Parcheggiai la macchina sotto casa e arrancai verso l’appartamento, lasciandomi alle spalle una scia di pozzanghere. Benny e Ziggy mi aspettavano nell’ingresso.
«Ti abbiamo portato della confettura di fragole» disse Benny. «È di quella buona. Smucker, la marca migliore.»
Presi la marmellata e aprii la porta dell’appartamento. «Che cosa volete?»
«Abbiamo sentito dire che hai sorpreso Chooch mentre si faceva un cicchetto insieme a padre Carolli.»
Sorridevano, godendosi evidentemente la situazione.
«Quel Choochy è proprio un fenomeno» disse Ziggy. «È vero che ha sparato a Gesù?»
Sorrisi anch’io. Choochy era davvero un fenomeno. «Le notizie volano» commentai.
«Abbiamo, come dire, degli agganci» rispose Ziggy. «A ogni modo, voghamo solo sapere il tuo parere. Come ti è parso Choochy? Stava bene? Era lucido o no?»
«Ha sparato un paio di colpi al Luna, ma lo ha mancato. Carolli mi ha detto che Chooch è facilmente eccitabile da quando ha avuto l’ictus.»
«E non ci sente più neanche tanto bene» aggiunse Benny.
Al che si scambiarono un’occhiata. Questa volta senza sorridere.
I Levi’s che avevo addosso sgocciolavano e avevano formato un laghetto sul pavimento della cucina. Ziggy e Benny si erano debitamente allontanati.
«Dov’è il tuo amico imbranato?» chiese Benny. «Non viene più in giro con te?»
«Aveva delle cose da fare.»
Mi sfilai di dosso i vestiti non appena Benny e Ziggy se ne furono andati. Rex correva sulla sua ruota, fermandosi di tanto in tanto per guardarmi, incapace di afferrare il concetto di pioggia. A volte rimaneva seduto sotto la bottiglietta dell’acqua che gli gocciolava in testa, ma in generale la sua esperienza di tempo atmosferico era limitata.
Indossai una T-shirt nuova e un paio di Levi’s puliti e mi asciugai i capelli con il phon. Una volta finito, mi ritrovai con una chioma tutto volume e niente forma, così decisi di creare una sorta di diversivo applicando un eye-liner azzurro vivo sugli occhi.
Mi stavo infilando gli stivali quando squillò il telefono.
«Tua sorella sta venendo da te» disse mia madre. «Ha bisogno di parlare con qualcuno.»
Valerie doveva essere davvero disperata per scegliere di parlare con me. Andiamo abbastanza d’accordo, ma non siamo mai state molto affiatate. Troppe differenze sostanziali di carattere. E quando si è trasferita in California ci siamo allontanate ancora di più.
Strano come vanno le cose. Eravamo tutti convinti che il matrimonio di Valerie fosse perfetto.
Il telefono squillò di nuovo e questa volta era Morelli.
«Canticchia» disse. «Quando vieni a riprendertelo?»
«Canticchia?»
«Io e Bob stiamo cercando di guardare la partita ma questo qui non smette di canticchiare.»
«Forse è nervoso.»
«Eccome, cazzo. Fa bene a essere nervoso. Se non smette di canticchiare lo strangolo.»
«Prova a dargli qualcosa da mangiare.»
E riagganciai.
«Vorrei tanto sapere che cos’è che cercano tutti» dissi rivolta al criceto Rex. «So che ha a che fare con la scomparsa di Dougie.»
Qualcuno bussò alla porta ed ecco mia sorella, con il suo look da Meg Ryan, ma vispa e su di giri come Doris Day. Probabilmente sarebbe stata perfetta per la California, ma qui in New Jersey non siamo tanto briosi.
«Sei assolutamente su di giri» osservai. «Non ti ricordavo così.»
«Non sono su di giri… sono allegra. Non voglio più piangere, mai più. A nessuno piacciono i musi lunghi. Voglio voltare pagina e voglio essere felice. Sarò così felice che in confronto a me Mary Sunshine, la star del musical, sembrerà una sfigata.»
Accidenti!
«E sai perché posso essere felice? Posso essere felice perché sono una persona equilibrata.»
Per fortuna che Valerie era tornata in New Jersey. Avremmo sistemato tutto.
«Così questo è il tuo appartamento» disse guardandosi in giro. «Non c’ero mai stata.»
Mi guardai attorno anch’io e quello che vidi non mi fece una buona impressione. Ho un sacco di buone idee per il mio appartamento, ma non so perché non mi decido mai a comprare quei reggicandela di vetro che ho visto al negozio di lampadari o la fruttiera in ottone nel negozio di casalinghi. Alle finestre ho tende dozzinali. I mobili sono relativamente nuovi ma scelti senza uno stile preciso in mente.
Quello dove abito è uno dei tanti appartamenti tutti uguali e a poco prezzo costruiti negli anni Settanta. Un architetto elegante alla Martha Stewart inorridirebbe se lo vedesse.
«Diamine» dissi «mi dispiace davvero per Steve. Non sapevo che voi due aveste dei problemi.»
Valerie si abbandonò a sedere sul divano. «Non lo sapevo neanch’io. Mi ha preso alla sprovvista. Un giorno sono tornata dalla palestra e mi sono accorta che i vestiti di Steve non c’erano più. Poi ho trovato un biglietto sul piano della cucina in cui mi diceva che si sentiva in trappola e che doveva andarsene. Dopodiché ho ricevuto un avviso di pignoramento sulla casa.»
«Wow.»
«Sto pensando che forse potrebbe essere una buona cosa. Cioè, questa faccenda potrebbe aprirmi tutta una serie di nuove esperienze. Tanto per cominciare, devo trovarmi un lavoro.»
«Hai qualche idea?»
«Voglio diventare una cacciatrice di taglie.»
Ero senza parole. Valerie. Una cacciatrice di taglie.
«L’hai detto alla mamma?»
«No. Pensi che dovrei?»
«No!»
«Quando fai la cacciatrice di taglie, puoi organizzarti l’orario di lavoro come vuoi, giusto? Così potrei essere a casa quando le bambine tornano da scuola. E poi le cacciatrici di taglie sono gente tosta, ed è così che voglio che diventi la nuova Valerie… allegra ma tosta.»
Valerie indossava un cardigan rosso di Talbots, jeans firmati ben stirati e mocassini pitonati.
«Tosta» sembrava un po’ eccessivo.
«Non sono sicura che tu sia adatta per fare la cacciatrice di taglie» le dissi.
«Certo che sono adatta» rispose entusiasta. «Devo solo entrare nella mentalità giusta.» Si raddrizzò a sedere nel divano e cominciò a canticchiare. «Io punto in alto… punto in aaaalto!»
Fortunatamente la pistola era in cucina, perché mi era venuto un bisogno impellente di sparare a mia sorella. La sua allegria stava prendendo una piega che non mi piaceva per niente.
«La nonna ha detto che lavori a un caso importante e che forse ti potrei aiutare» disse.
«Non so… questo tipo è un assassino.»
«Ma è anziano, giusto?»
«Già. È un assassino anziano.»
«Mi pare che sia un buon modo per cominciare» annunciò Valerie saltando via dal divano. «Andiamo a prenderlo.»
«Non so precisamente dove trovarlo.»
«Probabilmente sarà al laghetto che dà da mangiare alle anatre. È questo che fanno normalmente gli anziani. Di notte guardano la TV e di giorno vanno a dar da mangiare alle anatre.»
«Sta piovendo. Non credo che se ne starebbe fuori a dar da mangiare alle anatre sotto la pioggia.»
Valerie diede un’occhiata alla finestra. «Giusta osservazione.»
Qualcuno bussò con decisione alla porta e poi cominciò ad armeggiare con la serratura come per vedere se fosse chiusa a chiave. Poi bussò di nuovo.
Morelli, pensai. Che mi restituisce il Luna.
Aprii la porta ed Eddie DeChooch entrò nell’ingresso. Teneva in mano la pistola e aveva un’espressione seria.
«Dov’è?» chiese. «So che sta qui da te. Dov’è quel bastardo schifoso?»
«Stai parlando del Luna?»
«Sto parlando di quell’inutile pezzo di merda che mi sta prendendo per il culo. Ha una cosa che mi appartiene e la rivoglio.»
«Come sai che ce l’ha il Luna?»
DeChooch mi scansò con una spinta e andò prima in camera da letto, poi nel bagno. «Il suo amico non ce l’ha. E non ce l’ho neanch’io. L’unico che rimane è quell’imbecille del Luna.» Aprì vari sportelli e li richiuse sbattendoli. «Dov’è? So che l’hai messo al sicuro da qualche parte.»
Alzai le spalle. «Mi ha detto che aveva delle commissioni da fare e da allora non l’ho più visto.»
Puntò la pistola alla tempia di Valerie. «Chi è questa bambolina?»
«È mia sorella Valerie.»
«Forse dovrei spararle.»
Valerie guardò la pistola di traverso. «È vera quella pistola?»
DeChooch spostò la pistola di una quindicina di centimetri a destra e lasciò partire un colpo. Il proiettile mancò il televisore di un millimetro e andò a conficcarsi nel muro.
Valerie sbiancò e fece un verso stridulo.
«Perdinci, squittisce come un topo» disse Eddie.
«Come la mettiamo con il muro?» gli chiesi. «La pallottola ci ha fatto un bel buco.»
«Puoi far vedere il buco al tuo amico. Puoi dirgli che si ritroverà con la testa come quel muro se non riga dritto.»
«Forse potrei aiutarti a recuperare questa cosa se mi dici di che si tratta.»
DeChooch uscì lentamente dalla porta di casa con la pistola puntata contro Valerie e me. «Non seguitemi» disse «o vi sparo.»
A Valerie cedettero le ginocchia e crollò con il sedere a terra.
Aspettai un paio di minuti prima di andare alla porta e guardare fuori, lungo il corridoio. Credevo a quello che DeChooch aveva detto a proposito di sparare. Ma quando mi affacciai al corridoio Eddie era già scomparso. Chiusi la porta a chiave e corsi alla finestra. Il mio appartamento guarda sul retro dell’edificio e le finestre danno sul parcheggio. Non è quella che si dice una vista panoramica, ma toma utile quando c’è da tenere d’occhio dei vecchi pazzi che vogliono fuggire.
Vidi DeChooch uscire dall’edificio e partire con la sua Cadillac bianca. La polizia lo stava cercando, io lo stavo cercando, e lui se ne andava in giro con la Cadillac bianca. Non quello che si dice un criminale invisibile. E allora perché nessuno riusciva a prenderlo? Per quanto mi riguardava, sapevo la risposta. Ero un’incompetente.
Valerie era ancora a terra e bianca in viso.
«Forse è il caso che ripensi a questa faccenda della cacciatrice di taglie» suggerii a Valerie. Forse dovevo ripensarci anch’io.
Valerie tornò a casa dei miei per prendersi una delle sue pasticche di Valium e io telefonai a Ranger.
«Mi chiamo fuori da questo caso» gli dissi. «Lo passo a te.»
«Di solito non ti tiri mai indietro» rispose. «Cosa c’è che non va?»
«DeChooch mi sta facendo passare per idiota.»
«E allora?»
«Dougie Kruper si è volatilizzato e credo che la sua scomparsa sia in qualche modo legata a DeChooch. La mia paura è che continuando a non concludere niente con DeChooch potrei mettere in pericolo Dougie.»
«Dougie Kruper è stato probabilmente rapito dagli alieni.»
«Vuoi prenderti questo caso, o no?»
«No, non lo voglio.»
«Bene. Va’ al diavolo.» Riattaccai e feci la linguaccia al telefono. Afferrai la borsa e l’impermeabile, uscii sul pianerottolo con passo pesante e imboccai le scale.
Nell’atrio c’era la signora DeGuzman. Viene dalle Filippine e non parla una parola di inglese.
«È un’umiliazione» dissi alla signora DeGuzman.
Lei mi sorrise e fece su e giù con la testa come quei cani che certa gente attacca sul lunotto posteriore.
Salii sulla CR-V e rimasi seduta per un momento a ripetermi cose del tipo: preparati a morire, DeChooch. E anche: basta con le buone, ora è la guerra. Ma poi non riuscii a pensare a un modo per trovarlo, così feci un salto dal fornaio.
Mancava poco alle cinque quando tornai nel mio appartamento. Aprii la porta e soffocai un grido. C’era un uomo nel mio soggiorno. Guardai meglio e vidi che era Ranger. Era seduto su una sedia, assolutamente rilassato, e mi guardava con attenzione.
«Mi hai riattaccato in faccia» disse. «Non ci provare mai più.»
La voce era calma, ma aveva il solito, inconfondibile tono autoritario. Portava un paio di pantaloni sportivi neri, una maglia nera in fibra ultraleggera a maniche lunghe tirate su fino al gomito e un paio di costosi mocassini neri. Aveva i capelli cortissimi. Ero abituata a vederlo col suo abbigliamento da squadra speciale e capelli lunghi e non l’avevo riconosciuto subito. Suppongo che il cambio di immagine puntasse proprio a questo.
«È un travestimento?» chiesi.
Mi guardò senza rispondere. «Cos’hai nella busta?»
«Un maritozzo d’emergenza. Che ci fai qui?»
«Ho pensato che potremmo fare un patto. Quanto è importante per te acciuffare DeChooch?»
Oh, cavolo. «Cosa hai in mente?»
«Tu trovi DeChooch. Se hai problemi a catturarlo mi chiami. Se io ci riesco, tu vieni a letto con me.»
Il cuore mi si fermò. Io e Ranger facevamo questo gioco da un po’, ormai, ma non eravamo mai stati così espliciti.
«Veramente sarei fidanzata con Morelli» dissi.
Ranger sorrise.
Merda.
Ci fu un rumore di chiave nella serratura e la porta di casa si spalancò. Morelli entrò con decisione e lui e Ranger si salutarono con un cenno del capo.
«È finita la partita?» chiesi a Joe.
Lui mi fulminò con un’occhiata. «La partita è finita e ho anche finito di fare il baby sitter. E non voglio vederlo mai più.»
«Dov’è?»
Morelli si girò a guardare. Nessuna traccia del Luna. «Cristo» disse Joe. Uscì e tornò trascinando in casa il Luna per il colletto della giacca e in quel momento mi fece pensare a una gatta che trascina il suo cucciolo scemo prendendolo in bocca dietro il collo.
«Piccola» disse il Luna.
Ranger si alzò e mi diede un biglietto con su scritto un nome e un indirizzo. «La proprietaria della Cadillac bianca» spiegò. Si infilò la giacca di pelle nera e se ne andò. Un campione di socievolezza.
Morelli depositò il Luna su una sedia davanti alla TV, gli puntò contro il dito e gli disse di non muoversi.
Rivolsi uno sguardo perplesso a Joe.
«Con Bob funziona» disse. Accese il televisore e mi fece segno di andare in camera da letto. «Dobbiamo parlare un po’.»
Un tempo l’idea di ritrovarmi in una camera da letto con Morelli mi spaventava a morte. Adesso mi fa perlopiù contrarre i capezzoli.
«Che c’è?» dissi, chiudendo la porta.
«Il Luna dice che oggi hai scelto un abito da sposa.»
Chiusi gli occhi e mi buttai all’indietro sul letto. «È vero! Mi sono lasciata trascinare.» Mugolai. «Mia madre e mia nonna si sono presentate qui da me e nel giro di pochi minuti mi sono ritrovata da Tina a provare abiti da sposa.»
«Me lo diresti se ci sposassimo, vero? Cioè, non sei il tipo che mi si presenta sulla porta di casa e mi dice che fra un’ora dobbiamo essere in chiesa.»
Mi misi seduta e lo guardai strizzando gli occhi. «Non c’è bisogno di impermalosirsi.»
«Gli uomini non si impermalosiscono» precisò Morelli. «Gli uomini si ubriacano. Le donne si impermalosiscono.»
Saltai su dal letto. «Questi commenti sessisti sono la tua specialità!»
«Calmati» disse. «Sono italiano. È normale che io faccia commenti sessisti.»
«Con me non funziona.»
«Dolcezza, sarà meglio che sistemi la faccenda prima che a tua madre arrivi l’addebito del vestito da sposa sulla Visa.»
«Be’, tu cosa vuoi fare? Ti vuoi sposare?»
«Certo. Sposiamoci subito.» Allungò dietro una mano e chiuse la porta della camera a chiave. «Spogliati.»
«Cosa?»
Morelli mi distese sul letto con una spinta e si piegò verso di me. «Il matrimonio è uno stato mentale.»
«Non a casa mia.»
Mi sollevò la maglietta per guardare sotto.
«Fermati! Aspetta un minuto!» dissi. «Non posso farlo con il Luna nell’altra stanza.»
«Sta guardando la televisione.»
Con la mano chiusa a coppa mi toccò l’osso pubico e con l’indice fece qualcosa di magico che mi fece brillare gli occhi e uscire un po’ di saliva dall’angolo della bocca. «La porta è chiusa, vero?»
«Sì, è chiusa» rispose. Mi aveva fatto scivolare le mutandine alle ginocchia.
«Forse dovresti controllare.»
«Controllare cosa?»
«Il Luna. Verificare che non stia origliando dietro la porta.»
«Non mi importa se è dietro la porta.»
«A me sì.»
Morelli fece un sospiro e rotolò via da sopra a me. «Mi sarei dovuto innamorare di Joyce Barnhardt. Lei avrebbe invitato il Luna a guardare.» Socchiuse la porta e guardò fuori. La aprì un po’ di più. «Oh, merda» disse.
Saltai in piedi con le mutandine di nuovo al loro posto. «Cosa? Cosa c’è?»
Joe era uscito dalla stanza, sì muoveva per casa aprendo e chiudendo le porte. «Il Luna se ne è andato.»
«Come è possibile?»
Morelli si fermò e mi guardò. «Ci importa?»
«Sì!»
Un altro sospiro. «Siamo stati in camera da letto un paio di minuti. Non può essere andato lontano. Vado a cercarlo.»
Attraversai la stanza fino alla finestra e guardai giù verso il parcheggio. Un’auto si stava allontanando. Era difficile vederla con la pioggia, ma sembrava quella di Ziggy e Benny. Scura, di fabbricazione americana, di media grandezza. Presi al volo la borsa, chiusi la porta di casa a chiave e mi precipitai lungo il corridoio. Raggiunsi Morelli nell’atrio. Uscimmo di corsa sul parcheggio e ci fermammo. Nessuna traccia del Luna. La berlina scura non era più in vista.
«Può darsi che sia con Ziggy e Benny» dissi.
«Dovremmo provare al loro circolo sociale.» Non riuscivo a immaginare dove altro potessero portare il Luna. Non mi sembrava verosimile che se lo fossero portato a casa con loro.
«Ziggy, Benny e Chooch sono soci del Domino su Mulberry Street» disse Morelli mentre salivamo sul suo fuoristrada. «Perché pensi che il Luna sia con Benny e Ziggy?»
«Mi è sembrato di vedere la loro macchina che si allontanava dal parcheggio. E ho la sensazione che Dougie, DeChooch, Benny e Ziggy siano tutti coinvolti in qualcosa che è cominciato con l’affare delle sigarette.»
Percorremmo le strade del Burg fino alla Mulberry e, come previsto, la berlina blu scuro di Benny era parcheggiata davanti al circolo sociale Domino. Scesi e misi una mano sul cofano. Caldo.
«Come vuoi procedere?» domandò Joe. «Vuoi che ti aspetti qui in macchina? O vuoi che ti apra la strada?»
«Il fatto che io sia una donna emancipata non significa che sia una cretina. Aprimi la strada.»
Andò a bussare e un vecchio socchiuse la porta tenendo inserita la catenella di sicurezza.
«Vorrei parlare con Benny» disse Morelli.
«Benny ha da fare.»
«Digli che lo vuole Joe Morelli.»
«Ha da fare ugualmente.»
«Digli che se non viene immediatamente alla porta gli do fuoco alla macchina.»
Il vecchio se ne andò e tornò dopo neanche un minuto. «Benny dice che se gli dai fuoco alla macchina gli toccherà ammazzarti. E poi farà la spia a tua nonna.»
«Di’ a Benny che è meglio per lui se Walter Dunphy non è qui, perché si dà il caso che Dunphy sia sotto la protezione di mia nonna. Se gli succede qualcosa, Benny si ritrova addosso il malocchio.»
Due minuti dopo la porta si aprì una terza volta e il Luna venne spinto fuori.
«Accidenti» dissi a Morelli. «Sono senza parole.»
«Piccola» salutò il Luna.
Facemmo salire il Luna nel fuoristrada e lo riportammo nel mio appartamento. Rise per tutto il tragitto e per me e Joe non fu difficile intuire il genere di esca che Benny aveva usato con lui.
«Sono stato proprio fortunato» disse il Luna, sorridente e intimorito. «Ho fatto un salto fuori per trovare un po’ di roba e quei due tipi erano là nel parcheggio. Ora gli piaccio.»
Da quando ho memoria, la domenica mattina mia madre e mia nonna vanno a messa. E tornando a casa si fermano dal fornaio per comprare una busta di ciambelle alla marmellata per mio padre, il peccatore. Calcolando bene i tempi, il Luna e io saremmo arrivati al massimo un paio di minuti dopo le ciambelle. Mia madre sarebbe stata contenta perché ero andata a trovarla, il Luna perché si sarebbe mangiato una ciambella. E io sarei stata contenta perché nonna Mazur mi avrebbe raccontato gli ultimissimi pettegolezzi su tutto e tutti, Eddie DeChooch compreso.
«Ho una notizia bomba» disse la nonna quando venne ad aprirci. «Stiva ha preso in consegna Loretta Ricci ieri e la prima veglia sarà questa sera alle sette. Si farà a bara chiusa, ma penso che valga comunque la pena andare. Forse si farà vedere anche Eddie. Metterò il vestito rosso nuovo. Ci sarà il tutto esaurito. Saranno tutti lì.»
Angie e Mary Alice erano in soggiorno davanti alla TV, che trasmetteva a un volume così alto da far vibrare i vetri alle finestre. Anche mio padre era in soggiorno, comodamente seduto nella sua poltrona preferita, e leggeva il giornale con uno sforzo tale da fargli diventare bianche le nocche delle dita.
«Tua sorella è a letto con l’emicrania» disse la nonna. «Credo che tutta quell’allegria sia stata troppo per lei. E tua madre sta preparando gli involtini di cavolo. In cucina ci sono le ciambelle, ma se non ti vanno ho una bottiglia in camera mia. Questo posto è un manicomio.»
Il Luna prese una ciambella e si trasferì in soggiorno a guardare la TV con le bambine. Io mi versai del caffè e mi sedetti al tavolo della cucina con la mia ciambella.
La nonna mi si sedette di fronte. «Che programmi hai per oggi?»
«Ho una pista su Eddie DeChooch. Se ne va in giro con una Cadillac bianca e ho appena avuto il nome della proprietaria. Mary Maggie Mason.» Tirai fuori il biglietto dalla tasca e lo guardai. «Perché questo nome non mi suona per niente nuovo?»
«Tutti conoscono Mary Maggie Mason» disse la nonna. «È una celebrità.»
«Non ne ho mai sentito parlare» intervenne mia madre.
«Certo, perché non vai mai da nessuna parte» fece la nonna. «Mary Maggie è una di quelle lottatrici nel fango che si esibiscono allo Snake Pit. È la più brava di tutte.»
Mia madre alzò gli occhi dal recipiente pieno di manzo, riso e pomodori. «E tu come fai a saperlo?»
«Io ed Elaine Barkolowski andiamo allo Snake Pit qualche volta dopo il bingo. Il giovedì c’è il wrestling maschile e i lottatori indossano solo dei costumini per coprirsi le parti intime. Niente a che vedere con The Rock, ma non sono neanche troppo male.»
«Che vergogna» commentò mia madre.
«Già» rispose la nonna. «L’ingresso costa cinque dollari, ma ne vale la pena.»
«Il lavoro mi chiama» dissi a mia madre. «Ti dispiace se lascio qui il Luna per un po’?»
«Non si droga più, vero?»
«No. È pulito.» Da ben dodici ore. «Magari, però, è meglio se metti via la colla e lo sciroppo per la tosse… non si sa mai.»
L’indirizzo di Mary Maggie Mason che Ranger mi aveva dato corrispondeva a un esclusivo condominio a torre affacciato sul fiume. Percorsi il parcheggio sotterraneo per dare un’occhiata alle auto. Nessuna Cadillac bianca, ma c’era una Porsche color argento sulla cui targa era scritto MMM-YUM.
Parcheggiai in uno degli spazi riservati agli ospiti e presi l’ascensore fino al settimo piano. Avevo jeans e stivali e una giacca di pelle nera sopra un maglione nero: non mi sentivo vestita in maniera adeguata per quell’edificio. Era un posto dove bisognava andare in seta grigia e tacchi alti, e con una pelle perfetta, appena uscita dalle mani esperte di un’estetista.
Mary Maggie Mason venne ad aprire al mio secondo colpo sulla porta. Indossava un paio di pantaloni felpati e i capelli castani erano legati a coda di cavallo. «Sì?» disse, scrutandomi da dietro le lenti degli occhiali in tartaruga, mentre in mano aveva un romanzo di Nora Roberts. Mary Maggie, la lottatrice di wrestling, legge romanzi d’amore. A dire il vero, da quel poco che riuscivo a vedere alle sue spalle, Mary Maggie leggeva di tutto. C’erano libri ovunque.
Le diedi il mio biglietto da visita e mi presentai. «Sto cercando Eddie DeChooch» dissi. «Corre voce che se ne vada in giro per la città guidando la sua auto.»
«La Cadillac bianca? Sì. A Eddie serviva una macchina e io non uso mai la Cadillac. L’ho ereditata quando mio zio Ted è morto. Probabilmente dovrei venderla, ma è un ricordo.»
«Come conosce Eddie?»
«È uno dei proprietari dello Snake Pit. Eddie, Pinwheel Soba e Dave Vincent. Perché lo sta cercando? Non lo vorrà mica arrestare? È un vecchietto dolcissimo.»
«Non si è presentato all’udienza in tribunale e deve fissarne un’altra. Sa dove posso trovarlo?»
«Mi spiace. Ha fatto un salto qui la settimana scorsa. Non ricordo che giorno fosse. Voleva prendere in prestito l’auto. La sua è un vero disastro. C’è sempre qualcosa che non funziona e così spesso gli presto la Cadillac. Gli piace guidarla perché è grande e bianca e di notte la trova facilmente nel parcheggio. Eddie non ci vede benissimo.»
Non che siano affari miei, ma non presterei la mia macchina a un cieco. «A quanto pare, lei legge molto.»
«Sono una libro-dipendente. Quando chiuderò con il wrestling voglio aprire una libreria di romanzi gialli.»
«Si riesce a vivere vendendo romanzi gialli?»
«No. Nessuno si guadagna da vivere vendendo romanzi gialli. I negozi sono tutti delle coperture per le attività di scommesse clandestine.»
Eravamo nell’ingresso e mi guardavo intorno per trovare indizi che mi dicessero che DeChooch si nascondeva da Mary Maggie.
«È un bellissimo condominio» dissi. «Non immaginavo che si facessero così tanti soldi con il wrestling.»
«A lottare nel fango non si guadagna niente. Vivo grazie a qualche pubblicità in cui faccio da testimonial. E poi ho un paio di sponsor.» Mary Maggie diede uno sguardo all’orologio. «Cavoli, guarda un po’ che ora si è fatta. Devo andare. Devo essere in palestra tra mezz’ora.»
Uscii dal parcheggio sotterraneo e mi fermai su una strada secondaria per fare qualche telefonata. La prima fu al cellulare di Ranger.
«Ehilà» rispose.
«Sai che DeChooch è proprietario di un terzo dello Snake Pit?»
«Sì, ha vinto la quota a dadi due anni fa. Pensavo lo sapessi.»
«No che non lo sapevo!»
Silenzio.
«Cos’altro sai che io non so?» gli chiesi.
«Quanto tempo abbiamo?»
Riattaccai e chiamai la nonna.
«Voglio che mi cerchi un paio di nomi sull’elenco telefonico» le dissi. «Ho bisogno di sapere dove abitano Pinwheel Soba e Dave Vincent.»
Sentii la nonna che sfogliava le pagine, poi tornò al telefono. «Nessuno dei due è sull’elenco.»
Cavolo. Morelli sarebbe riuscito a procurarmi gli indirizzi, ma non avrebbe lasciato che mi immischiassi con i proprietari dello Snake Pit. Mi avrebbe fatto la morale dicendomi di stare attenta, ci saremmo messi a urlare e litigare e alla fine avrei dovuto mangiare un bel po’ di dolci per calmarmi i nervi.
Feci un respiro profondo e chiamai di nuovo Ranger.
«Mi servono degli indirizzi» gli dissi.
«Provo a indovinare» fece lui. «Pinwheel Soba e Dave Vincent. Pinwheel vive a Miami. Si è trasferito l’anno scorso. Ha aperto un locale a South Beach. Vincent invece abita a Princeton. Pare che ci sia del rancore tra DeChooch e Vincent.» Mi diede l’indirizzo di Vincent e chiuse la comunicazione.
Con la coda dell’occhio intercettai un bagliore argentato e quando alzai lo sguardo vidi Mary Maggie che sfrecciava dietro l’angolo a bordo della sua Porsche. Misi in moto e la seguii. O meglio, le andai dietro tenendola a vista. Andavamo entrambe nella stessa direzione. A nord. Continuai a starle dietro e mi sembrò che la sua destinazione fosse un po’ troppo distante da casa per trattarsi della palestra. Superai la svolta che avrei dovuto prendere per andare a casa e la seguii attraverso tutto il centro della città fino all’estremità settentrionale di Trenton. Se fosse stata in allerta mi avrebbe individuato. È difficile fare un buon inseguimento con una sola macchina. Per fortuna, Mary Maggie non pensava proprio di essere seguita.
Smisi di starle dietro quando svoltò per Cherry Street. Parcheggiai all’angolo della casa di Ronald DeChooch e vidi Mary Maggie scendere dall’auto, dirigersi verso la porta principale e suonare il campanello. La porta si aprì e Mary Maggie entrò in casa. Dieci minuti dopo, la porta si aprì di nuovo e Mary Maggie Mason uscì. Rimase un paio di minuti a parlare con Ronald sulla veranda. Poi salì nuovamente in macchina e se ne andò. Questa volta era davvero diretta in palestra. Rimasi a guardarla mentre parcheggiava ed entrava nell’edificio, poi me ne andai.
Presi la Route 1 per Princeton, tirai fuori una cartina e individuai la strada dove si trovava la casa di Vincent. Princeton non fa precisamente parte del New Jersey. È un isolotto di ricchezza ed eccentricità intellettuale che galleggia nel Mare della Megalopoli Centrale. È una cittadina semplice in mezzo a un dilagare di centri commerciali. A Princeton la gente ha capigliature più ridotte, tacchi più bassi ed è più bacchettona.
Vincent abitava in un grosso edificio bianco e giallo in stile coloniale situato in un lotto ai margini della città. Separato dal corpo centrale, c’era un garage con due posti auto. Nessuna macchina lungo il vialetto. Nessuna bandiera issata a indicare che Eddie DeChooch era in casa. Parcheggiai una casa più indietro sul lato opposto della strada e rimasi a guardare l’edificio. Tutto molto noioso. Nessuna attività. Traffico zero. Non c’erano bambini che giocavano sul marciapiede. Non c’era il rimbombo della musica heavy metal che usciva da uno di quei grossi stereo portatili. Un baluardo di rispettabilità e decoro. Un po’ ostile. Pur sapendo che la casa era stata acquistata con i proventi dello Snake Pit non potevo non avvertire la tronfia ostentazione di una ricchezza tramandata da generazioni. Non credo che a Dave Vincent avrebbe fatto piacere se una cacciatrice di taglie sulle tracce di Eddie DeChooch avesse disturbato la sua quiete domenicale. E forse era solo un’opinione del tutto personale, ma dubitavo che la signora Vincent avrebbe voluto infangare la sua posizione sociale offrendo a uno come Choochy un posto dove nascondersi.
Dopo un’ora di inutile sorveglianza, si avvicinò lentamente un’auto della polizia e parcheggiò dietro di me. Ottimo. Stavano per mandarmi via a calci dal quartiere. Se al Burg qualcuno mi avesse vista seduta ad aspettare davanti a casa sua, avrebbe portato fuori il cane a pisciarmi sulla ruota della macchina. Il tutto sarebbe stato accompagnato da una serie di improperi e volgarità e mi avrebbero urlato di levarmi dalle scatole. A Princeton, invece, mandano un impeccabile ed educatìssimo agente di polizia a fare un accertamento. Questa sì che è classe.
Non mi sembrava ci fosse nulla da guadagnare a far arrabbiare Mr. Agente Perfetto, così scesi dalla macchina e gli andai incontro mentre controllava la mia targa. Gli porsi il mio biglietto da visita e il contratto che sanciva il mio diritto di arrestare Eddie DeChooch. Poi, come al solito, dovetti spiegargli che si trattava di una semplice sorveglianza.
A sua volta, lui mi spiegò che la brava gente di quel quartiere non era abituata a sentirsi sorvegliata e che probabilmente sarebbe stato meglio per me se avessi fatto il mio lavoro in maniera più discreta.
«Certo» dissi. E poi me ne andai. Se hai come amico uno sbirro, probabilmente è il migliore amico che si possa desiderare. D’altro canto, se non sei in confidenza con uno sbirro, ti conviene non farlo arrabbiare.
Rimanere a sorvegliare la casa di Vincent non sarebbe comunque servito a nulla. Se volevo parlare con lui era meglio andarlo a trovare al lavoro. E poi, non avrebbe guastato fare un salto allo Snake Pit. Non solo avrei potuto parlare con Vincent, ma avrei anche rivisto Mary Maggie Mason. Mi era sembrata una brava persona, ma chiaramente c’era sotto qualcos’altro.
Presi la Route 1 in direzione sud e per capriccio decisi di fermarmi di nuovo a casa di Mary Maggie per dare un’altra occhiata al garage.