Capitolo 5

Starmene seduta al bar a sorseggiare un cappuccino come se niente fosse non rientrava nelle mie abitudini mattutine, così optai per il McDonald’s, il cui menù offriva cappuccini alla vaniglia e frittelle. Certo non erano all’altezza di quelle di mia nonna, ma non erano neanche così male, e più facili da avere.

Il cielo era coperto e minacciava pioggia. Niente di strano. La pioggia è di rigore nel New Jersey in aprile. Una pioggerellina grigia e costante che incoraggia in tutto lo Stato una mentalità del tipo «teniamoci i capelli sporchi e passiamo tutta la giornata stravaccati davanti alla TV». A scuola ci dicevano che gli acquazzoni di aprile facevano sbocciare i fiori a maggio. Gli acquazzoni di aprile causano anche maxitamponamenti di dieci e più macchine agli incroci e nasi chiusi e pieni di muco. Il lato buono della faccenda è che in New Jersey abbiamo spesso motivo di comprare un’auto nuova e ci riconoscono in tutto il mondo per il nostro accento nasale.

«Come va la testa?» chiesi al Luna mentre tornavamo a casa.

«Piena di cappuccino. Mi sento tutto ovattato, piccola.»

«Mi riferivo ai dodici punti che ti hanno messo sulla ferita.»

Il Luna si passò il dito sul cerotto. «Mi sembra che vada bene.» Rimase seduto per un momento a labbra leggermente socchiuse e con gli occhi che vagavano nei recessi del cervello in cerca di qualcosa. Poi gli si accese la lampadina. «Oh, sì» disse. «Quella vecchia spaventosa mi ha sparato.»

Questo è il lato positivo del fumare erba in continuazione… niente memoria a breve termine. Ti capita una cosa terribile e dopo dieci minuti neanche te ne ricordi.

Ovviamente fumare erba ha anche il suo lato negativo, perché quando succede qualcosa di brutto, per esempio ti scompare un amico, c’è la possibilità che messaggi e fatti importanti si perdano nell’annebbiamento mentale. E c’è anche la possibilità che le allucinazioni ti facciano vedere un viso alla finestra quando in realtà il colpo è stato sparato da un’auto in corsa.

Nel caso del Luna, la possibilità era una buona probabilità.

Sulla via del ritorno passammo davanti a casa di Dougie per controllare che non fosse andata a fuoco mentre dormivamo.

«Sembra tutto tranquillo» dissi.

«Sembra triste» osservò il Luna.


Quando tornammo nel mio appartamento, Ziggy Garvey e Benny Colucci erano in cucina. Avevano in mano una tazza di caffè e un pezzo di toast.

«Spero che non ti dispiaccia» disse Ziggy. «Eravamo curiosi di sapere come va il nuovo tostapane.»

Benny agitò la mano in cui teneva la fetta di pane. «Questo toast è ottimo. Vedi come è dorato uniformemente. Non è bruciacchiato ai bordi. Ed è bello croccante.»

«Dovresti metterci della marmellata» disse Ziggy. «Della marmellata di fragole ci starebbe proprio bene.»

«Siete entrati di nuovo in casa mia! È una cosa che non sopporto.»

«Non eri in casa» si giustificò Ziggy. «E non volevamo far vedere ai tuoi vicini che hai degli uomini che ti aspettano fuori dalla porta.»

«Già, non volevamo infangare il tuo nome» aggiunse Benny. «Secondo noi tu non sei quel genere di ragazza. Anche se da anni girano un sacco di voci su te e Morelli. Dovresti stare attenta con lui. Ha una pessima reputazione.»

«Ehi, guarda» disse Ziggy. «C’è il nostro piccolo finocchio. Dove hai lasciato la tua uniforme, ragazzo?»

«Già, e perché hai quel cerotto? Sei caduto dai tacchi alti?» chiese Benny.

Ziggy e Benny si diedero una gomitata e risero come se avessero detto qualcosa di molto spiritoso.

Mi saltò in mente un’idea. «Non è che per caso voi due sapete qualcosa sul perché il mio amico ha un cerotto in testa?»

«Io no» rispose Benny. «Ziggy, tu ne sai qualcosa?»

«Non ne so niente» disse Ziggy.

Mi appoggiai all’indietro contro il piano della cucina e incrociai le braccia. «Allora che ci fate qui?»

«Abbiamo pensato che dovevamo fare un salto» disse Ziggy. «È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ci siamo visti, e volevamo sapere se per caso è venuto fuori qualcosa.»

«Non sono passate neanche ventiquattro ore» gli feci notare.

«Già, proprio come abbiamo detto. È passato un po’ di tempo.»

«Non è venuto fuori niente.»

«Accidenti che peccato» disse Benny. «Ci eri stata consigliata tanto caldamente. Speravamo proprio che potessi aiutarci.»

Ziggy finì il caffè, sciacquò la tazza nel lavello e la sistemò nello scolapiatti. «È ora di andare.»

«Maiale» disse il Luna.

Ziggy e Benny si fermarono sulla soglia di casa.

«È una brutta parola» disse Ziggy. «Farò finta di non aver sentito solo perché sei un amico della signorina Plum.» Guardò Benny perché lo appoggiasse.

«Esatto» disse Benny. «Facciamo finta di niente, ma dovresti imparare un po’ di educazione. Non sta bene parlare così a dei signori anziani.»

«Mi avete dato del finocchio!» urlò il Luna.

Ziggy e Benny si guardarono perplessi.

«E allora?» fece Ziggy.

«La prossima volta rimanete pure tranquillamente fuori dalla porta» dissi. Una volta usciti, chiusi la porta a chiave. «Voglio che tu ti metta a pensare» dissi al Luna. «Hai idea di perché qualcuno ti ha sparato? Sei sicuro di aver visto la faccia di una donna alla finestra?»

«Non lo so, piccola. Mi riesce difficile pensare. Ho la mente, come dire, occupata.»

«Hai ricevuto strane telefonate?»

«Ce n’è stata una, ma non era poi così strana. Ha chiamato una donna quando ero da Dougie e ha detto che secondo lei avevo qualcosa che non era mio. E io… sì, insomma, tutto qui.»

«Ti ha detto qualcos’altro?»

«No. Le ho chiesto se voleva un tostapane o un costume da supereroe e lei ha riattaccato.»

«È tutta là la merce che ti è rimasta? Che ne è delle sigarette?»

«Me ne sono sbarazzato. Conosco un fumatore incallito…»

Era come se il Luna fosse rimasto impigliato in una curvatura del tempo. Me lo ricordavo ai tempi del liceo e non era cambiato di una virgola. Capelli castani, lunghi e sottili, con la riga in mezzo e legati a coda di cavallo. Carnagione chiara, costituzione snella, altezza nella media. Indossava una camicia hawaiana e un paio di jeans che probabilmente erano finiti a casa di Dougie con il favore del buio. Aveva passato gli anni di scuola superiore a galleggiare in un costante annebbiamento da fumo che gli dava un rilassato benessere, lo faceva parlare e ridacchiare durante la pausa pranzo, sonnecchiare alle lezioni di inglese. E ora eccolo qui… che continuava a vivere sospeso su una nuvola. Niente lavoro. Nessuna responsabilità. A pensarci bene, non era per niente male.

Di sabato, Connie lavorava generalmente la mattina. Chiamai in ufficio e aspettai che terminasse un’altra conversazione.

«Stavo parlando con la zia Flo» disse. «Ti ricordi quando ti ho detto che c’erano stati dei problemi a Richmond quando Eddie DeChooch era là? Secondo lei ha a che vedere con il fatto che Louie D ha tirato le cuoia.»

«Louie D. È un uomo d’affari, giusto?»

«Sì, e di quelli importanti. O almeno lo era. È morto di infarto mentre DeChooch stava facendo il suo lavoretto.»

«Forse è stato un proiettile a provocare l’infarto.»

«Non credo. Se Louie D fosse stato coinvolto in qualcosa ne avremmo sentito parlare. È il genere di notizie che viaggia veloce. Soprattutto visto che la sorella abita qui.»

«Chi è sua sorella? La conosco?»

«Estelle Colucci. La moglie di Benny Colucci.»

Porca miseria. «Quant’è piccolo il mondo.»

Riagganciai e mi chiamò mia madre.

«Dobbiamo andare a scegliere un abito per il matrimonio» disse.

«Non mi vesto in lungo.»

«Potresti almeno provare.»

«Okay, lo farò.» Neanche per sogno.

«Quando?»

«Non lo so. Al momento sono impegnata. Sto lavorando.»

«È sabato» protestò mia madre. «Com’è possibile che lavori anche di sabato? Devi rilassarti di più. Io e tua nonna siamo subito da te.»

«No!» Troppo tardi. Era già partita.

«Dobbiamo andarcene» dissi al Luna. «È un’emergenza. Dobbiamo andare via.»

«Che genere di emergenza? Non è che vogliono spararmi un’altra volta?»

Tolsi i piatti sporchi dal piano della cucina e li buttai nella lavastoviglie. Poi presi il piumone e il cuscino del Luna e li portai di corsa in camera. Mia nonna aveva abitato con me per un po’ ed ero quasi sicura che avesse ancora la chiave del mio appartamento. Guai se mia madre fosse entrata in casa mia e l’avesse trovata in disordine. Il letto era sfatto ma non volevo perdere tempo con quello. Raccolsi i vestiti e gli asciugamani sparsi qua e là e buttai tutto nel cesto della biancheria. Attraversai di corsa il soggiorno, poi tornai in cucina, presi la borsa e la giacca e gridai al Luna di darsi una mossa.

Incontrammo mia madre e mia nonna nell’atrio.

Maledizione!

«Non c’era bisogno che ci aspettassi di sotto» disse mia madre. «Saremmo salite.»

«Non vi stavo aspettando. Stavo uscendo. Mi dispiace, ma stamattina devo lavorare.»

«Che stai facendo?» domandò mia nonna. «Sei sulle tracce di qualche pazzo omicida?»

«Sto cercando Eddie DeChooch.»

«Ci avevo quasi azzeccato» disse la nonna.

«Eddie DeChooch puoi trovarlo un’altra volta» affermò mia madre. «Ti ho fissato un appuntamento alla boutique di abiti da sposa “Da Tina”.»

«Ti conviene cogliere l’occasione al volo» suggerì la nonna. «È stato possibile solo perché qualcuno ha disdetto all’ultimo minuto. E poi ci serviva una scusa per uscire di casa perché non se ne poteva più di cavalli al galoppo e nitriti.»

«Non voglio un abito da sposa» dissi. «Voglio un matrimonio in piccolo.» O nessun matrimonio.

«Sì, ma non costa nulla dare un’occhiata» insisté mia madre.

«La boutique “Da Tina” è uno sballo» commentò il Luna.

Mia madre si rivolse al Luna. «Ma questo è Walter Dunphy? Santo cielo, non ti vedo da una vita.»

«Piccola!» disse il Luna a mia madre.

Poi lui e nonna Mazur si esibirono in una di quelle complicate strette di mano che non riesco mai a ricordare.

«Sarà meglio che ci muoviamo» incalzò la nonna. «Non possiamo fare tardi.»

«Non voglio un abito!»

«Andiamo solo a dare un’occhiata» disse mia madre. «Staremo una mezz’oretta e poi te ne puoi andare.»

«Va bene! Mezz’ora. Non un minuto di più. E andiamo solo a dare un’occhiata.»

La boutique «Da Tina» è nel cuore del Burg. Occupa metà di una bifamiliare in mattoni rossi. Tina abita in un appartamentino al piano superiore mentre il negozio è nella parte bassa dell’edificio. L’altra metà della bifamiliare, sempre di proprietà di Tina, viene affittata. Tina è rinomata come padrona di casa superstronza e gli affittuari se ne vanno puntualmente allo scadere del contratto annuale. Ma dato che le proprietà in affitto sono mosche bianche nel Burg, Tina non ha mai difficoltà a trovare la vittima di turno.

«Sembra fatto apposta per te» disse Tina facendo un passo indietro e fissandomi intensamente. «È perfetto. Meraviglioso.»

Ero tutta agghindata in un abito di raso lungo fino ai piedi. Il corpetto era stato aggiustato con degli spilli per adattarlo alla mia taglia, la scollatura a U mostrava appena un po’ di décolleté e la gonna a mongolfiera aveva uno strascico di oltre un metro.

«È incantevole» esclamò mia madre.

«La prossima volta che mi sposo potrei comprarmi un vestito come questo» disse la nonna. «O magari potrei andare a Las Vegas e sposarmi in una di quelle chiese dedicate a Elvis.»

«Coraggio, piccola, vai così!» fece il Luna.

Mi girai appena per vedermi meglio nello specchio a tre ante. «Non vi sembra troppo… bianco?»

«Assolutamente no» rispose Tina. «Questo è panna. Il panna non è per niente uguale al bianco.»

L’abito mi stava davvero bene. Assomigliavo a Rossella O’Hara che faceva le prove per un matrimonio di lusso a Tara. Feci qualche passo, come se stessi ballando.

«Prova a saltare, così vediamo come va quando dovrai aprire le danze» disse la nonna.

«È carino, ma non voglio un abito lungo.»

«Posso ordinarne uno della tua taglia senza impegno» propose Tina.

«Senza impegno» ripeté la nonna. «Meglio di così.»

«Visto che è senza impegno» disse mia madre.

Mi serviva della cioccolata. Una montagna di cioccolata. «Oh diamine» esclamai «guardate che ora è. Devo andare.»

«Grandioso» fece il Luna. «Andiamo a combattere il crimine? Stavo pensando che mi serve una cintura multiuso per il mio super costume. Potrei metterci tutta la mia attrezzatura da lotta contro il crimine.»

«Di che attrezzatura parli?»

«Non ci ho ancora riflettuto bene, ma pensavo a qualcosa tipo calzini anti-gravità per poter camminare sui muri. E uno spray che mi renda invisibile.»

«Sei sicuro che non ci sia niente che non va dove ti hanno sparato? Per caso hai mal di testa o le vertigini?»

«No, sto benone. Ho un po’ fame, forse.»


Quando io e il Luna uscimmo dalla boutique di Tina stava piovigginando.

«Questa sì che è stata un’esperienza memorabile» disse il Luna. «Mi sono sentito una damigella d’onore.»

Quanto a me, non ero sicura di cosa mi sentivo. Provai a pensare a me stessa come a una sposa, ma mi resi conto che grassona tonta mi si addiceva molto di più. Non potevo credere di essermi fatta convincere da mia madre a provare degli abiti da sposa. Che cosa avevo in mente? Mi diedi una botta in fronte col palmo della mano e feci un grugnito di disapprovazione.

«Piccola» disse il Luna.

Basta con le stronzate. Girai la chiave dell’accensione e infilai un CD dei Godsmack nello stereo dell’auto. Non volevo pensare al fallimento del mio presunto matrimonio e non c’è niente di meglio dell’heavy metal per sgombrare la mente da tutto quello che assomiglia anche lontanamente a un ragionamento. Mi diressi verso casa del Luna e quando arrivammo sulla Roebling, io e il Luna stavamo già agitando furiosamente la testa su e giù a tempo di rock.

Stavamo mimando un assolo di chitarra elettrica con i capelli davanti agli occhi e ci mancò poco che mi lasciassi sfuggire la Cadillac bianca. Era parcheggiata davanti alla casa di padre Carolli, accanto alla chiesa. Padre Carolli è vecchio e ingrigito proprio come la facciata della chiesa e, per quel che mi ricordo, ha sempre vissuto nel Burg. Era più che probabile che lui ed Eddie DeChooch fossero amici e che DeChooch si fosse rivolto a lui per un consiglio.

Formulai una preghierina sperando che DeChooch si trovasse lì, così avrei potuto arrestarlo. In chiesa sarebbe stata tutta un’altra faccenda. In una chiesa ci si può rifugiare e chiedere asilo. E poi se mia madre avesse scoperto che avevo violato quel luogo sacro, sarebbero stati guai.

Andai alla porta di casa di Carolli e bussai. Nessuna risposta.

Il Luna si fece strada tra i cespugli e sbirciò da una finestra. «Non vedo nessuno qui dentro, piccola.»

Ci voltammo entrambi verso la chiesa.

Maledizione. Probabilmente DeChooch si stava confessando. Mi perdoni, padre, perché ho fatto fuori Loretta Ricci.

«Okay» dissi «proviamo in chiesa.»

«Forse dovrei andare a casa e mettermi il super costume.»

«Non credo che sia adatto per una chiesa.»

«Non è abbastanza elegante?»

Aprii la porta della chiesa e strizzai gli occhi per vedere qualcosa nell’oscurità dell’interno. Nelle giornate di sole la chiesa splendeva della luce che filtrava dalle vetrate colorate. Nei giorni di pioggia diventava tetra e senza vita. Oggi il solo calore che trasmetteva era quello delle poche candele votive accese davanti alla Vergine Maria.

La chiesa sembrava vuota. Non si sentiva alcun mormorio provenire dai confessionali. Non c’era nessuno in preghiera. Solo le fiammelle delle candele accese e l’odore dell’incenso.

Stavo per andarmene quando udii qualcuno ridacchiare. Il suono veniva dall’altare.

«Ehi» dissi. «C’è nessuno?»

«Solo noi due cacasotto.»

La voce sembrava quella di DeChooch.

Io e il Luna percorremmo cautamente la navata e sbirciammo intorno all’altare. DeChooch e Carolli erano seduti a terra, con la schiena appoggiata all’altare, e bevevano una bottiglia di vino rosso. Accanto a loro, sul pavimento, ce n’era un’altra, vuota.

Il Luna li salutò con il segno della pace. «Fratelli» disse.

Padre Carolli gli rispose con lo stesso gesto e ripeté il mantra. «Fratello.»

«Cosa vuoi?» domandò DeChooch. «Non vedi che sono in chiesa?» «State bevendo!» «È una medicina. Sono depresso.»

«Devi seguirmi in tribunale così vengono restituiti i soldi della garanzia» dissi a DeChooch.

DeChooch fece una lunga sorsata dalla bottiglia e si asciugò la bocca col dorso della mano. «Sono in chiesa. Non puoi arrestarmi in chiesa. Dio si arrabbierà. E tu marcirai all’inferno.»

«È un comandamento» disse Carolli.

Il Luna sorrise. «Questi due sono ubriachi fradici.»

Frugai nella borsa e tirai fuori le manette.

«Aiuto, le manette» esclamò DeChooch. «Che paura.»

Gli chiusi un bracciale sul polso sinistro e feci per afferrargli l’altra mano. DeChooch estrasse una 9 millimetri dalla tasca del cappotto, disse a Carolli di tenere ferma l’estremità libera della catenella e ci sparò sopra un colpo. Entrambi strillarono quando la catena si spezzò e le loro braccia ossute furono percorse dalle onde d’urto.

«Ehi» dissi «quelle manette mi sono costate sessanta dollari.»

DeChooch socchiuse gli occhi e fissò il Luna. «Ci conosciamo?»

«Sono il Luna, amico. Mi hai visto a casa di Dougie.» Il Luna alzò la mano tenendo due dita ben strette. «Io e Dougie siamo così. Siamo una squadra.»

«Mi pareva di averti visto!» esclamò DeChooch. «Vi odio, tu e il tuo schifosissimo ladro di un socio. Avrei dovuto immaginare che Kruper non era da solo.»

«Fratello» disse il Luna.

DeChooch puntò la pistola contro il Luna. «Vi credete intelligenti, vero? Pensate di potervi approfittare di un vecchio. Volete altri soldi… è a questo che mirate?»

Il Luna si tamburellò la testa con le nocche. «Qui non cresce mica l’erba.»

«Lo voglio subito» disse DeChooch.

«È un piacere fare affari con te» rispose il Luna. «Di cosa stiamo parlando, per l’esattezza? Tostapane o super costume?»

«Stronzo» fece DeChooch. E premette il grilletto con l’intenzione di sparare al ginocchio del Luna, invece lo mancò di una decina di centimetri e il proiettile schizzò sul pavimento.

«Diamine» disse Carolli, tenendosi le mani sulle orecchie «vuoi farmi diventare sordo. Metti via quella pistola.»

«La metterò via solo dopo che avrà parlato» affermò DeChooch. «Ha qualcosa che mi appartiene.» DeChooch puntò di nuovo la pistola e il Luna si catapultò via, lungo la navata.

Avrei voluto fare l’eroina e disarmare DeChooch. In realtà ero paralizzata. Basta che qualcuno mi sventoli una pistola sotto il naso e io me la faccio sotto.

Eddie sparò un altro colpo che passò accanto al Luna e andò a scheggiare il fonte battesimale.

Carolli colpì DeChooch dietro la nuca con il palmo della mano. «Finiscila!»

Eddie barcollò in avanti e dalla pistola partì inavvertitamente un colpo che andò a infilarsi nel dipinto della crocifissione appeso sulla parete opposta.

Restammo tutti a bocca aperta. E ci facemmo tutti il segno della croce.

«Porcaccia miseria» fece Carolli. «Hai sparato a Gesù. Ti ci vorranno un bel po’ di avemarie per questo.»

«È stato un incidente» disse DeChooch. Guardò il dipinto di traverso. «In che punto l’ho colpito?»

«Al ginocchio.»

«Meno male» commentò Eddie. «Almeno non era un colpo mortale.»

«Torniamo al fatto che devi presentarti in tribunale» dissi. «Mi faresti un enorme favore se venissi con me alla centrale di polizia per fissare una nuova udienza.»

«Accidenti, sei una vera rompipalle» disse DeChooch. «Quante volte te lo devo dire che… lascia perdere. Sono depresso. Non ci sto in prigione se sono depresso. Sei mai stata dentro?»

«Non proprio.»

«Be’, credimi, non è il posto ideale quando sei depresso. E comunque, devo fare una cosa.»

Stavo frugando nella mia borsa. Dovevo avere lo spray urticante da qualche parte. E probabilmente anche la scacciacani.

«E poi, ci sono delle persone che mi cercano, dei veri duri, non come te» disse DeChooch. «Se vengo rinchiuso in galera, trovarmi sarà una passeggiata.»

«Ma io sono una dura!»

«Sei solo una dilettante, bellezza» affermò Eddie.

Tirai fuori una bomboletta di lacca per capelli, ma non riuscivo a trovare lo spray urticante. Dovevo organizzarmi meglio. Forse avrei dovuto mettere spray e scacciacani nella tasca con lo zip, ma poi avrei dovuto trovare un’altra sistemazione per gomme da masticare e mentine.

«Me ne vado» disse DeChooch. «E non provare a seguirmi altrimenti sarò costretto a spararti.»

«Solo una domanda. Che cosa volevi dal Luna?»

«È una faccenda tra me e lui.»

DeChooch uscì da una porta laterale, e io e Carolli rimanemmo a fissarlo mentre se ne andava.

«Ha appena fatto scappare un assassino» dissi a Carolli. «Se ne stava qui a bere con un assassino!»

«Macché. Choochy non è un assassino. Ci conosciamo da tanto. È una brava persona.»

«Ha cercato di sparare al Luna.»

«Si è agitato. Da quando ha avuto l’ictus, gli capita di agitarsi così.»

«Ha avuto un ictus?»

«Sì, uno piccolo, quasi insignificante. Io ne ho avuti di peggiori.»

Oh cavolo.

Raggiunsi il Luna quando era a circa mezzo isolato da casa sua. Se la stava filando, un po’ di corsa e un po’ a passo svelto, guardandosi di tanto in tanto alle spalle, in una versione tutta personale del coniglio che scappa dai segugi. Quando parcheggiai, il Luna era già entrato in casa, aveva trovato una cicca di canna e se la stava accendendo.

«C’è gente che ti spara» dissi. «Non dovresti farti le canne. Le canne ti istupidiscono e invece devi rimanere lucido.»

«Piccola» rispose sbuffando il fumo.

Già.

Trascinai via il Luna e lo portai a casa di Dougie. C’era un nuovo sviluppo. DeChooch cercava qualcosa e pensava che ce l’avesse Dougie. Ora invece era convinto che ce l’avesse il Luna.

«Di cosa stava parlando DeChooch?» chiesi al Luna. «Cosa sta cercando?»

«Non lo so, piccola, ma non è un tostapane.»

Eravamo nel soggiorno di Dougie. Dougie non è la migliore delle casalinghe, d’accordo, ma la stanza sembrava più incasinata del solito. I cuscini erano tutti di traverso sul divano e la porta del guardaroba era aperta. Feci capolino in cucina e mi si presentò più o meno la stessa scena. Gli sportelli dei pensili e i cassetti erano aperti. Anche la porta della cantina era aperta, così come quella del gabinetto. Non mi sembrava che avessimo lasciato tutto così la sera prima.

Posai la borsa sopra il piccolo tavolo della cucina e ci infilai dentro una mano per prendere lo spray urticante e la scacciacani.

«C’è stato qualcuno» dissi al Luna.

«Sì, capita spesso.»

Mi voltai e lo fissai. «Spesso?»

«È la terza volta questa settimana. Credo che qualcuno stia cercando la nostra scorta di roba. E quel vecchio poi, cosa vuole? Prima era tutto gentile con Dougie, è persino venuto qui un’altra volta. E adesso invece ce l’ha con me. Non so cosa pensare, piccola.»

Rimasi lì a bocca aperta e con gli occhi leggermente fuori dalle orbite per qualche minuto. «Aspetta un momento, mi stai dicendo che DeChooch è tornato dopo aver consegnato le sigarette?»

«Sì. Però non sapevo che fosse DeChooch. Non sapevo come si chiamava. Io e Dougie lo chiamavamo semplicemente “il vecchio”. Ero qui quando ha consegnato le sigarette. Dougie mi ha chiamato per aiutarlo a scaricare il camion. E poi è tornato a far visita a Dougie un paio di giorni dopo. Non l’ho visto la seconda volta. Lo so solo perché me l’ha detto Dougie.» Il Luna fece un ultimo tiro dalla cicca. «Però, che coincidenza. Chi avrebbe mai pensato che stavi dando la caccia al vecchio.»

Mentalmente gli diedi una botta in testa.

«Vado a controllare il resto della casa. Tu rimani qui. Se mi senti urlare, chiama la polizia.»

Sono o non sono coraggiosa? A dire il vero, ero quasi sicura che non ci fosse nessuno in casa. Pioveva da almeno un’ora, forse più, e non c’erano tracce di impronte bagnate in giro. Con molta probabilità, la casa era stata messa a soqquadro la sera prima dopo che noi ce ne eravamo andati.

Accesi l’interruttore della luce della cantina e cominciai a scendere le scale. Era una casa piccola con una cantina piccola e non mi ci volle molto per accorgermi che era stata perlustrata da cima a fondo. Salii al piano superiore, dove trovai una situazione analoga. Gli scatoloni nella cantina e nella terza camera da letto erano stati aperti e svuotati sul pavimento.

Era chiaro che il Luna non aveva idea di cosa DeChooch stesse cercando. Il Luna non era abbastanza intelligente da fare il doppio gioco.

«Manca qualcosa?» gli chiesi. «Dougie si è mai accorto che mancasse qualcosa dopo che la casa era stata messa sotto sopra?»

«Un arrosto.»

«Come, scusa?»

«Giuro su Dio. C’era un arrosto nel freezer e qualcuno se l’è portato via. Era piccolo. Neanche un chilo e mezzo. Era rimasto da un pezzo di manzo che a Dougie era capitato fra le mani. Sai… trovato per strada. Ci era restato solo quello. L’avevamo tenuto per noi nel caso un giorno ci fosse venuta voglia di cucinare qualcosa.»

Tornai in cucina e controllai freezer e frigorifero. Nel freezer c’erano del gelato e una pizza congelata. Nel frigorifero c’erano della Coca-Cola e dei resti di pizza.

«È una vera tristezza» disse il Luna. «La casa non è la stessa senza il vecchio Dougie.»

Mi pesava doverlo ammettere, ma avevo bisogno di aiuto con DeChooch. La mia idea era che fosse lui la chiave della sparizione di Dougie, ma continuava a sfuggirmi.


Connie si stava preparando a chiudere l’ufficio quando io e il Luna entrammo. «Sono contenta che tu sia qui» disse. «Ho un MC per te. Roseanne Kreiner. Donna d’affari nel ramo prostituzione. Il suo ufficio è all’angolo tra la Stark e la Dodicesima. Accusata di aver picchiato a sangue uno dei suoi clienti. Immagino che non volesse pagare per la prestazione ricevuta. Non dovrebbe essere difficile trovarla. Forse non voleva sottrarre del tempo alla sua attività per presentarsi in tribunale.»

Presi la cartellina dalle mani di Connie e la infilai nella borsa. «Notizie di Ranger?»

«Ha consegnato il suo uomo stamattina.»

Hurrà. Ranger era tornato. Potevo chiedergli di darmi una mano.

Composi il suo numero di telefono, ma non mi rispose nessuno. Lasciai un messaggio e provai al cercapersone. Un attimo dopo il mio cellulare squillò e sentii una scarica di adrenalina salirmi dallo stomaco. Ranger.

«Ehilà» disse.

«Mi farebbe comodo il tuo aiuto per un MC.»

«Qual è il problema?»

«È vecchio e se gli sparo ci farò la figura della perdente.»

Sentii Ranger che rideva all’altro capo del telefono. «Cosa ha fatto?»

«Di tutto. È Eddie DeChooch.»

«Vuoi che gli parli?»

«No. Voglio che tu mi dia delle idee su come acciuffarlo senza doverlo ammazzare. Ho paura che se lo stordisco con la scacciacani potrebbe rimanere stecchito.»

«Fatti aiutare da Lula. Incastralo e mettigli le manette.»

«Tutte cose già fatte.»

«È riuscito a farla a te e Lula insieme? Ehi, bambina, avrà almeno ottant’anni. Non ci vede. Non ci sente. Gli ci vuole un’ora e mezzo per svuotare la vescica.»

«È stato complicato.»

«La prossima volta potresti provare a sparargli a un piede» disse Ranger. «Di solito funziona.» E chiuse la comunicazione.

Benone.

Allora chiamai Morelli.

«Ho delle novità per te» disse Joe. «Ho incontrato Costanza quando sono uscito a comprare il giornale. Ha detto che ha ricevuto il referto dell’autopsia su Loretta Ricci: è morta d’infarto.»

«E dopo le hanno sparato?»

«Indovinato, dolcezza.»

Troppo strano.

«So che è il tuo giorno libero, ma mi chiedevo se potessi farmi un favore» dissi a Morelli.

«Oh, cavolo.»

«Speravo che potessi fare da baby sitter al Luna. È invischiato in questa storia di DeChooch e non so se sia il caso di lasciarlo da solo a casa mia.»

«Io e Bob siamo pronti per guardare la partita. È tutta la settimana che aspettiamo questo momento.»

«Il Luna può guardare la partita insieme a voi. Lo porto lì da te.»

Riagganciai prima che Morelli potesse dire no.


Roseanne Kreiner se ne stava al suo angolo, sotto la pioggia, bagnata fradicia e visibilmente infuriata. Se fossi stata un uomo l’avrei tenuta bene alla larga dal mio uccello. Aveva un paio di stivali a tacco alto e addosso una busta nera della spazzatura. Difficile dire cosa indossasse sotto quella busta. Forse niente. Passeggiava avanti e indietro facendo segno alle auto che passavano, e quando non si fermavano salutava i conducenti alzando il dito medio. Sul foglio di arresto c’era scritto che aveva cinquantadue anni.

Accostai al marciapiede e abbassai il finestrino. «Vai anche con le donne?»

«Tesoro, io vado con i maiali, le vacche, le anatre, e anche con le donne. Basta pagare e io ci sto. Venti verdoni per un lavoretto con le mani. Per tutta la giornata mi devi pagare lo straordinario.»

Le mostrai una banconota da venti e lei salì in macchina. Feci scattare la chiusura automatica degli sportelli e partii diretta alla centrale di polizia.

«Va bene qualsiasi stradina laterale» disse.

«Devo confessarti una cosa.»

«Oh, merda. Sei una piedipiatti? Non dirmi che sei una piedipiatti.»

«No, non sono una piedipiatti. Sono una cacciatrice di latitanti. Non ti sei presentata in tribunale il giorno prestabilito e devi fissare un’altra udienza.»

«Posso tenermi i venti dollari?»

«Va bene, tieniti i venti dollari.»

«Vuoi che ti dia una toccatina?»

«No!»

«Diamine. Non c’è bisogno di urlare. È solo che non ti volevo fregare. Faccio sempre quello per cui i clienti mi pagano.»

«E che mi dici del tipo al quale le hai suonate?»

«Non voleva pagare. Pensi che me ne stia qua fuori perché mi fa bene alla salute? Mia madre è in una casa di cura. Se non pago la retta mensile viene a vivere da me.»

«E sarebbe così tragico?»

«Piuttosto mi scopo un rinoceronte.»

Lasciai l’auto nel parcheggio della polizia, feci per ammanettarla ma lei cominciò ad agitare le mani in aria.

«Non voglio che mi ammanetti» diceva. «Neanche per sogno.»

E poi, non so come, in quell’agitarsi e dimenarsi di mani la chiusura dello sportello si sbloccò e Roseanne saltò fuori dalla macchina e corse in strada. Aveva un certo vantaggio, ma portava i tacchi alti mentre io avevo un paio di scarpe da ginnastica e la riacciuffai dopo due isolati. Nessuna delle due era in forma. Lei fischiava a ogni respiro e io mi sentivo come se avessi avuto il fuoco nei polmoni. Le bloccai i polsi con le manette e lei si mise seduta.

«Non ti sedere» dissi.

«Non mi frega. Non vado da nessuna parte.»

Avevo lasciato la borsa in macchina e l’auto sembrava parecchio lontana. Se avessi fatto una corsa a prendere il mio cellulare Roseanne non sarebbe certo stata lì al mio ritorno. Lei se ne stava seduta a piagnucolare, io in piedi a imprecare.

Certi giorni non vale proprio la pena alzarsi dal letto.

Avevo una gran voglia di darle un bel calcio in un fianco, ma probabilmente le avrei lasciato il segno e allora avrebbe potuto citare Vinnie per comportamento violento della cacciatrice di taglie. Vinnie detestava quando questo succedeva.

Aveva cominciato a piovere più forte ed eravamo entrambe fradice. Avevo i capelli appiccicati sul viso e i Levi’s si erano inzuppati. Eravamo praticamente a un punto morto. Che finì quando ci passò davanti in auto Eddie Gazzara che andava a pranzo. Eddie è uno sbirro di Trenton ed è sposato con mia cugina Shirley la Piagnona.

Eddie abbassò il finestrino e scosse la testa facendo dei versi con aria di sufficienza.

«Ho un problema con un MC» gli dissi.

Eddie sorrise. «Lo vedo.»

«Che ne dici di aiutarmi a feria salire in macchina da te?»

«Piove! Mi bagnerà tutto.»

Lo guardai a occhi stretti.

«Ti costerà qualcosa» disse Gazzara.

«Non ho intenzione di fare la baby sitter.» I suoi figli erano carini, ma l’ultima volta che ero rimasta da loro mi ero addormentata e mi avevano tagliato venti centimetri di capelli.

Un altro verso di sufficienza. «Ehi, Roseanne» gridò. «Vuoi un passaggio?»

Roseanne si alzò e lo guardò. Stava decidendo.

«Se sali in macchina, Stephanie ti regala dieci verdoni» disse Gazzara.

«E invece no» urlai. «Gliene ho già dati venti.»

«Ti sei fatta dare una toccatina?» chiese Gazzara.

«No!»

Fece ancora un altro verso.

«Allora» disse Roseanne «che facciamo?»

Mi soffiai via i capelli dal viso. «Facciamo che ti do un calcio alle reni se non trascini le chiappe in quella macchina.»

Quando si mette veramente male… conviene sempre provare con una minaccia vana.

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