallory sorrise.

«Credo che l'assassino le assomigli un po', Hafner… a suo agio in una situazione controllabile. Incline al panico quando perde il controllo delle cose.»

Mallory puntò la pistola sulla mosca che adesso strisciava sul muro, a pochi centimetri dal dottore.

Sparò.

Hafner scattò all'indietro. Una macchia umida andava allargandosi sul davanti dei suoi pantaloni. Ci vollero alcuni secondi perché l'uomo si rendesse conto di non essere stato colpito.

La mosca non c'era più.

Coffey fissò il muro nudo con stupore. La mosca era volata via o giaceva sotto al battiscopa, morta per un attacco di cuore? Mallory fece dondolare la pistola per un momento e se la posò in grembo, la canna puntata verso l'uomo sconvolto nella sedia accanto alla sua.

Gli occhiali di Hafner, resi scivolosi dal sudore, planarono lungo il suo naso per atterrare sul pavimento.

«Non l'ha inseguita di nascosto, la conosceva» disse Mallory. «Ecco perché è tornato a spappolarle le dita, per cancellare le impronte digitali. Immaginava che questo gli avrebbe dato il tempo necessario per pulire l'appartamento, per eliminare le sue stesse impronte. Anche un dodicenne tardo di mente l'avrebbe capito.»

Mallory si sporse in avanti.

«Lei è un buono a nulla, vero, Hafner?» Assentiva lentamente, e il dottore imitò il movimento della testa di Mallory, assentendo a sua volta.

«E non avrà l'ardire di pretendere un compenso per i suoi vaneggiamenti, vero?» Hafner fece segno di no.

«Bene. Adesso può andare.»

Hafner non si mosse, né batté ciglio.

«Grazie per essere venuto, dottore» disse Coffey, alzandosi mentre congedava l'amico personale del sindaco. Distolse lo sguardo dalla macchia scura sui pantaloni di Hafner. Non vide la pistola, che peraltro avrebbe negato di aver visto, scivolare nuovamente nella fondina.

Coffey sorrise alla schiena di Hafner. Mallory ne sarebbe uscita pulita.

Quante possibilità esistevano che Hafner raccontasse a qualcuno di essersi pisciato nei pantaloni?

L'uomo non era ancora uscito dalla porta che Mallory si alzò in piedi e disse: «Farò venire il mio strizzacervelli. Il Dipartimento lo pagherà con quello che vi ho appena fatto risparmiare».

«Siediti. Non ho ancora finito con te.»

Si sedette.

«Cominciamo dalla pistola giocattolo che Heller ha trovato nella spazzatura. Se appartiene all'assassino, potrebbe aver premeditato l'omicidio. È possibile che l'abbia usata per portarla in un posto sicuro, dove l'ha uccisa.»

«Era un…»

«Taci, Mallory. Stai usando qualunque elemento per supportare la tesi che hai costruito a priori. Non puoi essere certa del fatto che non avesse in mente di ucciderla. I fatti di questo caso sono pochissimi.»

«Hafner non sa…»

«Me ne frego di Hafner. Mi rivolgerò al tuo strizzacervelli. Ma considera la possibilità che l'assassino abbia pianificato il delitto e che possa avere ucciso in passato. E quale movente ipotizzi? La Bosch avrebbe scoperto qualche sua truffa? È questa la storia che vuoi che racconti al procuratore distrettuale?»

«Era una ricercatrice. Ha indagato sul padre del suo bambino e ha scoperto qualcosa sul suo conto. Se l'ha scoperto lei, posso scoprirlo anch'io.»

«Non sai neanche se lui fosse il padre del bambino. Mi ascolti quando ti parlo?»

No, lei non vedeva né sentiva. Coffey stava parlando al vento.

«Sottovaluta un assassino e rischi di lasciarci la pelle. Sei da sola là fuori.» E per quello ci voleva fegato, o forse no. Forse Mallory era semplicemente, pericolosamente immune dalla paura.

«Abbiamo finito?»

«C'è un'altra cosa. Attenta a non disturbare l'uomo sbagliato, Mallory. Potresti ritrovartene addosso più di uno. Prevedo tonnellate di grane.»


Charles sedeva in poltrona e si preparava ad assistere al rito di famiglia nel corso del quale Robert Riccalo avrebbe rimproverato il ragazzo e la donna.

Riccalo non gli piaceva. Era autoritario, arrogante e supponente. I suoi occhi erano pozzi di acqua nera. Solo Dio sapeva cosa si agitasse sotto la superficie.

Ora l'uomo incombeva su Justin, negandogli qualsiasi spazio personale. Il ragazzino si girò verso la donna. Nessun aiuto da quella parte. Sally Riccalo evitava sempre di guardare Justin direttamente negli occhi.

«Justin, questa sciocchezza deve finire!» stava dicendo l'uomo, minaccioso.

Il gatto arretrò in un angolo della stanza. Neanche a Nose piaceva Riccalo. Charles sorrise a Justin, e il ragazzo sembrò un poco rincuorarsi.

L'entrata di Mallory fece cessare qualunque conversazione. Il gatto trotterellò verso di lei, gli occhi fissi sull'oggetto della sua adorazione. Ma un'occhiata di Mallory lo convinse a sedersi a qualche decina di centimetri da lei, per amarla a distanza di sicurezza. Smise di fare le fusa quando il portamatite di legno sulla scrivania cominciò a oscillare. Il gatto si rifugiò sotto al divano prima che l'oggetto cadesse di lato. Robert Riccalo avvampò per la rabbia. La sua mano strinse il braccio del ragazzo, che sobbalzò per il dolore.

«Lo lasci andare» disse Mallory, avvicinandosi alla scrivania. Era un ordine, e Riccalo sembrò stupito di vedere che la sua mano obbediva, mentre lasciava il braccio del ragazzo e gli ricadeva in grembo.

Mallory raccolse il portamatite e lo raddrizzò.

«Siamo abituati agli oggetti che volano per l'ufficio. Vero, Charles»?

In quel momento una matita volò fuori dal portamatite, mirando alla gola di Charles. La mano di Mallory scattò a intercettarla.

Charles deglutì. «Be', alcuni di noi sono più abituati di altri.» Grandioso. Adesso Mallory aveva aggiunto le matite volanti al suo arsenale privato.

«Succede in continuazione.» Mallory stava fissando il ragazzo, che mostrava solo curiosità. Mallory passò dietro la sedia di Charles e un'altra matita volò dal portamatite dritta nella sua mano. «Non c'è niente di strano».

«Allora è un trucco!» disse Riccalo, girandosi verso il ragazzo con uno sguardo che prometteva qualcosa di sgradevole quando fossero stati soli.

«Non necessariamente» disse Charles. «Ma, vede, moltissime cose nel campo della psicocinetica possono essere riprodotte attraverso l'illusionismo. Ecco perché è così difficile accertare le doti di qualcuno. Con questa dimostrazione la mia socia intendeva avvertirvi del fatto che ci vorrà un po' di tempo…»

Cercò lo sguardo di Mallory, desiderando che lei assentisse e sorridesse per segnalare che era d'accordo. "Scordatelo", dissero i suoi occhi. Charles tornò a rivolgersi a Riccalo. «Stiamo cercando di mettere a punto un test attendibile. Tornate dopo Natale, e andremo a fondo della questione.»

Quando ebbero fissato un altro appuntamento e la famiglia Riccalo fu uscita dalla porta, Charles si girò e trovò Mallory in piedi dietro di sé.

Un altro trucco che lo metteva a disagio. Nessun rumore di passi avvertiva dell'arrivo di Mallory. Nose trotterellò nella stanza per sistemarsi ai suoi piedi.

Mallory ignorò le fusa dell'animale e prese posto in un'alta sedia stile Queen Anne. Fece un cenno verso il divano, invitando Charles a sedersi a sua volta. «Non mi chiedi come ho fatto a far volare la matita?»

«Fammi indovinare. Ogni tanto per strada si incontra qualche ambulante che vende certi ragni neri di gomma sospesi a un filo di nylon praticamente invisibile. Il venditore aziona il filo, sembra che il ragno si muova da solo. Quando si forma una grande folla, fa volare il ragno sulla faccia di una vittima, che invariabilmente si mette a urlare e finisce per comprarne dieci. Hai mai visto un ragno del genere?»

Mallory assentì. «Riker me ne regalò uno quando ero piccola. In ricordo del suo ultimo attacco di delirium tremens.»

«Hai preso un filo di nylon da una calza, l'hai attaccato a qualcosa di appiccicoso, ma non troppo… Magari un pezzetto di nastro adesivo con sopra un po' di polvere o di talco. Poi hai fissato il pezzetto di nastro alla matita. Quando hai tirato il filo, la matita si è librata in aria e il pezzetto di nastro si è staccato. Così chiunque avesse preso in mano la matita non avrebbe trovato traccia del trucco. Hai stabilito la traiettoria della matita facendo girare il filo intorno alla mia poltrona.»

«Giusto. Adesso sappiamo come funziona. Anche un bambino ci riuscirebbe.»

«Mallory, il fatto che tu abbia potuto inscenare il trucco della matita volante non significa che la stessa spiegazione valga nel caso di Justin. Questo tipo di indagine deve essere condotta raccogliendo fatti, abbandonando i pregiudizi.»

«Charles, mentre tu perdi tempo con i giochetti qualcuno potrebbe restare ferito, o addirittura morire.»

«Ci risiamo. Ti convinci di una tesi e automaticamente la dai per dimostrata.»

Charles guardò il gatto acciambellarsi in una macchia di sole ai piedi di Mallory. «Comunque su un punto hai ragione. C'è una dinamica malata in atto in quella famiglia.»

«Ieri la matita è volata verso la matrigna.»

«È più facile far volare la matita nella propria direzione, vero?» Anche se Mallory aveva molto efficacemente spedito una matita nella direzione della gola di Charles.

«Non escluderei la matrigna. Ma con due donne morte, sembra più verosimile che il nuovo obiettivo sia lei. O è così, o lei vuole accusare il ragazzo.»

«Ma per quale motivo? È tutto così confuso.»

«Di che ti lamenti? Tu hai un numero assai ristretto di sospetti e una vittima che parla e cammina. Le cose sono molto più complesse nel caso dell'omicidio del parco.»

«Lo hai già risolto?»

«Come no» disse Mallory, alzandosi. Si appoggiò una mano sul fianco, sollevando un lembo del blazer a mostrare la pistola. «Quando viene Henrietta?»

Prima che Charles potesse rispondere, il gatto si sollevò sulle zampe posteriori. Charles guardò Nose volteggiare con grazia e descrivere un cerchio, poi un altro. Dall'espressione di Mallory, capì che non era nuova a quello spettacolo.

«Credo che Nose si aspetti una ricompensa dopo aver fatto il suo balletto. È possibile che sia stato addestrato a fare così. Un balletto del genere compare nel romanzo» disse Charles.

Andò al tavolo dell'ingresso, raccolse il voluminoso dattiloscritto dal cassetto centrale e sfogliò rapidamente il primo capitolo. «Ecco: "Ha insegnato al mio gatto a ballare". Stando a quello che si dice qui l'addestramento ha avuto luogo nel corso di un week-end lungo, all'inizio della relazione. Chiaro, non si può prendere alla lettera un'opera di fantasia. Però il gatto balla.»

«Pochi giorni? Pensavo ci volesse di più per addestrare un animale. Soprattutto un gatto.»

«Se sai quello che stai facendo e non disdegni di usare metodi crudeli, no. Immagino che tenesse Nose a digiuno.»

Mallory si girò a guardare il gatto, che stava ancora ballando. «Adesso non è il bisogno di cibo a spingerlo a ballare.»

Il gatto atterrò morbidamente al suolo come se lei glielo avesse ordinato.

«Mallory, leggendo il romanzo ho compreso una cosa. La protagonista non sembra avere alcun coinvolgimento emotivo nei confronti dell'uomo. Il bambino è tutto ciò che conta per lei.»

Mallory assentì. «Il bambino potrebbe essere di Harry Kipling o del giudice Heart. Sono entrambi in grado di procreare. Forse dovrei eliminare il cieco dall'elenco.»

«Davvero sospetti un cieco?»

«Ha perso la vista in un incidente di lavoro. Al tempo lavorava per un giornale… ha ricevuto un risarcimento enorme.»

«Capisco la tua propensione a privilegiare il movente economico.» Era l'influenza di Markowitz che si faceva sentire. «Ma quell'uomo ha perso la vista.»

«Charles, ho sempre creduto che fossi un tipo politically correct. Spero che tu non intenda suggerire che i ciechi non sono in grado di uccidere come il resto dell'umanità.»

«Un cieco non sarebbe mai tornato sul luogo del delitto. Non avrebbe avuto modo di verificare l'assenza di testimoni.»

«Immagina che si sia fatto prendere dal panico e che abbia ucciso, e poi un complice sia tornato a pulire al suo posto.»

«Stai parlando sul serio?»

«No. Non credo che sia stato un cieco. Sei un esperto di talenti speciali. Parlami di quelli che si sviluppano quando un uomo perde la vista.»

«Si ritiene che sia così» disse Charles. «Ma i ciechi non hanno un odorato o un udito più fine. Semplicemente, privati del senso della vista, fanno i conti con un minor numero di distrazioni. Sono costretti ad affidarsi agli altri quattro sensi, così tendono a prestare loro più attenzione. Il tuo cieco ha un cane guida?»

«Sì. Quasi tutti in quell'edificio hanno un cane.»

«È più facile che un vedente piuttosto che un cieco finisca contro una vetrata… il bastone o il cane avvertono il cieco della presenza dell'ostacolo. Lo stesso vale per le macchine.»

«È possibile che un soggetto si adatti con particolare efficacia alla sua condizione?»

«Alcuni ne fanno un'arte. Ti guardano in faccia quando parli, cercano di creare l'illusione di vedere.»

«Eric Franz non lo fa. Ma si atteggia a Sherlock Holmes della domenica e dichiara di godere di sensi acutissimi. E sa attraversare una stanza piena di gente senza toccare nessuno col bastone.»

«Interessante.»

«Lo credo anch'io. Per questo il suo nome è ancora sulla mia lista. Insieme a quello di un giudice che maltratta la moglie, e a quelli del Bello e della Bestia.»

Charles guardò la propria immagine riflessa accanto a quella di Mallory nello specchio antico accanto al divano. Già, la Bella e la Bestia.

Si girò verso di lei, e agito una mano in direzione della porta. «Ti spiace aprire la porta a Henrietta?»

In quel momento suonò il campanello.

Mallory lo fissò. «Un giorno devi dirmi come fai.»

«Quando lavora, Henrietta è puntuale quasi come te. Pranzerà con noi.»

Mallory aprì la porta alla psichiatra dell'appartamento numero 3A. Quel giorno Henrietta indossava la sua tenuta da lavoro, un completo di buon taglio e una camicetta chiara.

Charles lasciò le due donne a discutere dell'omicidio nel parco e andò in cucina. Il gatto lo seguì, sapendo che quello era il luogo da cui proveniva il cibo. Mallory aveva riempito il frigo con ogni tipo di provviste.

Henrietta entrò in cucina mentre Charles porgeva al gatto un pezzo di carne affumicata.

«Nose, come stai?» chiese Henrietta.

Dieci minuti più tardi, Charles ed Henrietta erano seduti al tavolo della cucina, sorseggiando caffè. Mallory era in piedi al bancone e affettava del formaggio su un tagliere. Il gatto faceva le fusa seduto a pochi centimetri da lei.

Charles si rivolse a Henrietta. «Riesci a spiegarti perché il gatto sia così attaccato a Mallory? Nose per me non balla, eppure sono io a dargli da mangiare.»

«Il romanzo dice come è stato addestrato il gatto?»

«No, ma immagino che l'assasino abbia usato del cibo come ricompensa.»

«Nose potrebbe essere stato addestrato attraverso il dolore. Oppure la reazione del ballo potrebbe essere innescata da un particolare stimolo visivo. Cosa gli è successo all'orecchio?»

«Non sono stata io» disse Mallory appoggiando sul tavolo un piatto con quattro varietà di formaggio. «È successo quando Nose è rimasto per strada, dopo l'omicidio. Il veterinario dice che a parte questo veniva trattato bene.»

Charles assentì. «Se il personaggio femminile del romanzo è l'alter ego di Amanda Bosch, non credo proprio che avrebbe permesso che il gatto fosse torturato.»

«Il suo amante ha insegnato al gatto a ballare in quattro giorni» disse Mallory.

Charles servì dell'altro caffè a Henrietta. «Il romanzo è stato iniziato più di un anno fa. Eventuali segni di violenza potrebbero essere spariti.»

«Quindi è verosimile che il gatto balli per evitare il dolore» disse Henrietta, mentre farciva il suo sandwich con la carne affumicata. «È come la violenza sui bambini. Il bambino può sviluppare un forte attaccamento emotivo nei confronti del genitore violento. Per questo chiedevo dell'orecchio di Nose. Mallory somiglia in qualche modo alla vittima. Probabilmente lei gli sta sollecitando un ricordo.»

Charles afferrò una strisciolina di carne dal suo sandwich e la fece cadere nella bocca aperta di Nose. «Anche se certamente il gatto sa distinguere la sua padrona da Mallory.» Il gatto riprese la sua occupazione preferita: spargere peli sui jeans di Mallory.

«Alcuni animali sono molto sensibili agli stimoli visivi» disse Henrietta. «Il mio gatto proviene da un rifugio per randagi. Passavo accanto alla gabbia e il gatto ha avuto una crisi di frenesia, le zampe allungate attraverso la rete metallica, gemeva ininterrottamente. Mi dissero che lo faceva ogni volta che vedeva una donna con i capelli lunghi e scuri. Così ho deciso di prenderlo. È stato amore a prima vista. Come tra Mallory e Nose.»

«Cos'altro c'è nel romanzo?» chiese Mallory, allontanando il gatto dalla gamba, come a sottolineare che nel loro caso l'amore era a senso unico.

«Niente che ci permetta di isolare uno dei tre sospetti» rispose Charles. «Non gli piacciono in modo particolare le donne, sebbene desideri andare a letto con loro. Non credo che questo aiuti molto. Non ho idea di quale bugia possa aver raccontato alla vittima. Nel dattiloscritto non ci sono indizi in proposito.»

«Il profilo del bugiardo è calzante per tutti e tre i sospetti» disse Mallory. «E tutti hanno qualcosa da perdere nel caso in cui venissero scoperti. Il giudice Heart ha la carriera. Più di una nomina non è andata a buon fine a causa di qualche spinello fumato in gioventù o di una governante senza permesso di soggiorno. Harry Kipling ha una moglie ricca e un contratto prematrimoniale spietato. Eric Franz era con la moglie la notte in cui lei morì travolta da una macchina. Potrebbe avere qualcosa a che fare con l'incidente.»

«In definitiva cosa abbiamo?» chiese Charles. «Un romanzo che non possiamo usare in tribunale e nessuna prova materiale. Dal parco è venuta fuori qualche altra cosa?»

«Heller è il migliore. Se non riesce a trovare altri dettagli lui, non può farlo nessun altro.»

«Naturalmente il gatto conosce l'assassino» disse Charles. «Ma a meno che tu non pensi di riuscire ad addestrarlo a mordere la gamba del sospetto in tribunale, non ci sarà gran che utile.»

«Già.» Mallory fissava l'animale con un'espressione particolarmente sinistra. «Posso usare il gatto e il libro per stanarlo. Il problema è trovare un modo per far sì che si incrimini da solo.»

«Qualunque confronto con quell'uomo è pericoloso per te» disse Henrietta. «Se la tua teoria è corretta, ha già dimostrato la sua volontà di uccidere per proteggere se stesso.»

Mallory non sembrava impressionata. «E allora? Non stiamo parlando di uno psicopatico serial killer incallito. Il nostro uomo ha al suo attivo un solo crimine perpetrato al fine di coprirne un altro, in uno stato di panico.»

«Non puoi saperlo» disse Henrietta. «Non ha importanza che l'omicidio non fosse premeditato. Potrebbe averla uccisa mille volte nelle sue fantasie. Quest'uomo potrebbe soffrire di una patologia grave e tuttavia passare come un normale membro della comunità.»

«Un asociale non può apparire normale, non con tutti.»

«Ti sbagli» replicò Henrietta con caparbietà inusitata.

«No» disse Mallory in tono definitivo. «Non può.»

Charles riconobbe lo shock improvviso negli occhi di Henrietta, d'un tratto consapevole di avere davanti una persona che parlava per diretta cognizione di causa.

«Abbiamo una menzogna come movente» disse Mallory. «Se indagassi sulla vita di tutti gli inquilini di quell'edificio, scoprirei che ciascuno ha uno scheletro nell'armadio. Quale tipo di bugia potrebbe scatenare una reazione omicida? L'assassino si è fatto travolgere dal panico una volta. Voglio fare in modo che accada di nuovo.»

«L'intera vita di una persona può essere fatta di bugie» disse Henrietta.

«Su quali debolezze devo fare leva? Come posso terrorizzarlo per indurlo a parlare?»

«La paura potrebbe indurlo a chiudersi in se stesso. Meglio cercare di far sì che si arrabbi. Se ipotizziamo che sia stato lui a insegnare al gatto a ballare, è probabile che covi un forte bisogno di controllo. Spesso un bisogno spasmodico di controllo è l'origine dell'odio per le donne e dei crimini più violenti contro di loro. La scoperta di una bugia da parte dell'amante potrebbe effettivamente essere all'origine del raptus omicida. Quale dei sospetti giudichi maggiormente, patologicamente incline alla bugia?»

«Tutti mentono» proclamò Mallory.

«Non tutti» disse Charles.

«È vero, Charles. Tu non lo fai. Tu non riesci a mentire, non hai il coraggio di farlo. Tuttavia permettimi di ricordarti un episodio. Il vaso che hai fatto cadere al cospetto dei Riccalo. È o non è una bugia?»

«La definirei piuttosto un'omissione. Scommetto che Helen non mentiva mai.»

«Helen mentiva solo per delicatezza, ma questo non vuol dire che non mentisse a un sacco di gente.»

«Neanche Markowitz mentiva.»

«Certo che mentiva. Era più bravo di chiunque altro. L'ho visto mentire al sindaco, al questore. Mentiva tutte le volte che teneva una conferenza stampa. Mentiva…»

«D'accordo, mi hai convinto. Tutti mentono.»


Stava trasportando il gatto dal garage al Coventry Arms, quando scorse il portiere che leggeva il giornale. Un taxi si fermò, e Arthur si tolse in fretta gli occhiali, nascondendoli nella piega del giornale che stava sul ripiano sotto il citofono. Mentre Arthur si precipitava ad aprire la portiera del taxi, Mallory scivolò all'interno del palazzo. Passando accanto al ripiano, Mallory aprì il giornale ripiegato.

Bifocali. Un ometto sgradevole e troppo vanitoso per portare gli occhiali davanti agli inquilini. Interessante.

Si avvicinò all'ampia finestra dell'ingresso, che dava sul marciapiede. Un altro inquilino avanzava verso il Coventry. Quando Moss White, il conduttore televisivo, arrivò all'altezza della panchina, a circa quattro metri dalla porta dell'edificio, Arthur sfoderò il suo più largo sorriso.

Il campo visivo dalla postazione del portiere comprendeva la panchina su cui era stata seduta Amanda il giorno prima di morire.

Il pensiero di Amanda Bosch accompagnò Mallory mentre saliva in ascensore. Cos'aveva visto la donna quel giorno? Cosa l'aveva sconvolta e indotta ad andarsene precipitosamente? E che peso si poteva attribuire alla testimonianza di Arthur, qualora ce ne fosse stato bisogno in tribunale? Doveva fare un'altra chiacchierata con Arthur, e presto.

Entrò nell'appartamento dei Rosen, ed ebbe la sensazione che ci fosse qualcun altro nelle vicinanze. Anche Nose lo sentì. Smise di fare le fusa e affondò la zampa priva di artigli nel suo cappotto, guardandosi intorno.

Nella camera da letto qualcuno stava spostando un mobile, poi azionò un aspirapolvere. Mallory entrò nella stanza e vide la donna delle pulizie, la Sarah di cui avevano parlato i Rosen.

«Oh, salve, signorina.» La donna spense l'aspirapolvere, e in quel momento Mallory sentì scorrere l'acqua nel bagno. La porta si aprì e Justin Riccalo comparve sulla soglia. Accennò un sorrisetto, che gli morì sulle labbra quando Mallory rivolse alla donna delle pulizie uno sguardo interrogativo.

«Spero che sia tutto a posto, signorina» disse Sarah. «Il ragazzino era nel corridoio ad aspettarla. Aveva bisogno del bagno. Non ho sbagliato a farlo accomodare, vero?»

«Certo che no.» Guardò il ragazzo. Negli ultimi tempi era sempre nella sua mente, in un modo o nell'altro. Avvertiva un legame con lui senza essere capace di definirlo, come se avessero condiviso qualche brutta esperienza. Ogni volta che si incontravano Mallory sperimentava una strana e confusa sensazione di déjà vu.

«Ho finito con questa stanza» disse Sarah, attorcigliando il filo attorno all'aspirapolvere. Mallory e il ragazzo continuarono a fissarsi in silenzio finché la donna delle pulizie non fu uscita dalla camera da letto.

«Come sei riuscito a evitare il portiere, Justin?»

«Sono entrato dietro a una coppia. Il portiere avrà pensato che fossi con loro.»

«Come sai che vivo qui?»

«Ho cercato il nome nell'elenco telefonico.»

No, Mallory scosse lentamente la testa, non può essere.

L'aspirapolvere cominciò a ronzare e sobbalzare lungo il tappeto del soggiorno.

«Okay, ero con la mia matrigna quando l'ha seguita l'altro giorno.»

In quell'occasione l'aveva sentito ma non visto. Aveva avvertito la presenza di un osservatore sul marciapiede di fronte, ma quando si era voltata a guardare il marciapiede era vuoto.

«Ho dato il suo nome all'addetto all'ascensore, e lui mi ha portato a questo piano. Ho incontrato la donna delle pulizie in corridoio. Stava entrando in casa. Le ho detto che lei mi aspettava.»

Sembrava quasi che si aspettasse di venire lodato. Lasciò che aspettasse.

Justin ficcò le mani nelle tasche della giacca a vento e si dondolò sui talloni mentre si guardava intorno nella camera da letto con il baldacchino ornato di gale, il cinz e le cianfrusaglie.

Tutta la sua sicurezza venne meno nel silenzio che seguì.

Mallory ascoltava il ronzio dell'aspirapolvere di Sarah.

Il ragazzo aprì la bocca per parlare. Mallory alzò un dito per farlo tacere. Justin richiuse la bocca.

Quando il rumore dell'aspirapolvere fu cessato e la porta dell'appartamento si fu chiusa alle spalle di Sarah, il ragazzo mormorò: «Ho bisogno di parlare con qualcuno, ma nessuno vuole ascoltarmi».

«Io ti ascolterò, se sarai sincero con me. La tua matrigna non trova più qualche paio di calze di nylon, di recente?»

«Come fa a saperlo?»

«Ti ha accusato di averle prese?»

«Non ancora. Ho trovato una calza smagliata ficcata nel mio cassettone stamattina. Io non l'ho presa, e non so come sia finita là.»

Quale era la natura del legame che sentiva con il ragazzo? Qualcosa di antico. Un mezzo ricordo. C'entrava forse il fatto che lui fosse un bugiardo?

«Quando sarai pronto a dirmi la verità su quello che sta succedendo, ti aiuterò.»

«Lei pensa che sia io a far volare le matite. Perché? Che cosa sa veramente di me? Niente. Solo quello che le dice mio padre.»

«Oh, so molte cose di te, Justin. So che sei abbastanza intelligente per capire come vengono messi in atto i trucchi. Ma non lo dici, vero? O sei davvero tu a inscenare i trucchi, o hai paura di tuo padre, o tutt'e due le cose. Oppure è la tua matrigna a far volare le matite? E tu non dici niente perché ti piace l'idea di mandare il tuo vecchio fuori dai gangheri?»

Osservò i vestiti del ragazzo e la sua faccia rosea intatta, le sue ginocchia senza una sbucciatura. Le scarpe da jogging non erano nuove, ma neanche sporche.

«Sei un solitario. Non hai amici, e non pratichi sport.»

Stava impettito, le spalle dritte bene aperte.

«Hai frequentato una scuola militare.» Justin assentì. «E non mi stai dicendo la verità. Se queste prodezze con gli oggetti volanti sono opera tua, lo scoprirò. Capito?»

«Che motivo avrei per farlo? Lei non sa tutto. Lei non sa che il denaro di mia madre…»

«…ti è stato lasciato in eredità. E tuo padre lo amministra.»

«Controlla anche me.»

«Sai, se fossi al tuo posto il mio obiettivo sarebbe il vecchio. Quello non avrebbe resistito più di sei secondi con me.»

«È un bastardo. Sono preoccupato per la mia matrigna.»

Mallory si limitò a fissarlo in silenzio per comunicargli che sapeva che stava mentendo di nuovo.

«Okay» disse il ragazzo. «La disprezzo.»

«Com'era la tua vera madre?»

«Come la seconda, e la mia seconda madre era come la terza. Aveva paura di tutti e di tutto. Mio padre ha un modello. Ognuna è la copia della precedente.»

«La tua vera madre aveva paura anche di te?»

Le mani del ragazzo affondarono ancor più nelle tasche della giacca a vento. Vide la frustrazione montargli negli occhi, nelle spalle irrigidite e nei denti da coniglio premuti contro il labbro inferiore.

Il gatto entrò nella stanza. Si diresse verso di lei. Lo guardò una sola volta per avvertirlo che non era il momento di tampinarla. Nose si fermò a una rispettosa distanza, accoccolandosi accanto al ragazzo. Adesso su di lei c'erano due paia di occhi, entrambi bisognosi.

«Non fare uscire il gatto quando vai via» disse, e voltò le spalle a entrambi, lasciando la stanza da letto per raggiungere lo studio dove l'aspettava il computer.

Peccato che le telecamere non fossero in funzione. Forse era il caso di programmare una registrazione continua, nel caso in cui qualcun altro avesse deciso di introdursi in casa in sua assenza.

La porta d'ingresso si chiuse dolcemente.


«Charles, lascia che ti prepari qualcosa da bere. Insisto, bevi con me.»

Effrim Wilde aprì gli sportelli scuri di un mobile bar cromato mettendo in mostra bicchieri scintillanti e un bar ben fornito. «Eleanor mi ha proibito di bere da solo. Dice che porta all'alcolismo.»

Voltò le spalle a Charles come se fosse meglio tenere segreta la ricetta del whisky e soda.

«Eleanor è tornata?»

«Sì» disse Effrim, mettendo una fetta di limone e un sorriso amorevole sull'orlo di ciascun bicchiere. «Si sentiva colpevole per avermi abbandonato alle mie sigarette, al whisky e al buon cibo. Quella donna è una santa. Lo scorso fine settimana non ho mangiato nulla che non fosse un pastone ipocalorico.»

Porse un bicchiere a Charles e portò l'altro con sé mentre andava a sedersi sul lato opposto di un basso tavolino di vetro scuro.

L'ufficio era stato riverniciato di recente. I muri erano di un giallo-verde che faceva venire il mal di stomaco. Come faceva Effrim a sopportarli?

Naturalmente passava solo poche ore al giorno in questo ufficio. Il resto del tempo lo trascorreva in interminabili pranzi nel corso dei quali tentava di sedurre presidenti di comitati per l'erogazione di fondi e altre fonti di approvvigionamento. I mobili avevano linee pulite, essenziali. Ogni superficie era di freddo metallo e vetro. I dipinti appesi alle pareti, tutti eseguiti dalla stessa mano, erano astratti. Forme rosse traboccanti di energia nervosa, pesanti linee nere. Non era lo stile di Effrim. Questo ufficio parlava più di Eleanor che di lui.

«Eleanor sa che perdi tempo con numeri di illusionismo da dilettanti?»

«Così il ragazzo si è rivelato un impostore?» Effrim finse di esserne sorpreso.

«Il caso non può ancora dirsi definitivamente chiuso. Ho bisogno di alcuni dati del gruppo di ricerca.»

«Chiedi al mio assistente. Ti troverà tutto quello che ti serve.»

«Ho bisogno dei dati cinesi sugli esperimenti con i succubi.»

«Il ragazzo sta diversificando le sue attività?»

«No, ma mi ha condotto lungo un'altra linea di ricerca.»

«Non pensavo che bizzarrie del genere potessero interessarti.»

Charles richiamò alla memoria la pagina di un periodico e mentalmente la proiettò sul muro accanto alla testa di Effrim.

Scorse le righe. «So di un esperimento con un monaco cinese che ha creato un succubo in laboratorio. Ho bisogno di informazioni su quel caso. Il succubo, alla presenza di testimoni, ha ferito la carne dell'uomo.»

«Torna a lavorare per me e ti procurerò tutto il materiale che vuoi.»

«Ricevi ancora la maggior parte dei fondi da gente della risma dei datori di lavoro di Riccalo? Mallory ha scoperto che oltre a partecipare ai comitati di assegnazione delle borse di studio, Riccalo è incaricato di concludere vere e proprie truffe immobiliari ai danni di anziani.»

«Riccalo non ha subito arresti, incriminazioni o condanne. Rispetto agli standard di New York questo ne fa un cittadino modello. Oh, Charles, non siamo mai d'accordo circa i canali di finanziamento dell'Istituto, vero? Sto rubando soldi alla compagnia per cui Riccalo lavora. Dovrebbero darmi una medaglia per servizi resi alla comunità. Ma ti faccio una promessa: torna a lavorare per noi, e cercherò fondi alternativi.»

«Grazie dell'offerta, ma per oggi mi limiterò a prendere il materiale sul succubo e a levare le tende.»

«La tua intelligenza è sprecata là fuori, nel mondo dei comuni mortali. Torna a casa, Charles. Torna al posto al quale appartieni. Triplicherò gli stanziamenti per i tuoi progetti.»

«Non ti credo.»

«Fa freddo là fuori, Charles.»

Per "là fuori" Effrim intendeva la vita vera, oltre gli angusti confini dell'Istituto.

«Saremo in grado di stendere un rapporto positivo sul conto del padre del ragazzo?»

«Potrebbe essere lui ad avere orchestrato tutta la messa in scena. Non mi fido di Riccalo. E ho i miei dubbi anche su di te.»

Un'ora più tardi Charles era seduto nel suo soggiorno e stava chiudendo il raccoglitore contenente il materiale sul succubo.

Stando a quanto aveva appena letto, quell'aberrazione mentale poteva avere effetti tanto sul corpo quanto sulla mente. C'era un legame tra il fenomeno del succubo e quello delle stimmate esibite dai fanatici.

Nella stanza che si andava facendo buia, gli venne alla mente un ricordo d'infanzia. Un'appetitosa oca arrosto era installata al centro di una tavola finemente apparecchiata con splendide porcellane, argento luccicante e candele accese. Malakhai sedeva accanto alla sedia vuota di Louise. Gli adulti bevevano vino e scambiavano risate. Il bambino che Charles era stato stava fissando Malakhai nel momento in cui Louise l'aveva baciato. Aveva visto l'impronta delle sue labbra sul volto dell'uomo. Charles si era fregato gli occhi con le piccole mani, ma l'impronta del bacio era ancora lì, il contorno delle labbra sulla carne di Malakhai.

Per il momento Amanda Bosch era solo un'immagine, un'olografia, e lui non era ancora diventato pazzo. Aveva solo realizzato un'ingegnosa fotografia dotata di movimento, una singolare estensione della sua memoria eidetica.


La luce rossa del rilevatore lampeggiava. Il giudice stava usando il fax. L'impianto manomesso deviò il messaggio sul fax di Mallory. Era un modulo di richiesta per una nuova carta di credito. Lo scansione al computer e riprodusse la parte scritta con alcune modifiche. Dopo le righe in cui andavano scritti nome e indirizzo, sostituì alcune domande. Poi copiò la lettera per Harry Kipling, anch'egli possessore di un fax.

Ora che cominciava a conoscerli, poteva costruire la trappola giusta per ciascuno. Si chiese cosa avrebbe potuto fare per spaventare il cieco. Secondo il sovrintendente dell'edificio, il suo computer era equipaggiato con una stampante Braille. Digitò il messaggio per lui nei file personali: SONO DIETRO DI TE. RIESCI A SENTIRMI? RIESCI A VEDERMI? RIESCI A VEDERE?

Il gatto ai suoi piedi faceva le fusa. A un tratto Mallory sentì un rumore assordante proveniente dalla cucina.

Con la pistola spianata, Mallory si diresse in cucina dove trovò il pavimento vicino al tavolo cosparso di frammenti di vetro e schizzi d'acqua. Controllò tutti gli sgabuzzini e le stanze, quindi tornò in cucina. Tastò ogni centimetro del piano del tavolo, alla ricerca di un piccolo oggetto che potesse fare le veci del fiammifero che Charles aveva usato per far cadere il vaso nel suo ufficio. Non c'era niente.

Il ragazzo era furbo, ma non aveva poteri paranormali. Il bicchiere doveva essere caduto da solo.

Si inginocchiò non del tutto convinta sulle piastrelle con uno straccio, lavò il pavimento e avvolse con cura i frammenti di vetro in uno spesso sacchetto di plastica.

Dalla stanza vicina si levò una serie di colpi attutiti. Entrò e vide il gatto che arcuava la schiena, le orecchie appiattite, gli occhi rotondi. Aveva rovesciato la ciotola della frutta sul tappeto. Una mela stava rotolando verso Nose, e il gatto arretrava sulla punta delle zampe, come se il tappeto avesse preso fuoco. Mallory schioccò le dita per richiamare la sua attenzione. Il gatto attraversò di corsa tutta la stanza e le saltò in braccio.

Un altro trucco?

Riappoggiò il gatto sul pavimento e schioccò di nuovo le dita. Il gatto le balzò in braccio.

Cos'altro sai fare?

Lasciò il gatto e si chinò a raccogliere la frutta caduta. Il gatto le stava accanto, implorando il suo amore, miagolando per ottenere un po' di attenzione.

Mallory rimise la frutta di cera nella ciotola. Nose le leccò la mano, e lei si ritrasse. Stava controllando il tappeto e la recente profusione di peli bianchi di gatto.

Helen Markowitz non avrebbe mai tenuto un animale in casa, eppure nutriva qualunque randagio approdasse in cortile. E per dieci giorni, un inverno, nel loro garage aveva vissuto un bastardino, mangiando avanzi e leccando la mano di Helen, gli splendidi occhi castani adoranti.

Helen aveva mostrato alla piccola Kathy tutti i segni di violenza sulla pelle dell'animale. «Puoi imparare molto sul conto della gente osservando i loro animali» diceva Helen. Aveva imparato abbastanza sul proprietario del bastardino da decidere di non provare a rintracciarlo. Aveva fatto in modo di perdere la targhetta sul collare e aveva trovato un'altra casa per l'animale, in una famiglia del vicinato.

«Non è il cane che si è perso» aveva detto Helen. «Ma chi lo ha conciato così.»

Il bastardo che aveva martoriato a calci la pelle del cane spezzandogli le costole per lei era semplicemente un uomo che si era perso.

«Ognuno di noi ha il suo lato oscuro» diceva Helen. «Quando il buio uccide tutta la luce dell'anima di una persona, significa che quella persona si è persa.»

La piccola Kathy si era ribellata, convinta che il padrone del cane meritasse a sua volta dei calci nelle costole. Il suo acerbo senso della giustizia aveva un che di sinistro, eppure era dotato di un'elegante semplicità che, col passare degli anni, era rimasta intatta.

Mallory allungò una mano per carezzare delicatamente la testa del gatto, che chiuse gli occhi, appagato. Helen avrebbe approvato quel gesto. Subito Mallory ritirò la mano, la sfregò contro la gamba dei jeans e abbandonò il gatto seduto al centro del salotto.


La cartellina riguardante Amanda Bosch campeggiava ben in vista in cima all'ammasso di carte che ricopriva la scrivania di Riker. Frugò in un cassetto alla ricerca delle fotografie del luogo in cui il corpo della donna era stato trovato. Ma si era spinto troppo in là nel suo metodo di archiviazione casuale, e invece delle foto che cercava si ritrovò in mano quelle di Kathy, scattate il giorno in cui si era diplomata all'Accademia di Polizia.

Riker contemplò l'ampio sorriso di Helen Markowitz, ignara del fatto che il cancro al lavoro dentro di lei le avrebbe sottratto la vita l'anno successivo. Markowitz non si era mai veramente ripreso da quella perdita. Non fosse stato per Kathy, se ne sarebbe andato ben prima di quanto non avesse fatto.

Pensare alla morte di Helen, a come se n'era andata tranquilla, senza protestare, riempiva Riker di rabbia.

All'ospedale il dottore aveva detto a voce bassa a Markowitz e Kathy quanto fosse spiacente. I due si erano seduti l'uno accanto all'altra su un modesto divanetto di plastica nel silenzio terribile della sala d'aspetto.

Qualcuno si era avvicinato alla scrivania di Riker, qualcuno che non voleva interrompere un pensiero, e per questo aspettava il momento opportuno per annunciarsi.

Riker conosceva solo una persona tanto educata. Quando alzò lo sguardo, non fu sorpreso di trovarsi di fronte il volto sorridente di Charles Butler.

«Prenditi una sedia, Charles. Stai aspettando Mallory?»

«No. Jack Coffey mi ha chiesto di venire per una chiacchierata su Amanda Bosch.»

«Probabilmente pensa che Mallory gli stia nascondendo qualcosa. E forse è proprio così. Ma, per dire le cose come stanno, anche Coffey le nasconde qualcosa, e io nascondo qualcosa a tutti e due. Siamo fatti così. Non l'hai tradita, vero?»

«Naturalmente no.»

Dunque era vero, Mallory preferiva tenere per sé alcuni aspetti dell'indagine.

«Cosa posso fare per te, Charles?»

«Coffey mi dice che affidare questo caso a Mallory è stata una tua idea. Posso chiederti perché?»

«Per Amanda Bosch. Quando una ragazza così giovane muore, il colpevole non dovrebbe passarla liscia. Sguinzagliargli addosso Mallory era la cosa peggiore che potessi fargli.»

«Ma è pericoloso.»

«Se ha visto giusto su di lui, deve solo stanarlo. Se non ha visto giusto, potrebbe essere costretta a ucciderlo.»

«Non sei preoccupato per lei?»

«No» mentì, perché era davvero affezionato a Charles.

«Ma il modo in cui sta conducendo la cosa, potrebbe anche…»

«Non possiamo mettere dentro nessuno, senza le prove. A volte sappiamo chi è stato, e non possiamo toccarlo. C'è gente che se la cava dopo un omicidio… non dico che succeda spesso, ma succede. Ho scommesso cento dollari sulla ragazza.»

«Una ragazza che ha deciso di trasformarsi in esca umana»

«È un poliziotto. Questo fa di lei un bersaglio, che ti piaccia o no. E poi non accetterebbe mai di mollare il caso. Se stai pensando che con te, fuori dalla polizia, sarebbe più al sicuro, scordatelo. Questo lavoro le dà la carica. Adesso ha qualcosa di concreto su questo caso, e ha preso il volo. Tu cosa puoi offrirle, Charles?»

«Niente. Lo so.» Charles si fissò le scarpe per un momento. «Ma i suoi metodi non sono del tutto legali, vero?»

«So che infrangerà le regole per prenderlo, e ho deciso di non far niente per cercare di impedirglielo. Proprio come Markowitz fece a suo tempo. Me ne starò a guardare. Puoi farmi arrestare, se credi.»

«Supponiamo che venga sorpresa a infrangere le regole. Cosa ne sarà della sua carriera?»

«Charles, se Markowitz le avesse imposto di fare tutto secondo le procedure, Mallory non avrebbe retto a lungo. E i risultati sarebbero stati deludenti. Il vecchio preferiva non chiederle quante volte al giorno infrangesse la legge, e in cambio lei faceva cose straordinarie. Certo, le informazioni che otteneva attraverso mezzi illegali non avevano validità di prove, ma spesso servivano a mettere alle strette un criminale. Mallory sa parecchie cose sul conto dell'assassino della Bosch. Lo conosce intimamente e lo prenderà. Ci conto.»

«Mallory è un essere umano, vulnerabile come tutti.»

«Charles, non farti ingannare dalle apparenze. È così giovane. Una bambina. La tentazione di proteggerla viene a chiunque. Quel viso perfetto, intatto… quegli occhi d'angelo.»

Charles stava ancora assentendo quando Riker si sporse a scuotergli il braccio per richiamarlo alla realtà, la spaventosa realtà in cui abitava Mallory.

Riker alzò la voce. «Ha lo sguardo più freddo che abbia mai visto. Alla gente normale da i brividi, anche se non bevono quanto me. Porta una pistola enorme, e tu no. È una tiratrice perfetta, mentre tu non sai nemmeno come si carica una pistola.»

Riker si abbandonò contro lo schienale della sedia e appoggiò i piedi sulla scrivania, osservando Charles che lottava contro il terrore di essersi innamorato di Kathy Mallory. Riker si chiese se lei fosse consapevole dei sentimenti che Charles nutriva per lei. Era propenso a credere che lei lo fosse, e se ne servisse.

Con un tono di voce più morbido disse: «Sono contento che tu sia venuto, Charles. Spero che questa chiacchierata ti aiuti a vedere le cose nella giusta prospettiva».


Charles parcheggiò di fronte alla casa di Robin Duffy. La vista delle luci della menorah e dell'albero di Natale nella casa di fronte lo commosse: era lì che un tempo avevano abitato Louis e Helen Markowitz.

Robin, che era stato vicino di casa di Louis per più di vent'anni, lo accolse nella calda luce dell'ingresso. Prima che Robin richiudesse la porta, Charles si girò per dare un ultimo sguardo alla casa addobbata con le luci della festa.

«Non riesco a convincere Mallory a venderla» disse Robin, mentre il dottor Edward Slope si alzava dal tavolo da gioco per dare una pacca sulla spalla a Charles.

«Kathy è l'unica abitante della Upper West Side con una casa per le vacanze a Brooklyn» disse Edward. «Credo che le piaccia passare per un'eccentrica.»

«Ma non ci viene mai» disse Robin. «Così metto gli addobbi per godermi l'illusione che sia ancora abitata. Lou faceva l'albero di Natale ogni anno da quando Kathy era andata a vivere con loro.»

Comparve il rabbino Kaplan. Lui e Charles si salutarono.

«Ho decorato l'albero con gli addobbi originali del primo Natale di Kathy» disse Robin.

«Gli stessi che la piccola rubò ai grandi magazzini?» chiese Edward Slope mentre mischiava il mazzo di carte.

«Be'» disse Robin, che era stato l'avvocato di Louis Markowitz oltre a essere un suo amico, «Helen tornò a pagarli, perciò tecnicamente…»

«Lascia perdere» disse Edward. «Avvicinate le sedie, signori. Robin, digli cos'altro hai fatto in quella casa.»

I quattro uomini erano seduti attorno al tavolo da gioco, a raccogliere e ordinare le carte distribuite, a passarsi la mostarda e la maionese, la carne e i sottaceti, fette di pane bianco e la birra.

«Ho istallato delle luci ad accensione automatica, regolate da timer» disse Robin scartando una carta nella speranza di riceverne un'altra migliore. «Si accendono e si spengono da sole a ore diverse. Ho programmato la luce della cucina perché si spenga ogni sera alle sette e quarantacinque, l'ora in cui di solito Helen finiva di mettere a posto.»

«Robin si sta davvero lasciando prendere da questa cosa» disse il medico legale, servendo una carta a Robin e due al rabbino.

«La mia preferita è la luce che si accende nello studio di Louis dopo il notiziario della sera. E quella finestra sotto il timpano» disse Robin, indicandola attraverso la vetrata prima di raccogliere la sua carta.

Charles si chiese se Robin avesse migliorato la sua mano. Il suo volto non lasciava trasparire nulla. Chissà perché tutti i giocatori sembravano sapere sempre perfettamente che cosa avesse in mano. Edward scoppiò a ridere quando Charles rimase vittima di un suo bluff. Chiudendo le carte, umiliato, Charles guardò fuori dalla finestra le file di luci colorate intermittenti che decoravano il portico della casa di Louis Markowitz. «Sai, per un momento ho pensato che potesse essere opera di Mallory.»

«Le luci? Non è certo il tipo da lasciarsi andare a certi gesti sentimentali.»

Edward osservò la faccia di Charles al di sopra delle carte.

«Charles, te lo dico da amico, devi abbandonare questa strana idea della pistolera dal cuore d'oro. Sono un dottore, puoi fidarti di quello che ti dico. Se cercassi di misurarle la pressione riscontrerei l'assenza di battito cardiaco.»

«Amava Helen.» Il rabbino Kaplan lesse le sue carte e il suo sorriso dolce svanì sotto la maschera concentrata del giocatore di poker consumato.

«Okay, su questo ti do ragione. Amava anche Louis nel suo strano modo.» Edward chiuse le carte.

«Questo prova che ha un cuore» disse il rabbino appoggiando le carte sul tavolo accanto alla mano allargata di Robin, e contemporaneamente rastrellando il primo piatto della serata.

Robin distribuì un altro giro.

«Mallory è proprio un bel tipo» disse Edward, «recentemente mi ha chiesto di rubare per lei. Voleva mettere le mani sugli appunti dell'investigatore della scientifica e passarle a Charles. Sta cercando di scavalcare Jack Coffey.»

«Coffey dovrebbe rallegrarsi del fatto che lei non gli stia troppo attorno» disse Robin. «Molto meglio per lui non sapere quello che Mallory combina.»

Edward estrasse dei fogli dalla tasca posteriore dei pantaloni e li spinse attraverso il tavolo in direzione di Charles. «Sono gli appunti dell'investigatore. Neanche una richiesta da parte della polizia le avrebbe consentito di ottenerli. È un po' come chiedere di leggere un diario.»

Charles abbassò lo sguardo su un colore pieno. Gli altri seguirono l'esempio di Edward e chiusero le carte. Come diavolo facevano a sapere cosa aveva in mano? I quattro quarti di dollaro nel piatto rischiavano di rappresentare l'unica sua vincita della serata. «Questi appunti contengono qualcosa di interessante?»

«Mallory voleva un rapporto sulla morte della madre del giudice Heart. Le ho detto che non scomodiamo i nostri investigatori per una morte naturale, se c'è un medico di turno. Ha insistito perché verificassi. È saltato fuori che avevamo effettivamente spedito un investigatore a casa Heart, per errore. Ho trovato anche verbali del pronto soccorso a proposito di alcune ferite riportate dalla anziana signora. Due ossa rotte in un anno. Le ossa dei vecchi si rompono facilmente. Non chiederò la riesumazione della madre del giudice Heart finché non avrà in mano un indizio concreto del fatto che potrebbe trattarsi di omicidio. Diglielo, Charles.»

Robin Duffy appoggiò una busta sul tavolo accanto alla mano di Charles. «Ed ecco le informazioni su Eric Franz. È la trascrizione dell'udienza relativa all'incidente stradale in cui sua moglie è rimasta uccisa. I Franz stavano litigando al momento dell'impatto. Ma, secondo i testimoni, lui era ad almeno un metro di distanza da lei. Eric Franz non può aver dato una spintarella fatale alla moglie, come credo sospetti Mallory.»

«Pensavo che l'oggetto del suo interesse fosse l'incidente in cui Franz perse la vista» disse Charles.

«Infatti» disse il dottore. «Eric Franz perse la vista in un incidente tre anni fa. Ricevette un risarcimento miliardario. Subito dopo fu sottoposto a una delicata operazione, al termine della quale non fu riscontrato alcun miglioramento della vista. Cambiò dottore prima del controllo successivo. Non ho idea di chi fosse il nuovo dottore.»

«È possibile che la vista di Franz sia migliorata in seguito?»

«Il chirurgo prospettò un venti per cento di probabilità che questo avvenisse.»

«Non ha senso ipotizzare che si finga cieco» rilevò Robin. «Era certamente cieco all'epoca in cui il tribunale gli accordò il risarcimento. Se anche la chirurgia gli avesse restituito la vista, nessuno avrebbe toccato i suoi soldi. E il denaro dell'assicurazione sulla vita della moglie è stato devoluto in beneficenza. Per me il tizio è pulito al cento per cento. Mallory non arriverà da nessuna parte.»

«Dicci, Charles» disse Edward. «Sai perché Kathy non è venuta ad ascoltare di persona quanto abbiamo appena finito di raccontare?»

«Ha detto di non poter venire in quanto anni fa fu bandita dal poker settimanale.»

Edward sorrise. «È questa la storia che ti ha raccontato? Stasera non è qui perché non vuole avere niente a che fare con i documenti che abbiamo illegalmente consultato, naturalmente su sua pressante richiesta.»

«Ragazza in gamba» disse Robin, con una dose di orgoglio paterno. «Ha imparato da Markowitz: burocrazia e procedure sono solo perdite di tempo.»

«Ma che le abbiate impedito di unirsi a voi quando giocate a poker è la verità, o no?»

Gli altri giocatori fissarono le carte.

«Perché è stata esclusa?» insistette Charles.

Robin alzò la testa. «Quando era bambina, Markowitz era solito portarla con sé le sere in cui Helen usciva. Mallory insisteva per prendere parte alle nostre partite, e vinceva tanto che Markowitz dovette comprarle un carrettino rosso per portare a casa il bottino.»

Charles mischiò e diede la prima carta al rabbino Kaplan. «Qual è la vera ragione della sua esclusione, rabbino?»

La seconda carta al dottore.

«Sapevo che Mallory avrebbe avuto una cattiva influenza su di lui.»

La terza all'avvocato.

«Mallory non può giocare. Non è leale. La piccola delinquente è nata con una faccia da poker.»

Charles sedette immobile, rifiutandosi di continuare la distribuzione finché non avesse ottenuto una risposta migliore.

«Va bene» disse Robin. «Kathy frequentava una scuola privata femminile. Le sue compagne non conoscevano il poker. Kathy insegnò loro a giocare.»

Charles distribuì il secondo giro.

«Portava a casa trecento dollari alla settimana quando Helen e Lou furono convocati per una chiacchierata con il preside» disse Edward.

La mano era completa.

Robin sistemò la sua mano. «La bambina era un'autentica campionessa, e noi ne eravamo francamente orgogliosi. Ma Helen ne fu sconvolta.»

«E non è finita qui» disse il rabbino, guardando appena le sue carte.

Edward si chiamò fuori e spinse le carte verso un lato del tavolo. «Lou non voleva che Kathy fosse espulsa dalla scuola, così si assunse la colpa. Disse al preside che era uno scherzo che gli era sfuggito di mano, e che non ci si poteva aspettare che Kathy capisse quello che stava facendo dopo che era stato lui a metterle quella stupida idea in testa.»

«Louis era un ottimo bugiardo» disse Robin. «Tanto che Helen se la bevve. Che io sappia, quell'episodio fu l'unico screzio tra i due. Kathy sapeva che era colpa sua, ma non capiva perché. Non truccava le carte o roba del genere.»

«Era solo anni luce più avanti di qualsiasi bambina del pianeta» disse Edward. «Tu non hai conosciuto Helen. Non puoi capire come stessero le cose tra lei e Lou. Quando uscivano a cena si tenevano la mano sotto il tavolo. Se stavano a casa, rimanevano seduti vicini a chiacchierare fino alle due del mattino.»

«La volta del poker» disse il rabbino, «Helen era davvero turbata: accusò Louis di aver seriamente danneggiato Kathy. Louis era distrutto, ma continuò ad assumersi la colpa del racket organizzato da Kathy. Kathy avvertiva la tensione tra loro, il terribile silenzio. Fu molto vicina a comprendere la differenza tra il bene e il male.»

«Ma sul più bello le sfuggì» commentò Edward.

«Però non giocò mai più a poker» disse il rabbino. «Kathy si autoescluse dal gioco. Come forma di penitenza.»

«La sopravvaluti. È un piccolo mostro senza cuore. Corrompe ogni…» Edward fu interrotto dallo squillo del telefono.

Robin rispose e passò il ricevitore a Edward. Quando il dottore ebbe riattaccato, si rivolse a Charles. «Mia moglie dice che Kathy ci ha lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica. Sta venendo qui a prendere personalmente i documenti.»

«Kathy verrà qui?»

«Sì.»

«Quando?»

«Alle otto e mezza.»

«Sono le otto e trentacinque» disse Charles. «Strano, non tarda mai, neanche di un minuto.»

«Dio, le luci!» disse Robin. «Kathy non sa delle luci.»

Guardarono fuori dalla finestra. La piccola macchina marrone chiaro di Mallory era parcheggiata accanto al marciapiedi.

Fu Edward Slope, il suo più grande detrattore, a volare fuori dalla porta, senza cappotto, per andarle incontro. Giunse sul vialetto lastricato prima che gli altri potessero alzarsi dal tavolo.

Adesso tre uomini erano riuniti nell'ingresso, davanti alla porta aperta, incuranti dell'aria gelida della notte. Charles fissava la schiena di Edward che attraversava correndo la strada.

Più tardi, ricordare quel piccolo avvenimento con tanta chiarezza sarebbe stato doloroso. Il profilo di Kathy, la luce della lampada riflessa sui suoi capelli, l'atmosfera di sospensione e il silenzio, rotto soltanto dai passi del dottore.

Mallory stava fissando l'albero di Natale e la menorah sulla finestra. Poi guardò in alto, mentre una finestra si accendeva al secondo piano, in corrispondenza della stanza di Louis.

Slope la raggiunse e le appoggiò le mani sulle spalle. La sua voce era bassa, quasi un sussurro. Lei non si mosse né parlò. Fissava la finestra del secondo piano, come rapita dalla luce.


Un ex socio era come un'ex moglie, anche quando l'ex socio era un uomo, cosa che decisamente Peggy non era. La rimpiangeva amaramente, da quando era andata in pensione anticipata a causa di una pallottola in un polmone. La rimpiangeva, sebbene la vedesse almeno una volta alla settimana, al bar.

Gli occhi di Riker seguirono Peggy mentre si allontanava per passare lo straccio bianco sul bancone di mogano e intascare gli spiccioli lasciati dall'ultimo cliente.

I capelli erano tinti biondo miele per coprire il grigio, e la figura appena più piena sui fianchi e sulle cosce. Nella luce soffusa e a una certa distanza, sembrava che gli anni non l'avessero affatto cambiata.

Oh, tutti quegli anni fa, quando lui era più giovane, per lo più sobrio, e Peggy portava ancora pistola e distintivo! Quelli sì erano tempi.

La matrona installata sullo sgabello accanto al suo era facilmente l'unica civile presente nel bar quella sera, e lo stava fissando con la disapprovazione dell'onesta contribuente. Scacciava il fumo agitando entrambe le mani: «Lo sa che il fumo passivo uccide i non fumatori?».

«Bene» disse Riker.

La donna raccolse la borsa e si spostò dalla parte opposta del bar, e Peggy tornò da lui con un ampio sorriso e un'altra birra.

«Allora, dov'eravamo rimasti, Riker?»

«I primi segni di allarme.»

«Giusto. Consiglia a Mallory di controllare i conti delle carte di credito e di individuare i bar e i ristoranti preferiti. Eventuali abbonamenti presso qualche palestra. Il marito fedifrago è vanitoso, gli piace tenersi in forma. Spesso si compra da solo la biancheria intima.»

«Se davvero esistono tanti segnali, come mai le mogli non li colgono?»

«Li colgono. A differenza dei mariti. Semplicemente non vogliono ammetterlo, così trovano spiegazioni plausibili per ogni comportamento sospetto. Se una donna non ha figli né ipoteche da pagare, può essere abbastanza cinica con un marito che la tradisce. Ma se ha otto bambini, si siederà accanto al marito per aiutarlo a confezionare le bugie da raccontare a se stessa.»

Riker estrasse il taccuino. Un ciondolo d'argento attaccato a una catena era rimasto impigliato nella spirale. Si liberò e cadde sul pavimento. Peggy lo raccolse. «Cos'è questa stella di David? Sei un episcopaliano.»

«No. Sono un alcolizzato.»

Gli allungò la stella a sei punte. Riker la guardò. «Lou Markowitz la portava sempre con sé. Mallory ha pensato che mi sarebbe piaciuto averla.»

«Mi sei diventato anche sentimentale.»

La penna di Riker svolazzò sul taccuino.

«Supponiamo per un momento che il nostro uomo non tradisca la moglie con regolarità, che Amanda Bosch sia stata la sua prima scappatella.»

«Un uomo che tradisce per la prima volta cambia abitudini. Porta a passeggio il cane quattro volte in un giorno senza che gli sia richiesto. Si appassiona a un nuovo sport. Se fossi in te controllerei tutti i viaggi fuori città non giustificabili con la professione del sospetto, un improvviso aumento delle ore di straordinario serali…»

«Un novellino nel campo delle avventure extraconiugali è capace di mentire efficacemente oppure no?»

«Normalmente pensa, erroneamente, di essere bravo a mentire.»

Nel taccuino, Riker aveva scritto solo: "Porta fuori il cane".

«Riker, pensi che Mallory abbia ragione? L'assassino si è fatto prendere dal panico ed è scappato?»

«Penso che Mallory lo sottovaluti. E convinta che si tratti di uno stronzetto che scapperebbe allo squittio di un topo.»


Puttane. Tutte le donne sono puttane.

Lei si illudeva forse che lui non l'avrebbe riconosciuta come sua nemica? Com'era ingenua, e stupida.

Era nella doccia, e si faceva scorrere addosso l'odio per lei insieme con l'acqua. Lei era il nemico. Uscì dalla doccia e l'acqua formò una pozza ai suoi piedi mentre puliva una parte dello specchio per guardarsi. Fissò lo specchio finché i suoi occhi non gli parvero fluttuare, indipendenti dal resto.

Che intelligenza c'era là dentro, che prontezza di pensiero, pensieri che viravano al rosso. Ma quell'insetto che strisciava sulle piastrelle sullo sfondo della sua immagine riflessa, quello inquinava la sua serenità. Meglio affrontare subito la cosa. Lo schiacciò. E vide il suo nemico che urlava e moriva. Colpendo il cuscino la sfregiò in viso, poi si chiese perché non riuscisse a dormire. Quando il sonno arrivò, i suoi sogni furono tutti di morte, una morte piena di rabbia. Adesso il cancro dell'odio era tutto, nella veglia e nel sonno. Completo e invincibile.

I semplici umani non si erano mai dimostrati degni avversarii per il cancro. Non esisteva cura.


Con la lunga unghia laccata di rosso, Mallory tamburellava sul mucchio di carte che era passato dalle mani di Edward Slope a quelle di Charles e infine nelle sue. Studiò il viso preoccupato del giovane investigatore dell'ufficio del medico legale, che evitava accuratamente di incontrare il suo sguardo. Le mani giocherellavano inquiete con la tazza di caffè ormai freddo. Mallory congedò la cameriera con un cenno.

«Slope non crede che tu abbia qualcosa da nascondere, ma io sì. So quanti soldi hai in banca. Conosco ogni transazione del tuo portafoglio di azioni, e so quanto guadagni.»

«Il tuo vecchio non faceva mai la spia.»

«No. Ma li faceva trasferire dritti all'inferno. Molti di loro mollavano il colpo. Licenziarsi sembrava loro l'unica via d'uscita. Con te posso fare anche di meglio: esistono situazioni peggiori del prepensionamento a stipendio ridotto.»

Calmati, Kathy, la esortò il ricordo di Markowitz. Se gli metti troppa paura al primo giro di giostra potrebbe decidere di affidarsi a un avvocato.

Cambiò posizione sulla sedia. «Volevo solo darti qualcosa a cui pensare durante le vacanze, lasciarti un po' di tempo per rimettere a posto gli appunti che hai preso in occasione della tua piccola spedizione al Coventry Arms. Buon Natale. Ci rivediamo presto.»

Così si fa, bambina, disse il ricordo di Markowitz, che si rifiutava di essere relegato in quella parte della mente riservata ai morti.


Pansy Heart era sdraiata a letto, e lo guardò alzarsi e dirigersi nel bagno. Per un istante immaginò che suo marito si spostasse strisciando su otto zampe, come un ragno ripugnante.

Rimase in silenzio, ascoltando i rumori provenienti dal bagno e poi il fruscio delle lenzuola e lo scatto dell'abatjour. Sospirò nel buio, chiedendosi se l'avesse udita. Adesso riusciva di nuovo a respirare; a respirare, ma non a dormire. Solo quando il respiro di suo marito si fece regolare e Pansy seppe che non si sarebbe svegliato sino alla mattina, la donna poté finalmente prendere sonno, spossata dalla paura.


Angel Kipling alzò la testa mentre Harry entrava in cucina, l'espressione intontita dal sonno. Esitò sulla porta come a valutare se stesse entrando in una zona di pace o di guerra. Angel partì all'attacco.

«Dimmi, Harry, cos'hai combinato questa volta?»

«Niente» disse Harry Kipling, aprendo il frigorifero e tirando fuori il pollo avanzato dalla cena.

Lei fissò la sua faccia sorridente, e provò il desiderio di colpirlo con un pugno.


Pansy fu svegliata da un colpo alla testa. Non forte, come di striscio. Nella penombra della camera da letto vide il pugno librarsi in aria, e la sua mano si mosse per intercettarlo. Accese la lampada. Il viso di Emery era imperlato di sudore, i suoi capelli un'aureola sparsa sul cuscino attorno a un volto in preda a un'angoscia cieca.

«Emery, svegliati!»

Gli occhi castani si aprirono di scatto. Pansy si ritrasse come davanti a una parola sgarbata. L'aveva addestrata lui a comportarsi così, proprio come aveva fatto con il cane. E cosa aveva fatto al cane? Perché non voleva dirle la verità? Cosa gli aveva fatto?

«Hai avuto un incubo, Emery?»

Stavi sognando di Rosie o di tua madre?

«Sì, un incubo. Guardavo in un buco ed era pieno di vermi, e io ci finivo dentro. Va tutto in malora. Chi mi sta facendo questo?»

Se Pansy avesse creduto nei fantasmi, avrebbe avuto una risposta a quella domanda. Aveva visto la faccia della madre di Emery nello specchio della stanza, ed era la propria faccia.


Il buttafuori e il barista tenevano la stracciona dai capelli rossi ciascuno per un braccio flaccido, e anche così dovevano lottare per trascinarla fuori. Quando furono sul marciapiede e fuori dalla portata dell'udito di Betty Hyde, i due omoni e la donna si scambiarono insulti gridando finché lei non si fu allontanata.

La Hyde si guardò intorno, prendendo mentalmente appunti sui topi che scorrazzavano sul pavimento. Il Comitato per la salute dei cittadini non avrebbe assegnato un buon voto al locale.

Sul volto di ogni ubriacone nel bar vedeva riflesso il ricordo di qualche sfortunato membro della sua famiglia d'origine. Il suo bicchiere recava tracce di rossetto della cliente che lo aveva usato prima di lei. La cameriera era scoppiata a ridere quando lei se ne era lamentata, ma poi un biglietto da un dollaro l'aveva convinta a tornare al suo tavolo con un bicchiere pulito, e la Hyde ne aveva bevuto il contenuto d'un fiato. Si poteva sopportare qualunque cosa, con la giusta quantità di whisky in corpo.

Rivolgendosi alla donna che sedeva dall'altro lato del tavolo, si sporse in avanti.

«Mallory, come fa a trovare questi posti?»

La logica della scelta le era chiara. Nessun inquilino del Coventry Arms sarebbe potuto spuntare in un luogo come quello senza una guardia del corpo. Il rigonfiamento sotto il cappotto di Mallory poteva essere solo una pistola. La cosa la confortò.

«Mi parli ancora di Eric Franz» disse Mallory.

«Qualcosa in particolare?» Cosa poteva avere Eric in comune con un giudice e un gigolò?

«È sicura che sia cieco?»

«Assolutamente sicura» disse Betty Hyde.

«Perché?»

«Se non fosse cieco, la moglie lo avrebbe saputo. Come si può tenere nascosta una cosa del genere alla propria moglie?»

«Forse lui ci vede e lei lo sapeva.»

«No, Mallory.»

«Come fa a esserne così sicura?»

«Le ho detto che sua moglie aveva un interessante senso dell'umorismo… per essere la serpe che era. Flirtava con gli uomini davanti a lui. Senza parlare, si limitava a strusciarsi contro di loro. Annie faceva con gli altri uomini cose che Eric non poteva né sentire né vedere. Erano uno spettacolo, loro due in pubblico. E c'erano altri scherzi a sue spese: smorfie, gesti osceni. Un umorismo tra i più neri. Di fronte a quelle esibizioni si restava senza parole, come ipnotizzati.»

«Perché lo odiava così?»

«Perché lui la amava tanto, troppo. Se solo fosse stato sgarbato con lei una volta ogni tanto, la cosa avrebbe fatto un gran bene al loro matrimonio. Era fatta così.»

«E lui? Il genere zerbino?»

«Un ragazzo adorabile. Ma ha ragione. Lei lo disprezzava.»

«Per questo non hanno avuto figli?»

«Sa, c'è stata una volta in cui avrei giurato che Annie fosse incinta. Aveva quella certa aria di maternità incombente. Quell'aura speciale che circonda chi vomita ogni mattina. Ma poi, quando l'ho vista di nuovo, era tornata quella di prima: splendida e spaventosamente all'erta.»

«Crede che abbia abortito?»

«Sì, ma non c'è modo di appurarlo. Normalmente non mi faccio molti scrupoli, ma chissà perché non me la sento di chiedere a un cieco se sua moglie ha abortito il loro unico figlio. Be'… potrei provarci se ne valesse davvero la pena. Lei che ne dice?»

«Ha detto a Eric che ero un poliziotto prima di entrare nella società di consulenza?»

«No, cara. Gli ho solo detto che era interessata a raccattare qualche ghiotta informazione sul giudice. Ma tutti i notiziari hanno parlato di lei e mostrato la foto della poliziotta morta.»

«Lunedì scorso è morto un pompiere. Se ne ricorda?»

«Sì, è morto per salvare un vecchio.»

«Qual era il nome del pompiere?»

«Non mi… Ah, ho capito. Notizie vecchie – chi ricorda i particolari, i nomi, le facce? Ma lei, mia cara, ha una faccia che non si dimentica.»

«Ed Eric Franz è cieco.»


Quando rientrò a casa, appese i vestiti nell'armadio come le aveva insegnato Helen. Il gatto aveva già avvertito la sua presenza e le stava dando il benvenuto con morbidi colpi di zampa sulla porta del bagno. Premette il pulsante per l'ascolto dei messaggi sulla segreteria, poi andò in cucina per aprire una scatola di tonno da dare al suo testimone più importante. Dalla segreteria uscì la voce di Riker. «Mallory, qualcuno dei sospettati possiede un cane?»


Charles abbassò le luci del soggiorno e si sistemò sul divano. Il regalo natalizio di Mallory giaceva precocemente scartato di fronte a lui.

Era l'ennesimo tentativo di Mallory di attirarlo nel ventunesimo secolo. Charles aveva una notevole raccolta di dischi e un gran bel giradischi che agli occhi di Mallory era un dinosauro. Per lei non contava la musica, ma solo la tecnologia.

Si aspettava davvero che lui se ne andasse in giro per le strade con le cuffiette attaccate a un lettore CD portatile?

Quanta ostinazione mostravano nello scambiarsi regali inutili. Lui le regalava gioielli dalla montatura antica che lei non si sarebbe mai sognata di indossare. Lei gli regalava gioielli tecnologici sui quali, tra una visita e l'altra della signora Ortega, si accumulava la polvere.

Premette il tasto per aprire il coperchio del lettore, nell'assurda speranza di trovare un messaggio sentimentale vergato sul lato interno. C'era un disco nell'apparecchio, pronto a suonare se avesse premuto un tasto. Non fu troppo sorpreso di scoprire che si trattava del Concerto di Louise.

Dalla scatoletta nera che teneva fra le mani spuntò un paio di cuffie. Ma non gli servivano. Il concerto era chiuso nella sua memoria e stava già suonando…

La visione di Amanda, quel pomeriggio, lo aveva lasciato stordito come un animale bastonato prima dell'ingresso al mattatoio.

Non voleva rischiare di evocarla nuovamente. Gli faceva paura. Sentiva che quel genere di giochetti minacciava la sua salute mentale.

Al mio posto Mallory non si tirerebbe indietro.

E di cosa aveva paura, esattamente? Era solo un'illusione, no? Una semplice olografia del ricordo. La magica follia di Malakhai era la sua forma di talento. Com'era suo mestiere, Charles aveva trovato un'applicazione pratica per quel talento. Se fosse riuscito a ricreare un'immagine completa e fedele di Amanda, lei avrebbe potuto dirgli qualcosa di utile alle indagini di Mallory. Se Mallory poteva affrontare le pallottole, lui poteva affrontare Amanda. Non era una cosa così pericolosa: una semplice conversazione all'interno della mente.

La memoria lo riportò ai momenti immediatamente precedenti l'inizio dello spettacolo di Malakhai. Ritornò bambino. La bacchetta del direttore d'orchestra si stava sollevando, mentre la sala piombava in un silenzio di tomba. Il concerto era iniziato. La musica interiore fuggì dai confini del suo cervello e si levò attorno a lui in un muro di suono oltre il quale si snodavano immaginali corridoi colmi del profumo delle rose. L'arresto momentaneo della musica preannunciò il grande buco nero che si parava davanti a lui. In quel silenzio incantato, nel quale ascoltatori diversi proiettavano cose diverse, udì una donna gemere, lamentare una morte, mentre gli veniva incontro nella luce.

Portava gli abiti di quando era morta, il blazer, i jeans e le scarpe da jogging. La memoria di Charles aveva ricreato fedelmente una macchia di sangue sulla stoffa e quella più spaventosa sui capelli dorati, che la ferita aveva ingarbugliato in ciocche di cordicelle vermiglie.

Come cominciava Malakhai? Ah, sì. Era così facile.

«Buona sera, Amanda.»

Lei gli sorrise timidamente mentre si sedeva sulla poltrona di fronte. Provò sollievo nel constatare che la sua creatura non era fatta di una sostanza tale da lasciare un'impronta sull'imbottitura. Amanda appoggiò le mani sui braccioli della poltrona. Charles guardò il muro, ancor più sollevato nel vedere che Amanda non proiettava un'ombra che si sovrapponesse alla sua.

«Buona sera, Charles.»

La sua voce avrebbe potuto essere quella di Mallory, ma nella gola di Amanda i suoni risultavano addolciti. Anche i suoi occhi erano dolci.

«Amanda, quando ti ho vista stamattina, vicino al bambino…»

«Stava soffrendo» disse lei, guardandosi le mani bianche e morbide in grembo. «Non riuscivo a sopportarlo.»

«Volevi solo consolarlo.»

«Sì. Un bambino così turbato. Adoro i bambini.»

«Lo so. Per me è difficile capire perché tu abbia deciso di rinunciare al bambino che aspettavi.»

Amanda guardò il pavimento cercando le parole e, non trovandole, tornò ad alzare su di lui gli occhi pieni di lacrime. Alzò le mani in un gesto di impotenza.

«Desideravi tanto quel bambino, vero?»

«Oh, sì. Era tutto per me, il senso della vita, tutto.»

«Allora perché? Perché l'hai fatto? Hai chiesto al dottore di strappartelo via. Cosa aveva fatto di tanto orribile quell'uomo per costringerti ad abortire?»

Amanda si alzò e si allontanò da lui, tornando nell'ombra. Procedeva stancamente, con fatica. Strapparsi dal grembo quel bambino tanto desiderato aveva costituito una prova durissima. Troppo dura per lei.

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