31. Pranzo con Lora

Quando la cameriera si allontanò, lui prese Tina dalla tasca e l’appoggiò sulla tovaglia a quadri.

— Una bambola? — Lora Masterman smise di dondolarsi sulla sedia e prese dalla borsa un paio di occhiali cerchiati d’oro per osservarla.

— L’ho comprata perché mi ricordava te — disse lui.

— È molto gentile da parte sua.

— Può camminare, parlare e perfino pensare un po’… quando è in funzione. Ma non sa leggere e non mastica niente di aritmetica. Non è programmata per queste cose e non credo che possa esserlo. Se le domandi quanto fa uno più uno, risponde “due o tre”. Se le domandi quattro più quattro, risponde “un sacco”. — Poi si affrettò ad aggiungere: — Con questo non voglio dire che anche tu sei così.

Lora sorrise. — Sono sicura che la dottoressa Nilson qualche volta lo pensa.

— Ti voglio raccontare di Tina e del mio scrittoio, vuoi? Ti piacciono gli oggetti antichi?

— Sì, ma non ne so molto.

— Io sì — disse lui. — Anche le persone più ottuse possono essere esperte in qualche cosa. Ci hai mai fatto caso? Io lo sono in oggetti antichi e in personal computer. So tutto su questi argomenti. Quando abbiamo vissuto insieme, conoscevo solo i personal computer, ma adesso sono esperto anche in oggetti antichi. I computer sono interessanti, ma gli oggetti antichi lo sono di più, perché ci sono molte più cose da conoscere su questo argomento.

Lora disse dolcemente: — È stato solo per due giorni…

— Lo so, ma io avrei voluto che durasse per sempre. Non ero abbastanza intelligente o abbastanza bello e non guadagnavo un granché. Ti capisco, non ce l’ho con te.

— Ma non è stato per nessuna di queste ragioni. — Lora si tolse gli occhiali e li rimise nella borsa. — Ero io a non essere adatta a te. Tu eri un paziente della dottoressa Nilson e io lavoravo nel suo studio e mi sono resa conto che ti facevo del male. Dopo qualche giorno non ce l’ho fatta più.

La cameriera portò una caraffa d’acqua ghiacciata, un piattino con il burro, una piccola forma di pane italiano appena sfornato e del vino.

— Perché dici che mi facevi del male?

— Cominciavi a peggiorare. Ti eri dimenticato, voglio dire avevi rimosso, di essere in terapia, e questo non andava bene. Ti eri perfino dimenticato che ci eravamo conosciuti nello studio della dottoressa Nilson. Hai cominciato a dire che ci eravamo incontrati nel parco, solo perché quella volta avevamo fatto una passeggiata. E ora… — La voce di Lora si era fatta incerta, sembrava che stesse per scoppiare in lacrime. — Ho paura che stai ricominciando da capo. Ti stai creando un sistema allucinatorio che ruota intorno a me.

— No, non è vero. Sei troppo grande per farti stare dentro la mia mente.

— L’hai già fatto una volta.

Lui scosse la testa. — Allora eri irreale come lo sei adesso. Avevi cambiato il tuo aspetto, solo un po’; dicevi di chiamarti Lara Morgan e hai fatto in modo che ti incontrassi nel parco. Ma su una cosa hai ragione: io non volevo ammettere di essere in cura da uno psichiatra, non volevo ammetterlo nemmeno con me stesso. Ero convinto che un tipo simile non fosse adatto a te.

“Anche il posto in cui mi sono trovato quando ho attraversato la porta era reale. Ho incontrato persone reali, ho mangiato del vero cibo e ho comprato questa bambola. Ho perfino conosciuto un uomo che veniva dal nostro mondo e che un tempo aveva lavorato per Nixon.

Lora cercò di prendere Tina, ma lui la tirò indietro. — Pensi che voglia romperla — disse Lora. Era un’affermazione, non una domanda.

Lui annuì.

— Se uscissi di qui e seguissi la strada fino a un negozio di giocattoli, potresti comprarne una…

Mamma Capini si fermò tutta sorridente al loro tavolo. — Ehi, voi due! Siete tornati insieme? Bene, bene.

— Io sì, sono tornato — le disse lui. — Adesso sto cercando di far tornare Lara insieme a me.

— Avete già ordinato?

Lui scosse la testa.

— Prendete i frutti di mare. Oggi sono proprio buoni.

— Va bene — disse lui.

— Lo dico io alla cameriera. — Mamma Capini si allontanò impettita.

Lora disse: — Si ricorda ancora di me. Sono passati anni.

— Tu non sei cambiata molto. E poi chi ti può dimenticare? Io non ho comprato Tina perché temevo di dimenticarti. Sapevo che ti avrei ricordato sempre. L’ho comprata perché volevo possedere una piccola parte di te. Se non si può avere una persona, si desidera avere almeno la sua immagine, e tu sei stata la modella a cui si sono ispirati per fabbricare Tina. Ne sono sicuro.

Lei cominciò a protestare, ma lui la zittì con un gesto. — Va bene, è solo un caso se Tina ti somiglia come una goccia d’acqua. Non litighiamo per questo. Comunque… una persona che io consideravo un’arpia, mi ha mandato lo scrittoio perché aveva capito quanto ci tenessi. Così ho scoperto che in fondo è una santa.

— Qualche volta succede il contrario — gli disse Lora.

Lui annuì ancora. — Vuoi dire che io penso che tu sia un angelo, ma che in realtà sei un demonio, un angelo caduto? Va bene, ti seguirò all’inferno se è lì che stai andando.

Rimase in silenzio, pensieroso, ma Lora non disse una parola.

— C’è un arazzo vittoriano… la scena mostra un cavaliere e una dama. Lo sfondo dietro il cavaliere è il solito, un mucchio d’erba e alcuni alberi; ma dietro alla dama, il paesaggio è davvero isolito. È la rappresentazione di un poema, La belle dame sans merci, di John Keats. Quella dama sei tu, vero? Mi è venuto in mente solo ora, perché quella dama non ti somiglia molto. Non credo che Keats ti abbia veramente visto. Forse si è ispirato a qualche antica leggenda, o forse no.

Lora sorrise. — Questo mi piace di più della bambola parlante. Ho sempre desiderato apparire su un arazzo.

— Vieni al negozio e te lo faccio vedere. Comunque… lo scrittoio era imballato in una cassa di legno. Penso che la signora abbia incaricato una società di spedizioni, perché sembrava un lavoro da professionisti.

Lora annuì.

— Non sapevo cosa contenesse e ho avuto un po’ di difficoltà ad aprirla. Quando sono riuscito a togliere la prima assicella, ho mandato dentro Tina per vedere cosa ci fosse.

— Tu ne sei proprio convinto, vero? — Con un gesto impaziente della testa, Lora buttò indietro i suoi lucenti capelli castani. — Sei davvero convinto che quella bambola sappia camminare e parlare?

— Non è poi una cosa così strana — disse lui. — Da principio pensavo addirittura di essere io, come per magia. La Meravigliosa Tina, così si è chiamata una volta. Nel Reparto Fai Da Te vendono un piccolo robot che ci si può costruire da soli e mi hanno detto che l’aviazione ha certi aeroplani che possono volare, combattere, tornare alla base e atterrare anche in caso di morte del pilota. Io non saprei costruire una bambola del genere e non conosco nessuno che saprebbe farlo, ma può esserci qualcuno che ne è capace… se ci si mette.

Tina stava a faccia in giù sul tavolo, accanto al suo gomito. Mentre parlava, lui aveva preso la saliera e ci giocherellava passandosela da una mano all’altra. La cameriera portò i frutti di mare.

— Tina non veniva più fuori. Ho spaccato la cassa e ho guardato dappertutto, ma non sono riuscito a trovarla. Finalmente ho scoperto che c’era uno scomparto segreto nello scrittoio… non credo che la signora che me lo ha regalato lo sapesse… l’ho aperto, e Tina era là dentro, ma non parlava e non camminava più. Era così. — La indicò con una mano.

Lora, che stava mangiando la sua pasta con i frutti di mare, annuì con aria scettica.

— Forse non ti ho detto che Tina era così anche quando l’ho comprata. Il commesso mi ha detto cosa dovevo fare per farla funzionare, ma io non gli ho prestato molta attenzione. — Rimase un attimo in silenzio. — Ma avrei dovuto starlo a sentire, perché anche a me succedeva molto spesso, quando vendevo personal computer e periferiche, di spiegare qualcosa al cliente e vedere puntualmente che il giorno dopo quello tornava al negozio per chiedermi la stessa cosa. Comunque… mi domandavo che cosa le fosse successo e poi ho capito. Un giocattolo, meccanico non è sempre in funzione. Quando un bambino non ci gioca, viene spento. Se è un giocattolo a molla, non c’è nemmeno bisogno di spegnerlo, si scarica da solo. Non ti starò a raccontare come l’ho fatta funzionare la prima volta, ma è stato per caso.

Lora si asciugò la bocca col tovagliolo. — E così, non puoi più farla funzionare!

Lui scosse la testa. — Già. Sono troppo felice di averti ritrovato e so che mi porterai con te.

— Non capisco cosa intendi dire. Può darsi che ci vedremo ancora e può darsi di no.

Lui annuì. — Tina mi aveva detto che le piaceva il tè e così io gliel’ho preparato. Me l’ha detto solo quella volta e dopo me ne sono dimenticato. Quando l’ho vista lì, immobile nello scomparto, ho capito. Lei lo dice al bambino una volta sola e il bambino la fa funzionare fino a quando ha voglia di giocare con lei. Se lui non vuole più giocare, la bambola si mette da parte, così la mamma del bambino non deve preoccuparsi di rimetterla a posto. In breve tempo la bambola si scarica, o meglio, si riposa; in questo modo non si rompe mai e non si consuma. Anch’io in quel momento non avevo più tanto interesse per Tina, perché ogni mio pensiero era rivolto a te e alla cassa.

Bevve un sorso di vino. Lora disse: — E tu ti aspetti che io ci creda.

— Sono sicuro di sì, tu sai tutto su questi giocattoli, anzi, sono convinto che tu sappia più di me. Quello che mi aspetto veramente è che tu lo ammetta. Lo farai quando ti renderai conto che è inutile continuare a comportarti come stai facendo adesso. — Appoggiò il bicchiere sul tavolo e prese la saliera. — Insomma, Tina si comporta così. Tutte le volte che io non mi interesso a lei, si mette da parte. Se c’è un posto che le piace, lo chiama la sua fortezza segreta. Ieri si è nascosta in quello scomparto segreto.

Svitò il tappo della saliera, versò il sale nell’acqua ghiacciata e lo mescolò con un cucchiaio. Quando vide che il sale si era quasi del tutto sciolto, bagnò le dita nell’acqua e spruzzò Tina. — Quando è già in funzione può bere da sola — disse a Lora. — tè o acqua con un po’ di sale. Se invece è a riposo, bisogna fare così. È un elettrolito. Non fare finta di essere sorpresa.

Una goccia d’acqua cadde sul viso di Tina che si mise a sedere sul tavolo. — Ciao, sono Tina. — Batté varie volte i suoi grandi occhi nocciola prima di metterli a fuoco su Lora.

— Ciao, Tina — disse Lora con voce tesa.

— Io ti appartengo — dichiarò Tina. — Sono la tua bambola e so parlare.

Lora scosse la testa. — Temo che non sia vero, Tina. Hai sbagliato persona. Tu appartieni all’uomo dietro di te.

Lui disse: — Ciao, Tina. Ti ricordi di me?

— Pochino.

— Abbiamo giocato insieme nel mio appartamento. Tu mi hai aiutato a cercare delle cose che avevo perso e io intanto ti stavo leggendo una storia. Poi ti ho comprato dei bei vestitini e un servizio da tè.

Tina fece cenno di sì. — Se vuoi bere il tè, posso aiutarti a preparare la tavola.

— Sì, appena torniamo a casa. — Poi, rivolto a Lora, disse: — Sei sicura di non voler dare Tina a Missy?

Lora scosse la testa. — So che vuoi essere gentile e devo ammettere che sulla bambola tu avevi ragione e io torto. Dicevi la verità, ma questa cosa sembra troppo una stregoneria per i miei gusti e per quelli di Missy.

— Va bene, non pensiamo a Tina per ora. Quando te ne sei andata mi hai lasciato un biglietto, ricordi? Se sei davvero quello che dici di essere, una divorziata con una bambina, perché mi hai scritto di quelle porte?

Lora lo guardò con aria interrogativa. — Quali porte?

Lui prese il biglietto dal portafoglio, lo aprì e lo lisciò sul tavolo. Una goccia d’acqua salata cadde su un angolo del biglietto, come una lacrima. Mentre lui alzava lo sguardo su Lora, Tina fece una risatina.

Lora domandò: — Che avete da ridere, voi due? — Quando lui l’aveva aperto, Lora aveva dato un’occhiata al biglietto e aveva distolto immediatamente lo sguardo.

— È per la tua faccia — le disse lui. — Fino a ora eri riuscita a controllarti.

Lora si alzò in piedi, pulendosi le labbra con il tovagliolo. — Se non ti piace la mia faccia…

— Immagina che io chiami Canale 9 — disse lui. — Immagina che io gli mostri questo biglietto e poi gli faccia vedere Tina. Sono sicuro che quelli della Tv sarebbero molto interessati a Tina e tu non potresti tornare qui chissà per quanto tempo.

Tina esclamò: — Non andartene! — Un cliente grasso, seduto al tavolo vicino, guardò la bambola e distolse immediatamente gli occhi, con l’espressione stupita ma determinata di un ateo che abbia visto un fantasma.

— Questa è pura follia — disse Lora. — Sapevo che sarebbe andata così, quindi è colpa mia. Grazie per il pranzo.

— Ho anche il tuo ritratto — le disse lui. Lora non rispose e lui continuò: — Siediti.

Con le braccine tese, implorando di essere presa in mano, Tina trillò con voce acuta: — Sei così graziosa!

Lora si rimise a sedere. Non si dondolava più con la sedia e stava sulla difensiva. — Ma io non ti ho mai dato il mio ritratto.

— Infatti. — Fece una pausa per pensare bene a quello che stava per dire. — Le cose tornano al loro posto da sole, vero? Le cose del tuo mondo e del mio. Quando ero piccolo mia madre a colazione mi dava i fiocchi di granturco con il latte e io non sono mai riuscito a spiegarmi perché un fiocco che io mettevo in mezzo alla tazza si spostava sempre da una parte. Ancora adesso non me lo so spiegare, ma non credo che sia per magia. E sono convinto che anche questo non sia magia. Probabilmente si tratta di una legge di natura, come la gravità. Che succede quando qualcosa appartiene a tutti e due i mondi? — Restò in attesa di una risposta.

— Immagina che il mio mondo sia come il mare — disse Lara. La sua voce era improvvisamente diversa; il cambiamento era minimo ma molto significativo. Aveva rinunciato all’inutile gioco che ormai non la divertiva più. — E che il tuo sia come la terra.

Sotto il trucco s’intravedevano le lentiggini e i suoi occhi mandavano bagliori verdi.

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