«La stessa cosa che è successa alla tua mano», rispose Jasper, calmo.
«Per migliaia di volte». Si strofinò il braccio e sorrise, con un velo di compassione. «Soltanto il nostro veleno riesce a lasciare cicatrici su di noi».
«Perché?», sussurrai terrorizzata. Mi vergognai della mia mancanza di tatto, ma non riuscivo a staccare gli occhi da quella devastazione.
«Non ho avuto la stessa... formazione dei miei fratelli adottivi. Ho iniziato in maniera completamente diversa». Il suo tono di voce s’indurì sul finale della frase.
Restai a bocca aperta, sconvolta.
«Prima che ti racconti la mia storia, Bella, devi sapere che in certi luoghi del mondo la nostra vita di immortali dura settimane, non secoli». Gli altri conoscevano la sua storia. Carlisle ed Emmett tornarono alla TV. Alice andò a sedersi ai piedi di Esme. Edward invece era interessato quanto me; avevo i suoi occhi addosso, li sentivo cogliere ogni mio barlume di emozione.
«Per capire veramente, devi guardare il mondo da un’altra prospettiva. Devi provare a immaginare come lo vede chi ha potere, chi non è mai soddisfatto ed è mosso da un’ingordigia frenetica. Vedi, ci sono dei posti in questo mondo dove a noi vampiri piace vivere più che in altri. Posti in cui passiamo inosservati, dove nessuno si accorge che esistiamo. Per esempio, immagina la cartina dell’emisfero occidentale. Per ogni abitante umano, disegna un puntino rosso. Quanto più è fitto il rosso, tanto più noi — o meglio, quelli di noi che hanno certe abitudini — riusciamo a nutrirci senza dare nell’occhio».
Cercai di visualizzare quel che stava dicendo e, al sentirlo pronunciare la parola «nutrirci» provai un brivido di terrore.
Jasper non voleva spaventarmi, ma non era iperprotettivo come Edward. Proseguì imperterrito.
«Al Sud in realtà non badano granché ai sospetti degli umani. L’unico vero spauracchio dei clan sono i Volturi. È soltanto merito loro se la nostra presenza passa ancora inosservata».
Non riuscivo a pensare che si potesse pronunciare quel nome con rispetto e gratitudine. Non accettavo l’idea che i Volturi fossero considerati i buoni per antonomasia.
«Il Nord al confronto è molto civilizzato. Nella maggior parte dei casi viviamo come nomadi, ci spostiamo di giorno e di notte, interagiamo con gli umani senza destare sospetti. Per tutti noi l’anonimato è assai importante. Il Sud è davvero un altro mondo. Gli immortali là escono soltanto di notte. Passano le giornate a pianificare i propri spostamenti o ad anticipare quelli dei nemici. Questo perché il Sud è stato devastato da guerre continue, per secoli, senza un attimo di tregua. Là i clan notano appena la presenza degli umani. Proprio come i soldati, che avvertono la presenza di una mandria di buoi lungo la strada soltanto quando hanno fame. Si nascondono solo per non irritare i Volturi».
«Ma per cosa combattono?», domandai.
Jasper sorrise. «Hai presente la cartina con i puntini rossi?». Annuii.
«Combattono per il controllo delle zone più rosse. Vedi, in passato se eri l’unico vampiro, per esempio, di Città del Messico, potevi mangiare tutte le notti, due o tre volte, senza che nessuno si accorgesse della tua presenza. Avevi le tue zone, le perlustravi ed evitavi la competizione. Molti si comportavano così. Altri studiavano tattiche più efficaci. Quella più efficace in assoluto fu escogitata da un giovane vampiro di nome Benito. Veniva da una zona a nord di Dallas, e iniziò con il massacro di due piccoli clan che si spartivano l’area vicino a Houston. Due notti più tardi attaccò un clan più forte, di Monterrey, nel Messico settentrionale. E vinse di nuovo».
«E come?», chiesi, curiosa e stupita.
«Benito aveva creato un esercito di nuovi vampiri. Fu il primo a pensarci e nessuno riuscì a fermarlo. I vampiri appena nati sono incostanti, sfrenati, praticamente incontrollabili. Con uno magari si può ragionare, se gli si insegna a trattenersi, ma dieci, quindici insieme sono un incubo. Si attaccano a vicenda, se non hanno un nemico preciso. Benito ha avuto il suo bel da fare a tenerli buoni mentre quelli coglievano l’occasione per attaccarsi l’un l’altro. Inoltre i clan che ha decimato gli sono costati parecchio: prima di soccombere gli hanno dimezzato l’esercito. Vedi, nonostante i neonati siano pericolosi, se sai come agire riesci a sconfiggerli. Dal punto di vista fisico, fino a circa un anno di vita sono incredibilmente forti. Se gli si permette di scatenare tutta la loro potenza riescono ad annientare un vampiro più anziano senza grandi sforzi. Ma sono preda degli istinti, perciò divengono prevedibili. Di solito non sono fini combattenti, hanno solo muscoli e ferocia. Nel caso di Benito, però, erano in tanti. I vampiri del Messico meridionale capirono cosa stava succedendo e fecero l’unica mossa possibile per opporsi a Benito. Anche loro crearono degli eserciti... Si scatenò un inferno, nel senso più letterale del termine. Anche noi immortali abbiamo la nostra storiografia e questa guerra non la scorderemo mai. Senza dubbio quello non è stato affatto un bel periodo per gli umani, in Messico». Rabbrividii.
«Quando il numero dei morti raggiunse proporzioni epidemiche — la vostra storiografia attribuisce il calo demografico proprio a una pandemia — i Volturi entrarono in azione. L’intera guardia si riunì e scovò ogni neonato immediatamente a sud degli Stati Uniti. Benito si era trincerato a Puebla e aveva ricostruito il proprio esercito più in fretta possibile, per poi tentare l’attacco definitivo a Città del Messico. I Volturi iniziarono da lui, poi pensarono al resto, giustiziando all’istante chiunque venisse trovato in compagnia di neonati e, siccome tutti ne avevano creati per proteggersi da Benito, per un po’ i vampiri sparirono dal Messico. I Volturi impiegarono quasi un anno per fare piazza pulita. Questo è un altro dei capitoli della nostra storia che sarà ricordato per sempre, sebbene siano sopravvissuti ben pochi testimoni diretti. Una volta ho parlato con un vampiro che aveva visto da una certa distanza cosa successe a Culiacàn».
Jasper rabbrividì. Non lo avevo mai visto spaventato, né scosso prima d’allora.
«Per fortuna la febbre della conquista non si diffuse. Il resto del mondo non venne coinvolto. Se oggi possiamo condurre delle vite normali, lo dobbiamo ai Volturi. Quando però i Volturi tornarono in Italia, i clan del Sud ripresero subito possesso del territorio e in breve ricominciarono a scontrarsi. Tra loro correva davvero cattivo sangue, se mi permetti l’espressione. Le faide non si contavano più. Ormai l’idea di sfruttare la forza dei neonati era stata messa in atto e qualcuno non riuscì a resistere alla tentazione. Nessuno dimenticò i Volturi, però, e i clan del Sud fecero più attenzione. Gli umani da trasformare venivano scelti con scrupolo e allenati meglio. Li si utilizzava con circospezione, senza che la gente normale si accorgesse di nulla. I clan non diedero ai Volturi pretesti per tornare. Le guerre ripresero, ma su scala ridotta. Ogni tanto qualcuno esagerava, sui giornali si iniziavano a fare congetture e i Volturi tornavano a ripulire la città. Ma gli altri, quelli che agivano con cautela, avevano campo libero...». Jasper fissava il vuoto.
«Ecco come hai subito la trasformazione», sussurrai.
«Sì», disse. «Da umano vivevo a Houston, in Texas. Mi arruolai nell’Esercito Confederato a quasi diciassette anni, era il 1861. All’ufficio reclute mentii, dichiarando di avere vent’anni. La mia altezza glielo fece credere. La mia carriera militare fu breve, ma assai promettente. Sono sempre... piaciuto alla gente, tutti mi stavano ad ascoltare. Secondo mio padre avevo carisma. Ora so per certo che era qualcosa di più. Comunque, feci carriera in fretta, scavalcai anche gente più anziana ed esperta. L’Esercito Confederato esisteva da poco, si stava organizzando e offriva un sacco di opportunità. Durante la prima battaglia di Galveston — be’, in realtà fu poco più che una scaramuccia — ero il maggiore più giovane del Texas, malgrado avessi ritoccato la mia età. Ero stato incaricato di evacuare le donne e i bambini dalla città non appena le navi da guerra unioniste avessero raggiunto il porto. Mi ci volle un giorno per prepararli, poi partii con la prima colonna di civili alla volta di Houston.
Ricordo esattamente quella notte. Raggiungemmo la città al calare del buio. Rimasi giusto il tempo necessario per assicurarmi che tutto il gruppo fosse in salvo. Non appena ne ebbi la certezza, presi un altro cavallo, più riposato, e tornai a Galveston. Non avevo tempo per dormire. A forse un chilometro dalla città incontrai tre donne. Erano a piedi, pensai che fossero rimaste indietro e scesi da cavallo per aiutarle. Non appena vidi i loro volti alla luce fioca della luna, mi si bloccò la voce in gola. Erano le donne più belle che avessi mai visto, senza dubbio. Avevano la pelle chiarissima, ricordo che ne rimasi incantato. Una di loro era piccola e mora, con i tratti tipici messicani, ma alla luce della luna sembrava anche lei di porcellana. Erano giovani, tutte, appena ragazze. Sapevo che non facevano parte del nostro gruppo, vedendole me ne sarei ricordato.
"È rimasto senza parole", disse la più alta, con una voce dolcissima e delicata, armoniosa come quella del vento. Aveva i capelli chiari e la pelle bianca come la neve. L’altra era ancora più bionda, con la pelle di gesso e il viso di un angelo. Mi si avvicinò con gli occhi socchiusi e inspirò a fondo.
"Mmm, delizioso", sospirò.
La più piccola, la bruna graziosa, mise la mano sul braccio dell’amica e parlò in fretta. La sua voce era troppo calma e intonata per risultare tagliente, ma lei sembrava voler dare quell’impressione. Disse: "Concentrati, Nettie". Ho sempre avuto occhio per le relazioni tra le persone e mi fu subito chiaro che la bruna era in qualche modo un gradino più su delle altre due. Se fossero state soldati, avrebbe avuto il grado più alto.
"Sembra a posto: giovane, forte, un ufficiale...". La bruna s’interruppe e provai a dire qualcosa senza riuscirci. "E c’è anche dell’altro... lo sentite?", chiese alle altre due. "È... irresistibile". Nettie fu subito d’accordo, e mi si avvicinò di nuovo. La bruna le ordinò di restare calma e aggiunse: "Voglio tenerlo". Nettie s’accigliò, apparentemente annoiata. La ragazza alta e bionda disse: "È meglio se ci pensi tu, Maria, se per te è importante. Io ne uccido il doppio di quelli che riesco a tenere in vita". Maria confermò. "Sì, ci penso io. Questo mi piace proprio. Porta via Nettie, d’accordo? Non voglio dovermi guardare alle spalle mentre mi concentro". Sebbene non capissi il senso del dialogo, mi si drizzarono i capelli in testa. L’istinto mi diceva che ero in pericolo, che quell’angelo faceva sul serio quando parlava di uccidere, ma il buon senso ebbe il sopravvento. Non mi avevano insegnato a temere le donne, ma a proteggerle.
"Andiamo a caccia, allora", Nettie approvò con entusiasmo e prese per mano la ragazza più alta. Fecero una giravolta — aggraziatissime — e corsero via in direzione della città. Sembrava quasi che non toccassero terra tanto erano veloci; i loro abiti bianchi si gonfiavano come ali. Sbattei gli occhi, meravigliato, e le vidi scomparire. Rivolsi di nuovo lo sguardo verso Maria, che mi stava osservando incuriosita. Non ero mai stato superstizioso. Fino a quel momento non avevo mai creduto ai fantasmi né ad altre sciocchezze del genere. All’improvviso, persi ogni sicurezza.
"Come ti chiami, soldato?", mi chiese.
"Maggiore Jasper Whitlock, signorina", farfugliai, incapace di mancare di rispetto a una donna, anche se fantasma.
"Spero proprio che tu sopravviva", disse, con voce gentile. "Ho come l’impressione che ne valga la pena". Fece un passo avanti e inclinò la testa di lato, come se stesse per baciarmi. Restai fermo, pietrificato, nonostante l’istinto mi urlasse di scappare».
Jasper s’interruppe pensieroso. «Un paio di giorni dopo», disse, e non so se saltò dei passaggi per proteggermi o in risposta alla tensione di Edward, «fui introdotto alla mia nuova vita. Si chiamavano Maria, Nettie e Lucy. Non stavano insieme da molto tempo: Maria aveva preso con sé le altre dopo che erano sopravvissute a certe battaglie perse. La loro era un’unione di convenienza. Maria cercava vendetta, rivoleva indietro i suoi territori. Le altre invece erano desiderose di ampliare i propri... pascoli. Stavano mettendo su un esercito con maggiore attenzione del solito. Era un’idea di Maria. Voleva un’armata fortissima, perciò sceglieva con cura soltanto umani con un potenziale preciso. Ci dedicò più attenzione e più tempo di quanto non avesse mai fatto nessuno. Ci insegnò a combattere e a renderci invisibili agli umani. Quando ci comportavamo bene, ci ricompensava...». Fece una pausa, saltando di nuovo dei passaggi.
«Aveva fretta, però. Maria sapeva che l’enorme forza dei neonati iniziava a scemare al compimento del primo anno e voleva agire nel pieno delle nostre forze. Quando mi unii alla banda eravamo in sei. In un paio di settimane ne arruolò altri quattro. Eravamo tutti uomini — Maria cercava dei soldati — e le fu difficile impedirci di lottare tra noi. Ingaggiai le prime schermaglie contro i miei nuovi commilitoni. Ero più rapido degli altri, più abile nei duelli. Maria era contenta di me, sebbene dovesse sempre rimpiazzare quelli che facevo fuori. Venivo ricompensato spesso, e ciò mi dava una forza incredibile. Maria sapeva inquadrare le persone. Decise di mettermi a capo degli altri, in pratica mi dette una promozione. Proprio ciò di cui avevo bisogno. Le perdite diminuirono in un batter d’occhio e crescemmo di numero, fino a raggiungere la ventina. Era un numero considerevole, visti i tempi che correvano. Ancora non mi era chiaro, ma ero molto abile a controllare l’emotività di chi mi stava attorno. Iniziammo presto a collaborare in maniera inaudita per i neonati. Anche Maria, Nettie e Lucy lavoravano insieme più volentieri. Maria iniziò a stravedere per me, a dipendere da me. E, in un certo senso, anche io le ero devoto. Non pensavo che si potesse vivere in altro modo. Maria diceva che le cose funzionavano così, e noi ci credevamo. Mi chiese di avvertirla quando io e i miei fratelli fossimo stati in grado di scendere sul campo di battaglia, e io ero ansioso di mettermi alla prova. Alla fine mi ritrovai a capo di un esercito di ventitré elementi: ventitré giovani vampiri incredibilmente forti, organizzati e allenati come mai in precedenza. Maria era al settimo cielo. Scendemmo verso Monterrey, la sua vecchia città, e ci scatenò contro i suoi nemici. Quelli disponevano di soli nove neonati e un paio di vampiri più esperti a controllarli. Li sterminammo con maggiore facilità di quanto Maria avesse immaginato, perdendo solo quattro uomini in battaglia. Vincemmo con uno scarto incredibile. Eravamo davvero bene allenati. Li sconfiggemmo senza attirare l’attenzione. Prendemmo il controllo della città senza che nessun umano se ne accorgesse. Ma con il successo Maria divenne avida. Presto buttò l’occhio su altre città. In un anno estese il suo potere fino a gran parte del Texas e del Messico settentrionale. Poi vennero altri vampiri da sud e la respinsero».
Sfiorò con due dita i labili segni delle sue ferite.
«La battaglia fu violentissima. Molti pensavano che i Volturi sarebbero tornati. Nel giro di diciotto mesi, tutti e ventitré i vampiri originali del nostro esercito morirono, tranne me. A volte vincevamo, altre perdevamo. Alla fine Nettie e Lucy si rivoltarono contro me e Maria e quella volta vincemmo noi. Riuscimmo a difendere Monterrey. La situazione si era calmata, ma la guerra continuava. La voglia di conquista si era spenta, ormai si lottava per vendetta e per il puro piacere di combattere. In tanti avevano perduto i propri compagni, e questa è una cosa che la nostra razza non perdona... Maria e io tenevamo sempre pronta una dozzina di neonati. Non avevano granché importanza per noi: erano pedine, strumenti usa e getta. Quando non ci servivano più, li buttavamo. La mia vita continuò nello stesso modo violento e gli anni passarono. Ero stanco di tutto questo, lo fui per un bel po’, prima che le cose cambiassero...
Decenni più tardi feci amicizia con un neonato che si era dimostrato molto utile e contro ogni pronostico era sopravvissuto per ben tre anni. Si chiamava Peter. Peter mi piaceva; era... civile, credo che sia la parola giusta. Non provava piacere nel combattere, benché fosse davvero bravo. Gli venne affidato il compito di prendersi cura dei neonati, di fare da babysitter, per così dire. Era un lavoro a tempo pieno. Però, fu di nuovo necessaria un’epurazione. I neonati, con il tempo, si indebolivano e dovemmo rimpiazzarli. Peter mi aiutò a sbarazzarmene. Li prendevamo in disparte, uno alla volta... Erano sempre nottate lunghissime. Una volta provò a convincermi che alcuni avevano un certo potenziale, ma Maria aveva dato istruzioni affinché ci liberassimo di loro. Gli risposi di no. Eravamo a metà dell’opera e sentivo che per Peter era un grande sacrificio. Ero sul punto di allontanarlo e finire il lavoro da solo, e chiamai un altro neonato da uccidere. Con mia sorpresa, Peter andò improvvisamente su tutte le furie. Mi preparai alla sua reazione, qualunque fosse — era un ottimo combattente, ma con me non aveva chance. La prescelta era una donna, aveva appena superato l’anno di esistenza. Si chiamava Charlotte. Quando la vide, Peter cambiò umore e si tradì. Le gridò di scappare e corse via con lei. Avrei potuto inseguirli, ma non lo feci. Sentivo... di non volerlo distruggere. Maria si arrabbiò molto con me...
Cinque anni più tardi Peter tornò a cercarmi di nascosto. Scelse davvero il giorno giusto. Maria era perplessa di fronte al peggiorare del mio stato d’animo. A lei non era mai capitato di sentirsi depressa, a me sì e non capivo perché. Iniziai a notare un cambiamento nelle sue emozioni quando era vicino a me: a volte paura... o rancore, gli stessi sentimenti che mi avevano fatto intuire che Nettie e Lucy ci avrebbero attaccati. Ero pronto a distruggere la mia unica alleata, il centro della mia esistenza, quando Peter tornò e mi raccontò della sua nuova vita con Charlotte, mi parlò di alternative che nemmeno mi sognavo. Non combattevano da cinque anni, nonostante avessero incontrato molti di noi su al Nord. Altri con i quali coesistere in tutta tranquillità. Una chiacchierata bastò a convincermi. Mi sentivo pronto ad andarmene, e in qualche modo sollevato perché non sarei stato costretto a uccidere Maria. Avevamo vissuto insieme per tanto tempo, quasi gli stessi anni di Edward e Carlisle, ma il nostro legame non fu mai altrettanto forte. Quando vivi per combattere, per il sangue, le relazioni che stringi sono fragili e facili a rompersi. Me ne andai senza rimpianti. Viaggiai con Peter e Charlotte per un paio d’anni, godendomi questo nuovo mondo senza lotte. Ma il senso di depressione non mi abbandonò. Non capivo quale fosse il problema, fino a che Peter non si accorse che, dopo aver cacciato, stavo sempre peggio. Ci pensai su. Anni di battaglie e carneficine mi avevano quasi privato della mia umanità. Ero diventato un incubo, un mostro dei più orribili. Tuttavia, ogni volta che trovavo una nuova vittima umana, un barlume di memoria della mia vita passata si risvegliava. Nello stupore che provavano davanti alla mia bellezza rivedevo Maria e le altre con gli occhi con cui le vidi nell’ultima notte di Jasper Whitlock. Quella memoria traslata era più forte per me che per ogni altro vampiro, perché potevosentire ciò che sentiva la mia preda. Persino mentre la uccidevo. Hai visto come riesco a manipolare le emozioni di chi mi è vicino, Bella, ma non ti rendi conto di come quelle stesse sensazioni si ripercuotano su di me. Ogni giorno vi sono immerso. Trascorsi il primo secolo della mia vita in un mondo di vendette sanguinarie. L’odio era il mio compagno di vita. La situazione migliorò un po’ quando lasciai Maria, ma continuavo a provare l’orrore e la paura delle mie prede. La situazione divenne insopportabile. La depressione peggiorò, e abbandonai anche Peter e Charlotte. La loro educazione li proteggeva dal disgusto che sentivo io. A loro bastava rimanere lontani dalla guerra. Io ero stanco di uccidere: di uccidere in generale, anche solo gli umani. Eppure ero condannato a farlo. Avevo scelta? Provai a trattenermi, ma così non facevo che aumentare la mia sete e cedere a istinti peggiori. Dopo un secolo di gratificazioni immediate, l’autodisciplina era una sfida... complicata. Ancora oggi ho qualche problema».
Jasper era preso dalla sua storia, proprio come me. Mi sorprese che la sua espressione desolata sfociasse in un sorriso pacifico.
«Ero a Filadelfia. Nel mezzo di una tormenta, fuori casa, di giorno: una situazione in cui non mi sentivo affatto a mio agio. Sapevo che se fossi restato fermo sotto la pioggia avrei attirato l’attenzione, così m’infilai in una bettola semideserta. I miei occhi erano abbastanza scuri, nessuno li avrebbe notati. Ma ciò voleva anche dire che avevo voglia di sangue, e non ero tranquillo. Lei era là... ad aspettarmi, ovviamente», ridacchiò. «Saltò giù dallo sgabello vicino al bancone non appena entrai nel locale e si diresse verso di me sorprendendomi. Sembrava che volesse attaccarmi. Era l’unica interpretazione possibile, visto il mio passato. Ma sorrideva. E le emozioni che stava provando non le avevo mai sentite prima.
"Mi hai fatto aspettare parecchio", disse». Non mi ero accorta che Alice mi si era avvicinata di nuovo.
«Tu hai chinato la testa, da bravo gentiluomo del Sud, e hai risposto:
"Mi dispiace, signorina"». Alice rise al ricordo. Jasper ricambiò il sorriso. «Mi offristi la mano e la presi senza chiedermi il senso di ciò che stavo facendo. Per la prima volta in almeno un secolo sentii nascere la speranza». Jasper prese la mano di Alice.
Lei rispose sorridendo. «Ero davvero sollevata. Temevo che non saresti arrivato mai».
Si guardarono negli occhi, felici, e quando Jasper si rivolse a me aveva ancora sul volto quell’espressione beata.
«Alice mi spiegò di avere incontrato Carlisle e la sua famiglia. Stentavo a credere che si potesse vivere così. Ma mi fece ben sperare. E andammo a cercarli».
«Anche loro si sono presi una bella paura», disse Edward, alzando gli occhi. Poi rivolse lo sguardo verso di me e aggiunse: «Io ed Emmett eravamo fuori a caccia. Jasper si presentò coperto di ferite di battaglia, portandosi dietro questo mostriciattolo», e per gioco dette una gomitata ad Alice, «che salutò tutti chiamandoli per nome e chiese subito di mostrarle la sua stanza».
Alice e Jasper risero in coro, soprano e basso.
«Quando tornai a casa, trovai tutte le mie cose in garage», aggiunse Edward. Alice si strinse nelle spalle. «La tua stanza era quella con la vista migliore». Risero tutti insieme.
«È una bella storia», dissi.
Tre paia di occhi controllarono che non fossi impazzita.
«Intendo l’ultima parte», mi difesi. «Il lieto fine con Alice».
«Alice ha fatto la differenza», confermò Jasper. «Qui il clima è salutare per me».
Ma quel momento di sollievo fu solo un intervallo.
«Un esercito», sussurrò Alice. «Perché non me l’hai detto?». Gli altri erano di nuovo assorti, concentrati su Jasper.
«Ho pensato che stessi interpretando gli indizi in modo sbagliato. In fondo, qual è il motivo? Perché qualcuno dovrebbe creare un esercito a Seattle? Non ci sono precedenti qui, non ci sono faide. Non ha senso neanche dal punto di vista territoriale; nessuno rivendica niente da queste parti. Qualche gruppo nomade passa di qui ogni tanto, ma non c’è nessuno che lotta per questo territorio. Nessuno da cui difenderlo. Mi è già capitato di vedere una situazione del genere. E non c’è altra spiegazione. A Seattle c’è un esercito di vampiri appena nati. Meno di venti, direi. Il problema è che non sono affatto allenati. Chiunque sia stato a trasformarli, li ha soltanto istigati. La situazione peggiorerà di sicuro. E i Volturi interverranno presto. A dire la verità, sono sorpreso che aspettino tanto».
«Che possiamo fare?», chiese Carlisle.
«Se vogliamo evitare di coinvolgere i Volturi dobbiamo eliminare i neonati, e dobbiamo farlo subito». L’espressione di Jasper era dura. Ora che conoscevo la sua storia capivo quanto potesse sentirsi turbato. «Vi insegnerò come. Non sarà semplice agire in città. Ai neonati non importa fare le cose di nascosto, a noi sì. Questo ci imporrà dei limiti che loro non hanno. Forse possiamo attirarli con un’esca».
«Forse non ce ne sarà bisogno». La voce di Edward si fece cupa. «Non viene in mente a nessuno che in questa zona l’unica minaccia che potrebbe spingere qualcuno a creare un esercito... siamo noi?». Jasper serrò gli occhi, mentre Carlisle li spalancò, scioccato.
«Qui vicino c’è anche la famiglia di Tanya», disse Esme, piano, come se non volesse accettare le parole di Edward.
«I neonati non stanno devastando l’Alaska, Esme. Dobbiamo prendere in considerazione l’idea che noi potremmo essere l’obiettivo».
«Non ci stanno cercando», insistette Alice. «O forse... non lo sanno. Non ancora».
«Che c’è?», chiese Edward, curioso e agitato. «A cosa stai pensando?».
«Barlumi», disse Alice. «Quando cerco di capire cosa sta succedendo, non riesco ad avere un quadro preciso, niente in concreto. Ma sto avendo queste visioni fulminee. Che non sono sufficienti a darmi un’idea precisa. È come se qualcuno stesse cambiando opinione, e passasse da una serie di azioni a un’altra così in fretta da non concedermi una percezione chiara...».
«Indecisione?», chiese Jasper incredulo.
«Non lo so...».
«Non sono indecisi», borbottò Edward. «Lo sanno. O almeno qualcuno sa che non avrai una premonizione chiara finché non prenderanno una decisione. È qualcuno che ci vuole evitare. Sta giocando con i buchi nelle tue visioni».
«Chi potrebbe saperlo?», sussurrò Alice.
Gli occhi di Edward erano freddi come il ghiaccio. «Aro ti conosce alla perfezione».
«Ma se avesse deciso di venire lo vedrei...».
«Forse non vuole sporcarsi le mani».
«Magari è un favore», suggerì Rosalie, parlando per la prima volta.
«Qualcuno del Sud... che ha già avuto problemi con la legge. Qualcuno che avrebbe già dovuto soccombere sta approfittando di una seconda opportunità, a patto che si occupi della faccenda... Questo spiegherebbe il ritardo nella reazione dei Volturi».
«Perché?», chiese Carlisle, ancora sotto shock. «Non vedo perché i Volturi...».
«Io l’ho visto». Edward espresse il suo disaccordo con calma. «Sono sorpreso che tutto sia avvenuto così in fretta, perché c’erano altri pensieri più forti. Aro vedeva me e Alice al suo fianco. Il presente e il futuro, l’onniscienza virtuale. È rimasto ossessionato da un’idea così seducente. Non pensavo che l’avrebbe abbandonata presto, la desiderava troppo. Eppure, può darsi che a prevalere sia stato il pensiero di te, Carlisle, della nostra famiglia che cresce e si rafforza. Gelosia e paura, non perché possiedi più di quanto abbia lui, ma perché hai già ciò che lui desidera. Cercava di non pensarci, ma non è riuscito a reprimerlo del tutto. L’idea di scatenare la competizione è nata in quel momento; esclusa la loro, la nostra è la comunità più grande che abbiano mai visto...». Lo guardai, terrorizzata. Non me l’aveva mai detto e sapevo perché. Adesso il sogno di Aro mi risultava evidente. Edward e Alice con indosso mantelle lunghe e nere, che vivono al suo fianco, con gli occhi freddi e iniettati di sangue... Carlisle interruppe il mio incubo. «Sono troppo impegnati con la loro missione. Non infrangerebbero mai le regole. Va contro tutto ciò che hanno fatto finora».
«Dopo verranno a ripulire tutto. Un doppio tradimento», disse Edward con voce severa. «Non lasceranno traccia».
Jasper si chinò in avanti e scosse la testa. «No, Carlisle ha ragione. I Volturi non infrangono le regole. Inoltre è tutto troppo improvvisato. Questa... persona, questa minaccia, non sa cosa sta facendo. È un principiante, ci giurerei. Non posso credere che i Volturi siano coinvolti in questa storia. Ma lo saranno».
Tutti si scambiarono sguardi pietrificati dalla tensione.
«Allora, andiamo», ruggì Emmett. «Che stiamo aspettando?». Carlisle ed Edward si scambiarono un’occhiata d’intesa, poi Edward annuì.
«Abbiamo bisogno di te, Jasper, devi spiegarci come fare a distruggerli», disse infine Carlisle. Il tono di voce era duro, ma vidi il terrore nei suoi occhi. Nessuno più di Carlisle odiava la violenza.
C’era qualcosa che mi preoccupava, ma non capivo cosa. Ero tramortita, terrorizzata, spaventata a morte. E ora, in quello stato, sentivo che mi sfuggiva un dettaglio importante. Che avrebbe dato senso a quella confusione. Che l’avrebbe giustificata.
«Avremo bisogno di aiuto», disse Jasper. «Secondo voi la famiglia di Tanya vorrà... Altri cinque vampiri maturi farebbero una differenza enorme. Kate ed Eleazar dalla nostra parte costituirebbero un bel vantaggio. Sarebbe un’impresa facile, con il loro aiuto».
«Glielo chiederemo», rispose Carlisle.
Jasper gli porse un cellulare. «Dobbiamo fare in fretta». Non avevo mai visto Carlisle, la calma fatta persona, tanto turbato. Prese il telefono e si avvicinò alle finestre. Compose un numero, si portò il ricevitore all’orecchio e posò l’altra mano sul vetro. Fissava la nebbia mattutina con un’espressione spaventata e incerta. Edward mi prese per mano e mi spinse sulla poltrona bianca. Mi sedetti accanto a lui e lo fissai mentre osservava Carlisle.
Parlava sottovoce e rapido, non era facile cogliere cosa dicesse. Lo sentii salutare Tanya, poi presentò la situazione troppo in fretta perché potessi capire. Tuttavia, era evidente che i vampiri dell’Alaska avessero intuito cosa succedeva a Seattle. All’improvviso la voce di Carlisle cambiò.
«Ah», disse e scattò per la sorpresa. «Non sapevamo che Irina avesse re-agito così». Edward mugugnò qualcosa accanto a me e chiuse gli occhi. «Maledizione. Maledetto Laurent, che marcisca nel profondo dell’inferno».
«Laurent?», sussurrai, bianca in volto. Edward non rispose, concentrato com’era sui pensieri di Carlisle.
Il mio fugace incontro con Laurent la primavera precedente mi era rimasto bene impresso. Ricordavo ogni parola che disse, prima di essere interrotto da Jacob e la sua banda.Se vuoi saperlo, sono venuto qui per farle un favore... Victoria. Laurent era stato il primo a essere raggirato da lei: lo aveva mandato in perlustrazione, per controllare quanto fosse difficile arrivare a me. Non era sopravvissuto ai lupi e non aveva potuto fare rapporto. Nonostante avesse mantenuto i contatti con Victoria dopo la morte di James, aveva formato anche nuovi legami e nuove relazioni. Era andato a vivere con la famiglia di Tanya in Alaska — Tanya, la bionda rossiccia, l’amica più cara che i Cullen avevano tra i vampiri, praticamente una di famiglia. Laurent era stato con loro almeno un anno, prima di morire. Carlisle stava ancora parlando, la sua voce non era esattamente supplichevole. Persuasiva, ma con mordente. Poi il mordente ebbe la meglio sulla persuasione.
«Non se ne parla nemmeno», disse Carlisle severo. «C’è una tregua in corso. Loro non l’hanno rotta e nemmeno noi. Mi dispiace sapere che... Certo. Ce la caveremo bene anche da soli».
Riappese senza aspettare la risposta. Continuò a fissare la nebbia.
«Qual è il problema?», chiese Emmett a Edward.
«Il legame tra Irina e Laurent era più forte di quanto pensassimo. Ora lei ce l’ha con i lupi perché hanno ucciso lui e salvato Bella. Vuole...». Fece una pausa e mi guardò dall’alto.
«Vai avanti», dissi, con tutta la calma possibile.
Mi guardò torvo. «Vuole vendetta. Annientare il branco. Scambierebbero il loro aiuto con la nostra autorizzazione».
«No!», gridai.
«Non ti preoccupare», disse con un tono secco. «Carlisle non lo accetterebbe mai». Esitò, poi fece un sospiro. «E nemmeno io. Laurent se l’è cercata», questo fu quasi un ringhio, «e mi sento ancora in debito nei confronti dei lupi per ciò che hanno fatto».
«Non va bene», disse Jasper. «È una battaglia alla pari. Siamo più abili a combattere, ma siamo meno di loro. Vinceremo, ma a quale prezzo?». Il suo sguardo teso incrociò Alice per un istante.
Quando capii cosa intendeva, avrei voluto urlare a squarciagola. Avremmo vinto, ma avremmo perso. Qualcuno non sarebbe sopravvissuto. Mi guardai intorno, fissai i loro volti uno a uno: Jasper, Alice, Emmett, Rose, Esme, Carlisle... Edward, i volti della mia famiglia.