Alice mi riportò a casa il mattino dopo, come richiesto dalla messinscena del pigiama party. Non mancava molto al ritorno ufficiale di Edward dalla sua "escursione". Tutte quelle finzioni cominciavano a pesarmi. Questo aspetto della vita umana non mi sarebbe certo mancato. Charlie sbirciò dalla finestra di fronte quando mi udì sbattere la portiera. Salutò Alice e venne ad aprirmi.
«Ti sei divertita?», chiese.
«Sì, è stato bellissimo... una festa fra ragazze».
Portai dentro la mia roba, mollai tutto ai piedi delle scale e mi diressi in cucina in cerca di qualcosa da mangiare.
«C’è un messaggio per te», gridò Charlie.
Sul ripiano della cucina, la lavagnetta dei messaggi era ben poggiata contro una pentola.
«Ha chiamato Jacob», aveva scritto Charlie.
Ha detto che non voleva, e che si scusava con te. Vuole che lo richiami. Sii carina, dagli una possibilità. Sembrava turbato.
Feci una smorfia. Da quando Charlie commentava i miei messaggi?
Jacob poteva restare turbato quanto gli pareva. Non volevo parlargli. Non mi risultava che il fronte nemico fosse di manica larga con le telefonate. Se Jacob mi voleva morta, meglio che si abituasse al silenzio. Il mio appetito era sparito. Feci dietrofront e tornai a riordinare le mie cose.
«Non chiami Jacob?», chiese Charlie. Mi guardava all’opera appoggiato al muro del salotto.
«No». Salii le scale.
«Non è molto simpatico da parte tua, Bella», disse. «Il perdono è divino».
«Fatti gli affari tuoi», farfugliai a mezza bocca, troppo piano perché mi sentisse.
Il bucato era ancora da fare: misi a posto il dentifricio, buttai i vestiti sporchi nella cesta e poi andai a disfare il letto di Charlie. Lasciai le sue lenzuola impilate in cima alle scale e andai a prendere le mie. Mi fermai accanto al letto, piegando la testa di lato. Dov’era il cuscino? Passai al setaccio la camera. Non c’era. La stanza sembrava stranamente in ordine. Non avevo lasciato la felpa grigia appesa ai piedi del letto? E avrei giurato che c’era un paio di pantaloni sporchi dietro la sedia a dondolo, oltre alla camicetta rossa penzoloni su un bracciolo. L’avevo provata due giorni prima ma avevo deciso che era troppo elegante per la scuola...
Diedi un’altra occhiata in giro. La cesta dei panni non era vuota, ma neanche straripante come pensavo. Charlie si era messo a fare il bucato? Impossibile.
«Papà, hai fatto tu la lavatrice?», gridai dalla stanza.
«Ehm, no», rispose, vagamente colpevole. «Dovevo?».
«No, ci penso io. Hai per caso cercato qualcosa in camera mia?».
«No. Perché?».
«Non trovo più... una camicia».
«Non sono entrato nella tua stanza».
Poi mi ricordai che Alice era venuta a prendere il mio pigiama. Non avevo notato che avesse preso anche il cuscino, però... forse perché avevo rinunciato al letto. Sembrava avesse dato una pulita, passando. Arrossii pensando a quant’ero disordinata.
Ma la camicia rossa non era sporca: andai a salvarla dalla cesta. Mi aspettavo di trovarla in cima, ma non c’era. Scavai nel mucchio e non la trovai. Forse stavo diventando paranoica ma era come se mancasse qualcosa, forse più cose. C’era meno di mezzo carico di biancheria. Raccolsi le lenzuola e mi diressi alla lavatrice agguantando anche quelle di Charlie. Era vuota. Guardai anche nell’asciugatrice, dove mi aspettavo di trovare un carico di bucato già lavato, un favore di Alice. Niente. Corrugai la fronte, confusa.
«Hai trovato quel che cercavi?», gridò Charlie.
«Non ancora».
Tornai di sopra per cercare sotto il letto. Niente, tranne i batuffoli di polvere. Presi a rovistare fra i cassetti. Forse non mi ricordavo di averla messa via.
M’interruppi quando suonò il campanello. Di sicuro era Edward.
«La porta», mi informò Charlie dal divano quando gli passai davanti.
«Non fare sforzi, papà».
Aprii la porta con un gran sorriso.
Gli occhi dorati di Edward erano sgranati, le narici aperte, le labbra scoprivano i denti.
«Edward?». La mia voce uscì stridula e spaventata quando lessi la sua espressione. «Che...».
Mi mise un dito sulle labbra. «Aspetta due secondi», sussurrò. «Non ti muovere».
Rimasi impietrita sulla porta e lui... scomparve. Così veloce che Charlie non lo vide neanche passare.
Prima che potessi contare fino a due, era già tornato. Mi cinse i fianchi con un braccio e mi trascinò rapidamente verso la cucina. I suoi occhi sfrecciarono nella stanza e mi strinse a sé come per proteggermi da qualcosa. Lanciai uno sguardo verso Charlie, che dal divano faceva del suo meglio per ignorarci.
«Qualcuno è stato qui», mi sussurrò all’orecchio dopo avermi spinta nell’angolo opposto della cucina. La voce era tesa; difficile sentirla sotto i colpi della lavatrice.
«Giuro che nessun licantropo...», iniziai.
«Non uno di loro», m’interruppe subito, scuotendo la testa. «Uno di noi».
A giudicare dal tono, non intendeva certo uno della sua famiglia. Mi sentii impallidire. «Victoria?», mi si strozzò la voce.
«È una scia che non riconosco».
«Uno dei Volturi», suggerii.
«Forse».
«Quando?».
«Non da tanto: questa mattina presto, mentre Charlie dormiva. Per questo credo siano stati loro. Chiunque fosse, non l’ha toccato, quindi lo scopo doveva essere un altro».
«Cercavano me».
Non rispose. Il suo corpo era immobile, una statua.
«Di cosa confabulate voi due?», chiese Charlie sospettoso, spuntando da dietro la porta con una ciotola vuota di popcorn in mano. Mi sentii svenire. Un vampiro era entrato in casa a cercarmi mentre Charlie dormiva. Mi lasciai prendere dal panico, che mi chiuse la gola. Non risposi, restai a fissarlo terrorizzata.
L’espressione di Charlie cambiò. Improvvisamente, eccolo sorridere.
«State litigando... be’, scusate se vi ho interrotto». Senza smettere di sorridere, poggiò la ciotola nel lavello e uscì dalla stanza.
«Andiamo», disse Edward con voce bassa e dura.
«Ma... Charlie!». La paura mi stringeva il petto. Non riuscivo a respirare. Ci pensò per un secondo, poi afferrò il telefono.
«Emmett», brontolò nella cornetta. Parlò così veloce che non capii le parole. Non impiegò più di mezzo minuto. Fece per spingermi verso la porta.
«Emmett e Jasper stanno arrivando», sussurrò avvertendo la mia resistenza. «Setacceranno il bosco. Charlie è al sicuro». Mi lasciai trascinare, troppo in ansia per pensare con lucidità. Charlie incrociò il mio sguardo preoccupato con un sorriso compiaciuto che si tramutò subito in confusione. Edward mi portò via prima che Charlie potesse dire una parola.
«Dove stiamo andando?». Non avevo smesso di sussurrare, anche se eravamo in macchina.
«A parlare con Alice», rispose a volume normale ma in tono cupo.
«Credi che abbia visto qualcosa?».
Fissò la strada torvo. «Forse».
Ci stavano aspettando, tutti all’erta dopo la chiamata di Edward. Sembrava di stare in un museo: erano immobili come statue, in varie pose preoccupate.
«Cosa è successo?», domandò Edward non appena oltrepassammo la soglia. Fui scioccata dallo sguardo cattivo che rivolse ad Alice, con i pugni stretti per la rabbia.
Alice teneva le braccia incrociate, strette al petto. Solo le sue labbra si mossero. «Non ne ho idea. Non ho visto niente».
«Com’è possibile?», sibilò Edward.
Cercai di calmarlo, pacata. Non gradivo che si rivolgesse ad Alice in quel modo.
Carlisle lo interruppe, suadente. «Non è una scienza esatta, Edward».
«Era nella sua stanza, Alice. Avrebbe potuto essere ancora lì... ad aspettarla».
«In quel caso l’avrei visto».
Edward alzò le mani, esasperato. «Davvero? Sei sicura?». Alice rispose fredda. «Mi hai già costretta a tenere d’occhio le decisioni dei Volturi, il ritorno di Victoria, qualsiasi spostamento di Bella. Vogliamo aggiungere qualcos’altro? Devo controllare anche Charlie, la stanza di Bella, oppure la casa e tutta la via? Edward, se esagero, le cose inizieranno a sfuggirmi di mano».
«Sembra che sia già così», sbottò Edward.
«Non è mai stata in pericolo. Non c’era niente da vedere».
«Se tieni d’occhio l’Italia, perché non li hai visti mandare...».
«Secondo me non sono loro», insistette Alice. «Me ne sarei accorta».
«Chi altro risparmierebbe Charlie?».
Rabbrividii.
«Non lo so», disse Alice.
«Molto utile».
«Basta, Edward», sussurrai.
Si girò verso di me, il viso ancora livido e i denti serrati. Mi fissò per un istante, poi finalmente respirò. Gli occhi si spalancarono, la mascella si rilassò.
«Hai ragione, Bella. Mi dispiace». Guardò Alice. «Scusa, Alice. Non avrei dovuto prendermela con te. Sono imperdonabile».
«Ti capisco», lo rassicurò Alice. «Neanche a me fa piacere questa storia». Edward respirò a fondo. «Okay, vediamola in maniera razionale. Quali sono le possibilità?».
Tutti sembrarono sciogliersi all’unisono. Alice si appoggiò allo schienale, dietro il divano. Carlisle camminò lento verso di lei, lo sguardo lontano. Esme si sedette di fronte ad Alice, a gambe accavallate. Solo Rosalie restò immobile, di spalle, gli occhi fissi sulla vetrata.
Edward mi spinse verso il divano e mi sedetti vicino a Esme, che mi fece posto poggiandomi un braccio sulla spalla. Edward strinse la mia mano fra le sue.
«Victoria?», chiese Carlisle.
Edward scosse la testa. «No. Non ho riconosciuto la scia. Secondo me era uno dei Volturi, qualcuno che non conosco...».
Alice fece segno di no. «Aro non ha ancora chiesto a nessuno di cercarla. Quando sarà il momento, lo vedrò. Lo sto aspettando». Edward alzò la testa di scatto. «Tu stai aspettando un ordine ufficiale».
«Pensi che qualcuno stia agendo in solitudine? E perché mai?».
«Potrebbe essere un’idea di Caius», suggerì Edward, il volto di nuovo teso.
«O di Jane...», disse Alice. «Entrambi hanno la possibilità di mandare qui uno sconosciuto...».
Edward scrollò le spalle. «E una ragione per farlo».
«Non ha senso comunque», disse Esme. «Chiunque fosse l’intruso, Alice l’avrebbe visto. Lui — o lei — non aveva intenzione di fare del male a Bella. Neanche a Charlie, per quanto abbiamo visto».
«Andrà tutto bene, Bella», mormorò Esme, lisciandomi i capelli.
«Ma cosa volevano, allora?», rimuginò Carlisle.
«Controllare se sono ancora umana», suggerii.
«È possibile», disse Carlisle.
Rosalie sospirò, abbastanza forte da sentirla. Non era più immobile, si era voltata verso la cucina, in attesa. Edward, d’altra parte, sembrava scoraggiato. Emmett spuntò dalla porta della cucina, seguito all’istante da Jasper.
«Se ne sono andati da parecchio, da ore», annunciò Emmett, deluso. «Le tracce portavano a est, poi a sud, e sono scomparse su una strada secondaria. C’era una macchina ad aspettare».
«Che sfortuna...», mugugnò Edward. «Se fosse andato a ovest... be’, quei cani ci avrebbero aiutati volentieri».
Trasalii ed Esme mi accarezzò la spalla.
Jasper guardò Carlisle. «Nessuno di noi l’ha riconosciuto. Però, guardate». Aveva raccolto qualcosa di verde e spiegazzato. Carlisle lo prese e se lo portò al viso. Mentre cambiava mano, notai che era un ramo di felce spezzato. «Forse tu riconosci il profumo».
«No», disse Carlisle. «Non è familiare. È qualcuno che non conosco».
«Forse stiamo osservando le cose dalla parte sbagliata. Forse è soltanto una coincidenza...», cominciò Esme, ma si fermò di fronte alle espressioni incredule degli altri. «Non dico che sia una coincidenza che un estraneo abbia deciso per puro caso di far visita alla casa di Bella. Però potrebbe trattarsi di un semplice curioso. In fondo, è circondata dal nostro odore. Forse si è chiesto perché viviamo così a contatto con lei».
«Ma allora perché non è venuto direttamente qui, se era solo curioso?», domandò Emmett.
«Tu l’avresti fatto», disse Esme e sorrise premurosa. «Ma non tutti siamo così diretti. La nostra famiglia è numerosa, lui o lei potrebbe essersi spaventato. Eppure ha risparmiato Charlie. Non può trattarsi di un nemico». Un semplice curioso. Come all’inizio erano stati anche James e Victoria?
Il pensiero di Victoria mi faceva tremare ma, a quanto pareva, tutti erano convinti che non si trattasse di lei. Non questa volta. Lei seguiva il suo piano ossessivo. Stavolta era qualcun altro, un estraneo. Pian piano mi stavo rendendo conto che i vampiri partecipavano alla vita del nostro mondo molto più di quanto pensassi. Quante volte un uomo normale s’imbatteva in loro senza rendersene conto? Quante morti, finite nel dimenticatoio come crimini o incidenti, erano in realtà dovute alla loro sete? Quanto sarebbe stato affollato quel nuovo mondo, quando finalmente vi sarei entrata anch’io?
Pensare a quel futuro nascosto mi fece sentire un brivido lungo la schiena. Espressioni diverse accompagnarono le riflessioni dei Cullen. Edward non era convinto della sua teoria, mentre Carlisle desiderava tantissimo che avesse ragione.
Alice increspò le labbra. «Non credo sia andata così. Il tempismo è stato troppo perfetto... Il visitatore ha badato a non entrare in contatto con nessuno. Come se sapesse che me ne sarei accorta...».
«Poteva avere anche altre ragioni per non farsi notare», le ricordò Esme.
«Ha davvero così tanta importanza chi fosse?», domandai. «Il fatto che qualcuno mi abbia cercata... non è sufficiente a metterci fretta? Non dovremmo aspettare il diploma».
«No, Bella», replicò subito Edward. «Non è così grave. Se tu fossi davvero in pericolo, lo sapremmo».
«Pensa a Charlie», mi ricordò Carlisle. «Pensa quanto soffrirebbe se tu sparissi».
«Sto pensando proprio a Charlie! È per lui che sono preoccupata! Che sarebbe successo se il mio simpatico visitatore fosse stato assetato, ieri notte? Finché sarò vicina a Charlie, anche lui sarà un obiettivo. Se gli succedesse qualcosa sarebbe tutta colpa mia!».
«È difficile che accada, Bella», disse Esme, accarezzandomi di nuovo i capelli. «Non succederà niente a Charlie. Dobbiamo solo stare più attenti».
«Più attenti?», ripetei incredula.
«Andrà tutto bene, Bella», promise Alice. Edward mi strinse la mano. E mentre osservavo i loro volti bellissimi uno alla volta, capii che, malgrado i miei sforzi, non sarei mai riuscita a convincerli.
Il ritorno a casa fu silenzioso. Mi sentivo frustrata. Contro ogni logica, ero ancora umana.
«Non rimarrai sola un secondo», promise Edward mentre mi riaccompagnava da Charlie. «Ci sarà sempre qualcuno con te. Emmett, Alice, Jasper...».
«È ridicolo. Si annoieranno così tanto che alla fine mi ammazzeranno loro, tanto per avere qualcosa da fare». Edward mi guardò cupo. «Molto divertente, Bella».
Charlie era di buonumore quando arrivammo. Notò la tensione fra me ed Edward e la fraintese. Mi guardò compiaciuto mentre gli preparavo la cena. Edward si allontanò, probabilmente per una breve perlustrazione, ma Charlie attese il suo ritorno per riferirmi alcuni messaggi.
«Jacob ha richiamato», disse non appena Edward fu in cucina. Risposi con uno sguardo vuoto come il piatto di fronte a lui.
«Mi riguarda?».
Charlie corrugò la fronte. «Non essere meschina, Bella. Sembrava molto giù di morale».
«È Jacob che ti paga per fargli da portavoce, papà, o ti sei offerto volontario?». Charlie brontolò qualcosa d’incomprensibile, finché il cibo non saziò il suo lamento.
Non se ne rendeva conto, ma aveva colto nel segno.
La mia vita ormai era incerta come una partita a dadi. E se fosse uscito il numero perdente? Se mi fosse davvero successo qualcosa? Abbandonare Jacob al suo senso di colpa mi sembrava peggio che meschino. Ma non volevo parlargli con Charlie di mezzo, attenta a misurare ogni parola per non lasciarmi scappare niente di strano. A pensarci, provavo invidia per la relazione fra Jacob e Billy. Come dev’essere semplice quando non nascondi dei segreti alla persona con cui vivi.
Avrei chiamato la mattina dopo. Tutto sommato, era improbabile che morissi proprio quella sera e a lui non avrebbe fatto male sentirsi in colpa per altre dodici ore. Anzi, ben gli stava.
Quando Edward se ne andò ufficialmente, mi chiesi chi sarebbe rimasto sotto l’acquazzone a tenere d’occhio me e Charlie. Mi sentivo male per Alice, o chiunque fosse, ma anche al sicuro. Tutto sommato, meglio sapere che non ero sola. Ed Edward tornò a tempo di record.
Cantò per farmi addormentare e, consapevole della sua presenza persino nel sonno profondo, dormii senza incubi.
La mattina dopo, Charlie uscì a pesca con il vicesceriffo Mark prima del mio risveglio. Decisi di sfruttare l’assenza di sorveglianza per essere magnanima.
«La condanna di Jacob sta per terminare», avvisai Edward dopo aver fatto colazione.
«Sapevo che l’avresti perdonato», disse con un sorriso sereno. «Non sei mai stata brava a tenere il broncio».
Risposi con uno sguardo scocciato, ma ero contenta. Sembrava che Edward si fosse lasciato alle spalle la fissa contro i licantropi. Non avevo guardato l’ora prima di fare il numero. Era un po’ presto per chiamare. Temevo di svegliare Billy e Jake, invece qualcuno rispose dopo il secondo squillo; doveva essere attaccato al telefono.
«Pronto?», disse una voce sbiadita.
«Jacob?».
«Bella!», esclamò. «Oh Bella, mi dispiace tanto!». Si mangiava le parole, tanto uscivano veloci. «Giuro che non volevo. Sono stato proprio uno stupido. Ero arrabbiato... ma non è una scusa valida. È stata la cosa più stupida che abbia detto in vita mia e mi dispiace tanto. Non essere arrabbiata con me, ti prego! Per favore. Mi offro come tuo schiavo per la vita, a tua eterna disposizione. Ti chiedo solo di perdonarmi».
«Non sono arrabbiata. Sei perdonato».
«Grazie. Non posso credere di essere stato così idiota».
«Non preoccuparti, ci sono abituata».
Rise, sollevato ed entusiasta. «Vieni a trovarmi», supplicò. «Voglio farmi perdonare come si deve». Aggrottai le sopracciglia. «E come?».
«Come vuoi tu. Magari ci tuffiamo da uno scoglio», suggerì ridendo.
«Ah, proprio una bella idea».
«Sarai al sicuro, ci penserò io», promise. «Qualunque cosa tu voglia fare». Lanciai un’occhiata a Edward. Il suo viso era molto calmo, ma sapevo che non era il momento giusto. «Non ora».
«Lui non è entusiasta di me, vero?». La voce di Jacob, per una volta, era più imbarazzata che amara.
«Non è questo il problema. C’è... ecco, un altro problema leggermente più preoccupante di un giovane licantropo impertinente...», cercai di scherzare, ma non riuscii a ingannarlo.
«Cosa c’è che non va?».
«Ehm...». Non ero sicura di potergliene parlare.
Edward tese la mano verso il telefono. Lo guardai attentamente. Sembrava calmo a sufficienza.
«Bella?», chiese Jacob.
Edward sospirò e avvicinò di più la mano.
«Ti dispiace se ti passo Edward?», chiesi apprensiva. «Vorrebbe parlarti». Ci fu una lunga pausa.
«Okay», acconsentì infine Jacob. «Magari è interessante». Passai il telefono a Edward; sperai che potesse leggere l’avvertimento nei miei occhi.
«Pronto, Jacob», disse Edward, educatissimo.
Restò in silenzio. Imbarazzata, cercai di indovinare la risposta di Jacob.
«Qualcuno è stato qui. Non riconosco l’odore», spiegò Edward. «Il tuo branco ha notato qualcosa di strano?».
Un’altra pausa. Edward annuì, impassibile.
«Questo è il punto, Jacob. Non perderò di vista Bella finché questa storia non sarà risolta. Niente di personale...».
Jacob lo interruppe; riuscivo a sentire il brusio della sua voce dalla cornetta. Qualunque cosa stesse dicendo, il tono era più acceso di prima. Provai senza successo a decifrare le parole.
«Forse hai ragione», disse Edward, ma Jacob non lo lasciò parlare. Se non altro, nessuno dei due sembrava arrabbiato.
«Questo è un suggerimento interessante. Anche noi siamo disponibili a rinegoziare. Se Sam è d’accordo».
La voce di Jacob ora era più tranquilla. Iniziai a mangiarmi le unghie cercando di leggere l’espressione di Edward.
«Grazie», rispose.
Poi Jacob disse qualcosa che riempì di sorpresa l’espressione di Edward.
«Avevo pensato di andare da solo, a dire il vero», disse in risposta alla domanda inattesa. «E di lasciarla con gli altri».
La voce di Jacob si fece più alta, sembrava che cercasse di essere più convincente.
«Proverò a pensarci in modo obiettivo», promise Edward. «Il più obiettivo possibile». La pausa successiva fu più breve.
«Niente male come idea. Quando? No, va bene. Mi piacerebbe seguirne le tracce personalmente, comunque. Dieci minuti... certo», disse Edward. E mi passò il telefono. «Bella?».
Lo afferrai lentamente, confusa.
«Di cosa avete discusso?», domandai a Jacob, irritata. Sapevo di essere infantile, ma mi sentivo esclusa.
«Un armistizio, credo. Ehi, fammi un favore», suggerì Jacob. «Prova a convincere il tuo succhiasangue che il posto più sicuro per te, specialmente quando lui non c’è, è la riserva. Siamo più che capaci di tenere tutto sotto controllo».
«È questo ciò che hai cercato di dirgli?».
«Esatto. È l’idea più sensata. Anche Charlie sarebbe al sicuro se venisse qui. Il più al sicuro possibile».
«Billy si può occupare di lui», annuii. Odiavo l’idea di trascinare Charlie nel mirino che fino a quel momento era stato solo su di me. «Che altro?».
«Abbiamo rinegoziato alcuni confini, in modo da prendere chiunque si avvicini troppo a Forks. Non sono sicuro che Sam sarà d’accordo, ma finché non arriva terrò d’occhio io la situazione».
«Che intendi con "terrò d’occhio io la situazione"?».
«Voglio dire che se avvisti un lupo nei paraggi di casa tua, non sparargli».
«Certo che no. Però cerca di non fare niente di... rischioso».
«Ma che stupidaggine. So badare a me stesso».
Sospirai.
«Ho provato anche a convincerlo a farti venire qui. Ha dei pregiudizi, perciò non lasciarti abbindolare da certe cazzate, okay? Sa quanto me che tu qui sei al sicuro».
«Me ne ricorderò».
«A tra poco», disse Jacob.
«Stai venendo qui?».
«Sì. Sto venendo a sentire l’odore del visitatore, così potremo seguirlo se tornerà».
«Jake, non mi piace l’idea che tu ti metta a inseguire...».
«E dai, Bella!», m’interruppe. Rise e riattaccò.