Mentre Fanny era alla cassa la cameriera portò la pasta fredda, le fettuccine per lui, il tè e il caffè. Quando Fanny ritornò al tavolo, gli disse: — Ma non hai fame?
— Sto morendo di fame — disse lui — ma prima voglio vedere cosa ti hanno dato.
— Due comunissimi biglietti da dieci dollari — disse mostrandoglieli. — Comincio a credere che tu sia proprio pazzo.
Lui scosse la testa e mise in bocca una grossa forchettata di fettuccine.
— E ti ho anche chiesto se avevi fame!
— Ho bisogno di concentrarmi — le disse — e mi concentro meglio mentre mangio. — Dopo un altro boccone, le chiese: — Vuoi assaggiarle? Sono proprio buone.
— Solo per farti piacere. — Ne prese una forchettata, e poi altre due. — Quei biglietti che mi hai mostrato prima non te li ha dati quell’uomo, vero?
Lui annuì con la bocca piena.
— Vuoi dire che quell’uomo sa tutto e che ci sta manovrando a suo piacimento?
Lui inghiottì il boccone. — No, non credo. Mi ha parlato dell’incontro, l’incontro di Joe.
— E chi è Joe?
— Un pugile. Una volta l’ho conosciuto. Tutti dicono che è tanto un bravo ragazzo, ed è proprio quello che mi è sembrato l’unica volta che ho parlato con lui. Ti ricordi quello che ha detto Mamma Capini di quelle persone che sono venute qui con Lara?
Fanny annuì. — L’omone e la bionda? Certo.
— L’omone era Joe. Laura Nomos è la consulente legale di Eddie Walsh. Eddie è l’agente di Joe. Tutta questa gente appartiene al tuo mondo, tranne Mamma Capini. — Bevve un sorso d’acqua poi ritornò alle fettuccine. È stato Joe a pagare la cena, ricordi? Se l’avesse pagata Lara — Laura Nomos — non mi sarei meravigliato. Joe potrebbe aver usato una carta di credito o un assegno… ma non mi sembra nello stile di Joe. Quella volta all’ospedale, quando ha preso una tazza di caffè per me e una bibita analcolica per sé da una macchinetta automatica, ricordo che ha tirato fuori i soldi da uno di quei portamonete che in genere, alla Tv, mettono in mano ai personaggi che stanno attenti a come spendono. Scommetto che ce l’ha da quando era un ragazzino. Insomma, sono proprio sicuro che Joe pagherebbe in contanti.
— E un tipo così non credi che avrebbe controllato il resto?
— È proprio questo il punto. Joe l’avrebbe sicuramente fatto. Avrebbe perfino contato i soldi. Probabilmente è Jennifer sua moglie, la donna vestita di rosso, che si occupa della loro amministrazione, ma Joe non permetterebbe mai che sia lei a pagare il conto in un ristorante. Lo metterebbe in imbarazzo, perciò il resto doveva essere giusto, e nel giusto tipo di moneta.
— Allora pensi che quelli del ristorante sono a conoscenza di tutto? È proprio quello che ho detto io.
Lui scosse la testa. — Se fosse così, quell’uomo non mi avrebbe certo parlato di Joe. Il fatto è che all’inizio uno non si rende bene conto di cosa gli è successo. Credimi, parlo per esperienza. Quello che è successo a lui e a tutto il locale è che, in qualche modo, sono stati attirati dentro… sono passati attraverso una porta… Ma come è possibile? Un intero edificio non può passare attraverso una porta!
Fanny scoppiò a ridere. — Non capisco di cosa stai parlando. Cos’è questa storia delle porte?
— Lara me ne ha parlato in un biglietto. Quando si sta insieme a qualcuno di un altro mondo, si vedono delle porte. Qualunque cosa delimitata sui quattro lati può essere una porta. E ha un aspetto significativo… è proprio la parola che ha usato Lara. Se uno l’attraversa, si ritrova dall’altra parte. Ma poi, se si volta per tornare indietro, non ci riesce. La porta è scomparsa. Per farlo, deve camminare all’indietro senza voltarsi.
Schioccò le dita, e Fanny disse: — E adesso cosa c’è?
— Sai perché una porta è uguale sia da un lato che dall’altro?
— Non ne ho idea. Perché?
— Perché è uguale. È proprio questo che ne fa una “porta”. Chiudi gli occhi. Attenzione, facciamo una prova.
Fanny fece come gli aveva detto.
— Ora, tu hai pranzato qui altre volte, e hai deciso di venirci con me. Qual è il nome vero di questo ristorante, quello ufficiale?
Lei rimase a pensarci un momento. — Fuori c’è una targa di ottone: TRATTORIA CAPINI.
Lui sospirò e disse: — Va bene, e ora riapri gli occhi. — Le porse il pacchetto di fiammiferi che si trovava sul tavolo.
Fanny lo guardò e lesse: — “Da Capini cucina italiana”. Già, non è proprio lo stesso nome.
Lui posò la forchetta. — Questo ristorante — io lo chiamo da Mamma — si trova nel mio mondo. Vengo a mangiare qui da anni. L’altro — la Trattoria — è nel tuo mondo. Può darsi che sia un caso che abbiano lo stesso cognome. Comunque, la porta della Trattoria è una “porta”. La gente del tuo mondo che è stata con gente del mio, può entrare nel mio mondo attraversandola, come hai fatto tu quando sei entrata insieme a me, o come ha fatto Joe con sua moglie — mi pare che si chiami Jennifer — quando sono venuti qui insieme a Lara. Ma le cose dopo un po’ ritornano al loro posto. Le persone vengono attirate di nuovo dal loro mondo, è per questo che io sono tornato nel mio. I soldi non sono altro che pezzi di carta. Se sono soldi di un certo mondo, attirano quelli che provengono di lì. Le cose finiscono sempre per tornare al loro posto, ne sono sicuro.
Fanny disse: — Con questo ragionamento tu dai per scontato che un pezzo di carta abbia cervello. Non ti credo.
— No, non sto dicendo questo. Ora ti racconto una cosa che ci mostravano a scuola. Accordavano due corde di uno strumento sulla stessa tonalità. Mi segui? Non come si accorda un pianoforte, ma in modo che entrambe suonassero la stessa nota. Così, quando una veniva pizzicata, anche l’altra cominciava a vibrare. Non perché avesse cervello… lo faceva e basta.
— E allora secondo te questi due mondi sono solo tonalità… frequenze diverse, e non sono reali?
— Non mi spingerei tanto lontano — disse lui.
— Ma io sì. Non è così che funziona la televisione? Si seleziona un certo canale e si ricevono due segnali, uno per l’immagine e uno per il suono. Ma la regolazione dei segnali non è del tutto stabile, ed è questo che crea dei disturbi all’immagine e al sonoro. Quando si cambia spesso frequenza al televisore, succede che si sovrappone un altro canale e lo spettacolo che uno stava guardando scompare dallo schermo e ne appare un altro con altri personaggi.
Lui scosse la testa.
— Be’, credo di avere ragione. — Fanny fece un cenno alla cameriera. — Può portarmi altra acqua calda per il tè?
Avrebbe voluto dirle che se il mondo in cui lei viveva era solo la nota di un pianoforte, il suo invece era reale; ma si ricordò delle monete, delle facce false e dei bordi di ottone, e pensò che in fondo il suo mondo non era più reale di quello di Fanny, e forse anche meno.
Fanny puntò l’indice verso di lui. — E ora stammi a sentire. Immagina di restare davanti al televisore per tutta la vita. Immagina che sia la sola cosa che conosci, e che trasmettano spettacoli come Alba, Tramonto, Lavoro e Spesa, e che tu li segua a tal punto da non pensare mai a nient’altro. — Si fermò un momento. — Come si chiama quel piccolo schermo che abbiamo nella parte posteriore degli occhi?
Lui scosse la testa. — Non lo so.
— La retina, ecco. Be’, immagina che qualcuno cambi lo spettacolo nella retina.
— Mi stai mettendo alla prova?
Fanny sorrise. — Ma no, è solo per fare conversazione. Hai detto che se attraversiamo all’indietro quella porta, ci ritroviamo nel mio mondo. Sono sicura che tu desideri tornare là insieme a me, perché così potresti ritrovare Lara, che in realtà è Laura Nomos. E io credo che se uscissimo all’indietro da quella porta ci ritroveremmo di nuovo sul marciapiede, e tu diresti “Guarda, ha funzionato!”. Senti, può anche darsi che io sia un’allocca, ma non fino a questo punto.
— Dico sul serio — disse lui.
— Anch’io. E credo di sapere come funzionano le tue porte. Poniamo che due canali mandino in onda lo stesso programma, ma al contrario. Chiamiamo questo programma “porta” o passaggio… non ha importanza. Il primo canale, la mostrerà da un lato e, contemporaneamente il secondo la farà vedere dall’altro. Non può accadere allora che le due frequenze si avvicinino? Se immaginiamo che ci siano tanti canali, alcuni potrebbero avvicinarsi a tal punto da toccarsi. Allora, basterebbe girare appena la manopola per passare da un canale all’altro, giusto? Ma se volessimo tornare indietro, dovremmo girare la manopola in senso contrario, non potremmo girarla nella stessa direzione di prima. Allora ecco cosa dobbiamo fare se vogliamo passare da quella porta: dobbiamo girare la manopola all’indietro. Ma la cosa mi fa sentire un po’ sciocca.
— Ma lo farai, non è vero?
Fanny si strinse nelle spalle. — Non credo che t’importi molto di me. Pensi solo alla tua Lara.
— Devo scegliere fra voi due? Così, adesso?
Fanny fece una smorfia. — Già.
— Io scelgo Lara.
— Allora devi lasciare che io mi paghi il pranzo da sola.
— Senza voltarsi — disse lui. — Dico sul serio. Può anche darsi che non funzioni perché nel biglietto Lara diceva di farlo immediatamente… e non è certo il nostro caso. Ma comunque non può succedere niente di grave. Tu saresti disorientata nel mio mondo proprio come io lo ero nel tuo.
— Questo è un racconto mitico, non è vero? — disse Fanny.
— Vero cosa?
— Il viaggiatore che ha perduto la via, che incontra qualcuno o scopre una città che nessun altro troverà mai dopo di lui. Non so proprio se mi piacerebbe, anche se il dipartimento pensa che io sia passata al nemico.
— Quei programmi di solito non hanno un lieto fine — disse lui. Aveva visto Brigadoon alla Tv, e cercava di ricordarsi come finiva la storia per potergliela raccontare. Ma non gli veniva in mente altro che il titolo del film, le gonne scozzesi svolazzanti e il suono delle cornamuse.
“Non è proprio così”, si disse.
Fanny si era alzata in piedi e stava prendendo il cappotto dallo schienale della sedia. — Dai, andiamo. Non credo che funzionerà.
— Subito? Dobbiamo chiedere il conto — disse lui.
— Eccolo qui. — Glielo sventolò davanti agli occhi. — La cameriera me lo ha portato insieme all’acqua per il tè.
Lui glielo sfilò di mano (un po’ troppo facilmente, pensò) e l’aiutò a mettersi il cappotto. Si rese conto di non essere del tutto convinto che attraversare all’indietro quella porta sarebbe servito a qualcosa. Era a casa, di nuovo nel suo mondo dopo… dopo cosa? Un sabato mattina avventuroso? Una specie di sequestro mentale? Le cose ritornano sempre al loro posto. Aveva detto così.
Il suo cappotto era appeso a un attaccapanni vicino al tavolo. Naturalmente era ancora il cappotto di lana che aveva comprato all’albergo, troppo pesante forse per il tempo che faceva qui. Ma il pacco di biglietti da cinquanta che aveva comprato per dieci centesimi dal signor Sheng era moneta vera, mentre non lo era la cospicua cifra che gli era avanzata dai mille dollari che aveva trovato sotto il vaso nella sua stanza all’ospedale.
Con un’altra banconota del pacco, pagò il conto al nuovo, cassiere, uno dei tanti figli di Mamma Capini, forse un po’ più vecchio e grosso di quello che aveva incontrato nel bagno degli uomini. Per fare una prova gli chiese: — Cosa ne pensa dell’incontro?
— Quale incontro?
— Quello di Joe. Credevo che Joe fosse un vostro cliente.
Il cassiere ridacchiò e batté lo scontrino. — Lei ha parlato con Guido. Guido è un po’ matto.
Fece per tornare al tavolo, ma Fanny sussurrò: — Ho già lasciato la mancia.
— Va all’indietro — le disse. — Ricordati che dobbiamo camminare all’indietro. — Cominciò a indietreggiare con passo impacciato verso la porta.
— No — sussurrò Fanny. — Non voglio. — Lo prese per un braccio e lo fece girare su se stesso.
Lui tentò di dirle: — Tu non…
— No, non voglio, questo gioco è durato abbastanza — disse Fanny, e lo tirò per un braccio.
Lui vide Lara in mezzo alla strada che osservava l’insegna del ristorante mentre i fiocchi di neve le sfioravano il viso. Corse verso di lei e alle sue spalle sentì la voce di Mamma Capini gridare: — Arrivederci. — Con la coda dell’occhio fece in tempo a vedere Fanny guardare indietro, salutare con la mano sorridendo mentre attraversava la porta.
Si ritrovò per la strada, da solo. I fiocchi di neve brillavano alla luce del sole, sospinti giù dai tetti dal vento primaverile. Lara non c’era più, mentre lui la guardava era scomparsa dentro la porta girevole di una pellicceria.
Si precipitò in mezzo al traffico senza guardare.
Uno stridio di freni sull’asfalto. Un camioncino bianco, come un enorme frigorifero su quattro ruote, sterzò di colpo e per poco non lo investì. Esultante di gioia lui saltò sul marciapiede e si slanciò dentro la porta girevole.
C’erano i saldi di fine stagione e la pellicceria era affollata di donne, molte accompagnate da mariti impazienti. Passò di corsa in mezzo a loro, cercando di ricordare se Lara indossava il cappello o se portava i suoi splendidi capelli sciolti sulle spalle o raccolti sulla nuca in una pettinatura che gli sembrava di aver intravisto mentre Fanny sbiadiva accanto a lui come una foto scadente.
Fece due volte il giro del negozio. Donne dappertutto, con e senza cappelli, ma di Lara nessuna traccia.
Colto dalla disperazione s’impadronì di una commessa salvandola da una cliente con i capelli azzurrini e l’aria inviperita che stava criticando aspramente due pellicce. Le descrisse Lara come meglio poté.
La commessa scosse la testa. — Ha provato al piano di sopra?
Lui la fissò.
— Nel salone. — La commessa disse a bassa voce: — Là esponiamo i capi più costosi per un diverso tipo di clienti.
Un piccolo ascensore lo portò al secondo piano, ansimando come un vecchio asmatico. La moquette era bianca e le luci leggermente azzurrate. Individuò un commesso e anche a lui ripeté la descrizione di Lara, aggiungendo che era di estrema importanza che lui le parlasse.
Il commesso gli chiese con distacco: — Per caso si ricorda il nome della signora?
— Lara Morgan — disse. — Ma a volte si fa chiamare Laura Nomos.
Il commesso restò impassibile. — Se vuole seguirmi, signore, controllo il registro di oggi e poi saprò dirle se la signora è stata qui.
Andarono nel retro del negozio, dove su un tavolo c’era un grosso registro aperto. Il commesso lo sfogliò. — La signora Morgan è stata qui oggi, alle undici e trenta, signore. — Il commesso guardò l’orologio. — Ora sono quasi le undici e quaranta, perciò credo che abbia già lasciato il negozio. La signora Morgan ci ha lasciato la sua pelliccia perché la pulissimo e la tenessimo in custodia, come credo sia sua abitudine.
Sentì sbocciare dentro di lui un piccolo fiore di speranza e domandò: — Verrà a ritirarla in autunno?
— Oppure, signore, incaricherà qualcuno di farlo. — Il commesso sfogliò le pagine del registro. — Ecco, come le avevo detto… la signora era venuta a ritirarla lo scorso ottobre, ma la pelliccia era rimasta in custodia da noi per ventisei mesi.