NOTA DELL’AUTRICE

Barrayar mi ha colta di sorpresa. Non ero partita per scrivere un libro importante ed ero già a buon punto nella stesura quando sono stata assalita da una sorta di "demone" tematico. Il mio primo romanzo, Shards of Honor, era stato concepito come un libro molto più lungo, cioè iniziava con il primo incontro fra Aral e Cordelia e finiva con la nascita di Miles. Mentre cercavo di arginare la mole straripante di materiale e di eventi, raggiunsi un punto (più o meno 80 pagine dopo l’attuale conclusione del romanzo) in cui mi resi conto di aver perso definitivamente il controllo di quello che stavo scrivendo. Da più parti mi ripetevano che gli editors mostrano una certa riluttanza a esaminare manoscritti di 800 cartelle, soprattutto se l’autore è un perfetto sconosciuto, e l’avvento di nuovi personaggi con relative trame secondarie dopo 400 pagine indicava senz’ombra di dubbio che avevo oltrepassato il limite della storia e che stavo già scrivendo il seguito. Allora non esitai a fare marcia indietro, fermandomi a quello che sarebbe diventato l’attuale finale di Shards of Honor.

Scartai tutto quello che avevo scritto dopo quel punto, archiviai il dattiloscritto in solaio e non ci pensai più. Ma sei anni (e sei libri) dopo, in occasione della mia partecipazione come ospite d’onore alla Philcon ’89, Darrell Schweitzer mi chiese un racconto breve o un estratto per il programma della manifestazione. Non avevo racconti sottomano, ma subito mi tornò alla mente una delle scene che a suo tempo avevo scartato. Sfogliando e rileggendo la copia del dattiloscritto, decisi che in fondo non era poi così male e cominciò a serpeggiare dentro di me un insano desiderio di completare il progetto originale. Mi sentivo piuttosto a disagio perché sapevo che l’idea non era propriamente commerciale (ma come, un seguito diretto al mio libro meno fortunato, fondato essenzialmente sui personaggi e neppure troppo fantascientifico?) Insomma, mi sembrava più che altro un capriccio… dopo tutto, chi si prende la briga di scrivere a proposito della madre dell’eroe? Tuttavia, per ragioni che solo poco a poco mi divennero chiare, era una storia che volevo assolutamente raccontare.

Il tempo trascorso dalla stesura originale è stato davvero provvidenziale, perché nel frattempo avevo acquisito una certa padronanza della struttura del romanzo e, soprattutto, avevo accumulato alcuni anni di esperienza come madre e come essere umano. Perché infatti, nonostante l’intrigo politico-militare che muove in superficie la vicenda, Barrayar si è poi rivelato in realtà un romanzo su ciò che significa essere madre. Attraverso coppie parallele di personaggi — Aral e Cordelia, Kou e Drou, Padma e Alys Vorpatril, la principessa Kareen e il conte Vordarian, con l’aggiunta di Bothari, del simulatore uterino, nonché dell’anziano nonno Piotr — sono riuscita a prendere in esame varie costellazioni emotive legate alla maternità, o comunque al ruolo di genitori, ciascuna delle quali si riflette nell’altra, come un’alleanza per la vita in un mondo di morte.

Lois McMaster Bujold

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