Capii che c’era qualcosa di brutto nell’aria quando Vinnie mi chiamò a rapporto nel suo ufficio privato. Vinnie è il mio capo nonché mio cugino. Una volta, nella porta di un gabinetto, ho letto che Vinnie si incurva come un furetto. Non so bene cosa voglia dire, ma mi sembra abbia senso visto che Vinnie assomiglia effettivamente a un furetto. Il suo anello con rubino mi ricorda i regali che si vincevano nelle macchinette della sala giochi di Seaside Park. Portava una camicia nera con cravatta nera, i capelli neri sempre più radi erano lisciati all’indietro, in stile boss del gioco d’azzardo. In faccia gli si leggeva l’espressione non sono felice.
Guardai verso di lui, oltre la scrivania, e cercai di rimanere impassibile. «Che c’è?»
«Ho un lavoro per te» disse Vinnie. «Voglio che trovi quel verme schifoso di Eddie DeChooch e voglio che trascini qui quel suo culo pelle e ossa. L’hanno beccato mentre trasferiva un carico di sigarette di contrabbando dalla Virginia e non si è presentato in tribunale in tribunale il giorno dell’udienza.»
Roteai gli occhi così in alto che quasi riuscii a vedermi crescere i capelli. «Non mi va di correre dietro a Eddie DeChooch. È vecchio e ammazza la gente, e poi esce con mia nonna.»
«Non uccide quasi più nessuno ormai» rispose Vinnie. «Ha la cataratta. L’ultima volta che ha provato a sparare a qualcuno ha svuotato un intero caricatore contro un asse da stiro.»
Vinnie è presidente e proprietario dell’agenzia Vincent Plum — Garanzie per cauzioni, a Trenton, nel New Jersey. Quando qualcuno viene accusato di un crimine, Vinnie paga al tribunale una cauzione in contanti, il tribunale rilascia l’imputato fino al giorno del processo, e Vinnie prega Iddio che l’imputato si presentì per l’udienza. Se l’imputato decide di rinunciare al piacere di avere un’udienza tutta sua, Vinnie ci rimette un sacco di soldi, a meno che io non riesca a trovare l’imputato e a riportarlo all’ovile. Mi chiamo Stephanie Plum e sono un’agente di custodia per gli inquisiti… altrimenti nota come cacciatrice di taglie. Ho iniziato questo lavoro in tempi magri e neanche il fatto di essermi diplomata con i voti più alti della mia classe è servito a farmi trovare un lavoro migliore. La situazione economica è migliorata e non ci sono validi motivi perché io debba continuare a dare la caccia ai cattivi, a parte il fatto che a mia madre dà fastidio e che non sono costretta a portare i collant quando lavoro.
«Darei l’incarico a Ranger, ma è fuori» disse Vinnie. «Quindi rimani tu.»
Ranger è una specie di soldato di ventura che ogni tanto lavora anche come cacciatore di taglie. È molto bravo… in tutto. E mette una paura da farsela sotto. «Come mai Ranger è fuori? E cosa intendi per fuori? Asia? Sud America? Miami?»
«Sta recuperando qualcuno per me a Portorico.» Vinnie fece scivolare una cartellina di documenti sulla scrivania. «Qui c’è il contratto di cauzione su DeChooch e la tua autorizzazione alla cattura. Vale cinquantamila dollari per me… cinquemila per te. Vai a casa di DeChooch e scopri perché ieri non si è presentato all’udienza. Connie ha telefonato ma non ha risposto nessuno. Cristo, potrebbe essere morto stecchito sul pavimento della cucina. Uscire con tua nonna farebbe morire stecchito chiunque.»
L’ufficio di Vinnie è sulla Hamilton, a prima vista non è il posto migliore per un ufficio di garanzie su cauzioni. La maggior parte di questo tipo di agenzie hanno la loro sede nelle vicinanze del carcere. Il fatto è che molte delle persone che Vinnie fa rilasciare su cauzione sono parenti oppure vicini di casa che abitano in traverse della Hamilton, nel Burg. Io sono cresciuta nel Burg e i miei genitori ci vivono ancora. È un quartiere davvero molto tranquillo, infatti i delinquenti del Burg stanno bene attenti a compiere i loro crimini altrove. Sì, okay, una volta Jimmy il Sipario ha fatto uscire di casa Garibaldi il Monco in pigiama e lo ha portato in macchina fino alla discarica… a ogni modo il pestaggio vero e proprio non è avvenuto al Burg. E i tipi che hanno trovato sepolti nel seminterrato del negozio di caramelle di Ferris Street non erano gente del Burg, quindi non contano ai fini statistici.
Connie Rosolli alzò gli occhi quando uscii dall’ufficio di Vinnie. Connie è la capoufficio. Amministra l’agenzia quando Vinnie è occupato a far rilasciare furfanti e/o a fornicare con animali da cortile.
Connie aveva una cotonatura che le faceva una testa tre volte tanto. Portava un maglioncino rosa con collo a V che le fasciava un paio di tette adatte a una donna molto più grossa e una gonna corta di maglina nera che invece sarebbe andata bene a una donna molto più piccola.
Connie lavora con Vinnie da quando ha aperto l’agenzia. Ha tenuto duro tutto questo tempo perché, pur avendo ben poca pazienza, quando ci sono delle vere giornatacce si paga da sola una sorta di «indennità di guerra» prendendola dalla cassa per le piccole spese.
Raggrinzì il viso quando vide che avevo in mano una cartellina di documenti. «Non avrai intenzione di andare a cercare Eddie DeChooch, vero?»
«Spero che sia morto.»
Lula era spaparanzata nel divano in similpelle che era stato addossato al muro e serviva da vasca di contenimento per i tizi usciti su cauzione e i loro poveri parenti. Lula e il divano erano più o meno della stessa tonalità di marrone, a eccezione dei capelli di Lula, quel giorno di un bel rosso ciliegia.
Mi sento sempre un po’ anemica quando sono accanto a Lula. Sono un’americana di terza generazione con antenati italo-ungheresi. Da mia madre ho preso la carnagione chiara, gli occhi azzurri e un buon metabolismo, grazie al quale posso mangiare la torta di compleanno e chiudere (quasi sempre) l’ultimo bottone dei miei Levi’s. Dalla famiglia paterna ho ereditato un cespuglio ingestibile di capelli castani e un debole per i gestacci. Se sono sola, con l’aiuto di una tonnellata di mascara e dieci centimetri di tacco, posso attirare un po’ d’attenzione. Ma accanto a Lula sembro invisibile.
«Ti darei una mano a trascinarlo di nuovo in galera» disse Lula. «Probabilmente ti farebbe comodo l’aiuto di una taglia forte come me. Peccato però che non mi piacciano i morti. I morti mi fanno accapponare la pelle.»
«Be’, a dire il vero non so ancora se è morto» dissi.
«Per me va bene, allora» disse Lula. «Sono con te. Se è vivo ho l’occasione di prendere a calci in culo un poveraccio, se invece è morto… me la filo.»
Lula fa la dura a parole, ma la verità è che siamo tutte e due piuttosto imbranate quando si tratta di prendere veramente qualcuno a calci nel sedere. Nella sua vita precedente, Lula faceva la prostituta e ora si occupa dell’archivio di Vinnie. Lula era brava a battere quanto lo è ad archiviare… e non è che archivi poi così bene.
«Forse dovremmo indossare il giubbotto antiproiettile» dissi.
Lula prese la borsa dall’ultimo cassetto dell’archivio. «Tu fa’ come vuoi, io di certo non metto nessun giubbotto di kevlar. Non ne abbiamo uno grande abbastanza e comunque mi rovinerebbe il look.»
Io portavo un paio di jeans e una T-shirt e non avevo nessun look da rovinare, quindi presi un giubbotto antiproiettile dal ripostiglio.
«Aspetta un attimo» fece Lula quando fummo sul marciapiede «cos’è questa?»
«Ho comprato un’auto nuova.»
«Be’ accidenti, ragazza, bel colpo. Questa sì che è una signora macchina.»
Era una Honda CR-V nera, e le rate per pagarla mi stavano uccidendo. Avevo dovuto scegliere tra mangiare e avere un look decente. Avevo rinunciato al look decente. Che diamine, tutto ha un prezzo, no?
«Dove siamo dirette?» chiese Lula, sistemandosi accanto a me. «Dove abita questo tizio?»
«Andiamo al Burg. Eddie DeChooch abita a tre isolati da casa dei miei.»
«Esce davvero con tua nonna?»
«L’ha incontrato due settimane fa a una veglia da Stiva, l’impresa di pompe funebri, dopodiché sono andati a mangiare una pizza insieme.»
«Pensi che abbiano fatto delle porcherie?»
Per poco non finii con l’auto sul marciapiede. «No! Che schifo!»
«Non si può mai dire» disse Lula.
DeChooch abita in una piccola bifamiliare in mattoni. Angela Margucci, settantenne, e la madre nonagenaria vivono in una metà della casa, mentre DeChooch abita nell’altra. Parcheggiai davanti alla metà di DeChooch, e insieme a Lula ci dirigemmo alla porta principale. Io avevo il giubbotto antiproiettile mentre Lula indossava una maglietta elasticizzata con stampa leopardata e dei pantacollant. Lula è una donna prosperosa e cerca sempre di mettere alla prova la resistenza della lycra.
«Vai avanti tu e vedi se è morto» disse Lula. «Se non è morto, fammi un fischio e io vengo a dargli un calcio in culo.»
«Certo, come no.»
«Uh» fece, sporgendo in fuori il labbro inferiore. «Pensi che non riuscirei a prenderlo a calci in culo?»
«Sarà meglio che rimani a lato della porta» suggerii. «Non si sa mai.»
«Buona idea» disse Lula, facendosi da parte. «Non ho paura di niente, ma mi dispiacerebbe proprio se mi si macchiasse di sangue la maglietta.»
Suonai il campanello e rimasi in attesa di risposta. Suonai un’altra volta. «Signor DeChooch?» gridai.
Angela Margucci fece capolino dalla porta di casa sua. Era più bassa di me di una quindicina di centimetri, con i capelli bianchi e un’ossatura da uccellino, una sigaretta ficcata tra le labbra sottili e occhi semichiusi per il fumo e l’età. «Cos’è tutto questo chiasso?»
«Sto cercando Eddie.»
Mi guardò più da vicino e quando mi riconobbe sembrò tornarle il buon umore. «Stephanie Plum. Santo cielo, non ti vedo da un bel po’. Si diceva che fossi stata messa incinta da quello sbirro, Joe Morelli.»
«Una malignità.»
«Che mi dice di DeChooch?» chiese Lula ad Angela. «Si è visto in giro?»
«È a casa sua» rispose Angela. «Ormai non va più da nessuna parte. È depresso. Non parla.»
«Non risponde alla porta.»
«Non risponde neanche al telefono. Entrate pure da sole. Non chiude la porta a chiave. Dice che aspetta che qualcuno venga a sparargli e a dargli il colpo di grazia.»
«Be’, non siamo quel qualcuno» commentò Lula. «È anche vero che se fosse disposto a pagare potrei conoscere qualcuno che…»
Aprii con cautela la porta di casa di Eddie ed entrai nell’atrio. «Signor DeChooch?»
«Andate via.»
La voce proveniva dal soggiorno sulla mia destra. Le tende erano tirate e la stanza era buia. Strizzai gli occhi in direzione della voce.
«Sono Stephanie Plum, signor DeChooch. Non si è presentato in tribunale. Vinnie è preoccupato per lei.»
«Non ci vado in tribunale» rispose DeChooch. «Non vado da nessuna parte.»
Feci qualche altro passo avanti nella stanza e vidi che era seduto su una sedia in un angolo. Era un ometto asciutto con i capelli bianchi e arruffati. Indossava una maglietta intima, un paio di boxer e calzini neri con scarpe nere.
«Perché ha su le scarpe?» chiese Lula.
DeChooch guardò giù. «Sentivo freddo ai piedi.»
«Che ne dice di finire di vestirsi e poi la accompagniamo a fissare un’altra udienza?» dissi.
«Cos’è, sei sorda? Ti ho detto che non vado da nessuna parte. Guardami. Sono in depressione.»
«Forse è in depressione perché non ha addosso i pantaloni» disse Lula. «Io mi sentirei di sicuro meglio se non fossi costretta a vedere il suo coso che le penzola dai boxer.»
«Voi non sapete un bel niente» disse DeChooch. «Non sapete come ci si sente a essere vecchi e a non poter fare più niente.»
«Già, non potrei proprio saperlo» rispose Lula.
Quello in cui Lula e io eravamo esperte, invece, era sentirsi giovani e fare tutto per il verso sbagliato. Lula e io non facevamo mai niente per il verso giusto.
«Cos’hai addosso?» mi chiese DeChooch. «Cristo, è un giubbotto antiproiettile? Adesso sì che mi offendo, cazzo. È come dire che non sono abbastanza bravo da spararti in testa.»
«Ha solo pensato che visto che lei ha fatto fuori quell’asse da stiro, magari non sarebbe stata una cattiva idea prendere qualche precauzione in più» disse Lula.
«L’asse da stiro! Non si parla che di questo. Uno fa uno sbaglio ed ecco che tutti sanno solo parlare di questo.» Scacciò quel pensiero con la mano. «Al diavolo, chi voglio prendere in giro. Sono un uomo finito. Sapete per cosa mi hanno arrestato? Mi hanno arrestato per contrabbando di sigarette dalla Virginia. Non sono neanche più capace di contrabbandare sigarette.» Abbassò gli occhi. «Sono un perdente. Un fottutissimo perdente. Dovrei spararmi.»
«Forse ha solo avuto un po’ di sfortuna» disse Lula. «Scommetto che la prossima volta che cercherà di contrabbandare qualcosa andrà tutto bene.»
«La prostata mi ha giocato un brutto scherzo» disse DeChooch. «Mi sono dovuto fermare per pisciare. È là che mi hanno beccato… nella piazzola di sosta.»
«Non è giusto» commentò Lula.
«La vita non è giusta. Non c’è niente di giusto nella vita. Ho sempre lavorato sodo e ho raggiunto tanti… traguardi. E adesso che sono vecchio cosa succede? Succede che mi arrestano mentre piscio. È maledettamente imbarazzante.»
La casa era arredata senza uno stile preciso. Probabilmente era stata ammobiliata nel corso degli anni con pezzi rubacchiali qua e là. Non c’era nessuna signora DeChooch. Era morta da anni. Per quel che ne sapevo non c’erano mai stati dei piccoli DeChooch.
«Forse dovrebbe vestirsi» dissi. «Dobbiamo davvero andare giù in città.»
«Perché no?» replicò DeChooch. «Non fa differenza dove sto seduto. Posso stare qui come giù in città.» Si alzò, fece un sospiro avvilito e si trascinò con le spalle incurvate fino alle scale. Si girò per guardarci. «Datemi un minuto.»
La casa assomigliava molto a quella dei miei genitori. Soggiorno sul davanti, sala da pranzo al centro e cucina affacciata sul cortiletto sul retro. Sopra dovevano esserci tre piccole camere da letto e un bagno.
Lula e io rimanemmo sedute nel buio silenzioso della casa ad ascoltare DeChooch che girava per la camera da letto al piano superiore.
«Avrebbe dovuto contrabbandare del Prozac al posto delle sigarette» disse Lula. «Non gli avrebbe fatto male buttarne giù qualche pasticca.»
«Dovrebbe sistemarsi la vista» dissi. «Mia zia Rose si è operata di cataratta e ora ci vede di nuovo.»
«Già, così se gli tornasse la vista sparerebbe a un sacco di altra gente. Scommetto che questo lo tirerebbe su di morale.»
Okay, forse non avrebbe dovuto sistemarsi la vista.
Lula guardò verso le scale. «Che sta combinando lassù? Quanto gli ci vuole a mettersi un paio di pantaloni?»
«Magari non li trova.»
«Credi che sia cieco fino a questo punto?»
Alzai le spalle.
«Ora che ci penso, non lo sento più camminare» osservò Lula. «Forse si è addormentato. Ai vecchi capita spesso.»
Andai vicino alle scale e gridai: «Signor DeChooch? Va tutto bene?».
Nessuna risposta.
Gridai un’altra volta.
«Oh porca miseria» disse Lula.
Salii le scale due gradini alla volta. La porta della camera da letto di DeChooch era chiusa e così bussai forte. «Signor DeChooch?»
Ancora nessuna risposta.
Aprii la porta e diedi un’occhiata all’interno. La stanza era vuota. E così anche il bagno e le altre due camere da letto. Di DeChooch nessuna traccia.
Merda.
«Che succede?» gridò Lula dal piano di sotto.
«DeChooch non c’è.»
«Cosa?»
Lula e io perquisimmo la casa. Cercammo sotto i letti e negli armadi, in cantina e in garage. Gli armadi di DeChooch erano pieni di vestiti. Lo spazzolino da denti era ancora in bagno. L’auto se ne stava tranquilla in garage.
«È troppo strano» disse Lula. «Come è possibile che se ne sia andato senza farsi vedere? Eravamo sedute proprio vicino all’ingresso. L’avremmo visto mentre sgattaiolava via.»
Eravamo nel cortiletto sul retro e mi cadde l’occhio sul secondo piano. La finestra del bagno si affacciava sul tetto piatto sopra la porta del retro, quella che dalla cucina portava al cortile. Proprio come a casa dei miei. Quando andavo al liceo scavalcavo di nascosto quella finestra la sera tardi per poter uscire con gli amici. Mia sorella Valerie, la figlia perfetta, non si sognava neanche di fare una cosa del genere.
«Potrebbe essere uscito dalla finestra» dissi. «Non è un salto troppo alto con quei due bidoni della spazzatura che ha addossato alla casa.»
«Be’, ha una bella faccia tosta a presentarsi come un povero vecchio, debole e depresso e poi, appena voltiamo le spalle, salta fuori dalla finestra. Da’ retta a me, non ci si può fidare più di nessuno.»
«Ci ha fregato.»
«Maledetto latitante.»
Rientrai in casa, curiosai in cucina e, senza neanche dover cercare troppo, trovai un mazzo di chiavi. Ne provai una sulla porta principale. Perfetto. Chiusi la porta e mi infilai le chiavi in tasca. Per mia esperienza, prima o poi tutti tornano a casa. E quando toccherà a DeChooch tornare a casa, forse si deciderà a chiudere a chiave come si deve.
Bussai alla porta di Angela e le chiesi se per caso non stesse nascondendo Eddie DeChooch in casa sua. Disse che non l’aveva visto quel giorno, così le lasciai il mio biglietto da visita e le dissi di chiamarmi nel caso il suo vicino si fosse fatto vivo.
Lula e io salimmo sulla CR-V, misi in moto ed ecco materializzarsi nell’anticamera del mio cervello l’immagine del mazzo di chiavi di DeChooch. Chiave di casa, chiave dell’auto… e una terza chiave. Tirai fuori dalla borsa il mazzo e lo esaminai.
«A cosa credi che serva questa terza chiave?» domandai a Lula.
«È per uno di quei lucchetti Yale che si usano per gli armadietti delle palestre, i capanni degli attrezzi e roba simile.»
«Ti ricordi di aver visto un capanno degli attrezzi?»
«Non so. Non ci ho fatto caso. Pensi che potrebbe essersi nascosto in un capanno in compagnia di tosaerba e tagliasiepe?»
Spensi il motore e scendemmo dall’auto dirette al cortile.
«Non vedo nessun capanno» disse Lula. «Vedo solo un paio di bidoni della spazzatura e un garage.»
Sbirciammo nel garage semibuio per la seconda volta.
«Non c’è niente qui, a parte la macchina» disse Lula.
Aggirammo il garage e sul retro trovammo il capanno.
«Ma è chiuso a chiave» disse Lula. «Dovrebbe essere Houdini per entrare e poi chiudere a chiave dall’esterno. Oltretutto qui puzza da far schifo.»
Infilai la chiave nella serratura e con uno scatto il lucchetto si aprì.
«Aspetta» disse Lula. «Voto per lasciare chiuso questo capanno. Non voglio sapere cos’è che puzza così tanto.»
Tirai forte la maniglia, la porta del capanno si spalancò e ci ritrovammo davanti Loretta Ricci che ci fissava a bocca aperta con occhi che ormai non potevano più vedere e cinque fori di proiettile sul petto. Era seduta sul pavimento sporco, con la schiena appoggiata contro la parete di lamiera ondulata. Malgrado la calce che le aveva sbiancato i capelli, il disfacimento che segue alla morte non si era arrestato.
«Merda, questa non è un asse da stiro» disse Lula.
Con un colpo forte chiusi la porta, rimisi a posto il lucchetto e mi allontanai il più possibile dal capanno. Dissi a me stessa che non avrei vomitato e feci una serie di respiri profondi. «Avevi ragione» ammisi. «Non avrei dovuto aprire quella porta.»
«Non mi dai mai ascolto. Adesso guarda con cosa ci ritroviamo. E tutto perché hai voluto fare la ficcanaso. E non solo, ma io so già cosa succederà adesso. Chiamerai la polizia e rimarremo incastrate tutto il giorno. Se avessi un po’ di buon senso faresti finta di non aver visto niente e ce ne andremmo a comprare patatine fritte e Coca-Cola. Non ci starebbero per niente male un po’ di patatine e una Coca.»
Le consegnai le chiavi della mia auto. «Vai a prenderti qualcosa da mangiare, ma fai in modo di tornare qui tra mezz’ora. Giuro che se mi lasci da sola ti mando a cercare dalla polizia.»
«Cavolo, questa non me la merito. Quando mai ti ho abbandonato?»
«Mi abbandoni in continuazione!»
«Uh» fece Lula.
Presi il cellulare e chiamai la polizia. Nel giro di pochi minuti l’auto di pattuglia parcheggiò davanti alla casa. Erano Carl Costanza e il suo compagno, soprannominato il Cagnone.
«Quando è arrivata la chiamata, me lo sentivo che eri tu» mi disse Carl. «È passato quasi un mese dall’ultima volta che hai trovato un cadavere. Ormai era ora.»
«Non trovo così tanti cadaveri!»
«Ehi» disse Cagnone «è un giubbotto di kevlar quello che porti?»
«E pure nuovo di zecca» rispose Costanza. «Non ha neanche un buco di proiettile.»
I piedipiatti di Trenton sono gente di prima scelta ma il loro budget non è esattamente quello di Beverly Hills. Se sei uno sbirro di Trenton speri che Babbo Natale ti porti un giubbotto antiproiettile, perché si tratta di un articolo che viene acquistato principalmente con i soldi di donazioni e sovvenzioni varie, e non viene consegnato automaticamente insieme al distintivo.
Avevo tolto la chiave di casa dal portachiavi di DeChooch e me l’ero messa al sicuro in tasca. Consegnai le altre due chiavi a Costanza. «Loretta Ricci è nel capanno degli attrezzi. E non ha una bella cera.»
Conoscevo Loretta Ricci solo di vista. Viveva al Burg ed era vedova. Credo avesse circa sessantacinque anni. L’avevo vista qualche volta alla macelleria Giovichinni ordinare carne pressata.
Vinnie si allungò in avanti sulla sedia e guardò me e Lula strizzando gli occhi. «Come sarebbe a dire che avete perso DeChooch?»
«Non è stata colpa nostra» si giustificò Lula. «Ha giocato sporco.»
«Be’, che diamine» disse Vinnie «non posso certo pretendere che siate capaci di acciuffare uno che gioca sporco.»
«Mmm» fece Lula. «Senti, senti.»
«Dieci a uno che lo trovate al circolo sociale» suggerì Vinnie.
Una volta c’erano molti circoli sociali potenti al Burg. Erano potenti perché era lì che venivano organizzate le lotterie clandestine. Poi lo Stato del New Jersey ha legalizzato il gioco d’azzardo e in breve tempo l’industria locale delle lotterie è andata a gambe all’aria. Adesso sono rimasti pochi circoli sociali al Burg, e i loro soci se ne stanno tutti tranquillamente seduti a leggere «Modern Maturity», la rivista dell’Associazione dei pensionati, e a confrontarsi i pacemaker.
«Non credo che DeChooch sia al circolo sociale» dissi a Vinnie. «Abbiamo trovato Loretta Ricci morta nel suo capanno degli attrezzi e credo che il nostro uomo sia già in viaggio per Rio de Janeiro.»
In mancanza di qualcosa di meglio da fare, me ne andai a casa. Il cielo era coperto e aveva cominciato a piovigginare. Era pomeriggio inoltrato e vedere Loretta Ricci mi aveva scosso non poco. Lasciai l’auto nel parcheggio, aprii con una spinta la doppia porta a vetri che conduceva nel piccolo ingresso e presi l’ascensore fino al secondo piano.
Entrai nel mio appartamento e puntai dritta alla luce rossa intermittente della segreteria telefonica.
Il primo messaggio era di Joe Morelli. «Chiamami.» Il tono non era amichevole.
Il secondo messaggio era del mio amico il Luna. «Ehi, piccola» diceva «sono il Luna.» Tutto qui. Fine del messaggio.
Il terzo messaggio era di mia madre. «Perché proprio a me?» chiedeva. «Perché devo avere una figlia che trova cadaveri? Dove ho sbagliato? La figlia di Emily Beeber non trova mai cadaveri. La figlia di Joanne Malinoski non trova mai cadaveri. Perché proprio a me!»
Le notizie corrono veloci al Burg.
Il quarto e ultimo messaggio era di nuovo di mia madre. «Sto preparando un bel pollo per cena e per dolce c’è la torta rovesciata di ananas. Metto un piatto in più se non hai altri programmi.»
Con la torta di ananas mia madre mi stava mettendo con le spalle al muro.
Il mio criceto, Rex, dormiva nella sua lattina di zuppa, dentro la gabbietta sul piano della cucina. Diedi un paio di colpetti sul lato della gabbietta e gli dissi ciao, ma Rex non si mosse. Probabilmente stava recuperando il sonno dopo una dura nottata passata a correre sulla ruota.
Mi chiesi se fosse il caso di chiamare Morelli e decisi di no. L’ultima volta che gli avevo parlato era finita a suon di urli. Dopo aver passato il pomeriggio con la signora Ricci non avevo la forza di urlare a Morelli.
Mi trascinai in camera e mi lasciai cadere sul letto a ragionare. Ragionare assomiglia molto spesso a dormicchiare, anche se l’intento è diverso. Ero nel bel mezzo di uno di questi profondi ragionamenti quando squillò il telefono. Quando finalmente riuscii a emergere da quelle serie riflessioni non c’era più nessuno all’altro capo del telefono, solo un nuovo messaggio da parte del Luna.
«Uffa» diceva. Tutto lì. Nient’altro.
È risaputo che il Luna fa esperimenti con sostanze farmaceutiche che generalmente non portano a niente di buono. Di norma, la cosa migliore è ignorarlo.
Infilai la testa nel frigorifero e trovai un barattolo di olive, qualche foglia di lattuga mezza marcia, una bottìglia di birra sola soletta e un’arancia con una muffa bluastra. Niente torta rovesciata di ananas.
Ce n’era una che mi aspettava a pochi chilometri da lì, a casa dei miei. Controllai la cinta dei miei Levi’s. Non c’era spazio. Forse non avevo poi così bisogno della torta.
Bevvi la birra e mangiai qualche oliva. Niente male, ma non era il dolce di mia madre. Feci un sospiro di rassegnazione. Stavo per capitolare. Volevo la torta.
Mia madre e mia nonna erano sulla soglia quando accostai al marciapiede davanti a casa loro. Nonna Mazur si era trasferita dai miei subito dopo che nonno Mazur era salito con il suo barattolo di monetine a giocare con la grande slot-machine del buon Dio. Il mese scorso la nonna ha finalmente superato l’esame per la patente di guida e si è comprata una Corvette rossa. Le sono bastati cinque giorni per mettere insieme un numero di multe per eccesso di velocità sufficiente a farle ritirare la patente.
«Il pollo è in tavola» annunciò mia madre. «Stavamo giusto per sederci.»
«Ti è andata bene che si è fatto un po’ tardi per cena» disse la nonna. «Tutta colpa del telefono che non ha smesso di squillare un minuto. Loretta Ricci fa notizia.» Si mise seduta e spiegò il tovagliolo. «Non che mi sorprenda. Me lo sentivo già da molto tempo che Loretta cercava guai. Era davvero arrapata, quella. Si è scatenata dopo la morte di Dominic. Maniaca di uomini.»
Mio padre sedeva a capotavola e aveva l’espressione di uno che vuole spararsi.
«Saltava da un uomo all’altro al circolo degli anziani» disse la nonna. «E si dice che fosse davvero una che non si faceva troppi problemi.»
La carne veniva sempre messa davanti a mio padre, quindi fu lui a servirsi per primo. L’idea di mia madre era che se il marito fosse rimasto occupato a mangiare forse non gli sarebbe venuta voglia di saltare addosso a mia nonna e strangolarla.
«Com’è il pollo?» domandò mia madre. «Vi sembra che si sia asciugato troppo?»
No, dicemmo tutti, il pollo non si era asciugato. Il pollo andava benissimo.
«Ho visto un programma in TV l’altra settimana su una donna come lei» disse la nonna. «Era una donna molto provocante e si è scoperto che uno degli uomini con cui aveva una relazione era un alieno venuto dallo spazio. L’alieno ha preso questa donna, l’ha portata nella sua navicella spaziale e le ha fatto tutta una serie di cose.»
Mio padre si curvò ancora di più sul cibo che aveva davanti e bofonchiò qualcosa che non riuscii a capire, tranne le parole vecchia strega pazza.
«Che ne sai di Loretta ed Eddie DeChooch?» chiesi. «Credi che avessero una relazione?»
«Non che io sappia» rispose la nonna. «Da quel che mi risulta, a Loretta piacevano gli uomini focosi, e a Eddie DeChooch non si drizza. Sono uscita con lui un paio di volte e ti assicuro che il suo coso è insensibile come il pomello di una porta. Ho provato di tutto, ma non è successo niente.»
Mio padre alzò gli occhi per guardare la nonna e gli cadde un pezzo di carne dalla bocca.
Mia madre, all’altro capo della tavola, era arrossita. Inspirò e si fece il segno della croce. «Madre di Dio» disse.
Mi misi a giocherellare con la forchetta. «Se me ne andassi ora immagino che non ci sarebbe nessuna torta rovesciata di ananas per me, vero?»
«Mai più per il resto della tua vita» rispose mia madre.
«Che aspetto aveva?» domandò la nonna. «Come era vestita Loretta? Che acconciatura aveva? Doris Szuch ha detto di averla vista al negozio di alimentari ieri pomeriggio, quindi immagino che Loretta non fosse già decomposta e piena di vermi.»
Mio padre si allungò a prendere il coltello per tagliare la carne e mia madre lo fulminò con uno sguardo d’acciaio che diceva non pensarci nemmeno.
Mio padre è un pensionato delle poste. Fa il taxista part time, compra solo auto americane, e fuma sigari dietro al garage quando mia madre non è in casa. Non credo che sarebbe davvero capace di dare una coltellata a nonna Mazur. Comunque, se lei si strozzasse con un osso di pollo non penso che gli dispiacerebbe poi tanto.
«Sto cercando Eddie DeChooch» dissi alla nonna. «È un MC, Mancata Comparizione. Hai idea di dove potrebbe nascondersi?»
«È amico di Ziggy Garvey e Benny Colucci. E poi c’è suo nipote Ronald.»
«Pensi che lascerebbe il Paese?»
«Potrebbe essere stato lui a sforacchiare Loretta? Non credo. È già stato accusato di omicidio in passato e non ha mai lasciato il Paese. Almeno non che io sappia.»
«Non lo sopporto» disse mia madre. «Non sopporto di avere una figlia che va in cerca di assassini. Cos’è successo di tanto grave con Vinnie da meritarti questo incarico?» Guardò mio padre di traverso. «Frank, è un parente della tua famiglia. Devi parlargli. E tu, perché non puoi assomigliare un po’ di più a tua sorella Valerie?» mi chiese mia madre. «È felicemente sposata e ha due bellissime bambine. Non va in giro a dare la caccia agli assassini e a stanare cadaveri.»
«Stephanie è quasi felicemente sposata» osservò la nonna. «Si è fidanzata il mese scorso.»
«Vedete qualche anello al dito?» domandò mia madre.
Tutti mi guardarono l’anulare senza anelli.
«Non mi va di parlarne» dissi.
«Credo che Stephanie si sia presa una cotta per un altro» disse la nonna. «Credo che abbia un debole per un certo Ranger.»
Mio padre si fermò con la forchetta infilata in una montagnetta di patate. «Chi, il cacciatore di taglie? Quel tipo nero?»
Mio padre era un fervente sostenitore delle pari opportunità. Non andava in giro a disegnare svastiche nelle chiese, e non faceva discriminazioni con le minoranze. Era solo che, fatta forse eccezione per mia madre, se non eri italiano non eri all’altezza.
«È cubano-americano» spiegai.
Mia madre si fece un altro segno della croce.