33. Il momento si avvicina

Gli sembrò che lei fosse svanita tra la folla di impiegati che sciamavano fuori dagli uffici; poi intravide i suoi capelli splendenti che, alla luce del tramonto, erano tornati color rame come se li ricordava. Si affrettò per raggiungerla, la perse di vista, la ritrovò e la perse di nuovo. Continuò a correre. Nelle strade un po’ alla volta cominciavano ad accendersi i lampioni.

I lampioni… ma non era appena passata l’ora di pranzo? Superò una chiesa in cui stavano celebrando una funzione religiosa. Si sentiva il rombo dell’organo e i canti dei fedeli; le luci all’interno della chiesa facevano risplendere come gemme le vetrate colorate. Una rappresentava Lara, con una lancia in mano e uno specchio nell’altra. Si fermò un attimo a osservarla, poi riprese a correre.

Qualcuno lo afferrò per una manica. — Dove diavolo sei stato?

Fece per voltarsi e un pugno lo colpì con violenza al rene destro. Era North. Si piegò in due con un gemito. La folla sul marciapiede era così fitta e vociante mentre si accalcava davanti agli sportelli di una biglietteria, che nessuno notò quello che era successo, o se lo notò fece finta di non vedere.

— Questo è per avermi piantato in asso — disse North. Lo afferrò per la cravatta come se fosse un guinzaglio e lo trascinò fuori dalla calca dentro un vicoletto. Lui si divincolò e tentò di colpire North accecato dall’ira. Ma North lo anticipò… un lampo rosso di dolore e si ritrovò seduto sui mattoni sudici a vomitare con le mani strette sul ventre.

Sentì la voce acuta di Tina attutita dalla stoffa della giacca domandare: — Stai male?

Lui sorrise e disse: — Sì. — Felice che il colpo fosse stato troppo basso per far male alla bambola.

— Perché diavolo sorridi?

— Perché sono ancora vivo — rispose barcollando. — Non ti sembra abbastanza?

— Per te forse — gli disse North. Si aprì una porta e un raggio di luce gialla illuminò il vicoletto buio. — Su, vieni. — North lo guidò giù per una rampa di gradini in cemento.

— Dove mi porti? — domandò lui. Faceva fatica a parlare, ma farlo lo distraeva dal dolore.

— A dare spettacolo. — North ridacchiò e aggiunse: — Come l’altra volta.

I gradini portavano a un ampio corridoio in cemento che puzzava di sudore. Un uomo di mezza età, con indosso una maglietta consunta e un paio di pantaloni cachi, li superò correndo con una pila di asciugamani puliti e un secchio d’acqua.

North disse: — Abbiamo un mucchio di tempo. Non sono ancora cominciati gli incontri preliminari. Credo che lui stia in una delle stanze accanto agli ascensori.

Il corridoio piegava ad angolo retto una, due volte, sempre più ampio e illuminato. In fondo, un gruppo di giovani donne compunte armate di taccuino e di uomini che imbracciavano macchine da ripresa, erano in attesa di qualcosa. North si fece largo in mezzo a loro ignorando proteste e minacce. — Seguimi! — lo sollecitò North.

Lui cercò di stargli dietro il più possibile fino a che si fermarono davanti a una grande porta di metallo verde scuro. Sulla porta, ad altezza d’uomo, c’era una targa di cartone con su scritto in bei caratteri: JOE JOSEPH.

North bussò con una violenza tale da far pensare che avrebbe scardinato la porta. E invece venne ad aprirla imprecando un uomo calvo. North entrò a grandi passi lasciando l’ometto da solo a tenere indietro gli uomini con le macchine da ripresa e le solerti ragazze con i taccuini. Prima che l’uomo calvo riuscisse a chiudere di nuovo la porta, un flash illuminò la stanza nuda come il lampo di un fulmine silenzioso. Solo quando si ritrovò al centro della stanza, lui si rese conto che l’ometto calvo era Eddie Walsh. Il campione di Eddie, Joe, grosso come un armadio, stava seduto sul lettino del massaggiatore con indosso un paio di calzoncini da pugile bianchi e azzurri, una vestaglia azzurra di satin e scarpe da ginnastica.

W.F. alzò gli occhi dalla mano di Joe che stava bendando e gli sorrise. Lui cercò di ricambiare il sorriso, poi si morse le labbra tentando di ricordare il nome della bionda dall’espressione seria vestita di rosso. Era Jennifer, senza dubbio. Non l’aveva mai incontrata, ma doveva essere Jennifer.

North stava parlando a Joe a voce bassa e con tono deciso. Sembrava volesse dire che in quella stanza loro erano le uniche persone importanti e gli altri non valevano un’acca. — Sono il tuo nuovo secondo. Stasera starò nel tuo angolo insieme a Walsh. Ti porterò fortuna, credi a me. Sarà l’incontro più importante della tua carriera. Sai chi sono?

Joe non rispose e restò impassibile. Anche la manona tesa verso W.F. non si mosse e non tremò; i suoi occhi azzurri assenti fissavano il vuoto senza vedere. Se il pugile stava pensando a qualcosa, sicuramente non riguardava quello che succedeva in quella stanza. Un santo in contemplazione di Dio o un buongustaio in contemplazione del Cibo, avrebbero avuto la stessa espressione assorta.

— Lassù ci sono una ventina dei miei uomini — gli disse North. — Non ce ne sarebbe bisogno, ma voglio che ti vedano di persona. Ti osserveranno prima che sali sul ring. Ti osserveranno mentre combatti e ti staranno ancora a osservare quando uscirai, imprimendosi nella mente il tuo aspetto e il tuo modo di muoverti. Quattro uomini su due macchine stanno “sorvegliando la tua auto nel caso che tu sia così così stupido da tentare di usarla per scappare. Certo, se hai una fortuna fottuta, puoi arrivare a casa… forse. Ma i casi sono due: o fai quello che dico io o entro domani sera a quest’ora sarai morto. E anche lei. — North fece un cenno con la testa in direzione di Jennifer. — E, se tenteranno di darci fastidio, anche questi due signor nessuno che ti porti dietro. Quanto a te, è sicuro. Tu e tua moglie, puoi metterci la firma.

La voce di Joe era come se la ricordava, lenta e forte. — Tu vuoi che perda l’incontro.

— Per la miseria, no — disse North. — Se vuoi. A me non interessa se vinci o perdi. Voglio solo essere uno dei tuoi secondi.

— Stronzate — gli disse Walsh.

Qualcuno bussò alla porta, un solo colpo delicato. Walsh si affrettò ad aprire e Lara entrò nella stanza.

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