«Puoi prendere una motocicletta che ho tenuto come garanzia» disse Vinnie. Il tale che me l’ha data era a corto di soldi e così mi ha lasciato la sua moto. Ho già un mucchio di roba inutile in garage. Non c’è spazio per la moto.»
Per comprarsi una garanzia, la gente si ripuliva casa. Vinnie accettava stereo, televisori, pellicce, computer e attrezzature da palestra. Una volta pagò una garanzia per Madame Zaretsky e in cambio ottenne il suo frustino e il cane ammaestrato.
In circostanze normali avrei colto al volo l’occasione di guidare una moto. Ho preso la patente un paio d’anni fa quando uscivo con un ragazzo che era proprietario di un negozio di accessori per motociclette. Mi sono interessata di motociclette di tanto in tanto, ma non ho mai avuto i soldi per comprarmene una. Ora il problema è un altro: la motocicletta non è il mezzo ideale per una che fa la cacciatrice di taglie.
«Non voglio una moto» dissi. «Che me ne faccio di una moto? Non posso prelevare un MG con la moto.»
«Già, e io?» disse Lula. «Come fai a sistemare una donna bella in carne come me su una moto? E i miei capelli? Dovrei mettere uno di quei caschi e me li rovinerebbe tutti.»
«Prendere o lasciare» disse Vinnie.
Tirai un sospiro profondo e alzai gli occhi al cielo. «La moto è compresa di caschi?»
«Sono nella stanza sul retro.»
Lula e io uscimmo a vedere la moto.
«Sarà di sicuro imbarazzante» disse Lula, mentre apriva la porta. «Sarà… aspetta, guarda qui. Porca di una miseria. Non è una stupidissima moto. È un bolide.»
Era una Harley-Davidson FXDL modello Dyna Low Rider, tutta nera con fiamme verdi e marmitte personalizzate. Lula aveva ragione. Non era la solita, stupidissima moto. Era una libidine.
«Sai guidare una di queste?» chiese Lula.
Le feci un sorriso. «Oh sì» risposi. «Oh sì.»
Io e Lula ci infilammo i caschi e montammo in sella. Inserii la chiave nell’accensione, diedi una bella botta di pedale ed ecco la Harley mettersi in moto sotto di me con un rombo. «Pronti al decollo» dissi. E poi ebbi un piccolo orgasmo.
Feci avanti e indietro un paio di volte nel vicolo dietro l’ufficio di Vinnie per prendere confidenza con la moto e poi partii diretta al palazzo dove abitava Mary Maggie. Volevo fare un altro tentativo e provare a parlarle.
«A quanto pare non è in casa» osservò Lula dopo il primo giro per il parcheggio sotterraneo. «Non vedo la sua Porsche.»
Non c’era da sorprendersi. Probabilmente era da qualche parte a valutare i danni alla Cadillac.
«Ha un incontro di wrestling questa sera» dissi a Lula. «Possiamo andare a parlarle là.»
Quando arrivai sotto casa controllai le auto che erano nel parcheggio. Niente Cadillac bianca, niente limousine nera, niente auto di Ziggy e Benny, niente Porsche targata MMM-YUM, niente auto superlusso — e probabilmente rubata — di Ranger. Solo il fuoristrada di Joe.
Quando entrai in casa trovai Morelli spaparanzato davanti alla TV con in mano una birra.
«Mi hanno detto che hai distrutto la macchina» disse.
«Sì, ma io sto bene.»
«Mi hanno detto anche quello.»
«DeChooch è svitato. Spara alle persone. Le prende sotto di proposito. Che devo fare con lui? Non è un comportamento normale… neanche fosse un vecchio malavitoso. Va bene che è depresso, ma insomma.» Andai in cucina e diedi a Rex un pezzetto di focaccia che mi era rimasta dal pranzo.
Morelli mi seguì in cucina. «Come sei venuta a casa?»
«Vinnie mi ha prestato una moto.»
«Una moto? Che genere di moto?»
«Una Harley. Una Dyna Low Rider.»
Gli si piegarono occhi e bocca in un sorriso. «Vai in giro su uno di quei superbolidi?»
«Sì. E ho già avuto un orgasmo.»
«Tutto da sola?»
«Sì.»
Morelli scoppiò a ridere e mi si avvicinò, schiacciandomi contro il piano di lavoro e cingendomi la vita, la bocca che mi accarezzava l’orecchio e il collo. «Scommetto che riesco a fare di meglio.»
Il sole era tramontato e in camera da letto era buio. Morelli dormiva accanto a me. Persino nel sonno Joe trasmetteva una sensazione di energia trattenuta. Aveva un corpo snello e sodo. La bocca era morbida e sensuale. I lineamenti del viso si erano fatti più spigolosi con l’età e lo sguardo era diventato più attento. Ne aveva viste tante con il suo lavoro di poliziotto. Forse troppe.
Buttai l’occhio alla sveglia. Le otto. Le otto! Cavolo. Dovevo essermi addormentata anch’io. Un attimo prima facevamo l’amore e adesso si erano fatte le otto!
Svegliai Morelli con qualche scossone.
«Sono le otto!» dissi.
«Oh-oh.»
«Bob! Dov’è Bob?»
Joe saltò via dal letto. «Merda! Sono venuto qui direttamente dal lavoro. Bob non ha cenato!»
Il che significava che Bob si era probabilmente mangiato tutto ormai… divano, televisore, battiscopa.
«Vestiti» disse Morelli. «Daremo da mangiare a Bob e poi andremo a farci una pizza. Dopo puoi rimanere da me.»
«Non posso. Devo lavorare questa sera. Io e Lula non siamo riuscite a parlare con Mary Maggie oggi, quindi vado allo Snake Pit. Ha un incontro alle dieci.»
«Non ho tempo per discutere. Probabilmente Bob si è già mangiato anche il muro. Vieni da me quando hai finito allo Snake Pit.» Mi prese e mi diede un bacio, poi corse via.
«Okay» dissi, ma Morelli se ne era già andato.
Non ero sicura di come ci si dovesse vestire per andare allo Snake Pit, ma un’acconciatura da puttanella mi sembrava la scelta più giusta e quindi mi diedi da fare con bigodini e cotonatura. Alla fine ero più alta di quasi dieci centimetri. Per involgarirmi ancora di più mi feci un trucco pesante, indossai una minigonna elasticizzata nera e tacchi da dieci centimetri. Mi sentivo una pantera. Presi la giacca di pelle e le chiavi della macchina dal piano della cucina. Un momento. Quelle non erano le chiavi della macchina. Erano quelle della moto. Merda! Non sarei mai riuscita a ficcare quell’acconciatura dentro il casco.
Niente panico, mi dissi. Riflettiamo un attimo. Dove puoi trovare una macchina? Valerie. Valerie ha la Buick. Ora la chiamo e le dico che vado in un posto dove ci sono donne mezze nude. Del resto è questo quello che le lesbiche vogliono vedere, giusto?
Dopo dieci minuti, Valerie venne a prendermi sotto casa. Portava ancora i capelli dietro le orecchie e si era completamente struccata a parte il rossetto rosso sangue. Portava scarpe nere stringate da uomo, un gessato grigio con pantaloni sportivi e una camicia bianca che teneva sbottonata. Non cedetti alla tentazione di verificare se dalla scollatura si intravedesse un petto villoso.
«Come è andata oggi?» le chiesi.
«Ho delle scarpe nuove! Guardale. Non sono favolose? Penso che siano le scarpe perfette per una lesbica.»
Bisognava ammetterlo: Valerie non prendeva le cose alla leggera. «Intendevo il lavoro.»
«Non è andata bene. C’era da aspettarselo, immagino. Se all’inizio non riesci…» Si appoggiò al volante e riuscì a far curvare la Buick. «Però ho iscritto le bambine a scuola. È già qualcosa.»
Lula stava aspettando sul marciapiede quando arrivammo a casa sua.
«Questa è mia sorella Valerie» dissi a Lula. «Viene con noi perché ha la macchina.»
«A quanto pare compra i vestiti al reparto moda maschile.»
«Ci sta facendo un giro di prova.»
«Per me va bene» disse Lula.
Il parcheggio dello Snake Pit era strapieno, quindi fummo costrette a lasciare la macchina lungo la strada, a mezzo chilometro da lì. Quando arrivammo alla porta d’ingresso mi facevano già malissimo i piedi e stavo cominciando ad apprezzare i vantaggi dell’essere lesbiche. Le scarpe di Valerie sembravano belle comode.
Ci sedemmo a un tavolo in fondo alla sala e ordinammo da bere.
«Come facciamo a parlare con Mary Maggie?» domandò Lula. «Da quaggiù non si vede quasi niente.»
«Ho controllato il locale. Ci sono solo due porte, così dopo che Mary Maggie avrà finito il suo incontro ci metteremo ognuna a una porta e la fermeremo prima che riesca a uscire.»
«Mi sembra un buon piano» approvò Lula, ingollando il suo drink tutto d’un fiato, pronta a ordinarne un altro.
In sala c’erano alcune donne con accompagnatore, ma il locale era perlopiù frequentato da uomini apparentemente seri che speravano che in tutto quel dimenarsi nel fango saltasse via qualche perizoma, il che immagino sia l’equivalente del placcaggio di un quarterback.
Valerie aveva gli occhi spalancati. Difficile dire se per l’entusiasmo o l’isteria.
«Sei sicura che qui incontreremo delle lesbiche?» urlò per farsi sentire sopra il chiasso della sala.
Io e Lula ci guardammo intorno. Non vedevamo nessuna lesbica. Almeno nessuna vestita come Valerie.
«Non si sa mai quando possono arrivare» disse Lula. «Forse dovresti provare a bere qualcos’altro. Mi sembri un po’ pallida.»
Quando vennero a prendere le ordinazioni lasciai un biglietto da consegnare a Mary Maggie. Le indicai il tavolo a cui sedevo e aggiunsi che avevo un messaggio da riferire a Eddie DeChooch.
Mezz’ora dopo stavo ancora aspettando una risposta da Mary Maggie. Lula si era già bevuta quattro Cosmopolitan e non dava il minimo segno di cedimento, mentre Valerie si era tracannata due bicchieri di Chablis ed era molto allegra.
Nella fossa dei combattimenti le donne si prendevano a botte. Di tanto in tanto l’ubriaco di turno finiva nella melma e veniva sbattuto di qua e di là finché non ingoiava una quintalata di fango e veniva poi cacciato dal buttafuori. Era tutto un gran tirare di capelli, schiaffoni e rotolamenti. Dopo tutto il fango è scivoloso. Fino a quel momento non era stato strappato nessun perizoma, ma c’era una serie di seni nudi spalmati di fango, tanto siliconati da sembrare sul punto di scoppiare. Tutto sommato, la cosa non doveva essere poi così piacevole e mi sentivo contenta di avere un lavoro dove mi sparavano. Sempre meglio che sguazzare mezza nuda nel fango.
Una voce annunciò l’incontro di Mary Maggie, la quale si presentò sul ring con un bikini color argento. Evidentemente era tutto studiato. Porsche argentata, bikini argentato. Fu accolta da un tifo rumoroso. Mary Maggie è famosa. Poi uscì l’altra lottatrice. Il suo nome da combattimento era Animale e, detto fra noi, non mi sembrava si mettesse bene per Mary Maggie. Gli occhi di Animale erano iniettati di sangue e anche se da lontano non vedevo benissimo, ero quasi sicura che avesse dei serpenti tra i capelli.
Il presentatore suonò la campana e le due donne prima si studiarono, poi si scagliarono l’una contro l’altra. Proseguirono così per un po’, ma poi Mary Maggie scivolò e Animale le fu subito sopra.
L’intera sala si alzò in piedi, comprese Lula, Valerie e io. Urlavamo tutte e tre, incitando Mary Maggie a sbudellare Animale. Ovviamente Mary Maggie era troppo raffinata per sbudellare Animale, così si rotolarono nel fango per qualche minuto e poi cominciarono a stuzzicare il pubblico, in attesa del povero maschio ubriaco di turno.
«Tu» disse Mary Maggie, indicando nella mia direzione.
Mi voltai, sperando di trovarmi alle spalle qualche libidinoso che agitava una banconota da venti.
Mary Maggie prese il microfono. «Abbiamo un ospite speciale questa sera. Abbiamo la Cacciatrice di Taglie, alias la Sfascia Cadillac, alias la Rompipalle.»
Oh cavolo.
«Vuoi parlare con me, Cacciatrice di Taglie?» chiese Mary Maggie. «Fatti avanti.»
«Magari più tardi» dissi, riflettendo sul fatto che sotto i riflettori Mary Maggie era tutta diversa dal topo di biblioteca che mi era sembrata inizialmente. «Parliamo dopo lo spettacolo. Non voglio farti sprecare neanche un minuto del tuo tempo prezioso mentre sei in scena.»
Poi, improvvisamente, mi ritrovai sollevata in aria da due omoni. Mi stavano spostando, sedia compresa, a un metro e mezzo da terra, verso il ring.
«Aiuto!» gridai. «Aiuto!»
Rimasi sospesa sopra il ring. Mary Maggie sorrideva. Animale faceva brutti versi e ruotava la testa. Poi la sedia si inclinò e volai in caduta libera nel fango.
Animale mi tirò in piedi prendendomi per i capelli. «Rilassati» disse. «Non sentirai niente.»
Poi mi strappò la camicia. Per fortuna avevo il reggiseno buono di pizzo Victoria’s Secret.
Un istante dopo, urlavamo tutte aggrovigliate. Mary Maggie Mason, Animale e io. Poi si fece avanti Lula.
«Ehi» fece Lula. «Veniamo qui per fare due chiacchiere e tu rovini la gonna della mia amica. Ti faremo pagare il conto della lavanderia.»
«Ah sì? Bene, metti in conto anche questo» disse Animale prendendola per un piede. Lula perse l’equilibrio e finì col sedere nel fango.
«Ora mi arrabbio davvero» disse Lula. «Stavo cercando di spiegarti come stanno le cose, ma ora mi arrabbio davvero.»
Ero riuscita a mettermi in piedi mentre Lula stava battibeccando con Animale. Mi stavo togliendo il fango dagli occhi quando Mary Maggie Mason mi saltò addosso e mi fece finire di nuovo a faccia in giù nel fango. «Aiuto» urlai. «Aiuto!»
«Lascia in pace la mia amica» disse Lula. E prese Mary Maggie per i capelli facendola volare fuori dal ring come fosse una bambola di pezza. Bang! Dritta contro un tavolo a bordo ring.
Dai lati sbucarono altre due lottatrici e saltarono dentro al ring. Lula ne scagliò fuori una e si sedette sopra l’altra. Superando le funi con un salto, Animale fu sopra a Lula, che emise un grido agghiacciante e si buttò nel fango insieme a lei.
Mary Maggie era tornata nel ring. Anche l’altra lottatrice era tornata nel ring. Entrò un tipo ubriaco. Ora eravamo in sette là dentro, a rotolarci l’uno sull’altro. Mi aggrappavo a qualsiasi cosa, cercando di non scivolare nel fango e non so come, mi ritrovai in mano il perizoma di Animale. Poi tutti cominciarono a fischiare e incitare, e i buttafuori dovettero saltare anche loro nel ring per separarci.
«Ehi» fece Lula, ancora in movimento «ho perso una scarpa. È meglio che qualcuno la ritrovi o qui non ci metto più piede.»
Il direttore di scena prese Lula per un braccio. «Non si preoccupi. Ci pensiamo noi. Da questa parte. Là per quella porta.»
E prima che potessimo capire cosa stava succedendo ci ritrovammo in strada. Lula con una scarpa sola e io senza camicia. La porta si aprì di nuovo e Valerie fu spinta fuori insieme alle nostre giacche e borse.
«Quell’Animale aveva qualcosa di strano» disse Valerie. «Quando le hai strappato via le mutande, ho visto che laggiù non aveva peli!»
Valerie mi diede un passaggio fino a casa di Morelli e poi mi salutò.
Joe venne ad aprire e mi accolse con un commento scontato. «Sei ricoperta di fango.»
«Le cose non sono andate esattamente come da programma.»
«Mi piace questo look senza camicia. Mi ci potrei abituare.»
Mi spogliai fuori dalla porta di casa e Morelli portò i vestiti direttamente nella lavatrice. Ero ancora lì quando tornò. Avevo i miei dieci centimetri di tacchi, fango e niente altro.
«Vorrei farmi una doccia» gli dissi «ma se non vuoi che ti sporchi le scale di fango mi puoi buttare una secchiata d’acqua nel cortile sul retro.»
«Penserai che sono malato» disse Morelli «ma mi sta venendo un’erezione.»
Morelli abita in una casetta a schiera sulla Slater, a breve distanza dal Burg. L’ha ereditata da sua zia Rose ed è andato a viverci. Va’ a capire. Il mondo è tutto un mistero. Quella casa mi ricordava molto quella dei miei, piccola e senza tanti lussi, ma piena di buoni profumi e bei ricordi. Nel caso di Morelli i profumi erano quelli di pizza riscaldata, cane, e vernice fresca. Un po’ alla volta Morelli stava risistemando le finestre.
Eravamo al tavolo della cucina… io, Morelli e Bob. Joe stava mangiando una fetta di pane tostato alla cannella e uvetta e beveva caffè.
Io e Bob mangiammo tutto quello che c’era nel frigorifero. Niente di meglio di una ricca colazione dopo una serata di lotta nel fango.
Avevo addosso una delle T-shirt di Morelli, mi aveva prestato un paio di pantaloni felpati ed ero scalza, dato che le scarpe erano tutte bagnate e sarebbero probabilmente finite nella spazzatura.
Joe era vestito per andare al lavoro: anonimo abbigliamento da piedipiatti.
«Non capisco» dissi. «Questo tipo se ne va in giro su una Cadillac bianca e la polizia non riesce a prenderlo. Come è possibile?»
«Probabilmente non va poi così tanto in giro. È stato avvistato un paio di volte, ma non da gente in grado di metterglisi alle calcagna. Una volta da Mickey Greene mentre effettuava servizio di pattuglia in bicicletta. Un’altra volta da una delle nostre auto che però era bloccata nel traffico. E poi non è una priorità. Nessuno è stato espressamente incaricato di trovarlo.»
«È un assassino. Non è forse una priorità?»
«Non è esattamente ricercato per omicidio. Loretta Ricci è morta di infarto. Al momento è ricercato esclusivamente per essere interrogato.»
«Credo che abbia rubato un arrosto dal freezer di Dougie.»
«Questo cambia tutto. Così sì che finirà nella lista delle priorità.»
«Non ti sembra strano che abbia rubato un arrosto?»
«Quando uno è poliziotto da tanto tempo come me, niente sembra più strano.»
Morelli finì di bere il caffè, risciacquò la tazza e la mise nella lavastoviglie. «Devo andare. Tu rimani qui?»
«No. Mi serve un passaggio a casa. Devo fare delle cose e vedere un po’ di gente.» E poi un paio di scarpe non guasterebbe.
Morelli mi accompagnò davanti al portone di casa. Entrai scalza, con addosso i vestiti di Joe e i miei in mano. Il signor Morganstern era nell’ingresso.
«Dev’essere stata una gran notte» disse. «Ti do dieci dollari se mi racconti i particolari.»
«Neanche per sogno. Lei è troppo giovane.»
«E se te ne dessi venti? Però devi aspettare il primo del mese prossimo quando mi arriva l’assegno della pensione.»
Dieci minuti dopo ero già vestita e fuori dalla porta. Volevo arrivare da Melvin Baylor prima che uscisse per andare al lavoro. In onore della Harley mi ero messa stivali, jeans, T-shirt e il giubbotto Schott di pelle. Rombai via dal parcheggio e sorpresi Melvin mentre cercava di aprire la macchina. La serratura si era arrugginita e Melvin non riusciva a far girare la chiave. Perché poi si prendesse la briga di chiuderla a chiave, proprio non lo capivo. Nessuno gliela avrebbe mai rubata. Era in giacca e cravatta e, tranne che per le borse scure sotto gli occhi, sembrava stesse molto meglio.
«Mi spiace scocciarti» dissi «ma devi andare in tribunale a fissare un’altra data per l’udienza.»
«E il lavoro? Devo andare al lavoro.»
Melvin Baylor era solo un povero sempliciotto. Dove avesse preso il coraggio di pisciare sulla torta rimaneva un mistero.
«Dovrai entrare in ritardo. Chiamo Vinnie e gli dico di aspettarci in Comune. Non dovrebbe volerci molto.»
«Non riesco ad aprire la macchina.»
«Allora è la tua giornata fortunata, perché hai vinto un giro sulla mia moto.»
«Odio questa macchina» disse Melvin. Fece un passo indietro e diede un calcio allo sportello facendo cadere un grosso pezzo di metallo arrugginito. Prese lo specchietto laterale e lo strappò via gettandolo poi a terra. «Fottutissima macchina» disse, allontanando con un calcio lo specchietto che finì in mezzo alla strada.
«Ben fatto» dissi. «Ma ora dobbiamo andare.»
«Non ho finito» disse Melvin, provando la chiave nella serratura del portabagagli, ma senza riuscire ad aprirlo. «Cazzo!» urlò. Appoggiandosi sul paraurti salì sul portabagagli e ci saltò sopra più volte. Poi salì sul tettuccio e continuò a saltare.
«Melvin» dissi «stai un tantino esagerando.»
«Odio la mia vita. Odio la mia macchina. Odio questo vestito.» Per poco non cadde, saltò goffamente giù dall’auto e provò di nuovo ad aprire il portabagagli. Questa volta ci riuscì. Frugò dentro e tirò fuori una mazza da baseball. «Ah-ah!» fece.
Oh cavolo.
Melvin brandì la mazza e cominciò a menare colpi sulla macchina. La colpì con forza, fino a sudare. Diede un colpo al finestrino laterale che andò in frantumi, facendo volare i pezzi di vetro. Fece un passo indietro e si guardò la mano. Si era fatto un bel taglio. Sangue dappertutto.
Merda. Smontai dalla moto e feci sedere Melvin sul marciapiede. Tutte le casalinghe dell’isolato erano uscite in strada per assistere allo spettacolo. «Mi serve un asciugamano» dissi. Poi chiamai Valerie e le chiesi di portare la Buick a casa di Melvin.
Valerie arrivò dopo un paio di minuti. Melvin aveva la mano avvolta in un asciugamano, ma sia il vestito sia le scarpe erano macchiati di sangue. Valerie scese dall’auto, diede un’occhiata a Melvin e stramazzò. Bang. Sul prato dei Selig. Lasciai Valerie distesa sul prato e accompagnai Melvin al pronto soccorso. Lo affidai a un’infermiera e tornai a casa di Melvm. Non avevo tempo di aspettare che gli mettessero i punti. A meno che non gli fosse venuto un collasso per emorragia, avrebbe probabilmente dovuto attendere per delle ore prima di vedere un medico.
Valerie era in piedi, sul marciapiede, e aveva un’aria confusa.
«Non sapevo cosa fare» disse. «Non so guidare la motocicletta.»
«Nessun problema. Puoi riprenderti la Buick.»
«Cosa è successo a Melvin?»
«Una crisi di nervi. Si riprenderà.»
La mia tappa successiva fu l’ufficio. Pensavo di essermi vestita in modo impeccabile, ma Lula mi fece sentire una vera dilettante. Portava degli stivali comprati al negozio della Harley, pantaloni in pelle, giubbotto senza maniche in pelle e teneva le chiavi legate a una catena agganciata alla cintura. Sullo schienale della sedia aveva appoggiato una giacca di pelle che aveva una fila di frange lungo tutto il braccio e lo stemma della Harley cucito sulla schiena.
«Nel caso dovessimo uscire in moto» disse.
Terrificante biker donna in completo di pelle nera semina il caos per le strade. Traffico bloccato per chilometri a causa dei curiosi che si fermano a guardare.
«Sarà meglio che ti sieda e ascolti quello che ho da dirti a proposito di DeChooch» mi disse Connie.
Guardai Lula. «Tu sai già di DeChooch?»
Il viso di Lula si aprì in un sorriso. «Sì, Connie me ne ha parlato stamattina quando sono arrivata. E ha ragione, ti conviene sederti.»
«Lo sanno solo quelli della famiglia» iniziò Connie. «Finora è rimasto praticamente un segreto quindi non devi dirlo a nessuno.»
«Di che famiglia stiamo parlando?»
«Di quella famiglia.»
«Ricevuto.»
«Le cose stanno così…»
Lula stava già ridacchiando, incapace di trattenersi. «Scusate» disse. «Mi fa crepare dal ridere. Aspetta di sentire tutto e ti rotolerai per terra.»
«Eddie DeChooch aveva messo in piedi un accordo per contrabbandare delle sigarette» iniziò Connie. «La sua idea era di fare una piccola operazione che potesse gestire da solo. Così ha affittato un camion ed è andato a Richmond a prelevare gli scatoloni di sigarette. Mentre è a Richmond, a Louie D viene un infarto e muore. Come saprai, Louie D è originario del New Jersey. Ha sempre vissuto qui e poi, un paio di anni fa, si era trasferito a Richmond per occuparsi di affari. Così quando Louie D rimane stecchito, DeChooch prende il telefono e informa immediatamente la famiglia qui nel New Jersey.
«La prima persona che DeChooch chiama, ovviamente, è Anthony Thumbs.» Connie si fermò, si sporse in avanti e abbassò la voce. «Se ti dico Anthony Thumbs, sai a chi mi riferisco?»
Annuii in silenzio. Anthony Thumbs controlla Trenton. Il che non è poi un grande onore, dato che Trenton non è quel che si dice il centro dell’universo malavitoso. Il suo vero nome è Anthony Thumbelli ma tutti lo chiamano Anthony Thumbs. Visto che Thumbelli non è un nome tipicamente italiano, presumo che sia stato coniato a Ellis Island e tale è rimasto, proprio come il cognome di mio nonno, Plumerri, è stato accorciato in Plum da un impiegato dell’ufficio immigrazione oberato di lavoro.
Connie proseguì. «Ad Anthony Thumbs, Louie D non è mai piaciuto troppo, ma in qualche modo misterioso è suo parente, e Anthony sa che la tomba di famiglia è a Trenton. Così Anthony Thumbs agisce da bravo capofamiglia e dice a DeChooch di scortare Louie D in New Jersey per la sepoltura. Solo che Anthony Thumbs, che non è certo noto per la sua eloquenza, dice a Eddie DeChooch, che dal canto suo non ci sente, “Portamelo, per l’onore”. Testuali parole. Anthony Thumbs dice a Eddie DeChooch: “Portamelo, per l’onore”.
«DeChooch sa che non corre buon sangue tra Louie D e Anthony Thumbs. Pensa che si tratti di una vendetta e crede che Thumbs gli abbia detto: “Portami il suo cuore”.»
Rimasi a bocca aperta. «Cosa?»
Connie stava ghignando mentre le guance di Lula erano rigate di lacrime per il troppo ridere.
«Questa è la parte che preferisco» disse Lula. «È la mia preferita.»
«Giuro su Dio» disse Connie. «DeChooch pensava che Anthony Thumbs volesse il cuore di Louie D e così, di notte, Eddie fa irruzione nell’impresa di pompe funebri, trincia per benino Louie D ed estrae il cuore. A quanto pare ha dovuto spaccargli un paio di costole. L’impresario delle pompe funebri ha detto…» Connie dovette fermarsi un momento per ricomporsi. «L’impresario delle pompe funebri ha detto di non aver mai visto un lavoro così ben fatto.»
Lula e Connie ridevano così tanto che dovettero tenersi ben ferme con le mani sulla scrivania di Connie per non rotolare per terra.
Mi tappai la bocca con una mano, indecisa se ridere insieme a loro o dare ascolto al mio stomaco e vomitare.
Connie si soffiò il naso e si asciugò le lacrime con un fazzolettino pulito. «Okay, allora DeChooch mette il cuore in un frigo portatile con un po’ di ghiaccio e parte per Trenton con le sigarette e il cuore. Porta il frigo ad Anthony Thumbs, orgoglioso come non mai, e gli dice che lì dentro c’è il cuore di Louie D.
«Anthony dà in escandescenze, ovviamente, e dice a DeChooch di riportare quel fottutissimo cuore a Richmond e di farlo rimettere dentro a Louie D dall’impresario delle pompe funebri.
«A tutti viene fatto giurare di mantenere la cosa segreta perché non solo è imbarazzante, ma è anche una pericolosa mancanza di rispetto tra due famiglie che, quando non ci sono problemi particolari, già non vanno molto d’accordo. E come se non bastasse, la moglie di Louie D, che è una donna molto religiosa, è fuori di sé perché il corpo del marito è stato profanato. Sophia DeStefano si è proclamata protettrice dell’anima immortale di Louie ed è fermamente decisa a volerlo vedere sepolto tutto intero. Ha dato a DeChooch un ultimatum per cui se non riporta a Louie il suo cuore, lo trasformerà in un hamburger.»
«Un hamburger?»
«Tra le tante attività di Louie c’era anche uno stabilimento per la lavorazione delle carni.»
Non riuscii a trattenere un brivido.
«Adesso arriva la parte più confusa. Non si sa come, ma DeChooch perde il cuore.»
Suonava tutto così strano che mi chiesi se Connie mi stesse raccontando la verità oppure se lei e Lula avessero architettato uno scherzo. «Ha perso il cuore» dissi. «Come ha fatto a perdere il cuore?»
Connie alzò le mani. Come se lei stessa stentasse a crederci. «Mi ha riferito tutto zia Flo, e questo è tutto quello che sa.»
«Non mi meraviglia che DeChooch sia depresso.»
«Eccome, cazzo» disse Lula.
«Cosa c’entra Loretta Ricci in tutto questo?»
Connie alzò di nuovo le mani. «Non lo so.»
«Il Luna e Dougie?»
«Non so neanche questo» disse Connie.
«E così DeChooch sta cercando il cuore di Louie D.»
Connie stava ancora sorridendo. Questa storia la divertiva molto. «A quanto pare.»
Mi fermai un minuto a riflettere. «A un certo punto DeChooch deve aver deciso che Dougie aveva il cuore. Poi ha deciso che ce l’aveva il Luna.»
«Già» disse Lula «e ora pensa che sia tu ad averlo.»
Piccole macchie nere cominciarono a danzare davanti ai miei occhi e mi sentii ronzare la testa.
«Oh-oh» fece Lula «non hai una bella cera.»
Misi la testa fra le ginocchia e cercai di respirare profondamente. «Crede che sia io ad avere il cuore di Louie D!» dissi. «Pensa che me ne vada in giro con un cuore. Santo Dio, che genere di persona andrebbe in giro con il cuore di un morto?
«Credevo che si trattasse di droga. Credevo di dover barattare il Luna con della cocaina. Come faccio a fare uno scambio con un cuore?»
«A quanto pare non ti devi preoccupare di questo» disse Lula «perché DeChooch non ha né il Luna né Dougie.»
Riferii a Connie e Lula della limousine e del Luna.
«È o non è perfetto?» disse Lula. «Un’anziana non meglio identificata ha rapito il Luna. Forse era la moglie di Louie D che voleva riprendersi il cuore del marito.»
«Spero per te che non fosse la moglie di Louie» disse Connie. «La nonna di Morelli è niente in confronto. Gira una storia su lei e una sua vicina che a suo parere le aveva mancato di rispetto e fu trovata morta il giorno dopo con la lingua mozzata.»
«La fece ammazzare da Louie?»
«No» disse Connie. «Louie non era a casa. Era via per affari.»
«Oh mio Dio.»
«A ogni modo, probabilmente non si tratta di Sophia perché mi dicono che si è chiusa in casa da quando Louie è morto, accende candele di continuo, prega e maledice DeChooch.» Connie si fermò un momento a riflettere. «Sai chi potrebbe aver rapito il Luna? La sorella di Louie, Estelle Colucci.»
Bisogna anche dire che rapire il Luna non è poi così difficile. Basta offrirgli una canna e lui ti segue senza battere ciglio fino ai confini della terra.
«Forse dovremmo andare a parlare con Estelle Colucci» dissi a Lula.
«Sono pronta a montare in sella» rispose.
Benny ed Estelle Colucci abitano nel Burg in una bifamiliare molto ben tenuta. A dire il vero, quasi tutte le case del Burg sono molto ben tenute. È d’obbligo se si vuole sopravvivere. Si può riverniciare secondo il proprio gusto, ma è meglio per tutti che le finestre siano sempre ben pulite.
Parcheggiai la moto davanti a casa Colucci, andai alla porta e bussai. Nessuna risposta. Lula si infilò tra i cespugli sotto le finestre sul davanti e sbirciò dentro.
«Non vedo nessuno» disse. «Non ci sono luci accese. Anche la TV è spenta.»
Allora provammo al circolo. Di Benny nemmeno l’ombra. Percorsi due isolati verso la Hamilton e riconobbi la sua auto all’angolo tra la Hamilton e la Grand, parcheggiata davanti al Tip Top Sandwich Shop. Lula e io sbirciammo dalla vetrina. Benny e Ziggy erano dentro e stavano facendo uno spuntino.
Il Tip Top è un piccolo caffè e ristorantino che serve cibo preparato in casa a prezzi ragionevoli. Il pavimento di linoleum verde e nero è rovinato, le strutture che reggono le luci sul soffitto sono scurite dallo sporco, le sedie in similpelle sono rappezzate con nastro adesivo da imballaggio. Mickey Spritz era un cuoco dell’esercito durante la guerra di Corea. Aprì il Tip Top trent’anni fa quando lasciò l’esercito e da allora non ha cambiato una virgola. Né il pavimento, né le sedie, neanche il menù. Mickey e sua moglie si occupano da soli della cucina. E un ritardato mentale, Pookie Potter, aiuta a servire ai tavoli e lava i piatti.
Benny e Ziggy erano concentrati sulle uova che avevano nel piatto quando io e Lula ci avvicinammo a loro.
«Diamine» disse Benny, alzando gli occhi dalle uova e spalancando la bocca nel trovarsi davanti Lula completamente vestita in pelle. «Dove la trovi questa gente?»
«Siamo passati da casa tua» dissi a Benny. «Non c’era nessuno.»
«Già. Per questo sono qui.»
«Che mi dici di Estelle? A casa non c’era neanche lei.»
«Abbiamo avuto un lutto in famiglia» disse Benny. «Estelle è fuori città per un paio di giorni.»
«Immagino ti riferisca a Louie D» dissi. «E al casino che è successo.»
Ora mi ero conquistata l’attenzione di Benny e Ziggy.
«Sai del casino?» chiese Benny.
«So del cuore.»
«Gesù Cristo» disse Benny. «Credevo che stessi bluffando.»
«Dov’è il Luna?»
«Ti giuro che non so dov’è, ma mia moglie mi sta mandando via di testa con questa storia del cuore. Devi trovarlo. Non sento parlare d’altro… ma come lo ritrovo? Sono solo un essere umano, capisci? Non ce la faccio più.»
«Benny ha i suoi problemi di salute» disse Ziggy. «Non sta bene. Dovresti consegnargli il cuore così può avere anche lui un po’ di pace. È la cosa giusta da fare.»
«E poi pensa a Louie D senza il suo cuore» disse Benny. «Non è carino. Uno dovrebbe avere il proprio cuore quando lo mettono sotto terra.»
«Estelle quando è partita per Richmond?»
«Lunedì.»
«Il giorno in cui il Luna è scomparso» dissi.
Benny si allungò in avanti. «Cosa stai cercando di insinuare?»
«Che Estelle si è portata via il Luna.»
Benny e Ziggy si guardarono. Non avevano preso in considerazione quella possibilità.
«Estelle non fa questo genere di cose» disse Benny.
«Come è andata a Richmond? Ha preso una limousine?»
«No. È andata in macchina. Andava prima a Richmond a trovare la moglie di Louie D, Sophia, e poi a Norfolk. Abbiamo una figlia che vive là.»
«Non è che per caso hai con te una foto di Estelle?»
Benny tirò fuori il portafogli e mi mostrò una fotografia della moglie. Era una bella donna con un viso tondo e capelli corti e grigi.
«Be’, io ho il cuore, ora tocca a te scoprire chi ha il Luna» dissi a Benny.
E io e Lula ce ne andammo.
«Cavolo» disse Lula quando risalimmo in moto. «Sei stata fighissima. Per un attimo ho pensato che sapessi veramente il fatto tuo. Ho quasi creduto che ce l’avessi per davvero quel cuore.»
Io e Lula tornammo in ufficio e il mio cellulare vibrò proprio mentre varcavo la soglia.
«Tua nonna è con te?» domandò mia madre. «È andata dal fornaio questa mattina presto per comprare dei panini e non è tornata.»
«Non l’ho vista.»
«Tuo padre è uscito a cercarla ma non l’ha trovata. E ho chiamato le sue amiche. Non si vede in giro da ore.»
«Da quante ore?»
«Non saprei. Da un paio d’ore. È solo che non è da lei. Viene sempre direttamente a casa dal fornaio.»
«Okay» dissi «vado a cercarla. Fammi uno squillo se si fa viva.»
Chiusi la comunicazione e il cellulare vibrò di nuovo.
Era Eddie DeChooch. «Ce l’hai ancora il cuore?» mi chiese.
«Sì.»
«Bene, ho qualcosa con cui fare cambio.»
Avvertii una brutta sensazione allo stomaco. «Il Luna?»
«Ritenta.»
Si sentì un trascinare di piedi e poi all’altro capo del telefono arrivò la nonna.
«Cos’è questa storia del cuore?» mi chiese la nonna.
«È una faccenda complicata. Stai bene?»
«Ho un po’ di artrite al ginocchio oggi.»
«Volevo sapere se Choochy ti tratta bene.»
Sentivo in sottofondo DeChooch che le suggeriva qualcosa. «Dille che sei stata rapita» le borbottava. «Dille che ti faccio saltare la testa se non mi consegna il cuore.»
«Non glielo dico» replicò la nonna. «Come ci rimarrebbe? E non farti strane idee. Solo perché mi hai rapita non significa che sono una facile. Non faccio niente con te se non prendi le dovute precauzioni. Non voglio rischiare una di quelle strane malattie.»
DeChooch tornò al telefono. «Le cose stanno così. Tu porta il tuo cellulare e il cuore di Louie D al centro commerciale di Quaker Bridge e io ti chiamerò alle sette. Se qualche sbirro ci si mette di mezzo, tua nonna è morta.»