— Chi sono gli uomini di Vordarian? — Cordelia non riusciva a mascherare la sua frustrazione. — Mi hanno inseguito per una settimana, ma è come se li avessi appena intravisti nello specchietto retrovisore. Conosci il tuo nemico eccetera, no? Be’, dov’è riuscito ad arruolare così tanti seguaci?
— Non sono poi tanti quanti puoi pensare. — Con un lieve sorriso Aral si portò alla bocca un’altra fettina di arrosto. Stavano mangiando da soli (miracolo!) nel semplice appartamento degli alloggi ufficiali, nel sottosuolo. La cena, portata da un militare su un vassoio, era la stessa che servivano in tutto il resto della Base. Con sollievo di Cordelia, suo marito aveva subito mandato via l’uomo con un «Grazie, caporale. Torni pure alla mensa.»
Aral masticò il boccone e continuò: — Chi sono? Per la maggior parte gente i cui ufficiali superiori erano con Vordarian, e che non hanno avuto vuoi il coraggio, vuoi l’intraprendenza, vuoi il buon senso di disertare dalla loro compagnia e mettersi a rapporto da qualcun altro. Devi capire che lo spirito di corpo è fortemente inculcato in questi uomini in tutte le fasi dell’addestramento. Quando le cose sono dure, l’istinto di restare uniti e ubbidire agli ordini è una reazione automatica. Il fatto che i loro ufficiali li portino a commettere tradimento non è afferrato subito neppure dai più intelligenti. Occorre tempo perché comincino a uscire dalle maglie della propaganda. Inoltre — ebbe un sogghigno storto, — è tradimento solo se Vordarian perde.
— E tu affermi che sta perdendo?
— Finché io vivo, e tengo in vita Gregor, Vordarian non può vedere la vittoria neppure di lontano — dichiarò Aral con sicurezza. — Mi sta imputando tutti i crimini che gli vengono in mente. La più dannosa per me è l’accusa che io abbia già ucciso Gregor e miri a diventare Imperatore. Penso che con questo voglia indurmi a rivelare dov’è nascosto il bambino. Sa che non è qui con me, altrimenti avrebbe già tentato un attacco nucleare su questa Base.
Cordelia si accigliò. — Ma preferisce catturare Gregor, oppure vuole ucciderlo?
— Ucciderlo, se non può averlo per utilizzarlo in modo opportuno davanti alle telecamere. È quello che intendo fare io, comunque, quando sarà il momento.
— Perché non subito?
Lui spinse via il piatto con quel che restava della pietanza e si appoggiò allo schienale, con un sospiro stanco. — Perché voglio vedere quanti uomini di Vordarian potrò far passare dalla mia parte prima che il loro tradimento sia ufficiale e irreversibile. Non tutti sono disertori… teste confuse, è il termine più esatto. E io non voglio inaugurare il mio secondo anno di Reggenza con quattro o cinquemila fucilazioni. Tutti quelli al di sotto di un certo grado potranno avere il perdono, perché hanno giurato di ubbidire ai loro comandanti, ma voglio salvare quanti più ufficiali possibile. Cinque Conti dei distretti, oltre a Vordarian, sono condannati fin d’ora. Non ci sarà assoluzione per loro. Maledetto quel bastardo e la sua ambizione.
— Cosa stanno facendo le truppe di Vordarian? C’è un attacco deciso in un punto chiave?
— Non esattamente. Sta impegnando un sacco del suo tempo, e del mio, per impadronirsi di località secondarie, come quei depositi di armi e rifornimenti a Marigrad. Questo ci costringe a rispondere, ad attaccare oppure a ritirarci. E le azioni tengono i suoi comandanti occupati, con la mente lontana dal fatto più determinante, ovvero ciò che faranno le forze spaziali. Ah, se solo potessi avere qui Kanzian!
— I tuoi agenti non l’hanno ancora localizzato? — L’ammiraglio Kanzian era uno dei due alti ufficiali del Servizio che Vorkosigan giudicava più esperti di lui in strategia bellica. Era un uomo anziano, specializzato in operazioni astronautiche, e le forze spaziali barrayarane ne idolatravano l’intelligenza e le capacità. — Non c’è sterco di cavallo appiccicato ai suoi stivali — aveva detto un giorno Koudelka di lui, con divertimento di Cordelia.
— No, ma neppure Vordarian è riuscito ad averlo. Sembra scomparso. Prego Dio che non sia rimasto coinvolto in qualche stupido scontro a fuoco nelle strade e chiuso in un anonimo sacco di plastica fra le vittime non identificate. Che spreco sarebbe.
— Ci sarebbe d’aiuto? Potrebbe convincere alcuni comandanti delle navi da battaglia ad unirsi a noi?
— Perché credi che io stia difendendo la Base Tanery? Ho esaminato la possibilità di dover trasferire il mio Quartier Generale su un’astronave. Per ora è un passo prematuro; potrebbero interpretarlo come il primo sulla via della fuga.
La fuga. Che pensiero seducente. Via, lontano da quei lunatici, con le loro pazzie politiche ridotte a semplici servizi di cronaca diramati da qualche notiziario galattico. Ma… lasciarsi indietro Aral? Cordelia scrutò il suo volto, mentre lui guardava senza vederlo il piatto con gli avanzi della cena. Un uomo stanco e di mezz’età vestito in un’uniforme verde, senza particolari attrattive (salvo i suoi luminosi occhi grigi); un intelletto vivace, ma in continua guerra con istinti aggressivi costruiti in lui da una vita di esperienze bizzarre, emotive, esperienze barrayarane. Avresti potuto innamorarti di un uomo felice, se desideravi la felicità. E invece no, ti sei lasciata incantare dal fascino di questa sua sofferenza…
Due corpi uniti in una sola carne. Quant’era diventata letterale quella formuletta melensa: un grumo di carne prigioniero in un simulatore uterino dietro le linee nemiche legava i loro corpi, come due gemelli siamesi. E se il piccolo Miles fosse morto, si sarebbe spezzato quel legame?
— Come… cosa possiamo fare per gli ostaggi di Vordarian?
Lui sospirò. — Questo è il nocciolo crudo della situazione. Se contiamo le carte in tavola, quelle che possiamo vedere, Vordarian ha in mano oltre venti Conti di distretto, e Kareen. Più alcune centinaia di persone meno importanti.
— Come Elena Bothari?
— Sì. E gli abitanti di Vorbarr Sultana, se è per questo. Potrebbe minacciare la distruzione atomica della città, da ultimo, per avere il permesso di lasciare il pianeta. Mi sono trastullato con l’idea di trattare, dandogli ciò che vuole. Ma solo per farlo assassinare più tardi. Non si può lasciarlo fuggire libero, dopo che tanti sono già morti per difendere il trono da quel traditore. Quale pira funebre potrebbe placare le loro anime? No.
«Così ciò che studiamo ora sono dei raid, delle operazioni di salvataggio da mettere in atto al momento opportuno, quando la lealtà degli uomini raggiungerà il punto critico e Vordarian sarà colto dai primi accenni di panico. Nel frattempo aspettiamo. Se la situazione lo richiederà… dovrò sacrificare gli ostaggi, pur di impedire la vittoria di Vordarian. — Il suo sguardo era lontano, adesso, inespressivo.
— Anche Kareen? — Tutti gli ostaggi? Anche il più piccolo.
— Anche Kareen. È una Vor. Queste cose le sa.
— La prova sicura che io non sono Vor — disse cupamente Cordelia, — è che non capisco nulla di questa… follia rituale. Penso che tutti voi avreste bisogno di terapia psichica, dal primo all’ultimo.
Lui ebbe un lieve sorriso. — Credi che Colonia Beta accetterebbe di mandare un esercito di psichiatri in aiuto di questo disgraziato pianeta? Comandati dalla persona con cui avesti quell’ultima discussione, magari, eh?
Cordelia sbuffò. Be’, la storia di Barrayar aveva una specie di drammatica bellezza, da un punto di vista astratto, da un punto di vista lontano. Il gioco delle passioni. Era da vicino che la stupidità della cosa diventava troppo palpabile, e che il quadro generale si frammentava in particolari caotici senza significato.
Cordelia esitò, poi chiese: — Stiamo già giocando al gioco degli ostaggi? — Non era sicura di voler conoscere la risposta.
Vorkosigan scosse il capo. — No. Questo è stato l’aspetto duro delle ipotesi di trattative studiate nell’ultima settimana: dover guardare negli occhi uomini che hanno mogli e figli alla capitale, e dire di no. — Allineò le posate sul vassoio, con gesti lenti e pensosi. — Ma loro non guardano all’aspetto generale delle cose. Questa non è, finora, una rivoluzione, ma solo un colpo di stato avvenuto a palazzo. La popolazione non si schiera, o meglio si limita a tenere la testa bassa, salvo gli informatori e i pochi coinvolti coi fuggiaschi. Vorkosigan sta facendo appello a una elite di conservatori, ai vecchi Vor, ai militari, ai Conti che non contano più. La cultura tecnologica produce popolani progressisti più in fretta di quanto il sistema scolastico riesca a plasmare conservatori ben istruiti. E il futuro apparterrà ai primi. Io voglio dar loro un metodo che non sia quello dei bracciali colorati per distinguere i buoni dai cattivi. La forza morale dell’esempio è una forza più potente di quel che crede Vordarian. Quale generale terrestre disse che il morale sta al fisico per tre a uno? Ah, Napoleone, sì. Peccato che non abbia seguito il suo stesso consiglio. Io lo valuterei cinque a uno, in questa particolare guerra.
— Ma in quanto all’equilibrio degli armamenti come stiamo? Anche il lato fisico ha la sua importanza.
Vorkosigan scrollò le spalle. — Sia noi che loro ne abbiamo abbastanza da distruggere la superficie del pianeta una dozzina di volte. La forza bruta non è il punto chiave. Ma il fatto che io abbia una posizione legittima è un enorme vantaggio, finché ci sono armi su ambedue i lati. Di conseguenza, ecco che Vordarian mina questa legittimità con l’accusa che io voglia il trono di Gregor. Mi propongo di legarlo con la sua stessa bugia.
Cordelia fremette. — Sai, non credo che avrei paura di questo se fossi nei panni di Vordarian.
— Oh, ci sono ancora altri modi in cui può vincere. In ciascuno di essi è prevista la mia morte. Senza di me, il Reggente nominato dal defunto Ezar, che scelta resterebbe? Vordarian, come mio sostituto, sarebbe lecito quanto un altro. Se mi uccidesse e catturasse Gregor, o viceversa, potrebbe consolidare il suo potere da questa base… fino al prossimo colpo di stato, al prossimo passo nella catena di faide e rivolte e vendette che echeggerebbero nel nostro futuro. — I suoi occhi si strinsero, come se le vedesse. — Questo è il mio incubo peggiore. Che la guerra non si spenga qui e rinasca finché non arriverà un altro Dorca Vorbarra il Giusto a metter fine a un altro Secolo di Sangue. Dio sa quando. E ad essere franco, nella nostra generazione non vedo un uomo di questo genere.
Guardati allo specchio, pensò cupamente Cordelia.
— Ah, così è per questo che hai voluto mandarmi dal dottore con tanta fretta — lo stuzzicò Cordelia quella notte. Il medico, dopo che le sue prime deduzioni erano state opportunamente corrette, l’aveva visitata con cura, prescrivendole il riposo invece degli esercizi ginnici e autorizzandola anche a riprendere i rapporti coniugali, con moderazione. Aral sogghignò, e fece l’amore con lei come se maneggiasse un cristallo d’antiquariato. S’era ripreso bene dai postumi della soltossina, a giudicare dalla sua energia. Poi dormì come un sasso finché la console delle comunicazioni non li svegliò entrambi, all’alba. Doveva esserci stata qualche piccola cospirazione nel suo staff per arrivare a quell’ora senza intralci. Cordelia immaginava Kou e qualcun altro mormorare: — Giusto, lascia che il Vecchio faccia un po’ di ginnastica da camera. Forse domani sarà un tantino più morbido…
Cordelia rimase a letto, ma la fatica che aveva accumulato si lasciò smaltire in fretta. Il giorno dopo, con la scorta di Droushnakovi, era già in giro ad esplorare i sotterranei.
Nella palestra della Base trovò Bothari al lavoro. Il Conte Piotr non era ancora rientrato, così, dopo aver fatto il suo rapporto ad Aral, al sergente non restava che attendere. — Devo tenermi in forma — le comunicò, gettandosi al suolo per fare alcune flessioni.
— Hai dormito?
— Non molto — disse lui. Si rialzò e riprese a correre. In modo compulsivo, masochistico, già oltre il limite delle sue capacità. Sudava per occupare il tempo e impedirsi di pensare, e Cordelia gli augurò in silenzio buona fortuna.
Fu aggiornata sui dettagli della guerra dai notiziari televisivi, nessuno dei quali diceva la verità, e da suo marito e da Koudelka, che ne conoscevano solo una parte: quali Conti erano loro alleati; chi era in ostaggio e dove; quali compagnie combattevano sull’uno e sull’altro fronte oppure erano state decimate; dove avvenivano gli scontri, e poi i danni, e le vie di rifornimento, e i nomi dei comandanti che avevano rinnovato il loro giuramento di fedeltà… tutte notizie che si affastellavano in lei fino a perdere ogni significato, come una sua versione personale di ciò che la corsa era per Bothari, ma assai meno capaci di distrarla dagli orrori e dai disastri passati o previsti e per impedire i quali lei non poteva fare proprio niente.
Cordelia riusciva ad apprezzare eventi storici di quel genere solo quand’erano separati dalla realtà; un secolo o due nel passato, ad esempio. Immaginò che un freddo storiografo del futuro la stesse guardando attraverso un telescopio temporale, e mentalmente gli rivolse un gesto scurrile. Comunque, e la sua vita glielo stava insegnando, la storia scritta lasciava fuori una delle cose più importanti: non parlava mai dei sentimenti e del destino dei bambini.
No… erano tutti quanti bambini, lì. Ogni figlio di mamma in uniforme verde. Le tornava in mente una delle frasi di Aral, in tono dolce amaro: «… e in quel momento, quando mi bastò un gesto per richiamare la loro attenzione, mi accorsi che i soldati mi stavano guardando come bambini.»
Cordelia spense lo schermo su cui andava in onda una trasmissione gestita dalla propaganda di Vordarian e andò in bagno a prendere le pillole per il mal di capo.
Il terzo giorno, in un corridoio, incrociò il tenente Koudelka che arrivava a passi svelti, rosso in faccia per l’eccitazione.
— Novità, Kou?
— È arrivato Illyan. E ha portato con sé Kanzian!
Cordelia lo seguì verso una sala riunioni. Droushnakovi dovette allungare il passo per riuscire a precederla e ad aprirle la porta. Il capitano Illyan stava facendo rapporto, seduto sul bordo del tavolo, e nel parlare faceva oscillare ritmicamente una gamba. Aral aveva preso posto lì accanto insieme ad altri due del suo staff, e ascoltava con le mani unite davanti a sé e un’espressione attenta sul volto. Pallido e malconcio Illyan aveva un’aria febbricitante, ma i suoi occhi brillavano di soddisfazione. Indossava abiti civili che sembravano rubati da una corda del bucato nei quartieri poveri e stirati con la suola di una scarpa. Dall’altra parte del tavolo sedeva un uomo anziano, a cui un cameriere stava servendo un bicchiere di quello che Cordelia, grazie alla sua esperienza in ospedale, riconobbe per succo di frutta arricchito di sali potassici e vitamine. Lui ne bevve doverosamente un sorso ma ebbe una smorfia, lasciando intuire che avrebbe gradito un ricostituente un tantino più simile al brandy di marca. Di bassa statura, sovrappeso, grigio dove ormai non era già calvo, Kanzian non vantava più da molti anni un aspetto marziale. Avrebbe potuto passare per un professore di scuola o uno studioso dedito alla ricerca scientifica, se non fosse stato per la luce dei suoi occhi, troppo vividi e penetranti per un tranquillo intellettuale. Cordelia l’aveva già incontrato in uniforme; la sua pacata autorità non sembrava compromessa dagli indumenti civili, provenienti forse dalla stessa corda del bucato da cui Illyan aveva rubato i suoi.
— Così abbiamo trascorso l’intera notte nella cantina — stava dicendo Illyan. — Le squadre di Vordarian sono tornate a perquisire l’edificio il mattino dopo, ma… oh, milady!
Il sorriso con cui la accolse parve incrinato da un attimo di senso di colpa quando si affrettò a distogliere lo sguardo dal suo addome. Cordelia avrebbe preferito che continuasse a raccontare con fosco piglio mascolino le disavventure di quei giorni, ma il suo arrivo (l’arrivo del fantasma di una sconfitta che ancora gli bruciava) lo aveva alquanto smontato.
— Simon. Ammiraglio. È una gioia vedervi qui. — Si scambiarono un cenno del capo. Kanzian fece per alzarsi doverosamente, ma ci fu un’unanime profusione di gesti per invitarlo a risparmiare le forze, cosa che lo fece sorridere divertito. Aral la chiamò a sedersi accanto a lui.
Illyan proseguì il suo rapporto. Le sue due settimane di fuga dalle squadre di Vordarian erano trascorse all’incirca come quelle di Cordelia, anche se nell’ambiente più turbinoso della capitale occupata. Dietro le parole dell’uomo lei sentì le stesse incertezze, le stesse preoccupazioni. Kanzian annuiva ogni tanto, per confermare gli eventi di cui era stato testimone anch’egli.
— Ben fatto, Simon — disse Vorkosigan quando Illyan ebbe concluso. Accennò verso Kanzian. — Davvero ben fatto. Non lo dimenticherò.
Illyan sorrise. — Pensavo che lo avrebbe apprezzato, signore.
Vorkosigan si rivolse a Kanzian. — Appena si sarà riposato vorrei metterla al corrente della situazione in sala tattica, signore.
— Grazie, mio Lord. Dopo la fuga dal Quartier Generale sono rimasto tagliato fuori dagli avvenimenti, a parte i notiziari di Vordarian. Anche se abbiamo potuto dedurre molto da ciò che vedevamo. Comunque mi congratulo con lei per la sua strategia di contenimento. Finora è stata efficace. Ma è quasi giunta al suo limite.
— È quello che penso anch’io, signore.
— Cosa sta facendo Jolly Nolly alla Stazione di Balzo Uno?
— Non ho risposto ai messaggi inviati dai suoi ufficiali su raggio canalizzato. La settimana scorsa giustificavano il suo silenzio con la scusa di un’indisposizione, ma poi hanno avuto almeno il buon gusto di tacere.
— Ah. Posso immaginarlo. La sua colite deve aver avuto una ricaduta formidabile. Scommetto che non tutti gli «indisposti» si stanno negando al telefono senza motivo. Credo che lei e io dovremmo fare due chiacchiere, in privato, con l’ammiraglio Knollys.
— Sì, lo apprezzerei, signore.
— Discuteremo delle sventure del nostro tempo. E dei difetti di un supposto capo delle forze armate che fonda la sua intera strategia su un assassinio politico, senza riuscire neppure a conseguirlo. — Kanzian si accigliò, disgustato. — Occorre un ottimismo assurdo per basare le sorti della guerra su un singolo evento eclatante. Vordarian ha sempre avuto la tendenza a strafare.
Cordelia richiamò con un gesto l’attenzione di Illyan. — Simon, mentre eravate a Vorbarr Sultana vi è giunta qualche notizia dall’Ospedale Militare Imperiale? Sapete qualcosa di Vaagen e di Henry? — E del mio bambino?
Lui scosse il capo, dispiaciuto. — No, milady. — Guardò Vorkosigan. — Mio Lord, è vero che il capitano Negri è morto? Abbiamo sentito solo delle voci, oltre alla propaganda televisiva di Vordarian. Dato che non hanno mostrato il suo corpo, ho pensato che fosse una menzogna.
— Purtroppo no. Negri è stato colpito durante uno scontro a fuoco alla Residenza Imperiale. Non è sopravvissuto alla ferita. — rispose Vorkosigan.
Illyan si alzò in piedi, allarmato. — E l’Imperatore?
— Gregor è sano e salvo.
Illyan tornò a sedersi. — Grazie a Dio. E dove…?
— In un posto sicuro — tagliò corto Vorkosigan.
— Oh. Giusto, signore. Chiedo scusa.
— Appena lei sarà passato in infermeria e sotto una doccia, Simon, dovrò affidarle degli urgenti lavori di pulizia in casa nostra — continuò Vorkosigan. — Dobbiamo sapere quali reparti della Sicurezza Imperiale hanno tenuto chiusi tutti e due gli occhi prima del colpo di stato di Vordarian. Non voglio parlar male dei morti… e Dio sa che Negri ha pagato col suo sacrificio ogni errore passato… ma il sistema con cui governava la Sicurezza Imperiale, suddivisa in compartimenti isolati alcuni dei quali noti solo a lui e a Ezar, dev’essere ristrutturato. Bisogna riconsiderare ogni sezione e ogni uomo. Questo sarà il suo primo incarico come nuovo Capo della Sicurezza Imperiale, capitano Illyan.
Il volto di Illyan, già pallido e stanco, si sbiancò ancor di più. — Signore, vuole che io indossi i panni di Negri?
— Prima ne scuota fuori le pulci — lo consigliò seccamente lui. — E al più presto, se non le spiace. Non posso portare allo scoperto l’Imperatore finché la Sicurezza non è in grado di prendersi cura di lui.
— Sì, signore — disse Illyan, come sopraffatto.
Kanzian si tirò in piedi, rifiutando con un cenno l’aiuto di uno dei presenti. Aral strinse una mano di Cordelia, sotto il tavolo, e si alzò per accompagnare fuori il nucleo del suo nuovo staff. Mentre gli altri ufficiali uscivano, Koudelka si girò a guardare Cordelia e mormorò: — Le cose cominciano a marciare meglio, eh?
Lei gli restituì il sorriso, incerta. Nella sua mente echeggiavano le parole del marito: «…quando la lealtà degli uomini raggiungerà il punto critico, e Vordarian sarà colto dai primi accenni di panico…»
Alla fine della seconda settimana il rivolo di fuggiaschi che apparivano alla Base Tanery era divenuto un torrente. L’arrivo più acclamato dopo quello dell’ammiraglio Kanzian fu la comparsa del Primo Ministro Vortala, di cui si sapeva solo che era stato messo agli arresti domiciliari. Il vecchio giunse con la scorta di diversi uomini nella livrea della sua casa, stanchi e feriti, portando notizia degli atti di violenza commessi ai danni dei membri del governo e dei loro familiari, di tradimenti, di cacce all’uomo e scontri a fuoco. Altri due ministri sopraggiunsero quella sera stessa. Il morale si alzava ad ogni nuova aggiunta di notabili, e l’atmosfera della Base si fece elettrica nell’attesa dell’azione. La domanda che si udiva fare nei corridoi dell’amministrazione non era più «È arrivato qualcuno?» ma «Chi è arrivato questa notte?» Cordelia fece del suo meglio per apparire di umore tranquillo, chiudendo dentro di sé le sue angosce private. Vorkosigan era soddisfatto e allo stesso tempo più teso.
Come il marito le aveva raccomandato, Cordelia restò al livello sotterraneo del loro appartamento; ma fin troppo presto, col ritorno di un’energia di cui non godeva da mesi, l’impazienza cominciò a farla fremere. Contravvenne alle prescrizioni del medico facendo un po’ di ginnastica da camera (solo piegamenti delle gambe e delle braccia, niente flessioni o altro) e stava contemplando l’idea di raggiungere Bothari in palestra quando il videotelefono suonò.
Sullo schermo comparve il volto un po’ apprensivo di Koudelka. — Milady, Lord Vorkosigan le chiede di raggiungerci qui, nella Sala Riunioni Sette. C’è una cosa che desidera farle vedere.
Lei sentì una contrazione allo stomaco. — Sì. Vengo subito.
Nella Sala Riunioni Sette alcuni ufficiali dello staff stavano discutendo a bassa voce davanti a una console di schermi collegati ai satelliti. Oltre a Kanzian c’era anche il Primo Ministro Vortala. Vorkosigan le rivolse un breve sorriso e disse subito: — Mia cara, vorrei la tua opinione su qualcosa che è appena giunto.
— Ne sono lusingata. Ma qualcosa cosa?
— L’ultimo show televisivo di Vordarian contiene una novità. Kou, rimanda la registrazione, per favore.
La propaganda politica che Vordarian trasmetteva dalla capitale era sempre commentata con divertito sarcasmo dagli uomini di Vorkosigan. Stavolta le loro facce le parvero alquanto più serie.
L’inquadratura mostrava Vordarian in una delle sale di ricevimento ufficiali della Residenza Imperiale, l’austero Salone Azzurro, che Ezar Vorbarra aveva usato come sfondo per le sue rare apparizioni pubbliche. Vorkosigan era accigliato.
Elegante nella sua uniforme verde, Vordarian sedeva su un sofà rivestito in seta bianca, al fianco di Kareen. La Principessa indossava un abito nero molto accollato, di taglio sobrio. I suoi capelli corvini, fermati indietro da un paio di spille d’argento ingemmato, lasciavano scoperto l’ovale del volto. Vordarian pronunciò solo un paio di frasi per chiedere l’attenzione degli spettatori. Poi la regia mandò in onda l’interno della grande Sala del Consiglio dei Conti, al Castello di Vorhartung. L’inquadratura si restrinse intorno al Lord Guardiano del Circolo dei Parlatori, vestito dei suoi paramenti cerimoniali. Sullo schermo non si poteva vedere cosa, fuori campo, stesse innervosendo l’anziano dignitario, ma dalle occhiate che lanciava continuamente alla sua sinistra Cordelia sospettò che su di lui non fossero puntate soltanto delle innocue telecamere.
Il Lord Guardiano aprì un foglio di carta plasticata, si schiarì la voce e disse: — Leggo ora quanto segue. Io cito testualmente…
— Ah, sottile! — mormorò Vortala. Subito Koudelka fermò la registrazione per chiedere: — Come dice, scusi, signor Ministro?
— La premessa «Io cito». Ha preso legalmente le distanze dalle parole che la sua bocca sta per pronunciare. Non l’avevo notato, la prima volta. Bravo, Georgos, vecchio avvocato — si complimentò Vortala con la figura paralizzata. — Continui pure, tenente. Non volevo interrompere.
L’immagine olovisiva riprese vita. — … avuto dolorosa conferma del vile assassinio del nostro giovane Imperatore Gregor Vorbarra, ad opera dell’usurpatore Aral Vorkosigan, traditore e spergiuro, il Consiglio dei Conti dichiara il suddetto Aral Vorkosigan destituito dalla carica di Reggente, spogliato del suo titolo e delle sue proprietà, e sottoposto in contumacia a procedimento giudiziario per i crimini di omicidio e di alto tradimento. Questo Consiglio, in data di oggi, elegge e nomina il Commodoro Conte Vidal Vordarian alla carica di primo Ministro e di Lord Reggente in nome della Principessa Kareen Vorbarra. Ciò allo scopo di formare un governo di emergenza con pieni poteri, fino al giorno in cui un nuovo erede sarà riconosciuto e confermato dal Consiglio dei Conti e dal Consiglio dei Ministri in assemblea plenaria.
L’uomo continuò con altre formalità di rito mentre l’inquadratura si spostava lentamente sui seggi intorno alla camera. — Rallenti un poco, tenente Koudelka — chiese Vortala. Le sue labbra si mossero mentre contava gli intervenuti. — Ah! Neppure un terzo dei distretti è rappresentato. Non c’è il numero legale, anche se hanno dato un voto unanime. Chi pensa di poter prendere in giro?
— Uomini disperati, misure disperate — mormorò Kanzian mentre la registrazione accelerava al tocco di Koudelka.
— Osserva Kareen — disse Vorkosigan a Cordelia.
La regia si collegò di nuovo con il Salone Azzurro e Vordarian cominciò a parlare. A Cordelia occorse qualche momento per capire che con la definizione «protettore della sua persona» l’uomo stava annunciando un prossimo legame matrimoniale. La sua mano destra si chiuse con affettuosa fermezza su quella sinistra di Kareen, e nel farlo non distolse lo sguardo dalla telecamera. La Principessa si lasciò sollevare la mano e protese l’anulare a ricevere un anello, senza che l’espressione calma del suo volto cambiasse minimamente. Poi la regia passò a un campo lungo per mostrare funzionari che s’inchinavano, mentre nel salone echeggiava una musica solenne, e la trasmissione terminò. Non c’erano stati interventi parlamentari per chiedere i particolari dell’omicidio, né commenti giornalistici in stile betano per spiegare agli spettatori cosa stava succedendo. All’uomo-della-strada barrayarano nessuno avrebbe detto molto, almeno finché il rumore delle rivolte popolari non avesse cominciato a far vibrare le vetrate dei palazzi.
— Tu come interpreti la reazione di Kareen? — chiese Vorkosigan.
Cordelia inarcò un sopracciglio. — Quale reazione? C’è ben poco da analizzare. Non ha neanche aperto bocca.
— Infatti. Ti è parsa drogata? O sotto costrinzione? Oppure è davvero capace di mostrarsi così assente? Pensi che sia stata persuasa da Vordarian, dalla sua propaganda, o cos’altro? — Con un sospiro frustrato Vorkosigan accennò allo schermo, spento. — È sempre stata riservata, ma non l’ho mai vista così completamente imperscrutabile.
— Rivediamo l’ultima parte, Kou — disse Cordelia. Poi lo fermò sull’inquadratura di Kareen più ravvicinata. Studiò quel viso immobile, non più animato di quando le immagini scorrevano. — Non è spaventata né sotto sedativi. E i suoi occhi non si spostano di lato come quelli del Lord Guardiano.
— Pensa che Vordarian abbia osato farle puntare un’arma alla testa mentre le metteva l’anello? — sorrise Vortala.
Cordelia scosse il capo. — Non so. Comunque credo che Kareen non degnerebbe di uno sguardo una pistola puntata su di lei.
— È indifferente, o sotto pressione? — insisté Vorkosigan.
— Forse nessuna delle due. Ha avuto a che fare con drammi di questo genere fin da quando è diventata adulta. Cosa ti aspetti da lei? Se è sopravvissuta a tre anni d’inferno con Serg, prima che Ezar la prendesse sotto la sua protezione, dev’essere un’esperta in ciò che le conviene o non le conviene dire.
— Ma rendere pubblica la sua sottomissione a Vordarian, quando sa che lui è responsabile della morte di Gregor…
— Sì, l’interrogativo è ciò che crede. Se crede che suo figlio sia morto, anche con la certezza che non l’abbia ucciso tu, allora non le resta che pensare alla sua sopravvivenza. Perché rischiare la vita in un’inutile ribellione, se questo non può ridarle Gregor? Cosa deve a te, a noi, dopotutto? Noi non siamo stati capaci di impedire questo disastro, per quanto ne sa lei.
Vorkosigan curvò le spalle.
Cordelia continuò: — Vordarian controlla sicuramente tutte le informazioni a cui Kareen può avere accesso. Può essersi perfino convinta che lui sta vincendo. Lei è un’esperta di sopravvivenza; ha sempre assorbito tutte le sue disgrazie. Forse pensa che anche Vordarian passerà, come Serg. Forse l’unica vendetta che desidera è di vivere abbastanza da poter sputare sulla tomba di chi l’ha usata e calpestata.
Uno degli ufficiali mormorò: — Ma è una Vor. Avrebbe dovuto sfidarlo.
Cordelia gli oppose un’espressione blanda. — Oh, ma quello che pensa una donna di Barrayar voi non potete capirlo dalle parole che dice di fronte agli uomini. La franchezza non è una delle doti che voi apprezzate nelle donne.
L’ufficiale preferì non fare commenti, limitandosi a darle uno sguardo inespressivo. Drou ebbe un sorrisetto aspro. Vorkosigan tossicchiò. Koudelka sbatté le palpebre.
— Così, Vorkosigan è stanco di aspettare e si autoproclama Reggente fin d’ora — mormorò Vortala.
— E Primo Ministro — gli ricordò Vorkosigan.
— Così pare, visto che ha giurato.
— Perché non si fa incoronare Imperatore, già che c’è? — sbuffò un ufficiale.
— Prima vuole tastare il terreno — disse Kanzian.
— È nel suo copione. Il lieto fine — opinò Vortala.
— O magari la prossima scena, se gli forziamo un po’ la mano. Il passo troppo lungo, che potrebbe farlo cadere giù dal palcoscenico — suggerì Kanzian. — Tuttavia occorre cautela. Dobbiamo tenerlo sotto pressione, ma senza spingerlo a reazioni troppo inconsulte.
— È quello che faremo — disse con fermezza Vorkosigan.
Il volto di Kareen aleggiò davanti agli occhi di Cordelia come un fantasma per tutto il giorno, e svegliandosi il mattino successivo lo trovò ancora lì. Cosa stava pensando Kareen? Cosa sentiva, anzi, nel lasciarsi infilare quell’anello? Forse era davvero indifferente come suggeriva l’evidenza. Forse stava prendendo tempo. O forse era ormai dalla parte di Vordarian. Se sapessi cosa le hanno fatto credere, saprei cosa sta facendo. Se sapessi cosa sta facendo, saprei cosa le hanno fatto credere.
Era un’equazione con troppe incognite. Se io fossi Kareen… ma questa era un’analogia valida? Poteva davvero mettersi nei panni di qualcun altro e ragionare con la testa di un altro? Avevano dei punti in comune, lei e Kareen: entrambe donne, all’incirca della stessa età, entrambe madri di figli in pericolo… Cordelia aprì lo zaino in cui aveva messo i suoi souvenir della fuga fra le montagne e ne tirò fuori la scarpa di Gregor. La rigirò fra le dita. È stato così che ho perduto la scarpa. È rimasta in mano alla mamma… dovevo allacciarmela più forte, credo… Forse avrebbe dovuto fidarsi di più del suo giudizio. Forse aveva capito esattamente perché Kareen agiva così.
Quando il videotelefono squillò, più o meno alla stessa ora del giorno prima, Cordelia balzò subito in piedi per rispondere. Un’altra trasmissione dalla capitale? Nuovi elementi, qualcosa che avrebbe spezzato quel circolo chiuso di assurdità? Ma il volto che apparve a schermo non era quello di Koudelka; si trattava di un ufficiale sconosciuto, con le mostrine del Servizio Segreto sul colletto.
— Lady Vorkosigan? — domandò con deferenza.
— Sì?
— Sono il maggiore Sircoj. Le parlo dall’ingresso principale della Base. Il mio compito, milady, è di fare rapporto su ogni nuovo arrivo, fuggiaschi, uomini che hanno disertato dalle truppe del traditore e altri, ed esaminare le notizie che ci portano. Mezz’ora fa è giunto un uomo che afferma di venire dalla capitale, ma rifiuta di elargire volontariamente ogni informazione in suo possesso. Abbiamo la conferma che ha subito un trattamento anti-interrogatorio: se cercassimo di iniettargli il penta-rapido, lo uccideremmo. L’uomo continua a chiedere, anzi insiste energicamente, di parlare con lei. Potrebbe essere un sicario.
Il cuore di Cordelia batteva forte. Si appoggiò alla console come se potesse arrampicarcisi sopra. — Ha portato qualcosa con sé? — domandò, col fiato mozzo. — Qualcosa di simile a un contenitore, alto poco più di mezzo metro… con un pannello elettronico e delle luci spia? — Qualcosa di dannatamente misterioso, capace di destare all’istante i sospetti paranoici di qualunque ufficiale di guardia? - Il suo nome, maggiore!
— Con sé non ha niente, salvo i vestiti che indossa. È piuttosto malconcio. Dice che il suo nome è Vaagen. Capitano Vaagen.
— Vengo subito lì.
— No, milady! L’uomo ha dato in escandescenze. Potrebbe essere pericoloso. Non posso permettere che lei…
Cordelia lo lasciò parlare alla stanza vuota. Droushnakovi dovette correre per raggiungerla. Meno di sette minuti dopo era nel corridoio che portava all’ingresso principale, e si fermò a riprendere fiato. A riattaccarsi al corpo l’anima, che minacciava di uscirle dalla bocca. Calma. Calma. L’irruenza era controproducente con un individuo come Sircoj.
Raddrizzò le spalle ed entrò a passi misurati nell’ufficio. — Informi il maggiore Sircoj che Lady Vorkosigan desidera parlare con lui, per favore — disse all’Alfiere seduto alla scrivania più vicina. Lui inarcò le sopracciglia e fece una chiamata dalla sua console.
Sircoj apparve pochi interminabili minuti dopo da una delle porte laterali, della quale Cordelia prese nota. — Devo vedere il capitano Vaagen.
— Milady, non posso permettere che lei si esponga a un pericolo — disse il maggiore, riprendendo a parlare esattamente dove s’era interrotto. — L’uomo potrebbe esser stato programmato per reagire in modo inaspettato.
Cordelia si chiese quanto sarebbe stato inaspettato per Sircoj se lei lo avesse afferrato per il petto, scrollandolo fino a ficcargli in capo la ragione. Poco pratico. Trasse un lungo respiro. — Cosa sarebbe più sicuro per me? Posso almeno vederlo su uno schermo?
Sircoj ci rifletté. — Questo è possibile, in effetti. Se lei fosse in grado di confermare la sua identità, io potrei completare il mio rapporto. Molto bene.
Il maggiore la condusse in una stanza di controllo piena di schermi allineati e ne accese uno. Cordelia lasciò uscire il respiro quasi in un gemito.
Vaagen era solo, in quella che sembrava una cella spoglia, e andava avanti e indietro da una parete all’altra. Indossava i pantaloni verdi dell’uniforme e una camicia bianca piena di macchie. Era molto diverso dallo scienziato elegante ed energico che lei aveva visto l’ultima volta all’OMI. Aveva gli occhi pesti, gonfi, il sinistro quasi chiuso e iniettato di sangue. Stava zoppicando. Sporco, sfinito, con le labbra screpolate…
— Quest’uomo ha bisogno di un medico! — Cordelia si accorse di aver gridato solo quando vide Sircoj sobbalzare.
— È già stato esaminato superficialmente. Le sue condizioni non sono gravi — le comunicò Sircoj, imperterrito. — Sarà inviato in infermeria appena avremo finito con gli accertamenti.
— Allora mi metta in contatto con lui — disse Cordelia a denti stretti. — Drou, torna nell’ufficio e chiama mio marito. Informalo di cosa sta accadendo.
Sircoj apparve preoccupato all’idea, ma con imperturbabile fermezza si attenne alla procedura. Trascorsero altri lunghi minuti prima che qualcuno aprisse la cella e portasse Vaagen al videotelefono più vicino.
Cordelia passò nell’ufficio esterno, dove finalmente poté avere la comunicazione. Sul volto di Vaagen le parve di veder specchiate le stesse passioni che attanagliavano lei.
— Vaagen! Cos’è successo?
— Milady! — L’uomo fu scosso da un tremito mentre si piegava in avanti verso il telefono. — Quegli idioti! Quei bastardi ignoranti! Quei maledetti stupidi figli di… — La rabbia gli mozzò il fiato. Agitò un pugno con un mugolio, quindi fece uno sforzo per calmarsi e parlò in fretta, come se temesse che gli togliessero la linea da un momento all’altro.
— Ci eravamo illusi che tutto sarebbe andato bene, milady, dopo i primi due giorni di scontri, quando la situazione si è calmata. Avevamo nascosto il simulatore in una stanzetta del laboratorio, ma non è venuto nessuno. Avevamo portato lì una branda, per trascorrere anche la notte all’ospedale, a turno. Poi Henry è riuscito a mandare sua moglie fuori città, e ci siamo trasferiti in laboratorio tutti e due, a giornata piena. Volevamo continuare il trattamento medico in segreto. Pensavamo di aspettare che qualcuno venisse a salvarci, o che la situazione si aggiustasse in qualche modo…
«Eravamo quasi sicuri, alla fine, che nessuno sarebbe venuto a indagare, ma non è stato così. L’altro… ieri mattina — si passò una mano fra i capelli, come se avesse difficoltà a rapportare gli avvenimenti dei suoi incubi al tempo della realtà, — è arrivata una squadra di Vordarian. Volevano il simulatore. Noi ci siamo rifiutati di lasciarli entrare nel laboratorio interno, ma hanno sfondato la porta. Ci hanno interrogati… brutalmente. Non avevano penta-rapido con sé, così ci hanno percossi. Io sono svenuto, ma se la sono presa soprattutto con Henry… lo hanno picchiato a morte, milady. Come se fosse un avanzo di strada, come se non fosse nessuno. Tutta la sua istruzione, la sua intelligenza, le sue capacità, ridotte a… una povera cosa sanguinante, su cui quelle bestie infierivano col calcio dei fucili… — Gli occhi di Vaagen erano pieni di lacrime.
Cordelia era rigida, pallidissima. Brutto, un brutto attacco di dejà vu. Aveva già visto decine di volte dentro di sé la scena dell’irruzione nel laboratorio, ma non aveva visto Vaagen svenuto sotto le percosse, né Henry disteso privo di vita sul pavimento.
— Hanno rovesciato lo schedario e tirato fuori la documentazione, tutte le ricerche, gli appunti. L’intero lavoro di Henry, bruciato. Non avrebbero dovuto farlo, questo. Una vita di studio, data alle fiamme! — La sua voce era incrinata dal furore.
— Hanno… trovato il simulatore? L’hanno aperto? — Poteva vederlo, anche questo. L’aveva già visto molte volte. Rovesciato…
— L’hanno trovato alla fine, sì. Ma l’hanno portato con loro senza aprirlo. Poi mi hanno mandato via, fuori. — Vaagen scosse il capo più volte.
— Portato con loro — ripeté lei, stordita. Perché? Che senso c’era nel portare via la tecnologia e non i tecnici? — E lei è stato lasciato andare. Perché venisse qui, suppongo. Perché sapessimo che l’hanno preso.
— È così, milady — annuì lui.
— Dove? — domandò Cordelia. — Dove possono averlo portato?
— Alla Residenza Imperiale, probabilmente — disse dietro di lei la voce di Vorkosigan. — Tutti gli ostaggi di maggior valore sono là. Incaricherò il Servizio Segreto di occuparsi anche di questo. — La guardò un poco, con una smorfia amara sul volto. — Sembra che non siamo i soli ad aver deciso di aumentare la pressione.