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Stava vivendo un sogno, oppure era morto e camminava nelle tenebre dell’aldilà?

Per tutto il giorno, sotto lo splendore accecante del sole torrido, aveva mosso un passo dietro l’altro in un paesaggio livido, in mezzo a cose calcinate, perseguendo il suo scopo. Per tutto il giorno aveva percorso una terra devastata, priva di ogni forma di vita. Adesso il sole verde era tramontato, e lui non era ancora uscito da quella terra selvaggia. L’ultimo riflesso del grande smeraldo gli permise di scorgere in lontananza una foresta, e Graham vi si diresse.

Dopo uno strano crepuscolo, la notte gli si strinse addosso. Una notte che presto fu nera come l’ebano, e che s’appesantiva sulla Terra. Ma Graham non si fermò. Continuava ad avanzare verso la foresta, guidato da deboli costellazioni di stelle che brillavano d’una luce fredda e tremula. A lungo si trascinò in avanti verso gli alberi lontani. Quando giunse a mezza strada, le tenebre si dissiparono un poco, e una specie di enorme disco rosso come sangue si levò da est spandendo intorno una luce malata. Con un balzo immenso il disco fu alto nel cielo, circondato da ogni specie di satelliti. L’aria era pesante e irrespirabile e la luce rossa sembrava composta da miriadi di gocce di sangue. Sotto lo scialbo chiarore, il suolo calcinato assunse un aspetto di maggiore solitudine e di desolazione più grande.

Sempre avanti… sempre avanti…

Quando il disco rosso tramontò con i suoi satelliti, Graham raggiunse la foresta. Allora, da ogni punto dell’orizzonte, sorsero infinite comete a solcare il cielo in ogni direzione.

La foresta sembrava nera e umida e si stendeva a destra e a sinistra dell’uomo a perdita d’occhio. Lui vi penetrò senza esitare, e ben presto si trovò tra alberi giganteschi che lo schiacciavano con le loro enormi masse. A mano a mano che procedeva, gli alberi diventavano più fitti e i rami si intrecciavano più strettamente. Graham dovette aprirsi una strada fra i tronchi spezzati. Parevano alte pietre tombali e ognuno portava sulla corteccia una fantastica iscrizione. Poi apparvero le prime piante rampicanti.

Da ogni lato gli giungevano sussurri, e talvolta gli sembrò di scorgere alcune ombre muoversi tra le piante, sporgendosi dai tronchi a osservarlo per poi fuggire riempiendo l’aria di risate bestiali. Affrettò il passo.

Irampicanti si erano fatti tanto densi da impedirgli il passo allacciandogli le gambe. Infine, per proseguire dovette servirsi del lungo coltello che gli pendeva dalla cintola. Ogni pianta tagliata lanciava un urlo. E le ferite sanguinavano.

Una maledizione pesava su quella foresta infernale. Ben presto si udirono solo pianti e urla simili a grida di fanciulli disperati.Igemiti delle piante spezzate! Affrettò ancora il passo.Irami gli graffiavano la faccia, il sangue gli colava sugli abiti. Vacillando continuò a camminare.

Il terreno divenne a un tratto umido, e Graham si fermò appena in tempo: davanti a lui si stendeva un pantano. In quel punto la foresta era meno fitta, e qua e là alcuni alberi morti giacevano a terra. Lontano, fin dove giungeva lo sguardo, si vedeva solo la palude. Graham si fermò un momento a pensare, poi si lanciò, deciso.

Per un po’ fu abbastanza facile proseguire, saltando di tronco in tronco o nuotando attraverso la distesa di acqua stagnante. Qualche volta passava a guado un tratto di palude, dentro un fango vischioso che gli si incollava alle gambe e poi lasciava la presa con un orribile risucchio. Due o tre volte ebbe l’impressione che un’ombra, volando bassa, gli sfiorasse la faccia… Rabbrividiva, e continuava la sua strada, faticosamente.

Giunse infine in una radura sulla quale splendeva un sole fosco. Senza riflettere scivolò dentro una massa liquida e si mise a nuotare. Immediatamente la distesa d’acqua cominciò ad animarsi: migliaia e migliaia di forme vi brulicavano frenetiche emettendo fischi demoniaci. Milioni di vipere, fredde, viscide, immonde, molli come vermi. Graham si tuffò sott’acqua rimanendovi il più a lungo possibile. Ogni volta che ne emergeva per prender fiato, sollevava vere ondate di rettili. L’aria tremava per i fischi continui e stridenti che salivano dalle onde nauseabonde.

Quando infine l’acqua tornò fango, Graham poté issarsi su un tronco mezzo marcito, e vi restò steso a lungo per ricuperare un poco le forze. La massa vischiosa dei rettili si allontanava come un immondo riflusso, e allorché l’uomo riprese il cammino, la strada era libera. Sopra di lui, le comete non solcavano più il cielo mutato in vuoto assoluto, di un’oscurità opprimente.

Ore e ore, sempre marciando in una regione ricca solo di perfide frane e di acquitrini vischiosi. Il lezzo delle acque stagnanti lo stordiva. Più volte fu tentato di abbandonare il pesante coltello che gli pendeva dal fianco e che gli impicciava il passo, ma se ne astenne sempre per prudenza. Poteva ancora servirgli.

Doveva aver percorso chilometri e chilometri, quando improvvisamente uscì dalla palude, e il terreno tornò solido sotto i suoi passi. La foresta era finita. Si stese a terra rimanendo così qualche minuto a riposare.

Si voltò un attimo a guardare la vasta distesa paludosa che aveva appena superato, e in quell’attimo udì risuonare un grido orribile, inumano, e vide una colossale forma sorgere dall’abisso fangoso e drizzarsi dondolando. Al culmine della gigantesca figura, una testa mostruosa ciondolava da un lato all’altro fissandolo con lo sguardo spento di un unico occhio enorme.

Graham balzò in piedi e fuggì lontano dal mostro e dalla palude che scomparvero nelle tenebre.

Il terreno adesso non presentava rilievi, ed era ricoperto da un’erba alta che frusciava dolcemente. Un debole vento giocava tra l’erba con un sussurro scherzoso. Una musica triste nasceva dall’oscurità ricamando un motivo lamentoso: sembrava il piantorassegnato di un’anima in pena, e presto l’armonia mesta gli mosse incontro da ogni parte, bassa ed evanescente, con la ritmica cadenza di una litania funebre. La pianura intera sembrava piangere e gemere al passaggio dell’uomo, spingendolo ad allontanarsi più in fretta per sfuggire a quella disperazione. E la distesa infinita fu tutta un sentimento di morte e di solitudine.

Il sentiero che Graham percorreva, dopo un poco divenne tortuoso, e la piana si interruppe ai piedi di una catena collinosa. Cominciò a salire, e l’oscurità si dissipò un poco. Varcate le colline, l’uomo scorse una luna immensa e pallida che attraversava il cielo come una povera vecchia cosa imputridita, spandendo intorno la sua luce malata, tingendo gli alberi di un chiarore livido, e lui, Graham, si rese conto che anche la sua faccia e le sue mani dovevano sembrare la faccia e le mani di un morto. Ripreso da una paura senza nome, affrettò il passo per raggiungere le montagne che sovrastavano le colline con le loro cime massicce. Tutto silenzio in quei luoghi desolati. Unica compagnia all’uomo, lo scalpiccio ritmico dei suoi passi che gli risuonava alle orecchie da una eternità.

L’uomo affrontò un sentiero serpeggiante nel fianco di una montagna. Le rocce e gli alberi mescolati in modo indescrivibile parevano spostarsi, cambiare di posizione quasi per contrastargli il passaggio. Graham toccò una pietra e trasalì: la pietra ansimava come un grosso ranocchio. Preso da un impeto di furore, afferrò il coltello e lo abbatté sulla roccia con tutte le sue forze. Il sasso si aprì in due emettendo un urlo disumano e lasciando sfuggire una nuvola di vermi. Tutte le rocce si mossero allora convergendo su di lui, masse rampanti e deliquescenti. Trattenendo il respiro, Graham prese a vibrar colpi a destra e a sinistra, ma non venne a capo di nulla. Strane cose fredde e umide gli si attorcigliavano alle caviglie e si arrampicavano lungo le gambe, mostri ripugnanti gli accarezzavano la pelle…

Fuggì urlando, e sbucò su un altopiano al cui centro sorgeva una città morta. Non c’era alcun motivo che la aggirasse, dal momento che la strada lastricata sulla quale stava camminando la attraversava proprio nel mezzo. Muovendosi come un automa, continuò ad avanzare. Era una città stupefacente, composta per la maggior parte da monoliti, obelischi, cenotafi, tutti assolutamente sprovvisti di porte e di finestre. Sembrava che gli abitanti della città fossero morti misteriosamente lasciando che dietro di loro quei monumenti funerari crollassero e si dissolvessero.

Continuò a marciare per ore e ore. Il sentiero saliva sempre più in alto sulle altissime montagne che si rizzavano da ogni lato. Buio ovunque, tranne sul sentiero che restava visibile. Quando giunse a una certa altezza, le tenebre si fecero meno fitte. Davanti a lui si stendeva un cerchio a forma di coppa, circondato da massi giganteschi sui quali stava sospesa una fosforescenza leggera e impalpabile che ne illuminava la grandezza maestosa. Lentamente, seguendo il viottolo che varcava l’orlo della coppa, l’uomo discese nel circo.Icorpuscoli luminosi che formavano la fosforescenza palpitavano, e l’aria era percorsa da fremiti.

Si sarebbe detto che l’arrivo di Graham fosse atteso.

Quando giunse al centro geometrico del circo, Graham si fermò, proprio sull’orlo di un abisso. Allora le particelle luminose si raggrupparono a formare un cerchio di fiamme turbinanti. Prima che lui potesse muoversi, un solido muro di fredde radiazioni si alzò con un’immensa ondata.

E tutta la luce divenne fiamma. E tutte le fiamme divennero oro. Un gemito lontano si levò, crebbe, ingigantì. E tutta la luce divenne fiamma, e la fiamma era verde. L’aria sembrava vivere animata da una forza titanica, e uno scroscio, simile a quello di una cascata nella quale si fossero riunite tutte le acque della terra, annullò ogni altro rumore.

E tutta la luce divenne fiamma, e la fiamma era nera. Urlavano le tempeste scatenate negli abissi, e un tunnel saliva oltre gli spazi sconfinati dell’Universo. Sconvolto, stordito da tutte quelle forze incontrollabili, in balìa della loro furia selvaggia, l’uomo tentò di gridare, ma nessun suono gli usci dalla gola contratta.

E la fiamma si ammassò, si proiettò verso lozenith,trasformata in un’enorme e solida colonna di fuoco al sommo della quale si raggruppò una incandescenza ancora più viva. Graham cercò di muoversi, ma ormai era allo stremo. Improvvisamente al centro dell’uragano la colonna si immobilizzò come… come se essi aspettassero…

Riuscì finalmente a muoversi vacillando. Si diresse verso il pozzo, sballottato, flagellato dal vento. Tentò di afferrarsi a qualcosa per non essere trascinato via, scivolò, e infine poté urlare. Ma troppo tardi, troppo tardi… Gli giunse soltanto la risposta del vento turbinante intorno alla colonna di fuoco.

A una distanza incalcolabile, incredibile, vide l’infuocato flusso vivente lanciarsi come un razzo nelle profondità dello spazio.

Gridò ancora e ancora. Gli rispose un gemito inumano, il respiro del mare senza confini, l’eco di una voce cosmica che si allontanava nel nulla. E Graham sprofondò nell’abisso.

Ebbe l’impressione di precipitare da una grande altezza entro una voragine senza fine. Poi si ritrovò immerso nell’acqua fredda, e aprendo gli occhi si accorse di dibattersi in un mare quasi tranquillo. Nel cielo, un punto ingrandiva a vista d’occhio scendendo verso di lui. Lo seguì con lo sguardo, ma non provò alcuna gioia al pensiero di essere tratto in salvo. La grande stanchezza che era in lui gli impedì perfino di stupirsi del fatto che lì intorno non ci fosse traccia dell’Isola di Pasqua. Non sapeva se era vivo o morto, e se quello che vedeva fosse il segreto dell’Eternità.

L’oggetto si fermò rimanendo perfettamente immobile a un centinaio di metri sopra la sua testa. Stava così sospeso nell’aria senza alcun sostegno. Graham non capiva dove fosse situato il motore di quell’eccezionale aereo, indubbiamente assai più grande di qualsiasi apparecchio mai visto. La sua forma faceva pensare a un enorme gettone posato su una carta da gioco. Il rivestimento era di una sostanza opaca e sottile, dai riflessi ambrati.

Un portello si aprì in un fianco dell’apparecchio, e un uomo ne uscì dirigendosi verso Graham. L’archeologo osservava stupefatto la straordinaria scena, e ne fu così sbalordito da dimenticarsi di essere in mare, cosa questa che gli procurò una solenne bevuta di acqua salata, seguita da un attacco di tosse. L’uomo uscito dall’aereo scendeva nell’aria come se seguisse il tracciato di una scala invisibile. Aveva un aspetto grottesco: la testa troppo grossa sopra il corpo minuscolo e gracile, le membra lunghe e sottili come le zampe di un ragno, e immensi occhi profondi.

Si fermò poco sopra Graham e gli rivolse la parola. La parlata dolce e fluida ricordava il cicaleccio di un uccello, e non assomigliava a nessuna lingua conosciuta. Graham pensò di essere emerso in un altro mondo, posto forse all’altra estremità della colonna luminosa. Lo straniero guardava l’archeologo con aria non meno sorpresa. Lo scienziato gli rivolse la parola in inglese, e non ottenendo nessun risultato provò con qualche frase nelle lingue che aveva imparato qua e là durante le sue esplorazioni: spagnolo, francese, tedesco, italiano. Tentò persino con il latino, il siamese, l’arabo e qualche parola in cinese, ma lo sconosciuto continuava a fissarlo con espressione sempre più sorpresa. Finalmente lo strano essere si decise a togliere Graham dall’incomoda posizione: gli si avvicinò maggiormente tendendogli una mano. Lo scienziato sorrise, convinto com’era di sognare. Levò dall’acqua un braccio intorpidito alzandolo verso la mano tesa, certo di mettere, con quel gesto, la parola fine alla strana visione. Ebbe una scossa nel sentire quanto fosse reale la mano che afferrò la sua, e l’effetto aumentò quando si rese conto che la fragile creatura, che lui pensava uscita dalla sua fantasia, nonostante l’apparente gracilità era in grado di strapparlo dal mare e di sollevarlo con sé senza sforzo lungo l’invisibile scala per portarlo verso il bizzarro apparecchio.

L’assurdo della situazione fece ridere Graham. Quella risata fu una reazione dopo la tensione alla quale era stato sottoposto durante l’estenuante marcia in mezzo alla tempesta, dopo tutte le prove che avevano frustrato la sua vitalità.

Adesso provava la piacevole sensazione di fluttuare leggermente nel cielo, tenuto per mano dallo gnomo grottesco che lo fissava con uno sguardo grave e assorto nel quale Graham lesse un’infinità di domande.

Lo strano personaggio introdusse Graham nell’apparecchio immobile. Dal momento in cui pose piede nell’eccezionale velivolo, l’archeologo fu assalito da un cumulo di emozioni che si accavallavano rapide le une alle altre. Vide subito molti altri esseri simili al suo salvatore. Uomini e donne. Queste ultime erano quasi identiche ai maschi, avevano il torace piatto, la testa calva, e gambe e braccia ugualmente sottili.

La guida condusse il naufrago in una stanza dove Graham poté cambiare i suoi vestiti inzuppati con una specie di tunica confezionata con stoffa dai riflessi di bronzo e che, al contrario dell’apparenza, era soffice e calda. Improvvisamente si rese conto di aver fame, e cercò di spiegare all’ospite, con gesti, la sua necessità. L’ometto capì e lo lasciò solo per tornare quasi subito portando alcune fiale piene di liquidi diversi. Graham ne ingoiò il contenuto il cui gusto gradevole non gli ricordò nessuna bevanda conosciuta, e immediatamente si sentì rinvigorire. Tutti i suoi sensi si affinarono registrando sensazioni più nette. Senza dubbio quei liquidi avevano maggior potere nutritivo, e un effetto più rapido, di quelli ai quali era abituato.

Il successo ottenuto indicando a gesti la sua necessità di mangiare, gli suggerì il modo per arrivare a comunicare con gli strani ometti che lo ospitavano. Cominciò a indicare uno per uno gli oggetti che lo circondavano, e ogni volta qualcuno dei presenti ne diceva il nome. A poco a poco, con quel sistema, riuscirono a formare un rudimentale vocabolario per i sostantivi. Più difficile si dimostrò invece la faccenda, quando si trattò di passare ai verbi. Riuscirono a mettersi d’accordo sui più facili, come ad esempio: mangiare, camminare, scrivere, parlare. Le parole che Graham vide scritte da qualche parte nella stanza, o su etichette o sopra alcuni schermi, gli sembrarono più familiari di quelle che sentiva pronunciare. Apparentemente quegli strani esseri usavano una specie di stenografia per il linguaggio parlato.

Intanto l’apparecchio aveva ripreso la sua corsa: questo fatto non aveva richiesto al pilota altro sforzo che quello di premere alcuni pulsanti, e subito l’apparecchio aveva preso docilmente quota vibrando poi in direzione nord-est, almeno così parve a Graham.

Gli ospiti manifestavano per l’archeologo la stessa stupita curiosità che animava lo scienziato nei loro confronti, mantenendo lo stesso atteggiamento che avrebbero avuto di fronte a un fossile o al rappresentante di una razza del tutto scomparsa.

Graham cominciava a sentirsi a disagio. L’aspetto di quegli ometti simili a ragni, il loro linguaggio a trillo d’uccello, gli oggetti strani che li attorniavano e il cui uso e significato sfuggivano alla sua comprensione, quell’apparecchio volante che obbediva a regole completamente sconosciute, tutte queste cose scavavano tra lui e i suoi ospiti un abisso difficilmente colmabile.

L’archeologo aveva imparato che il suo salvatore rispondeva al nome di Moia Tohn. Era già qualcosa. Seguendo un’ispirazione, Graham prese una specie di matita e disegnò i simboli rappresentanti il sistema solare. Segnò il sole nel cielo, ne disse il nome e poi lo indicò sul suo schizzo. La stessa cosa fece poi con una sfera indicante la terra. A questo punto della sua dimostrazione incontrò una difficoltà: come determinare l’anno, il mese e il giorno? Come ridurre visivamente il concetto di tempo? Intanto Moia Tohn si era ingolfato in una discussione con i suoi compagni. Finalmente sembrò che avessero raggiunto un accordo, e allora Moia Tohn condusse Graham in un angolo dove si trovavano una poltrona e uno schermo, lo fece accomodare sul sedile e sistemò i contatti. Poi prese un casco e lo mise sulla testa dell’ospite. Graham, che teneva lo sguardo fisso allo schermo, restò sbalordito. Stava pensando a Iris, ed ecco che ne vide l’immagine riprodotta fedelmente. Dietro di lui, Moia Tohn sembrava eccitatissimo.

Dopo diverse prove, Graham si rese conto che lo schermo non era in grado di riprodurre i pensieri astratti, mentre bastava pensare a qualcosa di visibile perché subito ne fotografasse l’apparenza. L’archeologo dovette compiere un notevole sforzo per impedirsi di pensare continuamente alla sua donna, e trovare invece il sistema per spiegare alle straordinarie creature la sua presenza.

Riuscì finalmente a concentrarsi e a rappresentare qualcuno degli avvenimenti che lo avevano portato sull’Isola di Pasqua. Si sentì percorrere da un brivido nel rivedere sullo schermo la mostruosa colonna di luce palpitante. A questo punto Moia Tohn prese il posto di Graham sulla poltrona, e l’archeologo vide apparire a sua volta una colonna vaga, appena accennata, che scomparve quasi subito per cedere il posto a un piccolo uomo caduto dalla base stessa del pilastro.

Ecco dunque cosa era successo, pensò Graham: la sua evasione dal pilastro turbinante aveva avuto dei testimoni che erano accorsi a trarlo in salvo.

Dopo di che lo scienziato tentò di risolvere il problema di stabilire la data. Per tradurre visivamente l’idea del tempo fece passare più volte rapidamente il sole sullo schermo, facendolo seguire dalle notti stellate con la luna, e poi dall’alba. Poi mostrò ancora l’Isola di Pasqua, la grande colonna, e infine la rappresentazione grafica dell’anno in cui si era prodotta la catastrofe.

Moia Tohn capì, e sembrò assai stupito. Si sostituì ancora all’archeologo davanti allo schermo e gli dimostrò, più che altro a gesti, che non possedeva alcun ricordo di un’isola in quella parte dell’oceano, che non aveva mai neppure sentito parlare dell’Isola di Pasqua né delle grandi statue. Poi fece apparire un simbolo che a tutta prima Graham non riuscì a decifrare. Infine capì che doveva trattarsi del millesimo dell’anno in corso, ma stentava a credere ai suoi occhi perché, se aveva compreso giusto, doveva trovarsi circa nell’anno 1.500.000!

L’anno un milione e cinquecentomila! Anche se la scarsa familiarità di Moia Tohn con i simboli matematici gli aveva fatto commettere qualche errore, la cosa in sé non cambiava affatto, perché anche una differenza di qualche secolo non aveva importanza di fronte a quella data.

Tanto tempo dunque era passato sulla terra da quando lui era stato travolto dalla tempesta cosmica! Infatti solo un viaggio nel tempo poteva spiegare la grottesca metamorfosi subita dagli uomini, lo straordinario cambiamento nel linguaggio, le meraviglie del progresso meccanico. Graham si sentiva l’anima di un primitivo bruscamente entrato in un mondo dalla complessa maturità.

Si sentì all’improvviso molto stanco, e provò il bisogno di restare un po’ con se stesso per abituarsi a questa rivelazione. Lasciò la stanza, e nell’uscire vide che Moia Tohn rimaneva sulla poltrona davanti allo schermo. Capì allora che quella meraviglia meccanica, trionfo di una tecnica geniale, non aveva per quella gente alcuna applicazione pratica oltre quella di servire da svago. Senza dubbio era in ragione della scarsa importanza che annettevano a quel loro gioco che avevano discusso a lungo prima di decidersi a sottoporre Graham all’indiscreto trattamento.

Con la fronte appoggiata al vetro di un oblò, Graham guardava il mondo esterno, assorto nei suoi pensieri. Lo sforzo mentale l’aveva completamente stremato e Graham temeva di svenire. Il peso dei recenti avvenimenti lo opprimeva, e quel prodigioso salto nel tempo attraverso quindicimila secoli in una sola notte d’oblio l’aveva talmente frastornato da renderlo apatico. Si sentiva serrare il cuore all’idea di tutti i cambiamenti che certo si erano prodotti sulla terra durante la sua assenza. Le meraviglie scientifiche delle quali era già stato testimone erano cose banali, senza alcuna importanza, passatempi e niente più per questi nuovi uomini, ma senza dubbio gli restavano ancora da scoprire infinite altre cose, miracoli dell’intelletto, scoperte inimmaginabili sul piano sociale, materiale e artistico, che dovevano aver accresciuto considerevolmente il benessere fisico e intellettuale. L’atomo, le radiazioni cosmiche, l’universo galattico, senza dubbio non avevano più segreti per quel popolo. E che pensare delle ricerche mediche e biologiche, delle relazioni interplanetarie e di tutti gli altri problemi che assillavano gli scienziati vissuti all’epoca di Graham? Ed era anche possibile che la vita e la morte venissero ormai risolte da una formula nata sotto i precisi controlli di un laboratorio.

Senza nemmeno accorgersene, Graham passò dalla meditazione al sonno e dormì così per venti ore.

Svegliandosi scoprì di non essere più sull’aereo. Lo avevano portato in una casa di forma sferica, sospesa a un tubo centrale. L’abitazione gli era stata assegnata come dimora permanente dal Consiglio Mondiale. Moia Tohn era stato delegato dal Consiglio stesso ad assistere, e mettere al corrente del moderno grado di civilizzazione, l’uomo delXXsecolo, e aveva inoltre l’incarico di trovargli un impiego, una sistemazione sociale.

Questo impiego durerà sino alla fine dei miei giornipensò Graham quando lo seppe. Ma lui d’altronde intendeva farsi solo un’idea generale dei cambiamenti apportati nel mondo in quel milione e mezzo di anni, ed era convinto che pochi giorni gli sarebbero bastati per apprendere le cose più importanti.

Scoprì subito l’esistenza di un Ufficio degli Archivi, nel quale erano conservate le schede personali di ciascun individuo, aggiornate dal momento della nascita alla morte. L’arrivo di Graham aveva destato un grande interesse, perché non fu trovata nessuna traccia della sua esistenza. Moia Tohn si diede parecchio da fare per farlo registrare tra gli esseri viventi.

Come prima cosa, l’archeologo chiese di consultare un atlante del mondo attuale, e Moia lo accompagnò nell’ufficio cartografico competente. Lo scienziato poté così rendersi conto degli enormi cambiamenti geografici subiti dal mondo. Londra era scomparsa insieme alla maggior parte dell’Inghilterra coperta dal mare. Solo l’Irlanda, una parte della Scozia e una regione del Galles esistevano ancora, ridotte a tre piccole isole. Graham rimase a lungo pensieroso davanti a quei tre frammenti della sua patria, ricordando tutte le persone conosciute e scomparse per sempre nell’oblio, sepolte dagli innumerevoli secoli passati sopra di loro. Mai più avrebbe rivisto il paese in cui era nato. Spariti tutti i luoghi che gli erano familiari.

Del Giappone non c’era più traccia, e un grande mare aveva preso il posto del Sahara. Un grande continente era emerso invece nel Sud Atlantico. Irriconoscibili erano i contorni delle terre sopravvissute al logorio dei millenni, e terre nuove, sorte dalle viscere degli oceani, avevano rimpiazzato quelle del suo mondo.

Nei giorni che seguirono, Graham non si curò gran che dei cibi che gli venivano somministrati e che erano costituiti per lo più da estratti e concentrati. Non cercò nemmeno di familiarizzarsi con il principio che permetteva agli uomini di muoversi nell’aria come sul terreno solido: senza dubbio si trattava di una forza opposta a quella della gravità. E non si prese la pena di interessarsi alle astronavi che vagavano nel cielo. Ce n’erano di varia grandezza e di tutte le forme: cilindriche, coniche, e simili a dischi. Funzionavano certo a energia atomica o forse utilizzavano direttamente i raggi super-cosmici.

Sempre aiutato da Moia Tohn, Graham passava le sue giornate a sfogliare gli archivi, studiando l’avvicendarsi degli avvenimenti nel mondo. Guerre e carestie erano cessate del tutto verso il trentesimo secolo. L’epoca dei viaggi interplanetari era durata fino al centesimo secolo, poi le ricerche erano finite quando si erano resi conto che la vita non esisteva su nessun altro pianeta. Si era avuto un periodo di glaciazione che aveva decimato la popolazione del globo. Mille secoli più tardi, una nube cosmica di origine gassosa aveva provocato la morte di quasi tutta la totalità dei viventi. Alla catastrofe erano scampate poche centinaia di individui, donne e uomini, sparsi un po’ in tutte le parti del mondo. Costoro dovevano la salvezza al fatto di essersi trovati in grotte sotto la superficie del mare, in sommergibili, o in laboratori sottomarini. La vita era continuata così su alcune isole, e durante centinaia di secoli i sopravvissuti avevano cercato di ridar vigore alla razza umana. Ma un nuovo cataclisma si era abbattuto sul mondo: una cometa aveva urtato la Terra, e ancora una volta il genere umano aveva corso il rischio di essere spazzato via dalla faccia del globo. Era stato allora che si erano verificati i più grandi cambiamenti geografici.

Adesso una sola razza abitava il mondo. Era un ibrido di tutte le razze che Graham aveva conosciuto, un miscuglio di bianchi, neri, gialli e rossi. Parlavano un’unica lingua, quel cicaleccio d’uccello i cui trilli avevano tanto sorpreso l’archeologo. Tutti erano organizzati sotto un unico governo. E la durata della vita umana si aggirava attorno a un migliaio di anni. Il raggiunto controllo dell’energia atomica, e delle altre energie, rendeva praticamente inutile il lavoro dell’uomo che si limitava al controllo del funzionamento delle macchine. Le nascite non erano più una cosa che interessava gli sposi e le famiglie. La stessa istituzione familiare era scomparsa da un migliaio d’anni. Era il Consiglio Mondiale che si interessava di queste faccende: ogni anno infatti veniva stabilito il numero delle nascite, si selezionavano le madri e si procedeva alla fecondazione artificiale.Ibambini erano allevati e istruiti sotto la direzione del Consiglio. La soppressione dell’allattamento materno aveva causato l’atrofia degli organi femminili, per questo le donne avevano il torace piatto come i maschi.

Graham poté inoltre stabilire che ben pochi erano coloro che godevano completamente i mille anni loro concessi dall’eccezionale prolungamento della vita umana. Il Consiglio aveva provveduto a fornire ogni comunità di un locale dove coloro che si sentivano stanchi di vivere potevano mettere volontariamente fine alla loro esistenza con il semplice gesto di ingoiare una pillola di squisito sapore. Se ne andavano così dal mondo, trasportati sulle onde di un’ineffabile estasi.

La comunità nella quale viveva Graham si trovava nei pressi di Bear Mountain. Da lì si dominava il mare che ricopriva LongIsland,Manhattan e la vecchia valle dell’Hudson. Moia Tohn condusse un giorno il suo protetto a visitare la locale Torre della Partenza. Si trattava di un cilindro di vetro alto trecento metri e sormontato da una specie di cupola che gli dava l’aspetto di un campanile. Da lassù si poteva spaziare lo sguardo su una immensa distesa di mare e di terra. Da lassù chi intendeva evadere poteva spaziare un’ultima volta sul magnifico paesaggio prima di prendere congedo.

Graham si affacciò alla veranda guardando pensoso il panorama: la vegetazione non era più quella che lui conosceva.Ibotanici avevano ottenuto mutazioni di alberi e di fiori, come i tecnici e i medici avevano alterato la struttura dell’uomo per eliminare malattie e germi nocivi, mescolando le razze e sopprimendo i nuclei familiari. Con l’uso della fecondazione artificiale e l’allevamento in laboratorio, essi avevano ridotto la vita sessuale, in altri tempi così importante, a non essere altro che un aspetto negativo.

Graham si informò sulla misura in cui veniva usata la Torre di Partenza. Gli risposero che lì, a Nuaya, su una popolazione di 8.000 abitanti, la media era di una persona ogni trenta giorni. Gli dissero però che negli ultimi due giorni nove individui erano saliti alla torre.

E questo era quanto l’archeologo aveva previsto e temuto.

Il mattino seguente Graham cercò di farsi un’idea della nuova scienza matematica. Si accorse subito che il compito era assai difficile. La più positiva delle scienze era diventata una cosa talmente astratta, sorpassando di gran lunga le teorie di Einstein, diWhiteheade di Russel, da diventargli incomprensibile. Era basata su cinque dimensioni: la lunghezza, la larghezza, lo spessore e il tempo con l’aggiunta di una dimensione chiamata Ru. A stento Graham riuscì a farsi un’idea di cosa fosse quest’ultima. Ru rappresentava il continuo cambiamento dell’osservatore, dell’oggetto e dell’universo in rapporto tra loro. Lo scienziato non capì altro.

Avrebbe avuto bisogno di decine di anni per imparare tutto. Invece, se i suoi calcoli erano giusti, non gli restavano che pochi giorni da vivere. Ne era certo perché la notte precedente Graham aveva avuto di nuovo il terrificante sogno premonitore sul ritorno dei Titani, pronti a riallacciare i legami con il mondo umano, esattamente come un milione e cinquecento anni prima era avvenuto sull’Isola di Pasqua. Aveva sognato lo spaventoso idolo verdastro e la fluida colonna d’energia.

Nel tardo pomeriggio, Graham si recò a vedere la Torre della Partenza. Restò qualche tempo davanti alla costruzione di vetro e vide entrare quattro persone. Nessuna di loro uscì più. Soltanto circostanze anormali potevano provocare questo anormale desiderio di evasione dalla vita in esseri tanto saggi e pazienti.

E il desiderio di partire dilagò come un contagio.


Quella notte Graham dormì male. Si svegliò con il cuore colmo di disperazione.Ilcaldo di quella fine estate era intollerabile, l’archeologo si vestì e scese a passeggiare sulla riva del mare. Ma dalle onde salivano vapori soffocanti, e il riflesso del sole sull’acqua era insostenibile. Quel poco d’aria che soffiava verso il mare era umida e pesante. Graham non riusciva a liberarsi dalla paura di quello che stava per accadere, ma non poteva nemmeno accettarla come l’espressione di una verità.

Tornò sui suoi passi dirigendosi alla Torre della Partenza. Vide molta gente entrarci e nessuno” uscire. Sulle facce di quegli uomini e di quelle donne, giovani, anziani, o vecchi che fossero, vide sempre la stessa espressione, calma e serena, senza la minima traccia d’emozione. Lo sguardo di quegli occhi enormi e profondissimi lo commosse immensamente: aveva imparato ad ammirare quel popolo che a tutta prima gli era sembrato grottesco, paradossale nell’aspetto, e ad amarlo anche per il profondo rispetto che gli eccezionali ometti portavano alla personalità dei singoli individui.

Tornò a casa dove concentrò la sua attenzione su una macchina miracolosa che aveva fino allora trascurato. Era detta unitel e ce n’era un esemplare in ogni abitazione. Assomigliava vagamente alla vecchia televisione, ma assai più perfezionata. L’unitel consisteva essenzialmente in un grande schermo, una scatola sigillata ne racchiudeva il meccanismo, e una carta geografica raffigurante il mondo era dotata di un ago mobile. Spostando l’ago sul punto che interessava, e stabilendo il contatto, si poteva vedere tutto ciò che succedeva in quel punto della terra, a colori, con la riproduzione esatta delle voci e dei rumori, e una grande precisione nei movimenti. Una volta al giorno per la durata di mezz’ora, il Consiglio Mondiale si riservava l’uso dello schermo per rendersi conto di quanto succedeva nel mondo, prendere le necessarie decisioni, e diramare le informazioni di interesse generale. Tranne quella mezz’ora, l’unitel restava a disposizione di tutti.

Graham accese l’apparecchio nel momento in cui veniva diramato il comunicato del Consiglio, e lo ascoltò attentamente.

In tutto il mondo, il numero di coloro che ricorrevano alla Torre della Partenza era bruscamente aumentato. La capitale mondiale, la più grande di tutte le comunità, situata nella regione dell’antico Brasile, comunicava che su una popolazione di 30.000 abitanti si era avuto un afflusso alla Torre di quarantun individui in un solo giorno, mentre la media normale era di 0,19. Da altre località venivano segnalati uguali aumenti. Graham non poté comprendere tutti i comunicati perché aveva solo una limitata conoscenza del linguaggio mondiale, ma capì che si parlava di un fenomeno segnalato in un punto dell’oceano. Del resto non occorreva che capisse perché sapeva qual era il luogo…

Attese la fine dei rapporti ufficiali, poi spostò l’ago indicatore sul Sud Pacifico. Mentre il mondo scorreva sotto i suoi occhi, ebbe modo di apprendere alcuni lati sconosciuti della moderna civilizzazione. Vide uno specialista intento a preparare soluzioni nutritive, alcuni straordinari pittori radunati in una galleria d’arte, un tecnico sanitario in un laboratorio dove si allevavano neonati, due bambini che si divertivano a combinare cubi gialli, rossi e blu in un sistema di sospensione a tre dimensioni, un boschetto di alberi bianchi…

L’ago era arrivato alla estrema costa del Cile, e apparvero le sconfinate acque dell’Oceano. Graham faticò un poco prima di trovare la latitudine e la longitudine dell’Isola di Pasqua. E quando l’ebbe trovata, vide la mostruosa colonna uscire dall’acqua. Sul cratere del Rano Raraku era apparso il Guardiano del Sigillo, vibrante nel ciclo delle sue mutazioni.

Osservando attentamente il pilastro luminoso, lo scienziato si rese conto che sarebbe trascorso ancora un giorno prima che si stabilisse il contatto che avrebbe aperto ai Titani l’ingresso al mondo degli uomini. Era ancora in tempo, se voleva, per raggiungere l’Isola di Pasqua e sfidare nuovamente il Guardiano.

Si rivide inghiottito dalla colonna infuocata, attirato da una forza abissale e costretto a un nuovo balzo di un milione e mezzo di anni. E così di seguito, all’infinito… La smisurata colonna era una trappola del tempo, come il corridoio di Stonehenge, e a meno che i suoi inventori, dal loro rifugio, non tentassero di cambiarne il compito e quello del Guardiano del Sigillo, Graham avrebbe dovuto intervenire senza sosta per impedire che si aprissero le porte ai Titani. E per sempre sarebbe stato votato a rinnovare quel passo prodigioso di migliaia di secoli.

Graham aveva però un mezzo per sottrarsi al suo destino: andare alla Torre della Partenza. Poteva abbandonare il mondo e i suoi problemi, abbandonare i pensieri e i ricordi.

Ma non l’avrebbe fatto.

Così stabilì l’itinerario per il viaggio. L’immenso viaggio per salvare il mondo. Forse, pensò, nel corso di una delle mie prossime assenze, riuscirò a sottrarmi alla tempesta ultracosmica. Potrò emergere, per non più tornare, all’altra estremità della colonna, là dove vivono i grandi chimici, i Titani.

Si alzò e staccò i contatti dell’unitel.

Lo schermo si spense.


FINE
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