Capitolo 3

«Visto che Bob è stato così bravo e che sono di buon umore, ti aiuterò a trovare Eddie DeChooch» disse Lula.

Aveva i capelli tirati in su nel punto dove Joyce glieli aveva afferrati e le era saltato un bottone della camicetta. Portarla con me sarebbe stata probabilmente una garanzia per la mia incolumità dato che aveva l’aspetto di una persona assolutamente folle e pericolosa.

Joyce era ancora a terra, ma aveva un occhio aperto e muoveva le dita. Meglio per Lula, Bob e me uscire prima che Joyce aprisse anche l’altro.

«Che ne pensi, allora?» mi chiese Lula quando fummo saliti tutti e tre in macchina diretti a Front Street. «Credi che io sia grassa?»

Lula non dava l’impressione di avere molto grasso addosso. Era compatta. Compatta come un wurstel. Ma un wurstel di quelli belli grossi.

«Non proprio grassa» dissi. «Direi più grossa.»

«E non ho neanche un filo di cellulite.»

Era vero. I wurstel non hanno la cellulite.

Mi diressi a ovest sulla Hamilton, verso il fiume e quindi verso Front Street. Lula stava davanti, sul sedile del passeggero, e Bob era dietro con la testa fuori dal finestrino, gli occhi a fessura e le orecchie che sventolavano. C’era il sole e l’aria era quasi primaverile. Se non fosse stato per Loretta Ricci avrei accantonato la ricerca di Eddie DeChooch e sarei andata in spiaggia. Il fatto che avessi una rata della macchina da pagare fu l’incentivo che mi spinse a puntare la mia CR-V in direzione della Ace Pavers.

La Ace Pavers si occupava di manutenzione del manto stradale e fu facile trovarla. L’ufficio era piccolo, il garage grande. In uno spazio recintato annesso al garage troneggiava un’enorme asfaltatrice insieme a un assortimento di macchinari neri di catrame.

Parcheggiai in strada, chiusi Bob dentro la macchina e insieme a Lula mi diressi a grandi passi verso l’edificio. Mi aspettavo di trovare un capoufficio. Trovai invece Ronald DeChooch che giocava a carte con altri tre tipi. Erano tutti sui quaranta, vestiti con pantaloni sportivi e polo. Non avevano esattamente l’aspetto di dirigenti d’azienda né di operai. Sembravano quegli intelligentoni che si vedono in certi programmi TV. E per fortuna che c’è la televisione, altrimenti gli abitanti del New Jersey non saprebbero come vestirsi.

Giocavano a carte su un tavolinetto traballante e sedevano su sedie pieghevoli di metallo. C’era una pila di soldi sul tavolo e nessuno sembrò felice di vedere me e Lula.

Ronald DeChooch era la versione più giovane e più alta dello zio con una trentina di chili in più distribuiti un po’ dappertutto. Mise le carte a faccia in giù sul tavolo e si alzò. «Cosa posso fare per voi, signore?»

Mi presentai e gli dissi che stavo cercando Eddie.

Gli uomini al tavolo sorrisero.

«Quel DeChooch è proprio un bel tipo» disse uno di loro. «Ho sentito dire che vi ha lasciato comodamente sedute in soggiorno mentre lui saltava giù dalla finestra della camera da letto.»

La frase provocò un’esplosione di risate.

«Se conoscessi meglio Choochy dovresti sapere che con lui bisogna tenere d’occhio le finestre» disse Ronald. «Ha scavalcato un bel po’ di finestre quando era giovane. Una volta fu sorpreso nella camera da letto di Florence Selzer. Il marito di Flo, Joey il Parrucchino, tornò a casa e beccò Choochy che usciva dalla finestra e gli sparò sul… come si dice, gluteus maximus

Un omone con una pancia enorme inclinò la sedia all’indietro. «Joey non si è più fatto vedere da quella volta.»

«Oh davvero?» disse Lula. «Che gli è successo?»

Il tipo alzò le mani. «Nessuno lo sa. Una di quelle cose strane.»

Giusto. Probabilmente si era volatilizzato nel nulla, stile Jimmy Hoffa. «Allora, qualcuno di voi ha visto Choochy? Qualcuno sa dove potrebbe essere?»

«Potreste provare al circolo sociale» disse Ronald.

Sapevamo tutti benissimo che non sarebbe andato al circolo sociale.

Misi il mio biglietto da visita sul tavolo. «Nel caso vi venga in mente qualcosa.»

Ronald sorrise. «Mi sta già venendo in mente qualcosa.»

Uh!

«Quel Ronald è viscido» disse Lula quando entrammo in macchina. «E poi ti guardava come se ti volesse mangiare» aggiunse.

Rabbrividii senza volerlo e partii. Forse mia madre e Morelli hanno ragione. Forse dovrei cercare un altro lavoro. O forse nessun lavoro. Forse dovrei sposare Morelli e fare la casalinga come la mia sorella perfetta, Valerie. Potrei avere un paio di figli e passare le giornate a colorare quaderni e a leggere favole di orsetti e trenini a vapore.

«Potrebbe essere divertente» dissi a Lula. «Mi piacciono i trenini.»

«Come no» rispose Lula. «Di che accidenti parli?»

«Libri per bambini. Ti ricordi quella storia del trenino a vapore?»

«Non avevo libri da bambina. E anche se ne avessi avuto uno non sarebbe certo stato un libro di trenini… sarebbe stato un libro di cucchiaini per il crack.»

Attraversai Broad Street e tornai indietro verso il Burg. Volevo parlare con Angela Margucci e magari dare un’occhiata alla casa di Eddie. Di solito potevo contare sugli amici o sui parenti del latitante per farmi dare una mano con le ricerche. Nel caso di DeChooch, avevo la sensazione che non sarebbe andata così. Gli amici e i parenti di Eddie non sembravano tipi da fare gli informatori.

Parcheggiai davanti a casa di Angela e dissi a Bob che ci avrei messo solo un minuto. Io e Lula avevamo fatto solo pochi passi che già il cane si era messo ad abbaiare in macchina. A Bob non piace essere lasciato solo. E sapeva che quella di tornare dopo un minuto era una bugia.

«Cavolo, quel Bob sì che sa abbaiare forte» disse Lula. «Mi ha già fatto venire il mal di testa.»

Angela sbucò dalla porta di casa. «Cos’è tutto questo rumore?»

«È Bob» disse Lula. «Non gli piace essere lasciato solo in macchina.»

Il viso di Angela si illuminò. «Un cane! Che carino. Adoro i cani.»

Lula aprì la portiera dell’auto e Bob saltò fuori. Corse incontro ad Angela, le mise le zampe sul petto e la fece cadere sul sedere.

«Non si è rotta niente, spero» disse Lula, aiutando Angela ad alzarsi.

«Credo di no» disse Angela. «Ho il pacemaker e anche le ginocchia di acciaio inossidabile e Teflon. Devo solo stare attenta ai fulmini e a non finire dentro un forno a microonde.»

L’idea di Angela dentro un microonde mi fece pensare a Hänsel e Gretel, destinati a una fine più o meno altrettanto tragica. Il che mi fece riflettere sull’inaffidabilità delle briciole di pane come indizi di una pista. Così giunsi alla deprimente conclusione che mi trovavo in una situazione peggiore di quella di Hänsel e Gretel, perché Eddie DeChooch non si era neanche lasciato dietro delle briciole.

«Immagino che non abbia visto Eddie» dissi ad Angela. «Non è tornato a casa, vero? E non l’ha chiamata per chiederle di badare alle sue piante?»

«Macché. Eddie non si è fatto sentire. Probabilmente è l’unico in tutto il quartiere a non essersi fatto vivo. Il telefono non ha smesso di squillare. Tutti vogliono sapere della povera Loretta.»

«Eddie riceveva molte visite?»

«Aveva degli amici. Ziggy Garvey e Benny Colucci. E pochi altri.»

«Per caso qualcuno aveva una Cadillac bianca?»

«Eddie guida una Cadillac bianca. La sua macchina è guasta e così si è fatto prestare da qualcuno la Cadillac. Non so da chi. La teneva parcheggiata nel vialetto dietro il garage.»

«Loretta gli faceva visita spesso?»

«A quanto ne so quella era la prima volta che andava a trovare Eddie. Loretta era una volontaria del servizio di pasti a domicilio per anziani. L’ho vista entrare in casa con una scatola verso l’ora di cena. Qualcuno deve averle detto che Eddie era depresso e che non mangiava bene. O forse Eddie aveva esplicitamente richiesto il servizio. Anche se non ce lo vedo a fare una cosa del genere.»

«Ha visto Loretta andare via?»

«Non l’ho proprio vista andare via, ma ho notato che l’auto non c’era più. Deve essere rimasta dentro per circa un’ora.»

«E che mi dice dei colpi di pistola?» chiese Lula. «Non ha sentito la colluttazione? Non l’ha sentita urlare?»

«No, non ho sentito urlare nessuno» rispose Angela. «Mamma è sorda come una campana. E quando accende la televisione non si sente più niente qui dentro. E la televisione è accesa dalle sei alle undici. Vi va un po’ di dolce? Ho preso una bella ciambella alle mandorle dal panettiere.»

Ringraziai Angela per il dolce ma le dissi che Lula, Bob e io avevamo ancora parecchio lavoro da fare.

Uscimmo da casa Margucci e ci trasferimmo nella metà casa adiacente, quella di DeChooch. Ovviamente tutta l’area era zona vietata, delimitata dal nastro giallo della polizia in quanto l’inchiesta era ancora in corso. Non c’erano poliziotti a controllare che nessuno si avvicinasse alla casa o al capanno, quindi pensai che dovevano aver lavorato sodo il giorno prima per completare la raccolta delle prove.

«Probabilmente non dovremmo entrare, visto che il nastro non è stato tolto» disse Lula.

Ero d’accordo con lei. «Alla polizia non piacerebbe.»

«Però c’eravamo anche ieri. Probabilmente abbiamo lasciato le nostre impronte dappertutto.»

«E così pensi che non importa se entriamo anche oggi?»

«Be’, non sarebbe un problema se nessuno lo venisse a sapere» disse Lula.

«E poi ho la chiave, quindi non si tratta di una vera e propria violazione di domicilio con scasso.» Il problema è che quella chiave l’avevo, come dire, rubata.

In qualità di cacciatrice di taglie ho anche il diritto di introdurmi in casa del latitante se ho motivo di sospettare che lui si trovi lì. E in caso di necessità sono sicura che saprei trovare un buon motivo. Forse non ho proprio tutti i numeri per fare la cacciatrice di taglie, ma in quanto a bugie non mi batte nessuno.

«Forse dovresti verificare che si tratti effettivamente della chiave di casa di Eddie» disse Lula. «Sì, insomma, dovresti provarla.»

Inserii la chiave nella serratura e la porta si spalancò.

«Maledizione» disse Lula. «Guarda cos’è successo. La porta si è aperta.»

Ci spostammo in fretta nell’ingresso buio e chiusi la porta a chiave dietro di noi.

«Tu fai il palo» dissi a Lula. «Non voglio essere colta di sorpresa dalla polizia o da Eddie.»

«Conta pure su di me» rispose. «“Palo” è il mio secondo nome.»

Iniziai la perlustrazione dalla cucina, passando in rassegna tutti i pensili e i cassetti e sfogliando le carte sul piano di lavoro. Mi stavo comportando come Hànsel e Grete,l, stavo cercando una briciola di pane che mi mettesse sulla pista giusta. Speravo di trovare un numero di telefono scarabocchiato su un fazzolettino di carta, o magari una cartina con una grossa freccia arancione che indicasse un motel della zona. Invece trovai le solite cianfrusaglie che si ammucchiano in ogni cucina. Eddie aveva coltelli, forchette, piatti e tazze che erano stati acquistati dalla signora DeChooch ed erano stati usati per tutta la durata del suo matrimonio. Non c’erano piatti sporchi sul piano di lavoro. Tutto era stato ordinatamente riposto nei pensili. Non c’era molto cibo nel frigorifero, ma era sempre più fornito del mio. Una confezione di latte, delle fette di arrosto di tacchino comprato alla macelleria Giovichinni, uova, un panetto di burro, condimenti vari.

Perlustrai quatta quatta il piano di sotto, dove c’erano una toilette, il soggiorno e la sala da pranzo. Sbirciai nel guardaroba e controllai nelle tasche degli indumenti mentre Lula teneva d’occhio la strada da dietro le tende del soggiorno.

Salii le scale e passai in rassegna le camere da letto, sperando ancora di trovare quella famosa briciola. I letti erano tutti perfettamente rifatti. C’era una rivista di parole crociate sul comodino della camera da letto principale. Nessuna briciola. Passai nel bagno. Lavandino pulito. Vasca pulita. Armadietto dei medicinali pieno fino a scoppiare di Darvon, aspirine, diciassette tipi diversi di antiacidi, sonniferi, un barattolo di Vicks, un prodotto per la pulizia della dentiera e una pomata per le emorroidi.

La finestra sopra la vasca era aperta. Entrai nella vasca e guardai fuori. La fuga di DeChooch sembrava possibile. Uscii dalla vasca e quindi dal bagno. Rimasi nel corridoio e pensai a Loretta Ricci. Non c’erano segni della sua presenza in quella casa. Nessuna macchia di sangue. Nessun segno di colluttazione. La casa era stranamente pulita e ordinata. L’avevo notato anche il giorno prima, quando ero passata di stanza in stanza a cercare DeChooch.

Nessun messaggio appuntato sul bloc-notes accanto al telefono. Nessuna scatola di fiammiferi di qualche ristorante lasciata sul piano della cucina. Niente calzini per terra. Niente panni da lavare nel cesto della biancheria in bagno. Ehi, chissà? Forse gli anziani depressi sviluppano un’ossessione per l’ordine. O forse DeChooch aveva passato tutta la notte a togliere le macchie di sangue dal pavimento e a fare il bucato. La morale della favola era: niente briciole.

Tornai in soggiorno e mi sforzai di non fare una smorfia. C’era rimasto solo un posto da controllare. La cantina. Puah! Le cantine di quel genere di casa erano sempre buie e sinistre, con rumorosi bruciatori a nafta e travi coperte di ragnatele.

«Be’, suppongo che ora dovrei guardare in cantina» dissi a Lula.

«Okay» fece Lula. «Ancora nessuno in vista.»

Aprii la porta della cantina e schiacciai l’interruttore della luce. Scala di legno graffiata, pavimento grigio di cemento, travi coperte di ragnatele, e sinistri rumori. Tutto come da copione.

«C’è qualcosa che non va?» chiese Lula.

«Fa venire i brividi.»

«Oh-oh.»

«Non voglio scendere laggiù.»

«È solo una cantina» disse Lula.

«E se ci andassi tu?»

«Io no. Io odio le cantine. Fanno paura.»

«Hai una pistola?»

«C’è da chiederlo?»

Presi in prestito la pistola di Lula e scesi cautamente le scale. Non so cosa avessi intenzione di fare con la pistola. Sparare a un ragno, forse.

In cantina c’erano una lavatrice e un’asciugatrice. Una tavola a cui erano appesi arnesi vari… cacciaviti, chiavi, martelli. Un banco da lavoro con sopra una morsa. Nessuno degli utensili sembrava essere stato usato di recente. In un angolo erano impilati degli scatoloni di cartone. Erano chiusi ma non più sigillati. Il nastro adesivo era sul pavimento. Ficcai il naso in qualche scatolone. Decorazioni natalizie, libri, stampi per torte e casseruole. Niente briciole.

Salii le scale e chiusi la porta della cantina. Lula stava ancora guardando fuori dalla finestra.

«Oh-oh» fece Lula.

«Oh-oh cosa?» Odio gli oh-oh!

«Si è appena fermata un’auto della polizia.»

«Merdai»

Afferrai il guinzaglio di Bob e insieme a Lula ci dirigemmo di corsa alla porta sul retro. Uscimmo e ci spostammo sul terrazzino che fungeva da veranda della casa di Angela. Lula aprì con forza la porta ed entrammo subito in casa.

Angela e sua madre erano sedute al piccolo tavolo della cucina e stavano prendendo del caffè e del dolce.

«Aiuto! Polizia!» urlò la donna più anziana quando irrompemmo nella stanza.

«Questa è Stephanie» gridò Angela a sua madre. «Ti ricordi di Stephanie?»

«Chi?»

«Stephanie!»

«Che cosa vuole?»

«Abbiamo cambiato idea riguardo al dolce» dissi scostando una sedia e mettendomi a sedere.

«Come?» urlò la madre di Angela. «Come?»

«Dolce» le rispose Angela, sempre gridando. «Vogliono del dolce.»

«Be’ per l’amor di Dio, daglielo prima che ci sparino.»

Io e Lula guardammo la pistola che avevo in mano.

«Forse dovresti metterla via» suggerì Lula. «Non vorrei che succedesse qualcosa alle mutande della vecchia signora.»

Consegnai la pistola a Lula e presi un pezzo di dolce.

«Non si preoccupi!» gridai. «È una pistola giocattolo.»

«A me sembra vera» rispose la madre di Angela, sempre gridando. «Sembra una Glock calibro .40, quelle da quattordici colpi. Si può fare un bel buco in testa a qualcuno, con una di quelle. Ne avevo una anch’io, ma poi sono passata al fucile quando ho cominciato a perdere la vista.»

Carl Costanza bussò alla porta sul retro e facemmo tutte un salto.

«Stiamo facendo un pattugliamento di sicurezza e ho visto la tua macchina fuori» disse Costanza mentre si prendeva il pezzo di dolce che avevo in mano. «Volevo accertarmi che non avessi in mente di fare niente di illegale… come per esempio violare la scena del crimine.»

«Chi, io?»

Costanza mi sorrise e se ne andò con la mia fetta di dolce.

Spostammo l’attenzione sul tavolo e ci accorgemmo che il piatto del dolce era vuoto.

«Santo cielo» disse Angela «c’era una torta intera, prima. Cosa può essere mai successo?»

Lula e io ci scambiammo un’occhiata. Bob aveva un pezzo di glassa bianca che gli pendeva da un labbro.

«Ce ne saremmo andate comunque» dissi, trascinando Bob alla porta d’ingresso. «Mi faccia sapere se ha notizie di Eddie.»

«Non ci è servito a molto» disse Lula quando eravamo già per strada. «Non abbiamo scoperto niente su Eddie DeChooch.»

«Compra petto di tacchino arrosto da Giovichinni» dissi.

«E con questo cosa vuoi dire? Che dovremmo usare come esca al nostro amo un po’ di petto di tacchino?»

«No. Dico che il nostro uomo ha passato tutta la sua vita al Burg e non andrà da nessun’altra parte. È proprio qui, e se ne va in giro con una Cadillac bianca. Dovrei essere in grado di trovarlo.» Sarebbe stato più facile se fossi riuscita a sapere il numero di targa della Cadillac. Avevo chiesto alla mia amica Norma di fare una ricerca all’Ufficio immatricolazione veicoli sulle targhe delle Cadillac bianche, ma ce n’erano troppe da controllare.

Scaricai Lula in ufficio e andai a cercare il Luna. Lui e Dougie trascorrono le giornate perlopiù a guardare la TV e a mangiare palline al formaggio, vivendo dei soldi ricavati da una vincita semi-illegale che hanno fatto insieme. Ho il sospetto che uno di questi giorni la vincita se ne andrà in fumo, in tutti i sensi, e allora Dougie e il Luna dovranno rinunciare a qualche comfort.

Parcheggiai davanti a casa del Luna e insieme a Bob avanzai decisa fino alla veranda e bussai alla porta. Mi venne ad aprire Huey Kosa, tutto sorridente. Huey Kosa e Zero Bartha sono i due coinquilini del Luna. Bravi ragazzi ma, come il Luna, gente che vive in un’altra dimensione.

«Piccola» mi disse Huey.

«Sto cercando il Luna.»

«È a casa di Dougie. Mi sa che doveva fare il bucato e il vecchio Dougie ha la lavatrice. Il vecchio Dougie ha tutto.»

Percorsi in macchina la breve distanza fino a casa di Dougie e parcheggiai. Sarei potuta andare a piedi, ma non sarebbe stato un tipico comportamento da New Jersey.

«Ehi, piccola» disse il Luna quando bussai alla porta di Dougie. «Sono contento di vedere te e Bob. Mi casa su casa. Be’, a dire il vero è casa del vecchio Dougie, ma non so come si dice.»

Aveva un altro di quei super costumi. Questa volta era verde e senza la L cucita sul petto. Assomigliava più all’Uomo Cetriolo che all’Uomo della Luna.

«Stai salvando il mondo?» gli chiesi.

«No. Sto facendo il bucato.»

«Hai notizie di Dougie?»

«Niente, piccola. Niente di niente.»

La porta d’ingresso si apriva su un soggiorno ammobiliato in modo piuttosto spartano con un divano, una sedia, una piantana e un televisore a grande schermo. Alla TV c’era Bob Newhart in un episodio dell’omonima serie.

«È una retrospettiva su Bob Newhart» spiegò il Luna. «Ritrasmettono tutti i classici. Un vero lusso.»

«Dunque» dissi guardandomi in giro «Dougie non è mai scomparso prima d’ora?»

«Non da quando lo conosco.»

«Dougie ha una ragazza?»

Il Luna fece un’espressione allibita. Come se fosse una domanda troppo difficile da comprendere.

«Una ragazza» disse dopo un po’. «Però, non avevo mai pensato al vecchio Dougie insieme a una ragazza. Cioè, non l’ho mai visto con una ragazza.»

«E con un ragazzo?»

«No, credo che non abbia neanche un ragazzo. Direi che il vecchio Dougie è più… sì, insomma, autosufficiente.»

«Okay, proviamo qualcos’altro. Dove stava andando Dougie quando è scomparso?»

«Non l’ha detto.»

«Ha preso la macchina?»

«Sì, la Batmobile.»

«Tanto per sapere, come è fatta una Batmobile?»

«Esternamente è come una Corvette nera. Ho fatto un giro per cercarla, ma non l’ho vista da nessuna parte.»

«Forse dovresti sporgere denuncia alla polizia.»

«Neanche per sogno! Il vecchio Dougie si ritroverebbe nei guai con la garanzia di cauzione.»

Non so perché, ma avevo un brutto presentimento. Il Luna era nervoso e considerata la sua personalità era un caso raro. Il Luna era di solito la tranquillità fatta persona.

«C’è sotto qualcos’altro» dissi. «Cosa mi stai nascondendo?»

«Ehi, niente, piccola. Te lo giuro.»

Sarò scema, ma Dougie mi piace. Lui sarà anche un sempliciotto e un intrallazzatore, ma almeno è uno di quelli innocui. E adesso era scomparso e io avevo una brutta sensazione allo stomaco.

«Che mi dici della famiglia di Dougie? Hai parlato con qualcuno?» gli chiesi.

«No, piccola, sono tutti da qualche parte in Arkansas. Il vecchio Dougie non parlava molto di loro.»

«Dougie ha un elenco del telefono?»

«Non ne ho mai visto uno. Ma chissà, può darsi che sia in camera sua.»

«Tu stai qui con Bob e controlla che non mangi niente. Faccio un salto in camera di Dougie.»

Al piano di sopra c’erano tre camere da letto. Ero già stata a casa sua e quindi sapevo quale era quella di Dougie. E sapevo anche cosa aspettarmi in quanto ad arredamento. Dougie non era uno che perdeva tempo con le minuzie dei lavori domestici. Il pavimento della camera era un tappeto di vestiti sparsi dovunque, il letto era sfatto, sul cassettone c’era una montagna di pezzi di carta, un modellino della navicella spaziale Enterprise, riviste con donnine nude, piatti e tazze sporchi.

C’era un telefono sul comodino ma niente elenco telefonico. Vicino al letto, sul pavimento, c’era un pezzo di carta gialla per appunti. Sopra vi erano scritti una serie di nomi e di numeri alla rinfusa, alcuni semicancellati da una macchia di caffè. Diedi una rapida scorsa alla pagina e scoprii che diversi Kruper avevano numeri telefonici dell’Arkansas. Nessuno nel New Jersey. Mi feci largo tra il casino sopra il cassettone e tanto per non lasciare nulla di intentato misi il naso nell’armadio.

Nessun indizio.

Non avevo alcun buon motivo per controllare le altre camere, ma sono ficcanaso di natura. La seconda camera, scarsamente ammobiliata, era destinata agli ospiti. Il letto era stropicciato e pensai che probabilmente il Luna ci dormiva di tanto in tanto. La terza camera era piena fino al soffitto di varia merce rubata. Scatole di tostapane, telefoni, sveglie, montagne di T-shirt e Dio solo sa cos’altro. Dougie era tornato in attività.

«Luna!» gridai. «Vieni su! Subito!»

«Accidenti» esclamò il Luna quando mi vide sulla soglia della terza camera. «Da dove viene tutta quella roba?»

«Credevo che Dougie avesse smesso di trafficare.»

«Non è riuscito a trattenersi, piccola. Ti giuro che ci ha provato, ma ce l’ha nel sangue, capisci? È nato per fare il commerciante.»

Ora capivo meglio il perché del nervosismo del Luna. Dougie aveva ancora a che fare con dei brutti ceffi. I brutti ceffi non sono un problema finché va tutto bene. Ma cominciano a diventare una preoccupazione quando viene fuori che il tuo amico è scomparso.

«Sai da dove vengono questi scatoloni? Sai con chi lavorava Dougie?»

«Mi trovi, per così dire, impreparato. Ha risposto a una telefonata e poi è spuntato un camion sul vialetto con tutto questo magazzino di roba. Non sono stato molto attento. In TV c’erano Rocky and Bullwinkle, e sai quant’è difficile resistere al vecchio Rocky.»

«Dougie doveva dei soldi a qualcuno? C’era qualcosa che non andava nei suoi traffici?»

«Non credo. Sembrava fosse proprio contento. Diceva che la roba che aveva preso andava via come il pane. Tranne per i tostapane. Ehi, ne vuoi uno?»

«Quanto vuoi?»

«Dieci verdoni.»

«Affare fatto.»

Feci una breve sosta da Giovichinni per comprare qualche genere di prima necessità, poi io e Bob ci fiondammo a casa per il pranzo. Tenevo il tostapane sotto un braccio e la borsa della spesa nell’altro quando scesi dall’auto.

Benny e Ziggy si materializzarono improvvisamente dal nulla.

«Lascia che ti aiuti con quella borsa» disse Ziggy. «Una signora come te non dovrebbe portare la spesa da sola.»

«E questo cos’è? Un tostapane» disse Benny, mentre me lo toglieva da sotto il braccio e guardava la scatola. «Ed è pure uno di quelli buoni. Ha delle aperture più grandi del normale, così se vuoi ci puoi scaldare anche le focacce.»

«Non c’è bisogno» dissi, ma si erano già presi borsa e tostapane e mi precedettero all’ingresso del mio palazzo.

«Abbiamo pensato di fermarci per vedere come andavano le cose» disse Benny mentre schiacciava il pulsante dell’ascensore. «Novità su Eddie?»

«L’ho visto da Stiva, ma mi è scappato.»

«Sì, lo sappiamo. Che peccato.»

Aprii la porta di casa, mi restituirono borsa e tostapane e sbirciarono dentro l’appartamento.

«Non è che stai nascondendo Eddie a casa tua?» chiese Ziggy.

«No!»

Ziggy scrollò le spalle. «È stata un’ipotesi azzardata.»

«Tentar non nuoce» disse Benny.

E se ne andarono.

«Non è necessario superare una prova di intelligenza per entrare nella malavita» dissi a Bob.

Inserii la spina del mio tostapane nuovo e ci infilai due fette di pane. Preparai un panino al burro di arachidi per Bob e un toast al burro di arachidi per me e mangiammo in piedi in cucina, godendoci quel momento.

«Fare la casalinga non è poi così difficile» dissi a Bob «se hai un po’ di pane e del burro di arachidi.»

Chiamai la mia amica Norma all’Ufficio immatricolazione veicoli e mi feci dare il numero di targa della Corvette di Dougie. Poi chiamai Morelli per vedere se aveva sentito qualcosa in giro.

«Il referto dell’autopsia di Loretta Ricci non è ancora pronto» disse Morelli. «Nessuno è riuscito ad acciuffare DeChooch, e Kruper non è ancora venuto a galla. Tocca a te fare la prossima mossa, dolcezza.»

Perfetto.

«Allora ci vediamo stasera» disse Morelli. «Vengo a prendere te e Bob alle cinque e mezzo.»

«Va bene. Hai in mente qualcosa di speciale?»

Silenzio all’altro capo del telefono. «Credevo che fossimo invitati a casa dei tuoi per cena.»

«Oh accidenti! Maledizione. Merda.»

«Ti eri dimenticata, eh?»

«Ci sono già andata ieri.»

«Vuoi dire che non dobbiamo andarci per forza?»

«Se solo fosse così semplice.»

«Vengo a prenderti alle cinque e mezzo» disse Morelli, e riagganciò.

I miei genitori mi piacciono, davvero. È solo che mi fanno uscire di testa. Prima di tutto c’è la mia sorella perfetta, Valerie, con le sue due figlie perfette. Per fortuna vive a Los Angeles e quindi la loro perfezione è mitigata dalla distanza. Poi c’è il mio preoccupante stato civile, che mia madre si sente in obbligo di regolarizzare. Per non parlare poi del lavoro, di come mi vesto, di quello che mangio, della frequentazione della chiesa (o meglio della non frequentazione).

«Okay, Bob» dissi «è ora di tornare al lavoro. Mettiamoci in moto.»

Avrei passato il pomeriggio a cercare auto. Dovevo trovare una Cadillac bianca e una Batmobile. Decisi di iniziare dal Burg per poi allargare l’area di ricerca. Mi ero fatta mentalmente una lista dei ristoranti e dei posti dove servivano pasti a prezzi scontati per gli anziani. Quelli li avrei lasciati per ultimi, magari avrei trovato la Cadillac bianca prima.

Lasciai un pezzo di pane nella gabbietta di Rex e gli dissi che sarei tornata a casa per le cinque. Avevo in mano il guinzaglio di Bob e stavo per uscire quando qualcuno bussò alla porta. Era un fattorino della StateLine Florist.

«Buon compleanno» disse il ragazzo. Mi porse un vaso di fiori e se ne andò.

Era un po’ strano, considerato che il mio compleanno è in ottobre ed eravamo in aprile. Sistemai i fiori sul piano della cucina e lessi il biglietto.

Le rose sono rosse, blu sono le pansé, mi è venuto duro pensando a te.

Era firmato Ronald DeChooch. Non solo mi aveva fatto rivoltare lo stomaco alla Ace Pavers, adesso mi mandava anche dei fiori.

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