15 Scommessa

Lo fissai per un minuto interminabile, senza parole. Non sapevo cosa dire. Quando notò la mia espressione sbalordita, perse l’aria seriosa.

«Okay», disse sorridendo. «È tutto».

«Jake...». Sentivo un grosso nodo in gola. Qualsiasi cosa fosse, provai a rimuoverla. «Non posso, voglio dire non... Devo andare...». Mi voltai, ma lui mi prese per le spalle e mi costrinse a girarmi di nuovo.

«No, aspetta. Lo so, Bella. Ma senti, dimmi soltanto una cosa. Vuoi che me ne vada e che non ci vediamo più? Sii sincera».

Era difficile concentrarsi sulla domanda e impiegai un minuto per rispondere. «No, non voglio», ammisi alla fine. Jacob sorrise di nuovo. «Ecco».

«Sì, ma la ragione per cui ti voglio accanto non è la stessa per cui tu mi vuoi accanto a te», obiettai.

«Allora spiegami perché vuoi che non esca dalla tua vita». Ci pensai bene. «Quando non ci sei, mi manchi. Quando sei contento», specificai, misurando le parole, «sono contenta anch’io. Ma potrei dire la stessa cosa di Charlie, lo sai. Sei uno di famiglia. Ti voglio bene, ma non ti amo».

Scosse la testa, impassibile. «Però vuoi che ti stia vicino».

«Sì», sospirai. Era impossibile farlo desistere.

«E allora ti resterò vicino».

«Non vedi l’ora di prendere una batosta, eh», borbottai.

«Già». Mi sfiorò la guancia destra con la punta delle dita. Con uno schiaffo la allontanai.

«Ti sforzeresti di comportarti un po’ meglio, per favore?», chiesi irritata.

«No, non credo. Sta a te decidere, Bella. O mi prendi per come sono — cattive maniere comprese — o devi rinunciare».

Lo fissai, frustrata. «Sei crudele».

«Come te».

Questa frase mi colpì e indietreggiai inconsapevolmente. Aveva ragione. Se non fossi stata crudele — e ingorda — gli avrei detto che non lo volevo nemmeno come amico e me ne sarei andata. Era sbagliato provare a restare amici se gli faceva male. Non sapevo cosa stessi facendo lì, ma all’improvviso capii che era uno sbaglio. «Hai ragione», sussurrai. Rise. «Ti perdono. Ma cerca solo di non arrabbiarti troppo con me. Perché ultimamente ho deciso che non desisterò. Le cause perse sono la mia passione».

«Jacob». Fissavo i suoi occhi scuri nella speranza che mi prendesse sul serio. «Io amo lui, Jacob. È tutta la mia vita».

«Ami un po’ anche me», aggiunse. Alzò la mano quando iniziai a protestare. «Non allo stesso modo, lo so. Ma non è detto che sia lui la tua vita. Non più. Forse lo era prima, ma poi se n’è andato. E ora deve fare i conti con la conseguenza di quella scelta: me».

Scossi la testa. «Sei impossibile».

Di colpo si fece serio. Mi prese il mento tra le mani, lo tenne fermo e non riuscii a distogliere gli occhi dal suo sguardo intenso.

«Finché il tuo cuore batterà, Bella», disse, «sarò qui... e combatterò. Non dimenticare le alternative che hai».

«Non ne ho bisogno», ribattei cercando di liberarmi dalla stretta, senza riuscirci. «E i miei battiti cardiaci sono contati, Jacob. Ci siamo quasi». Affilò lo sguardo. «Motivo in più per lottare, lottare ancora più duramente, finché posso», sussurrò. Mi teneva ancora per il mento — le sue dita stringevano troppo forte, mi facevano male — e d’un tratto vidi nei suoi occhi il riflesso di ciò che stava per accadere.

Provai a oppormi balbettando un «no», ma era troppo tardi. Le sue labbra premettero sulle mie e soffocarono la protesta. Mi baciò con rabbia, brusco, mentre con la mano mi teneva stretta la nuca, rendendo inutile ogni tentativo di fuga. Provai a spingerlo via con tutte le mie forze, ma quasi non se ne accorse. Le sue labbra erano morbide e malgrado la rabbia si adattarono subito alla forma delle mie, calde e sconosciute. Lo afferrai per le guance e cercai di spingerlo via, ma non ci riuscii nemmeno stavolta. Le sue labbra aprirono a forza le mie e sentii il suo respiro caldo in bocca. D’istinto, lasciai cadere le braccia lungo i fianchi e restai passiva. Aprii gli occhi senza provare a opporre resistenza... in attesa che smettesse.

Funzionò. La rabbia sembrò svanire. Premette le labbra dolcemente sulle mie un’altra volta, due... tre. Mi finsi una statua e attesi. Alla fine mi lasciò il mento e si allontanò.

«Hai finito?», domandai inespressiva.

«Sì», sospirò. Sorrise e chiuse gli occhi.

Tirai indietro il braccio, e poi lo mossi in avanti, colpendolo sulla bocca con tutta la forza che avevo.

Si sentì uno scricchiolio.

«Ahia! Ahia!», gridai, saltando come una pazza per il dolore, con la mano stretta al petto. Era rotta, lo sentivo. Jacob mi fissava scioccato. «Stai bene?».

«No, maledizione! Mi hai rotto la mano!».

«Bella,ti sei rotta la mano. Ora smetti di saltellare e lasciami dare un’occhiata».

«Non mi toccare! Vado immediatamente a casa!».

«Prendo la macchina», disse calmo. Non si sfregava nemmeno la mascella, come fanno nei film. Patetico.

«No, grazie», sibilai. «Preferisco farmela a piedi». Mi voltai verso la strada. Erano solo tre chilometri fino al confine. Non appena mi fossi allontanata da lui, Alice mi avrebbe visto e avrebbe mandato qualcuno a prendermi.

«Lascia che ti accompagni a casa», insistette. Incredibile, ebbe la faccia tosta di cingermi la vita con un braccio.

Mi scansai. «Fantastico!», urlai. «Accomodati! Non vedo l’ora di scoprire cosa ti farà Edward! Spero che ti spezzi l’osso del collo. Sei un CANE!

Prepotente, disgustoso e idiota!».

Jacob alzò gli occhi. Mi trascinò fino alla portiera e mi aiutò a salire. Quando si sedette alla guida, si mise a fischiettare.

«Davvero non ti ho fatto male?», chiesi, furibonda e seccata.

«Stai scherzando? Se non ti fossi messa a urlare, non mi sarei nemmeno accorto che stavi cercando di colpirmi. Non sarò duro come la pietra, ma non sono nemmeno così morbido».

«Ti odio, Jacob Black».

«Mi piace. L’odio è un’emozione forte, passionale».

«Te la faccio vedere io la passione», borbottai tra i denti. «L’assassinio è il crimine passionale per antonomasia».

«Oh, andiamo», disse tutto contento, sul punto di ricominciare a fischiettare. «Di sicuro è stato meglio che baciare una pietra».

«Non ci sei andato nemmeno vicino».

Increspò le labbra. «E dai, ammettilo».

«Neanche per idea».

Sembrò seccato, ma solo per un attimo, poi si riprese. «Sei pazza. Non ho esperienza in questo genere di cose, ma secondo me è stato davvero incredibile». Risposi con un grugnito.

«Stanotte ci ripenserai. Mentre lui ti crederà addormentata, tu starai vagliando le alternative».

«Se stanotte ti penserò, sarà perché avrò un incubo». Rallentò a passo d’uomo, si voltò verso di me e mi fissò con i suoi occhi scuri, grandi e seri. «Prova solo a pensare a come sarebbe, Bella», disse con voce morbida e incalzante. «Con me non saresti costretta a cambiare niente. Charlie sarebbe contento se mi scegliessi. Potrei difenderti come fa il tuo vampiro, forse meglio. E ti farei felice, Bella. Ti darei tante cose che lui non può darti. Scommetto che non ti bacia mai come ho fatto io, perché ti farebbe del male. Io non ti farei mai del male, Bella, mai». Alzai la mano infortunata.

Sospirò. «Non è stata colpa mia. Avresti dovuto saperlo».

«Jacob, non riesco a essere felice senza di lui».

«Non hai mai provato», ribatté. «Quando se n’è andato hai sprecato tutte le tue energie per non dimenticarlo. Potresti essere felice se lasciassi perdere. Potresti essere felice con me».

«Non voglio essere felice con nessun altro. Solo con lui».

«Non potrai mai essere sicura di lui come puoi esserlo di me. Se ti ha lasciato una volta, potrebbe farlo di nuovo».

«Invece no», risposi a denti stretti. Il dolore del ricordo mi ferì come un colpo di frusta. Mi venne voglia di reagire. «Anche tu mi hai lasciata una volta», gli ricordai in tono freddo. Ripensai alle settimane in cui si era nascosto, alle parole che mi aveva detto nel bosco accanto a casa sua...

«Non l’ho mai fatto», si difese con vigore. «Mi avevano ordinato di non dirtelo che non eri al sicuro insieme a me! Ma non ti ho mai lasciata! Venivo a casa tua, di notte, come adesso. Soltanto per assicurarmi che tu stessi bene». Non volevo permettergli di farmi sentire in colpa.

«Portami a casa. Mi fa male la mano».

Contrariato, ricominciò a guidare a velocità normale, guardando la strada. «Pensaci, Bella».

«No», dissi decisa.

«Lo farai. Stanotte. Io penserò a te, mentre tu penserai a me».

«Te l’ho detto. Un incubo».

Mi sorrise. «Anche tu mi hai baciato».

Rimasi a bocca aperta e, senza pensarci, strinsi i pugni. La mano rotta si fece sentire e mi lamentai.

«Va tutto bene?», chiese.

«Non l’ho fatto».

«Credo di riconoscere la differenza».

«No che non la riconosci: io non ti ho baciato, ho cercato di respingerti, imbecille che non sei altro».

Rise di gola, forte. «Suscettibile. Fin troppo sulla difensiva, direi». Respirai a fondo. Non si poteva discutere con lui, era bravo a rigirare i miei discorsi. Mi concentrai sulla mano, cercando di stendere le dita e di stabilire dove fosse la frattura. Sentii delle fitte acute sulle nocche. Gemetti.

«Mi dispiace davvero per la mano», disse, e sembrò quasi sincero. «La prossima volta che provi a picchiarmi, usa una mazza da baseball o un piede di porco, va bene?».

«Me ne ricorderò», brontolai.

Non mi resi conto di dove stavamo andando finché non vidi la strada di casa mia.

«Perché mi hai portato qui?», domandai.

Mi guardò privo di espressione. «Non avevi detto che volevi andare a casa?».

«Già. Immagino che tu non mi possa portare da Edward. O forse sì?», dissi a denti stretti.

Il panico gli attraversò il volto e sentii di averlo finalmente punto nel vivo.

«Questa è casa tua, Bella», disse calmo.

«Sì, ma ci vive un medico?», domandai, sollevando di nuovo la mano.

«Ah». Ci pensò su. «Ti porto all’ospedale. Oppure ci penserà Charlie».

«Non voglio andare all’ospedale, è imbarazzante e superfluo». Fermò la vecchia Golf di fronte a casa mia e si mise a riflettere. L’auto di Charlie era parcheggiata nel vialetto.

Feci un sospiro. «Vai a casa, Jacob».

Scesi dalla macchina, goffa, e mi diressi verso casa. Sentii il motore spegnersi e fui più sorpresa che infastidita nel trovarmi accanto Jacob.

«Cos’hai intenzione di fare?», chiese.

«Ci metto del ghiaccio, e chiamo Edward per dirgli di passarmi a prendere e portarmi da Carlisle, che mi fascerà la mano. Poi, se sarai ancora qui, andrò a cercare un piede di porco».

Non rispose. Lasciò che entrassi, tenendomi la porta aperta. Passammo in silenzio per il soggiorno, Charlie era seduto sul divano.

«Salve, ragazzi», disse e fece per alzarsi. «È un piacere vederti qui, Jake».

«Ciao, Charlie», Jacob rispose senza pensarci, poi tacque. Io mi diressi in cucina.

«Che ha fatto?», chiese Charlie.

«Pensa di essersi rotta una mano», sentii dire a Jacob. Andai al frigorifero e tirai fuori la vaschetta del ghiaccio.

«Come ha fatto?». Dal momento che era mio padre, pensai che avrebbe dovuto preoccuparsi di più e divertirsi di meno alle mie spalle. Jacob rise. «Mi ha picchiato».

Anche Charlie rise e io m’imbronciai mentre sbattevo la vaschetta contro il bordo del lavandino. Il ghiaccio cadde nel lavello, ne raccolsi una manciata con la mano sana e la avvolsi nello strofinaccio che stava sul bancone.

«Perché ti ha picchiato?».

«Perché l’ho baciata», disse Jacob, senza provare nemmeno un briciolo di vergogna.

«Buon per te, ragazzo mio».

A denti stretti andai al telefono. Chiamai Edward al cellulare.

«Bella?», rispose al primo squillo. Sembrava più che sollevato: era felicissimo. Sentii il motore della Volvo in sottofondo; era già in macchina, perfetto. «Hai dimenticato il cellulare... Scusa, ma Jacob ti ha accompagnata a casa?».

«Sì», mormorai. «Per favore, puoi passare a prendermi?».

«Arrivo», disse d’un fiato. «Ma che c’è che non va?».

«Vorrei che Carlisle vedesse la mia mano. Credo di essermela rotta». In soggiorno regnava il silenzio, mi chiedevo quando Jacob se ne sarebbe andato. Sorrisi beffarda immaginando il suo disagio.

«Che è successo?», domandò Edward senza particolari inflessioni.

«Ho preso a pugni Jacob», ammisi.

«Bene», disse Edward secco. «Mi dispiace che ti sia fatta male, però». Feci una risata, perché sembrava soddisfatto come Charlie.

«Vorrei averne fatto a lui», sospirai delusa. «Invece non l’ho nemmeno scalfito».

«Ci penso io», si offrì.

«Speravo che me lo dicessi».

Ci fu una breve pausa. «Non è una frase da te», disse, preoccupato. «Che ha fatto?».

«Mi ha baciata», ruggii.

L’unica cosa che udii all’altro capo del telefono fu un motore che accelerava. In soggiorno Charlie aveva ripreso a parlare. «Forse è meglio che tu te ne vada, Jake», suggerì.

«Credo che rimarrò qui ancora un po’, se non ti dispiace».

«Assisterai al tuo funerale», mormorò Charlie.

«Il cane è ancora lì da te?», disse Edward quando riaprì bocca.

«Sì».

«Sono dietro l’angolo», rispose cupo e la linea cadde. Quando riappesi, sorridente, udii la sua macchina nel viale. I freni protestarono mentre inchiodava davanti a casa. Andai ad aprirgli la porta.

«Come va la mano?», chiese Charlie, quando gli passai accanto. Non sembrava a suo agio. Jacob invece stava sbracato accanto a lui sul divano, bello comodo.

Indicai l’impacco ghiacciato: «È gonfia».

«Forse dovresti prendertela con gente della tua taglia», mi suggerì Charlie.

«Forse». Proseguii verso la porta. Edward mi aspettava.

«Fammi vedere», mormorò. Esaminò la parte infortunata con gentilezza, attento a non farmi male. Le sue mani erano fredde quasi quanto il ghiaccio e il contatto mi fece bene.

«Credo tu abbia ragione, è rotta», disse. «Sono orgoglioso di te. Devi esserti impegnata».

«Ce l’ho messa tutta», sospirai. «Ma evidentemente non è stato abbastanza». Mi baciò la mano con dolcezza. «Ci penso io», promise. Poi chiamò Jacob, con un tono di voce calmo e piano.

«Calma, calma», disse Charlie con cautela.

Lo sentii alzarsi dal divano. Jacob raggiunse per primo l’ingresso, senza fare rumore, e Charlie lo seguì a breve distanza. Jacob era ansioso e impaziente.

«Non tollero litigi, d’accordo?». Charlie guardò Edward. «Posso andare a mettermi il distintivo, se avete bisogno di un divieto ufficiale».

«Non ce n’è bisogno», disse Edward asciutto.

«Perché non arresti me, papà?», suggerii. «Quella che tira i cazzotti sono io».

Charlie alzò un sopracciglio. «Vuoi sporgere denuncia, Jake?».

«No». Jacob sorrise, incorreggibile. «Un giorno o l’altro lo farò». Edward fece una smorfia.

«Papà, non è che hai una mazza da baseball da qualche parte? Vorrei prenderla in prestito per un minuto».

Charlie mi guardò impassibile. «Ora basta, Bella».

«Facciamo vedere la mano a Carlisle prima che tu finisca in prigione», disse Edward. Mi cinse le spalle con il braccio e mi trascinò verso la porta.

«Splendido», dissi appoggiandomi a lui. Non ero più così arrabbiata ora che Edward mi era accanto. Mi sentivo sicura e la mano non mi faceva più così male.

Mentre camminavamo lungo il marciapiede, sentii Charlie farfugliare qualcosa, concitato, alle mie spalle.

«Che fai? Sei pazzo?».

«Un minuto, Charlie», rispose Jacob. «Non ti preoccupare, torno subito». Mi voltai e vidi Jacob che ci seguiva. Si fermò solo per chiudere la porta in faccia a Charlie, che rimase lì con un’espressione tra il sorpreso e il turbato. Sulle prime Edward lo ignorò e mi accompagnò all’auto. Mi aiutò a salire, chiuse la porta e si voltò ad affrontare Jacob, sul marciapiede. Mi sporsi dal finestrino, ansiosa. Charlie ben visibile, sbirciava da dietro la tenda del soggiorno.

La posizione di Jacob era disinvolta, a braccia conserte, ma i muscoli del volto erano contratti.

Edward parlò con un tono di voce pacifico e gentile, così che le sue parole risuonarono ancora più minacciose: «Non ti uccido adesso, perché turberei Bella».

«Uffa», grugnii.

Edward si voltò e lanciò un sorriso fugace. La sua espressione era calma.

«A mente fredda te ne pentiresti», disse sfiorandomi la guancia con la punta delle dita.

Poi si voltò di nuovo verso Jacob. «Ma se la riporti di nuovo a casa ferita — e non m’importa nulla di chi è la colpa: fa lo stesso se inciampa o se un meteorite cade dal cielo e la colpisce in pieno — se me la riporti in uno stato di salute che non è quello in cui era quando te l’ho lasciata, ti spezzo le gambe. Lo capisci, randagio che non sei altro?».

Jacob alzò gli occhi al cielo.

«E chi ha voglia di tornare?», sussurrai.

Edward continuò, come se non mi avesse sentito. «E se ti azzardi un’altra volta a baciarla, ti spezzo la mascella al posto suo», promise, con quel tono di voce ancora gentile, vellutato e micidiale.

«E che farai se sarà lei a baciarmi?», biascicò Jacob, arrogante.

«Ma per piacere!», sbuffai.

«Se è quello che vuole, non avrò nulla da obiettare». Edward alzò le spalle, impassibile. «Magari è meglio aspettare che te lo dica chiaramente, invece di interpretare a modo tuo il linguaggio del suo corpo. Ma fai come vuoi, la faccia è la tua».

Jacob sorrise.

«Ti piacerebbe», borbottai.

«Certo che gli piacerebbe», disse Edward tra i denti.

«Bene, se hai finito di rovistare nella mia testa», disse Jacob piuttosto seccato, «perché non vi prendete finalmente cura della sua mano?».

«Un’altra cosa», disse Edward in tutta calma. «Sono anche pronto a battermi per lei. Dovresti saperlo. Non do niente per scontato, e ci metterei il doppio della forza con cui ti batteresti tu».

«Bene», ruggì Jacob. «Non è divertente picchiare qualcuno che si tira indietro».

«Lei èmia ». La voce bassa di Edward si incupì all’improvviso, come se stesse per perdere le staffe. «E non ho detto che mi batterei in maniera leale».

«Nemmeno io».

«Buona fortuna».

Jacob annuì. «Sì, vediamo chi è piùuomo ».

«Ben detto... cucciolo».

Jacob fece una smorfia, poi si ricompose e si sporse oltre Edward per sorridermi. Gli lanciai un’occhiataccia.

«Spero che il dolore passi presto. Mi dispiace davvero che ti sia fatta male».

Mi girai dall’altra parte, come una bambina.

Non mi voltai finché Edward non fece il giro dell’auto per tornare al posto di guida, perciò non so se Jacob rientrò in casa o se rimase lì a guardarmi.

«Come stai?», chiese Edward, mentre ci allontanavamo.

«Sono irritata».

Ridacchiò. «Mi riferivo alla mano».

Alzai le spalle. «Ne ho viste di peggio».

«Già», confermò, accigliandosi. Parcheggiò in garage. Emmett e Rosalie erano lì. Le gambe perfette di Rosalie, riconoscibili anche fasciate dai jeans, spuntavano da sotto l’enorme jeep di Emmett. Lui le era accanto, con la mano tesa verso di lei. Mi ci volle un po’ per capire che stava facendo da assistente.

Emmett ci guardò con curiosità, mentre Edward mi aiutava a scendere dalla macchina, con cautela. Puntò lo sguardo sulla mano che tenevo appoggiata al petto. Emmett sorrise. «Caduta di nuovo, Bella?».

Lo guardai fiera. «No, Emmett. Ho preso a pugni un licantropo». Emmett mi strizzò l’occhio e scoppiò a ridere.

Mentre io ed Edward proseguivamo, Rosalie parlò, da sotto la macchina.

«Jasper vincerà la scommessa», disse soddisfatta.

Emmett smise di ridere all’istante e mi fissò con sguardo inquisitore.

«Quale scommessa?», chiesi.

«Su, andiamo da Carlisle», disse Edward. Fissava Emmett e scuoteva la testa in modo impercettibile.

«Quale scommessa? », ripetei, voltandomi verso di lui.

«Grazie, Rosalie», bisbigliò stringendo l’abbraccio e trascinandomi in casa.

«Edward...», brontolai.

«È puerile», disse scrollando le spalle. «Emmett e Jasper scommettono su tutto».

«Emmett me lo dirà». Feci per tornare indietro, ma il suo braccio fortissimo non me lo permise. Sospirò. «Hanno scommesso su quante volte... inciamperai, il primo anno».

«Ah», feci una smorfia, nel tentativo di nascondere il terrore che provai quando capii a cosa si riferivano. «Hanno scommesso su quante persone ucciderò?».

«Sì», ammise controvoglia. «Rosalie pensa che il tuo caratteraccio farà vincere Jasper».

Mi sentii importante. «Jasper scommette forte».

«Si sentirà meglio se avrai difficoltà ad adattarti. È stanco di essere l’anello debole».

«Certo, si sentirà sicuramente meglio. Spero di riuscire a farci scappare un paio di omicidi in più, se ciò lo rende felice. Perché no?». Stavo blaterando, con voce monotona. Avevo titoli di giornale e liste di nomi davanti agli occhi...

Edward mi strinse forte. «Non devi preoccupartene adesso. Anzi, se non vuoi non te ne dovrai mai preoccupare».

Gemetti ed Edward, che la scambiò per una fitta di dolore, mi spinse in fretta verso casa.

La mano era rotta, ma non c’era nessun danno preoccupante, solo una piccola frattura in una nocca. Non volevo il gesso e Carlisle disse che andava bene anche una semplice steccatura, ma solo se promettevo di non toglierla mai. Lo promisi.

Edward capì che il peggio era passato quando Carlisle iniziò a steccarmi la mano con cura. Per un paio di volte mi chiese se sentissi dolore, ma per fortuna non era così.

Come se avessi avuto bisogno di ulteriori preoccupazioni. Tutte le storie di Jasper sui vampiri freschi di trasformazione mi si erano fissate nella mente fin dall’inizio. Ora che sapevo della scommessa di Jasper ed Emmett, quelle storie riapparvero, più vivide che mai. Chissà cosa c’era in palio. Quale premio può motivare qualcuno che ha tutto?

Sapevo che sarei stata diversa. Speravo di diventare forte come diceva Edward. Forte, veloce, e soprattutto bellissima. Capace di restare al fianco di Edward e di sentirmi davvero alla sua altezza.

Cercavo di non pensare troppo al fatto che sarei diventata anche qualcos’altro. Un essere feroce. Assetato di sangue. Forse non sarei riuscita a trattenermi dall’uccidere la gente. Estranei, persone che non mi avevano fatto nulla di male. Come il numero crescente di vittime a Seattle, che avevano famiglie, amici e un futuro. Persone che avevano una vita. Rischiavo di diventare il mostro che li strappava a tutto questo. Ma, tutto sommato, sopportavo anche quel pensiero perché mi fidavo di Edward ciecamente e sapevo che mi avrebbe impedito di compiere gesti di cui avrei potuto pentirmi. Mi avrebbe portato persino in Antartide a cacciare pinguini, se glielo avessi chiesto. E avrei fatto il possibile per essere una brava persona. Una brava vampira. Questo pensiero mi avrebbe fatto sorridere, se non fossi stata preoccupata. Perché, se in qualche modo fossi diventata uno degli incubi descritti da Jasper, avrei davvero continuato a essereme stessa ? E se il mio unico desiderio fosse stato uccidere, che ne sarebbe stato di ciò che desideravoora ?

Edward era ossessionato dal bisogno di non farmi perdere nessuna esperienza da essere umano. La consideravo un’ossessione stupida. Fintanto che stavo con lui, non potevo chiedere altro.

Fissavo il suo volto, mentre guardava Carlisle bendarmi la mano. Ciò che desideravo di più al mondo era lui, soltanto lui. Questo sentimento sarebbe cambiato? Sarebbe potuto cambiare?

Esisteva un’esperienza umana a cui non ero disposta a rinunciare?

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