CAPITOLO QUINTO

Il compleanno dell’Imperatore era per tradizione una delle feste nazionali di Barrayar, che la gente celebrava con manifestazioni pubbliche, danze, bevute, parate di veterani e un’incredibile quantità di fuochi artificiali sparati da tutti i quartieri della città in gara fra loro. Questo sarebbe bastato a farne un giorno adatto per un attacco militare alla capitale, si disse Cordelia: anche un orecchio addestrato non avrebbe potuto riconoscere un fuoco d’artiglieria dietro quel caos di scoppi. Il fracasso prese inizio all’alba.

Le guardie di servizio, che avevano un’automatica predisposizione a rizzare gli orecchi a qualunque rumore estraneo, giravano per la casa con aria abbacchiata, salvo un paio di giovani entusiasti che ebbero la pensata di far esplodere in giardino dei mortaretti e accendere due crepitanti girandole. Furono chiamati nel seminterrato dal capoguardia e quando tornarono su ai colleghi bastò guardarli per sapere che s’erano giocati la libera uscita. Cordelia li vide in cucina, più tardi, a sbucciare patate agli ordini di una cuoca sogghignante, mentre le due sguattere se ne uscivano di casa vestite a festa per un’inattesa giornata di libertà. Il compleanno dell’Imperatore destava un’allegria incomprensibile per lei, e inoltre i barrayarani sembravano affascinati dal fatto che, essendo Gregor succeduto ad Ezar, quella era la seconda volta in un anno che celebravano la stessa festa.

Cordelia rinunciò ad assistere all’imponente parata militare che occupò la mattinata di Aral in modo da essere più fresca per la serata (l’avvenimento dell’anno, a quanto le fu dato di capire) ovvero la cena di compleanno alla Residenza Imperiale. Le piaceva l’idea di poter rivedere Kareen e Gregor, anche se per poco. E stavolta era certa che avrebbe avuto un aspetto all’altezza del suo rango. Lady Vorpatril, che aveva buon gusto e poteva vantare una solida esperienza di moda femminile in ogni stadio della gravidanza, aveva avuto pietà dei suoi problemi culturali e le si era offerta come guida indigena per i negozi e la sartoria da cui si serviva.

Come risultato, quel pomeriggio Cordelia sfoggiò con sicurezza un completo di seta selvaggia verde scuro, a gonna lunga, scarpe in vera pelle e un leggero soprabito di vellutata stoffa bianca d’importazione. Alcuni minuscoli fiorellini, autentici, le erano stati sistemati nell’acconciatura ramata da una pettinatrice in carne e ossa, molto più abile di qualsiasi stilista automatico lei avesse mai usato su Colonia Beta. Per le festività tradizionali i barrayarani non facevano molto uso della moda straniera e preferivano abiti più personalizzati, ricorrendo a una specie di arte popolare elaborata quanto i disegni corporali betani. Cordelia non poteva essere sicura della reazione di Aral — il suo volto s’illuminava sempre quando la vedeva apparire — ma a giudicare dagli «ooh!» e dagli «aah!» delle cameriere del Conte Piotr il sarto di Alys Vorpatril doveva aver superato se stesso.

Mentre aspettava nell’atrio, ai piedi della scala, abbassò gli occhi a controllare il miracoloso effetto dello stile «cintura alta» sul suo addome. Anche senza quell’artificio, comunque, dopo quasi quattro mesi non poteva vantare che una curva appena visibile. Nulla di più, da quell’estate, tanto da farle pensare che la gravidanza procedesse a rilento. Sfiorandosi distrattamente l’addome mormorò dentro di sé un mantra d’incoraggiamento, cresci, cresci, oh, cresci… ma almeno stava cominciando ad apparire davvero incinta agli occhi altrui, invece di dar l’impressione d’essere «un po’ stanca». Aral condivideva i suoi notturni momenti di fascino per quel progredire, e ascoltava con dita gentili sulla sua pelle, fin lì senza successo, i lievissimi palpiti che lei invece avvertiva già di tanto in tanto.

Anche Aral scese, camminando al passo col tenente Koudelka. Entrambi erano tirati a lucido, impeccabilmente rasati e pettinati, molto vistosi nell’uniforme imperiale da parata rossa e blu. Piotr li raggiunse con l’abito da cerimonia che aveva indossato alla riunione del Consiglio, marrone e argento, anch’esso una specie di uniforme militaresca scintillante di gradi e di mostrine. I venti uomini in livrea che il Conte s’era portato dietro una settimana prima erano anch’essi più eleganti del solito. Droushnakovi, a fianco di Cordelia, aveva scelto un vestito verde per intonarsi al suo, ma più semplice, tagliato sia per consentire i movimenti rapidi che per nascondere un’arma e i microapparati di comunicazione.

Dopo essersi scambiati qualche complimento sui loro abiti uscirono dalla porta principale per prendere posto sulle due vetture da superficie in attesa. Aral condusse cavalierescamente Cordelia alla prima, poi fece un passo indietro. — Ci vediamo più tardi, amore.

— Cosa? — Il cuore di lei ebbe un balzo. — Oh, la seconda auto… non è solo perché siamo in tanti?

Aral contrasse la bocca. — No. Mi sembra… prudente che d’ora in poi tu e io viaggiamo su veicoli diversi.

— Sì, — mormorò appena Cordelia. — Se vuoi.

Lui annuì e andò all’altra vettura. Dannazione a questo posto. Pezzo per pezzo Barrayar la derubava della sua vita, del suo cuore. Avevano già così poco tempo per loro; ogni momento sottratto in più la feriva.

Il Conte Piotr era l’accompagnatore che sostituiva Aral, almeno per l’inizio della serata; il vecchio scivolò dentro al suo fianco. Droushnakovi sedette di fronte a loro e lo sportello si abbassò. La macchina girò sul vialetto e uscì in strada senza scosse. Cordelia girò la testa ma non riuscì a vedere l’auto di Aral; evidentemente era stata stabilita una distanza di sicurezza. Tornò a guardare avanti, con un sospiro.

Il sole stava tramontando oltre una spessa coltre di nuvole grigie, e le luci che si accendevano in quell’umido crepuscolo autunnale davano alla città un aspetto malinconico. Fare un po’ di festa in una sera così — videro diversi piccoli trattenimenti danzanti all’aperto — non era una cattiva idea. Ma l’allegria spontanea della gente ricordò a Cordelia certe antiche usanze terrestri, quando durante un’eclisse si gridava forte e si sparava in aria per scacciare il drago che stava mangiando la luna. Quella strana tristezza autunnale poteva consumare l’anima, se non si faceva uno sforzo per superarla. Il compleanno di Gregor cadeva al momento giusto.

Fra le mani di Piotr c’era una piccola borsa di seta marrone, chiusa da un laccio, con lo stemma dei Vorkosigan ricamato in argento. Cordelia la guardò, incuriosita. — Che cos’è?

Piotr sorrise e gliela porse. — Monete d’oro.

Altro folclore popolare; la borsa e il suo contenuto erano gradevoli al tatto. Lei accarezzò la seta, ammirò il ricamo e si versò sul palmo di una mano alcuni scintillanti dischetti intarsiati. — Belli. — Prima dell’Era dell’Isolamento, ricordò Cordelia, l’oro aveva avuto un gran valore su Barrayar. Nella sua mente betana «oro» corrispondeva a «metallo talvolta utile nell’industria elettronica», ma nell’antichità la sola parola aveva un fascino quasi mistico per la gente. — Ha un significato?

— Ah! Sicuro. È il regalo di compleanno per l’Imperatore.

Cordelia cercò d’immaginare cosa poteva farsene un bambino di cinque anni di quelle monete d’oro, salvo che usarle per costruire torri o imparare a far di conto. Sperava che Gregor avesse passato l’età in cui i bambini si mettevano tutto in bocca; quei dischetti avevano proprio la dimensione giusta per soffocarlo, se ne avesse inghiottito uno. — Sono certa che gli piacerà — disse, un po’ dubbiosamente.

Piotr ridacchiò. — Tu non capisci il motivo, è così?

Cordelia gli restituì la borsa. — Non lo capisco quasi mai. Mi illumini. — Si appoggiò allo schienale, con un sospiro. Piotr aveva scoperto che spiegarle Barrayar lo divertiva; era sempre compiaciuto nel trovare nuove tasche nel vestito della sua ignoranza, forse perché poteva riempirle non solo con informazioni ma soprattutto con le sue opinioni personali. Cordelia era sicura che avrebbe potuto farle conferenze per vent’anni senza restare mai a corto di aneddoti sorprendenti.

— Il compleanno dell’Imperatore costituisce per tradizione la fine dell’anno fiscale, nei rapporti economici fra i distretti e il Ministero del Tesoro Imperiale. In altre parole, è il giorno delle tasse… anche se i Vor non vengono tassati. Questo implicherebbe una sottomissione eccessiva al governo. Così quello che facciamo all’Imperatore è un regalo.

— Ah… — disse Cordelia. — Ma nessuno governerebbe un anno questo pianeta per sessanta borse d’oro, signore!

— Naturalmente. L’effettivo prelievo fiscale viene trasferito sotto forma di dati a Vorbarr Sultana. È un’operazione computerizzata che la banca del mio distretto, ad Hassadar, ha effettuato stamane. L’oro è puramente simbolico.

Cordelia si accigliò. — Un momento. Non avete già fatto la stessa cosa una volta, quest’anno?

— Sì, in primavera, prima che Ezar si ammalasse. Ora la scadenza dell’anno fiscale è stata cambiata,

— E questo non getta nel caos il vostro sistema bancario?

Lui scrollò le spalle. — È solo un po’ di lavoro in più per i contabili. — D’un tratto ebbe un sogghigno. — Da dove pensi che derivi, del resto, la parola «Conte»?

— È un termine che risale all’epoca pre-atomica… latino del tardo Impero Romano o medievale, suppongo, per indicare un nobile che governa una contea.

— Su Barrayar, invece, è nato come una contrazione dell’inglese «accountant». Anche se in realtà chi si occupava del conteggio del denaro lo faceva dopo averlo prelevato d’autorità dalle tasche altrui. Il capostipite di questi «conteggiatori» fu Varadar Tau, un autentico ladrone da strada, a cui va comunque attribuito il merito di aver istituito il primo sistema di tassazione vero e proprio. I suoi «conteggiatori» non tardarono ad assumere un’autorità amministrativa nelle varie zone.

— E io che pensavo che fosse un rango militare!

— Lo divenne subito, infatti, non appena quei furfanti ebbero la necessità di sottomettere chi opponeva la spada fra essi e le loro tasche. Fu solo più tardi, quando la carica diventò ereditaria, che rinacquero il termine «Conte» e il rango nobiliare.

— Non l’avrei mai immaginato. — Cordelia lo guardò con improvviso sospetto. — Non è che lei si stia prendendo gioco di me, vero?

Piotr alzò le mani. — Questo mai!

Pesa bene quello che ti dicono, consigliò Cordelia a se stessa, divertita. In specie quando con la notizia ti forniscono fra le righe anche l’opinione.

La vettura arrivò al grande cancello della Residenza Imperiale. L’atmosfera di palazzo era molto cambiata dal tempo delle prime visite di Cordelia al capezzale di Ezar e durante le cerimonie funebri. Luci multicolori mettevano in rilievo i particolari architettonici della facciata; il giardino era colmo di fiori, le fontane scintillavano. Gente elegantissima vivacizzava con la sua presenza lo spazio di fronte ai porticati dell’ala ovest e sulle terrazze. I controlli delle guardie, tuttavia, non furono meno meticolosi, e il loro numero era molto maggiore del solito. Cordelia ebbe la sensazione che sarebbe stata una festa assai meno spontanea e divertente di quelle che si svolgevano nelle strade della città.

La vettura di Aral si accodò alla loro solo quando si fermarono al portico dell’ala ovest, e Cordelia poté finalmente prendere il marito a braccetto. Lui le sorrise con orgoglio, e approfittò di un attimo in cui erano meno in vista per baciarle il collo e rubarle un respiro del profumo che s’era messa sui capelli. Attraversato l’atrio passarono nel corridoio che conduceva al salone del pianterreno. Un maggiordomo con la livrea di Casa Vorbarra annunciò il loro ingresso ad alta voce, e per un momento Cordelia si sentì addosso mille paia d’occhi barrayarani di classe Vor occupati soltanto a criticare il suo aspetto. In realtà in sala c’erano solo un paio di centinaia di persone. Meglio questo, cercò di dirsi, che guardare nella bocca di un distruttore neuronico puntato su di lei. Molto meglio.

Circolarono fra gli invitati scambiando saluti e frasi di cortesia praticamente con ognuno di quelli che si trovarono davanti. Perché non portano un’etichetta, come ai congressi? sospirò fra sé Cordelia, frustrata. Come al solito, tutti sembravano conoscere tutti. Si immaginò nell’atto di aprire una conversazione con qualcuno: Senta, lei, signora… uh, signorina… Strinse più forte il braccio di Aral e cercò di sembrare esotica e misteriosa, piuttosto che confusa e incapace di spiccicar parola.

Passando davanti a una saletta laterale videro che lì si stava svolgendo la piccola cerimonia delle borse d’oro, coi Conti, o i loro rappresentanti, che s’inchinavano per scaricarsi dell’obbligo aggiungendo ciascuno poche parole formali. L’Imperatore Gregor — già oltre, sospettava Cordelia, la sua solita ora d’andare a letto — seduto accanto alla madre su un massiccio scranno che lo faceva sembrare ancora più piccolo, cercava stoicamente di sopprimere i suoi sbadigli. A Cordelia venne da chiedersi se metteva davvero quelle monete da parte, o se erano le stesse che tornavano in circolazione anno dopo anno. Che razza di festa di compleanno. Non c’era neppure un suo coetaneo in vista. I Conti venivano comunque smaltiti con rapida efficienza, e il bambino si sarebbe liberato in fretta di quella noia.

Un militare in rosso e blu s’inginocchiò davanti a Gregor e gli presentò la sua borsa di seta marrone. Cordelia riconobbe il Conte Vidal Vordarian, il baffuto individuo che Aral aveva educatamente definito la guida del prossimo-principale partito conservatore (cioè un uomo che la pensava come suo padre) e a lei era parso di capire che la sua fosse la fazione di isolazionisti più fanatici. Non aveva la faccia di un fanatico; anzi, quando sorrideva riusciva perfino attraente. L’uomo rivolse alla Principessa Kareen un paio di frasi, che la fecero ridere. La sua mano si poggiò su un ginocchio di lei in un gesto intimo che Cordelia avrebbe creduto impossibile in quell’ambiente; ma la Principessa si limitò a dargli un tocco amichevole sulle dita, brevemente, prima che lui si alzasse per lasciare il posto al nobile successivo. Il sorriso di Kareen si spense mentre Vordarian le voltava le spalle.

Gregor attraversò i presenti con uno sguardo triste e distratto che parve sfiorare appena Cordelia, Aral e la signorina Droushnakovi; poi disse qualcosa a sua madre. Kareen fece un cenno a un uomo in livrea, che uscì. Pochi minuti dopo, mentre erano di nuovo nel salone, un capitano della Sorveglianza chiese loro il permesso di portarsi via Droushnakovi. La ragazza fu sostituita da un giovanotto robusto ma poco invadente che li seguì tenendosi fuori portata d’orecchio, dopo aver comunicato loro le sue funzioni con un semplice sguardo allusivo.

Come il cielo volle, Aral fece finalmente rotta verso Lord e Lady Vorpatril, i soli con cui Cordelia poteva fermarsi a parlare senza farsi aggiornare sulle implicazioni sociali e politiche della cosa. L’uniforme rossa e blu si adattava bene alla corpulenta costituzione del capitano Lord Vorpatril. Ma sua moglie lo metteva in ombra con un abito rosso-fiamma di un fulgore ancor più accentuato dalle piccole rose intessute nella nuvola dei capelli corvini, in stupefacente contrasto con la sua pelle candida. I due, pensò Cordelia, erano il vero archetipo della coppia Vor, sofisticati e sereni, effetto questo che svanì quando dopo alcune frasi non troppo connesse fu chiaro che il capitano Vorpatril aveva bevuto. L’alcool comunque lo rendeva allegro, accentuando quello che era un lato del suo carattere, senza sgradevoli trasformazioni di personalità.

Vorkosigan, portato via da un paio di uomini che s’erano diretti su di lui con un Motivo Importante scritto negli occhi, lasciò Cordelia a Lady Vorpatril. Le due donne approfittarono degli eleganti vassoi di tartine offerti in giro dai numerosi camerieri, e paragonarono le rispettive situazioni ostetriche. Lord Vorpatril si scusò e partì all’inseguimento di un vassoio di bicchieri di vino. Alys rifletté sul taglio e sul colore del prossimo vestito di Cordelia. — Bianco e nero, direi, per la Festa d’Inverno. Purché tu tenga i capelli di questa sfumatura fulva — decise in tono autorevole. Cordelia annuì docilmente, chiedendosi se la cena sarebbe venuta in seguito o se ci si aspettava che pascolassero sui vassoi di passaggio.

Alys la guidò alla toelette delle signore, punto fisso per le loro necessità a scadenza praticamente oraria di femmine gravide. Nel percorso di ritorno la presentò ad alcune donne della sua piuttosto rarefatta cerchia personale. Alys finì poi per immergersi in una lunga discussione con una nobildonna di mezz’età che chiedeva il suo parere su una festa da ballo ancora in fase di studio, e Cordelia scivolò via dai margini del gruppetto.

S’incamminò verso la porta del salone, fra le alte piante in vaso, appartandosi (cercò di non pensare dal gregge) per una pausa di quieta contemplazione. Che strano miscuglio era Barrayar coi suoi ambienti: un momento prima familiare e tranquillo, un momento dopo alieno e sconvolgente… ma lì avevano montato un bello spettacolo, benché… ah! Ecco cosa mancava da quella scena, notò Cordelia. Su Colonia Beta una cerimonia di quel calibro si sarebbe svolta sotto gli occhi di molte telecamere, per essere distribuita in diretta nell’intero pianeta. Ogni mossa avrebbe avuto luogo secondo il copione di una coreografia ben diretta, con studiati passaggi davanti al video e il sapiente intervento dei commentatori, spesso così intrusivo da plasmare l’avvenimento sulle necessità tecniche della regia. Lì non c’era un oloschermo in vista. Le sole riprese video erano quelle fatte dalla Sicurezza Imperiale per i suoi scopi, che non prevedevano effetti coreografici. Gli ospiti, in quel salone, danzavano unicamente uno per l’altro; il loro lusso era un’esibizione che nessun nastro avrebbe reso eterna, e il giorno dopo l’avvenimento sarebbe esistito solo nei loro ricordi.

— Lady Vorkosigan?

Una voce urbana dietro di lei distolse Cordelia dalle sue meditazioni. Si volse e vide che era stata raggiunta dal Commodoro Conte Vordarian. L’uniforme rossa e blu testimoniava che era un militare in servizio attivo (un ornamento del Quartier Generale, senza dubbio… in quale dipartimento? Oh, sì, Operazioni aveva detto Aral). Sorrideva cordialmente, attento a non versare una goccia dal calice di vino bianco che stringeva fra le dita.

— Conte Vordarian — annuì lei, e restituì il sorriso. S’erano già incontrati di sfuggita abbastanza spesso; Cordelia decise di fare come se fossero stati presentati ufficialmente. Questo affare della Reggenza non sarebbe finito presto, per quanto lei lo desiderasse; era tempo che lei cominciasse a stringere relazioni per conto suo, e la smettesse di appoggiarsi ad Aral a ogni nuovo passo.

— Si sta divertendo? — domandò l’uomo.

— Oh, sì. — Lei cercò qualcosa da dire. — Questo è un ambiente affascinante.

— Lo stesso si può dire di lei, milady. — Vordarian alzò il calice in un muto brindisi, e bevve un sorso.

Cordelia ebbe uno sgradevole palpito d’emozione, ma ne identificò il motivo prima che le apparisse nello sguardo. L’ultimo ufficiale barrayarano a offrirle un brindisi in quel modo era stato l’ammiraglio Vorrutyer, anche se in circostanze sociali assai diverse. Vordarian aveva casualmente compiuto l’identico gesto. Quello non era il momento migliore per le reminiscenze. Cordelia si schiarì la gola. — Lady Vorpatril mi ha aiutato molto. È una persona molto affabile e gentile.

Vordarian ebbe un cauto cenno verso il suo addome. — Anche lei merita le mie congratulazioni. È un maschio o una femmina?

— Uh? Oh, sì, un maschio. Sarà chiamato Piotr Miles, mi è stato detto.

— Ne sono sorpreso. Avrei creduto che il Lord Reggente preferisse una femmina, per cominciare.

Cordelia inclinò la testa, stupita dall’ironia del suo tono. — Abbiamo deciso di avere un figlio prima che Aral diventasse Reggente.

— Ma sapevate che avrebbe avuto questa carica, naturalmente.

— Non lo immaginavo affatto. Ero convinta che voi militari barrayarani andaste matti per i figli maschi. Perché dice che avrebbe dovuto preferire una femmina? — Vorrei una figlia, sì…

— Presumevo che Lord Vorkosigan programmasse a lungo termine. Quale miglior modo di tutelare la continuità del potere, dopo la Reggenza, che ripiegando sulla posizione di suocero dell’Imperatore?

Cordelia sbatté le palpebre. — Lei crede che giocherebbe la continuità del suo potere sull’eventualità che due adolescenti possano innamorarsi, a una quindicina d’anni da oggi?

— Innamorarsi? — Ora fu lui a restare perplesso.

— Voi barrayarani siete dei… — Si tenne in bocca la parola «pazzoidi». Poco diplomatico. — Aral è di certo più… pratico. — Anche se difficilmente avrebbe potuto definirlo non romantico.

— Questo è molto interessante — mormorò lui. Gettò attorno una rapida occhiata. — Lei vuol dire che contempla una linea d’azione più diretta?

La mente di Cordelia stava uscendo per la tangente da quella conversazione. — Prego?

Vordarian sorrise e scosse le spalle.

Lei si accigliò. — Lei intende che, se avessimo una femmina, questo sarebbe ciò che tutti penserebbero?

— Senza dubbio.

Cordelia trattenne il fiato. — Santo cielo. Questo è… io non riesco a pensare che una persona sana di mente voglia avvicinarsi al potere imperiale su Barrayar. Sarebbe solo un bersaglio per qualsiasi maniaco avesse un torto vero o supposto da vendicare, da come la vedo io. — Un’immagine del tenente Koudelka, sanguinante e stordito, lampeggiò nella sua mente. — E altrettanto duro sarebbe per i poveretti che avessero la sfortuna di essergli vicino.

Vordarian inarcò un sopracciglio. — Ah, sì, lo spiacevole incidente di qualche giorno fa. L’indagine ha prodotto qualche risultato finora?

— Non che io sappia. Negri e Illyan continuano a parlare dei cetagandani, per lo più. Ma l’uomo che ha sparato la granata aveva un ottimo piano di fuga.

— Peccato. — L’uomo vuotò il bicchiere e lo sostituì subito con un altro, fornito con impeccabile tempismo da uno dei camerieri di Casa Vorbarra. Cordelia guardò il vino frizzante con desiderio. Ma i veleni metabolici le erano stati sconsigliati. Ecco un altro vantaggio della gestazione stile-betano nei simulatori uterini; nessun bisogno di soffrire costringendosi a una vita sana. In patria avrebbe potuto mettere allegramente in pericolo la sua digestione mentre il feto cresceva, sorvegliato con cura ventiquattr’ore al giorno da tecnici esperti, protetto e al sicuro in un reparto di simulatori uterini. Cosa sarebbe accaduto se lei si fosse trovata nel raggio d’azione di quella granata sonica? Il pensiero le fece anelare un sorso di vino.

Be’, ripensandoci, non aveva bisogno di stordirsi con l’alcol; conversare con un barrayarano le confondeva già abbastanza le idee. Il suo sguardo cercò Aral fra la folla… eccolo là, con Kou alle spalle, occupato a conversare con Piotr e altri due uomini nell’abito cerimoniale dei Conti. Come Aral aveva previsto, l’udito gli era tornato normale in un paio di giorni; ma i suoi occhi non cessavano di correre da un volto all’altro in cerca di indizi, di accenni, di inflessioni, mentre teneva fra le dita un bicchiere da cui sembrava non aver bevuto ancora un sorso. Una conversazione di lavoro, c’era da scommetterlo. Non sarebbe mai riuscito a scaricarsi di quel peso almeno per una serata?

— È stato molto sconvolto dall’attentato? — s’interessò Vordarian, seguendo il suo sguardo.

— Lei non lo sarebbe? — disse Cordelia. — Non lo so. Mio marito ha visto molta violenza in vita sua, forse più di quanta io immagini. Può darsi che ora gli faccia l’effetto di… un rumore bianco. Un sottofondo che può tagliare fuori. — Vorrei saperlo tagliare fuori io.

— Lei non lo conosce da molto tempo, del resto. Da Escobar.

— Ci eravamo già incontrati, prima della guerra. Una volta sola, per breve tempo.

— Davvero? — Vordarian sollevò le sopracciglia. — Non lo sapevo. Quanto poco si sa della gente, a volte. — Fece una pausa, guardando lei che guardava Aral. Un angolo della sua bocca si curvò, poi quel sorrisetto svanì in un’espressione allusiva. — È bisessuale, come penso lei saprà. — E bevve delicatamente un sorso di vino.

— Era bisessuale — lo corresse lei con indifferenza, lasciando vagare lo sguardo per la sala. — Ora è monogamo.

Vordarian si soffocò quasi, e tossì gocce di vino. Cordelia lo scrutò preoccupata, chiedendosi se avrebbe dovuto dargli qualche pacca sulla schiena o cos’altro. Ma l’uomo ritrovò il fiato e si raddrizzò. — Gliel’ha detto lui questo? — chiese, sbalordito.

— No, l’ho saputo da Vorrutyer. Prima che… gli accadesse quell’incidente fatale. — Vordarian la fissava come allucinato, e Cordelia provò una maliziosa soddisfazione nell’aver stupito un barrayarano come loro talvolta stupivano lei… sempre che le riuscisse capire con cosa lo aveva stupito. In tono serio continuò: — Più ripenso a Vorrutyer, più lo vedo come una figura tragica. Ancora ossessionato da un affare d’amore finito oltre diciott’anni addietro. Tuttavia a volte mi chiedo… se avesse potuto avere ciò che voleva allora, cioè tenersi Aral, e se Aral avesse mantenuto quella specie di vena sadica che da ultimo stava corrodendo la mente di Vorrutyer come un cancro? Era come se ognuno si specchiasse nell’altro e vedesse la sua sopravvivenza spirituale condizionata alla distruzione dell’altro.

— Già, lei è betana. — Lo sguardo perplesso di Vordarian era cambiato in quello che Cordelia pensò di poter etichettare come di Terribile Verità Svelata. — Avrei dovuto pensarci. Voi siete, dopotutto, il popolo che ha creato geneticamente gli ermafroditi… — Fece una pausa. — Ha conosciuto bene Vorrutyer?

— Per una ventina di minuti soltanto. Ma sono stati venti minuti molto intensi. — Cordelia decise di lasciare che fosse lui a immaginare cosa significava «intensi».

— Il loro, uh, affare, come lo ha definito lei, fu un grosso scandalo segreto, a quell’epoca.

Cordelia storse il naso. — Scandalo segreto? Non è una contraddizione di termini? Come «fuoco d’avvertimento» quando sparate addosso al nemico, o «segreto militare» quando ad esserne informati sono gli uomini politici? Ma, ora che ci penso, è un linguaggio tipico di voi barrayarani.

Vordarian aveva uno strano sguardo negli occhi; l’espressione, si disse Cordelia di un uomo che dopo aver tirato una bomba le avesse sentito fare fizz invece di BOOOM! e stesse ora cercando di decidere se era il caso di aprirla per controllare il funzionamento del meccanismo.

D’un tratto fu lei a sentire il gelo della Terribile Verità Svelata. Quest’uomo ha appena cercato di minare le fondamenta del mio matrimonio… no, del matrimonio di Aral. S’incollò alla faccia un vivace, solare, ingenuo sorriso e — finalmente — mise al lavoro il cervello su ciò che stava accadendo. Vordarian non poteva appartenere al vecchio partito guerrafondaio di Vorrutyer; i grossi nomi che l’avevano sostenuto s’erano scontrati col loro incidente fatale prima della morte di Ezar, e gli altri avevano chiesto asilo politico a fazioni meno intransigenti. A cosa mirava quest’uomo? Cordelia palpeggiò uno dei fiori che aveva fra i capelli e sfoderò un tono melenso: — Non immaginavo che stessi sposando una vergine quarantaquattrenne, Conte Vordarian.

— Così pare. — L’uomo buttò giù un altro sorso di vino. — Voi galattici siete dei degenerati, chi più chi meno… mi domando quali perversioni tollera lui, in cambio. — Nei suoi occhi ci fu una luce maliziosa. — Lei sa com’è morta la prima moglie di Vorkosigan?

— Suicidio. Un colpo di pistola al plasma alla testa. Che cosa terribile, vero? — sospirò lei.

— Voci ben informate dicono che sia stato lui ad ammazzarla. Per adulterio. Attenti, betani. — Il suo sorriso si inacidì.

— Sì, ho sentito anch’io queste voci. Non molto ben informate, no, posso garantirglielo. — Ogni posticcia cordialità era evaporata dalla conversazione. Cordelia sentì che le sarebbe sfuggita di mano se non avesse calcato la mano. Si piegò in avanti e abbassò la voce. — Lei sa com’è morto l’ammiraglio Vorrutyer?

Lui non resistette alla tentazione e si fece più vicino. — No.

— Cercò di usare me per fare del male ad Aral. Io la trovai una cosa… irritante, e qualcuno decise di tagliargli la gola. Vorrei che lei rinunciasse a cercare di irritarmi, Conte Vordarian. Perché… sa una cosa? — La sua voce si abbassò ancora, quasi un sussurro. — Potrebbe riuscirci.

L’ironia con cui l’uomo era venuto a imporsi alla sua attenzione aveva lasciato il posto a un umore più cauto. Agitò una mano in un gesto vago che poteva essere un addio e le girò intorno. — Milady — la salutò. Lo sguardo che si volse a gettarle quando fu oltre le piante era alquanto preoccupato.

Cordelia restò lì, accigliata. Uhau. Che strano scambio di battute. Cosa s’era aspettato di ottenere Vordarian gettandole fra le mani delle informazioni scadute come se fossero chissà quali novità? Pensava che lei avrebbe cercato di far pagare ad Aral le sue scelte sbagliate di vent’anni prima in fatto di amici? Una giovane e ingenua sposa barrayarana avrebbe avuto un attacco isterico dopo rivelazioni di quel genere? Non Alys Vorpatril, sotto i cui entusiasmi sociali era stratificato un solido cinismo. Non la Principessa Kareen, la cui ingenuità era stata bruciata fin dalle prime intimità con l’esperto sadismo di Serg. Ha sparato, senza accorgersi che il bersaglio era in movimento.

E poi un altro pensiero, freddo: Aveva già sparato contro un altro bersaglio in movimento, giorni fa? Quella non era stata una normale interazione sociale, neppure secondo gli standard barrayarani dei corridoi del potere. O forse era soltanto ubriaco. D’improvviso provò il bisogno di parlare con Illyan. Chiuse gli occhi, cercando di schiarirsi la mente.

— Ti senti bene, tesoro? — le mormorò in un orecchio la voce preoccupata di Aral. — Vuoi le tue pillole anti nausea?

Cordelia riaprì subito gli occhi. Lui era lì, solido e concreto, al suo fianco. — Sì, mi sento bene. — Lo prese sottobraccio con leggerezza, non con la stretta spasmodica che gli avrebbe rivelato i suoi timori. — Stavo solo pensando.

— Siamo attesi a tavola.

— Bene. Sarà bello sedersi un po’. Queste scarpe mi fanno male ai piedi.

Per un attimo le parve che lui volesse sollevarla e portarla in braccio, ma si avviarono a passo tranquillo, unendosi alle altre coppie che passavano nella sala adiacente. Sedettero a un tavolo un po’ più elevato e appartato rispetto agli altri, con Gregor, Kareen, Piotr, il Lord Guardiano del Circolo dei Parlatori e sua moglie, e il Primo Ministro Vortala. Su insistenza di Gregor era stato aggiunto un coperto in più per Droushnakovi; il bambino era quasi dolorosamente felice di rivedere la sua ex guardia del corpo. Ti ho portato via la tua compagna di giochi, piccolo? si chiese Cordelia, con rincrescimento. Sembrava proprio così. Gregor stava cercando di venire a patti con Kareen perché Drou gli facesse visita una volta alla settimana per «dargli lezioni di Judo». La bionda, abituata all’atmosfera di palazzo, non ne era così sopraffatta come Koudelka, che reagiva con una certa rigidità al timore di commettere qualche goffaggine.

Cordelia si trovò seduta fra Vortala e il Parlatore, e sostenne una conversazione poco impegnativa. Vortala aveva un suo fascino, pur riservato com’era. Assaggiò porzioni di diversi cibi elegantemente confezionati e serviti, salvo la carne della carcassa di un bovino arrosto portato in sala tutto intero. Di solito le riusciva facile allontanare il pensiero che su Barrayar le proteine non crescevano in vasca ma venivano prese dai corpi morti di animali veri. Sapeva delle loro primitive pratiche culinarie ancor prima di venire lì, del resto, e lei aveva già dovuto assaggiare la muscolatura cotta di qualche animale durante alcune missioni della Sorveglianza Astronomica, nell’interesse della scienza, della sopravvivenza e per l’eventuale sviluppo di nuovi prodotti proteici in patria. I barrayarani applaudirono la comparsa del bestione guarnito di fiori e di frutti, come se invece che orribile lo trovassero addirittura affascinante, e il cuoco, che aveva ansiosamente seguito lo spiedo montato su un trespolo, s’inchinò soddisfatto. I primitivi circuiti olfattivi del cervello di Cordelia furono d’accordo; l’odore era appetitoso. Vorkosigan ne accettò una fetta. Lei preferì restare sui cibi vegetali e bevve soltanto acqua.

Dopo il dessert e alcuni pasticcini cerimoniali offerti da Vortala e da Vorkosigan, il piccolo Gregor fu finalmente portato a letto da sua madre. Con sollievo di Cordelia, Kareen accennò a lei e a Droushnakovi di seguirla, e mentre si lasciavano alle spalle quella rumorosa assemblea per salire nel tranquillo appartamento imperiale il nodo di tensione che aveva nel collo si rilassò.

Gregor fu spogliato dell’uniforme e messo in pigiama, cessando d’essere un Personaggio per tornare un bambino. Drou lo aiutò a lavarsi i denti, e poi, come contentino prima di andare a letto, accettò di giocare una partita con dei pezzi magnetici su una lavagnetta elettronica. Kareen li lasciò fare con indulgenza; diede un bacio al figlio e tornò in salotto, seguita da Cordelia. Dalla finestra aperta, lì all’ultimo piano, entrava una brezza fresca. Le due donne sedettero sul divano, con un sospiro, e appena Cordelia vide che Kareen si levava le scarpe s’affrettò a imitarla, lieta di potersi massaggiare le dita indolenzite. Dalla sala al piano terra, le cui finestre erano aperte sul giardino, giungeva il brusio di voci dei commensali.

— Quanto andrà avanti la festa? — domandò Cordelia.

— Fino all’alba, per quelli che hanno più resistenza di me. Io mi ritirerò a mezzanotte, e poi i bevitori cominceranno a darci dentro sul serio.

— Alcuni ci stanno già dando dentro più che sul serio.

— Purtroppo sì. — Kareen sorrise. — Prima che la serata sia finita lei potrà vedere tutti i lati della classe Vor, dal migliore al peggiore.

— Lo immagino. È strano che non importiate droghe meno letali per il comportamento umano.

Kareen inarcò un sopracciglio. — Ma vuotar bicchieri in compagnia è una tradizione. - Poi lasciò da parte il sarcasmo e la sua voce si ammorbidi. — In realtà le droghe leggere di cui parla arrivano, almeno nelle città portuali. Ma come al solito sembra che le usanze altrui si sommino alle nostre, invece di sostituirle.

— Forse questo è l’unico modo. — Cordelia corrugò le sopracciglia, chiedendosi come poteva sondarla delicatamente. — Mi stavo chiedendo se il Conte Vordarian sia uno di quelli a cui piace sperimentare sostanze euforizzanti straniere.

— No. — Kareen la guardò, incerta. — Perché me lo chiede?

— Ho avuto una strana conversazione con lui. Mi è parso che solo un’overdose di etanolo o qualcosa di simile potesse averlo messo di quell’umore. — Cordelia ripensò al modo in cui Vordarian aveva poggiato una mano su un ginocchio della Principessa; un contatto breve, ma intimo. — Lei lo conosce bene? Come lo giudica?

— È un uomo ricco… orgoglioso — disse Kareen, dopo un attimo di riflessione. — Era leale a Ezar, quando Serg metteva in opera le sue macchinazioni contro il padre. Leale all’Impero, e alla classe Vor. Nel distretto di Vordarian ci sono quattro delle più importanti città industriali, e basi militari, depositi di armi, il principale astroporto militare… Vidal governa la zona oggi senza dubbio più rilevante per l’economia di Barrayar. In passato, la guerra non ha mai recato danni al suo distretto; è uno di quelli che i cetagandani si erano impegnati a risparmiare, per trattato. Dopo l’invasione costruimmo là diverse basi militari, approfittando delle strutture che i cetagandani avevano dovuto abbandonare, e di conseguenza ci fu un grande sviluppo industriale.

— Questo è… interessante — disse Cordelia. — Ma mi chiedevo quale fosse la personalità del Conte. Ciò che gli… uh, piace, e che non gli piace. Lei lo trova simpatico?

— Un tempo — disse lentamente Kareen, — mi domandavo se Vidal sarebbe diventato abbastanza potente da difendermi da Serg. Se Ezar fosse morto, voglio dire. Poi, durante la malattia dell’Imperatore, ho dovuto pensare che avrei fatto meglio a provvedere da sola alla mia difesa. Era difficile capire cosa stava accadendo, e nessuno mi diceva nulla.

— Se Serg fosse stato incoronato Imperatore, come avrebbe potuto un semplice Conte difenderla da lui? — chiese Cordelia.

— Vidal avrebbe voluto diventare… più potente. È ambizioso, se stimolato nel modo giusto… è patriottico. Serg sarebbe stato un Imperatore capace di portare Barrayar alla distruzione, Dio lo sa. E in questo caso Vidal avrebbe potuto salvarci tutti. Ma Ezar mi disse di lasciarlo perdere e di affidarmi a lui, e mi assicurò che mio figlio non avrebbe avuto niente da temere. Serg è morto prima di Ezar, e… e io, da allora, ho cercato di far raffreddare le cose, fra me e Vidal.

Cordelia si mordicchiò distrattamente il labbro inferiore. — Ah. Ma lei, personalmente… voglio dire, le piace? Diventare la Contessa Vordarian le sembrerebbe una buona soluzione per quando si ritirerà dagli obblighi di Principessa Madre, un giorno o l’altro?

— Oh! Non ora, di certo. Essere il patrigno dell’Imperatore darebbe troppo potere a un uomo, in contrapposizione a quello del Reggente. E una popolarità che sarebbe pericolosa, se non vi fosse fra loro un’alleanza o un preciso equilibrio. O se le due cariche non fossero riunite in una sola persona.

— Come diventare suocero dell’Imperatore?

— Sì, proprio così.

— Io ho delle difficoltà a capire questa… suddivisione di poteri non-ufficiale. Lei ha dei diritti di qualche genere sul trono? Cioè, diritti che potrebbe reclamare?

— Questo dovrebbero deciderlo i militari. — Kareen scrollò le spalle. La sua voce si abbassò. — È come una malattia contagiosa, no? Io sono troppo vicina, contagiata, infettata… Gregor è la mia sola speranza di sopravvivenza. E la mia prigione.

— Non vorrebbe una sua vita privata?

— No. Voglio soltanto vivere.

Cordelia si appoggiò allo schienale, turbata. — Anche Vordarian la pensa a questo modo? Intendo dire… il potere non è la sola cosa che lei ha da offrire. Ho l’impressione che lei sottovaluti le sue attrattive come donna.

— Oh, su Barrayar il potere viene prima di ogni altra cosa. — La sua espressione si fece lontana. — Le confesso che… una volta chiesi al capitano Negri alcune notizie riservate su Vidal. Mi fu detto che utilizza i suoi funzionari in modo esente da critiche.

Quelle affermazioni distaccate non corrispondevano certo all’idea che Cordelia aveva di una relazione amorosa. Tuttavia non era solo desiderio di potere ciò che lei aveva letto nello sguardo di Vordarian durante la piccola cerimonia nella saletta, l’avrebbe giurato. Che l’elezione di Aral alla Reggenza avesse costretto Vidal a rinunciare al suo rapporto con Kareen? Un motivo sessuale avrebbe spiegato l’animosità con cui s’era rivolto a lei…

Droushnakovi uscì di camera in punta di piedi. — Si è addormentato disse sottovoce. Kareen annuì, poi appoggiò la nuca sulla spalliera e restò in silenzio per un poco, finché nel corridoio esterno si udirono dei passi. La porta era aperta. Un uomo in livrea si fermò sulla soglia. — Milady? In sala da ballo aspettano che lei apra le danze con il Lord Reggente.

Una richiesta o un’imposizione? Il tono piatto del servitore la faceva sembrare qualcosa di più, come la voce del destino.

— L’ultimo dovere della serata — disse Kareen a Cordelia mentre si rimettevano le scarpe. A lei parve che in quella pausa rilassante i suoi piedi fossero cresciuti di due misure. Si alzò con una smorfia e uscì dietro Kareen, seguita da Droushnakovi.

La sala da ballo aveva una pavimentazione in listelli di legno, e in legno dalle diverse tonalità erano anche i pannelli a muro, su cui erano scolpiti animali e piante. Il solo pavimento, su Colonia Beta, sarebbe finito in un museo, e quella gente incredibile ci ballava sopra. Un’orchestra di veri suonatori — selezionata, seppe Cordelia, tramite un’accanita competizione fra le bande del Servizio Imperiale — eseguiva musiche composte su Barrayar. Anche i valzer erano simili alle marce militari. Aral e la Principessa si scambiarono un inchino e quindi lui la condusse in un paio di giri solitari attorno alla sala, eseguendo passi laterali in cui ciascuno sembrava specchiarsi nell’altro, alzando le mani e muovendo le ginocchia, senza mai toccarsi. Cordelia ne fu affascinata. Non aveva mai pensato che Aral sapesse ballare. Questo bastò come apertura ufficiale, e le altre coppie invasero tutto lo spazio disponibile. Al termine del primo ballo Aral tornò accanto a lei, con espressione euforica. — Posso avere l’onore, milady?

Dopo quella lunga cena Cordelia avrebbe preferito un pisolino. Si chiese da dove gli venisse quell’improvvisa energia. Dai suoi terrori inespressi, magari. Scosse il capo, sorridendo. — Mi spiace, signore, ma non conosco l’arte della danza.

— Una grave lacuna. Facciamo due passi, allora. — Aral la prese sottobraccio. — Posso insegnarti subito i primi elementi, se vuoi — disse, mentre uscivano sulla terrazza del giardino, piacevolmente fresca e appena illuminata da pochi lampioncini colorati disposti dove c’erano gradini o altri ostacoli per i piedi.

— Mmh — si schermì lei, dubbiosa. — Se trovi un posto dove non ci veda nessuno. — Ma se un posto simile c’era, lei riusciva a pensare a qualcosa di meglio che tentare passi di danza.

— Bene. Suppongo che dietro questa siepe… oh! Ssshhh! — Sul volto di lui s’allargò un sogghigno lupesco, mentre le stringeva il braccio. Si fermarono all’ingresso di uno spazio fra le piante, dove le chiome piumose di alberi indigeni di Barrayar chiudevano la vista anche dall’alto. La musica arrivava anche lì.

— Provaci, Kou — stava insistendo la voce di Droushnakovi. La ragazza bionda e il tenente erano sull’angolo della terrazza, subito dietro la curva. Con aria poco convinta Koudelka poggiò il bastone sulla balaustra di pietra e unì le mani a quelle di lei. I due presero a spostarsi a destra e a sinistra, mentre Drou contava i passi: — Uno e due, tre-quattro! Uno e due, trequattro…

Koudelka vacillò, e la ragazza lo strinse. Lui le passò un braccio attorno alla vita. — Dannazione, è troppo difficile, Drou. — Scosse il capo, frustrato.

— Sshh… — Lei si portò un dito alle labbra. — Prova ancora. Non puoi aspettarti di riuscirci subito. Dici di aver fatto un sacco di esercizi con le mani, per la tastiera dei computer. Quante volte hai provato inutilmente? Più di una, scommetto.

— Il vecchio mi ha costretto a non mollare.

— Be’, forse anch’io voglio costringerti a non mollare.

— Sono stanco — si lamentò Koudelka.

Su, stringila, baciala, maledizione, lo incitò silenziosamente Cordelia, soffocando una risatina. Questo potresti farlo anche seduto. Droushnakovi, tuttavia, era determinata, e i due ricominciarono a muoversi. — Uno e due, tre-quattro. Ora a sinistra… — Di nuovo lo sforzo di Koudelka degenerò in quello che per Cordelia sarebbe stato un buon inizio per un abbraccio, se solo l’una o l’altra delle due parti avesse avuto l’audacia di provarci. Ma evidentemente erano ancora lontani da quel passo.

Aral scosse la testa, e in silenzio retrocessero verso le aiuole. Ispirato dalla scenetta lui si volse a baciare il sorriso divertito di Cordelia. Ma la loro delicatezza fu inutile, perché un anonimo Lord Vor passò loro accanto e girò sull’angolo della terrazza, raggelò le fatiche di Koudelka e di Drou a metà di un passo e andò ad appoggiarsi alla balaustra con l’aria di cercare urgentemente qualcosa fra i cespugli poco più avanti. All’improvviso disse qualcosa, e dall’oscurità si levarono altre due voci, una maschile e una femminile. Koudelka agguantò il suo bastone, e con passi molto più scattanti di quelli che aveva esibito durante la prova di ballo si affrettò a condurre altrove la sua insegnante. Il Lord Vor scese i gradini verso le aiuole, mentre da dietro le piante una figura gli usciva incontro. Ci fu uno scambio di parole molto aspro, volarono insulti, uno dei due inciampò o forse fu spinto. Vorkosigan prese a braccetto Cordelia e la portò lontano da quelle parole inadatte agli orecchi di una signora.

Più tardi, sotto il portico occidentale, intanto che aspettavano le loro auto, Cordelia si trovò accanto a Koudelka. Il tenente si volse a gettare uno sguardo indietro, verso il salone, da cui giungevano ancora musica e chiacchiere d’immutata intensità.

— Piaciuta la festa, Kou? — s’informò lei.

— Come? Oh, sì. È fantastico essere qui. Quando mi arruolai nel Servizio non lo avrei neppure sognato. — Sbatté le palpebre. — E ci sono stati momenti in cui sognavo a malapena di restare vivo. — Poi aggiunse, notando un filo di malizia nel sorriso di Cordelia: — A volte vorrei che assieme a ogni donna fosse accluso un manuale d’istruzioni.

Lei rise forte. — Io potrei dire lo stesso per gli uomini.

— Ma lei e l’ammiraglio Vorkosigan… voi siete diversi.

— Non… non proprio. Abbiamo imparato dall’esperienza, forse. C’è gente che non lo fa.

— Pensa che io abbia qualche possibilità di fare una vita normale? — Abbassò gli occhi, poi si volse a guardare nel buio.

— Tu gioca le tue carte, Kou. E quando sei in ballo non tirarti indietro.

— Mi sembra di sentir parlare l’ammiraglio.


Il mattino dopo, quando Illyan passò da Casa Vorkosigan per il rapporto giornaliero del capoguardia, Cordelia lo prese da parte.

— Mi dica una cosa, Simon. Vidal Vordarian è sulla sua lista breve o su quella lunga?

— Sulla lista lunga ci sono tutti — sospirò lui.

— Vorrei che lo trasferisse su quella breve.

Lui la scrutò un poco. — Perché?

Cordelia esitò. Non voleva rispondere «intuizione», anche se in effetti era soltanto a livello subliminale che lo sentiva. — Mi sembra che abbia la mentalità dell’assassino. Dell’uomo che colpisce l’avversario anche alle spalle, quando è in gioco il potere.

Illyan ebbe un sorrisetto. — Mi scusi, milady, ma questo non corrisponde al Vordarian che conosco io. Lo definirei piuttosto uno che affronta gli avversari a cornate, apertamente.

Fino a che punto doveva sentirsi ferito, fino a che punto doveva ardere di desiderio un impetuoso per trasformarsi in un uomo capace di agire nell’ombra? Cordelia non era sicura. Forse, ignorando quanto era profondo l’affetto fra lei e Aral, Vordarian non aveva neppure capito come fosse stato maligno il suo attacco. E l’ostilità personale non andava necessariamente al passo con quella politica. No, no, si ripeté. L’odio di quell’individuo era profondo, e il pugnale delle sue insinuazioni, anche se aveva colpito una corazza, era stato diretto a un bersaglio calcolato.

— Lo metta sulla lista breve — insisté.

Illyan alzò una mano, non solo per placarla: dalla sua espressione lei capì che una catena di pensieri si metteva in moto.

— Va bene, milady.

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