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L’archeologo udì cantare un grillo, e aprì gli occhi. Vide il cielo notturno splendere sopra di lui. Si rese conto infine di essere sdraiato sul terreno nudo e di respirare un buon odore di terra e d’erba.

Provò a muoversi. Gemette. Gli sembrava che tutto il suo corpo fosse ridotto a una piaga dolorosa. Il sangue gli pulsava alle tempie con violenza, la sua mente era vuota, e a stento trovò la forza di chiedersi dove si trovava. Alti monoliti, immense sentinelle di pietra, si drizzavano attorno a lui. Favolosi sovrani decaduti si mescolavano alle tenebre della notte.

Lui li conosceva quei giganti! Improvvisamente li riconobbe, una gran luce si fece nel suo cervello, e seppe di essere a Stonehenge. Ai suoi piedi si stendeva un grande altare in pietra, più lontano il cerchio interno di sassi blu, e più in là ancora una folla di figure indistinte. Sì, Graham le conosceva bene quelle impressionanti opere uscite da mani dimenticate che le avevano misteriosamente costruite per uno scopo non meno misterioso. Da secoli l’enigma di quelle granitiche presenze aveva deluso le ricerche più approfondite. Ma non era il mistero di Stonehenge che occupava la mente di Graham in quel momento. Lui si trovava all’aperto, a quindici chilometri da Isling, ed era certo di non poter coprire quella distanza nel suo stato di spossatezza e ancora sofferente com’era per l’incidente del treno.

Graham si mise faticosamente in cammino attraverso le rovine ciclopiche, dirigendosi verso la piana diSalisbury.Dopo quasi un’ora di marcia raggiunse una casa dalle finestre illuminate. Fortunatamente il proprietario aveva una macchina, e per mezza sterlina acconsentì a portarlo a Isling.

Il dolore che martoriava lo scienziato in tutto il corpo e il senso di spossatezza diminuirono un poco durante il viaggio. L’uomo che guidava la macchina era un tipo taciturno, e Graham gli fu grato di non infastidirlo con domande oziose. Il ricordo del cammino percorso nel tunnel era già svanito in parte dalla sua memoria come un brutto sogno svanisce alle prime luci del giorno, e Graham si chiedeva quanto ci fosse di vero nella vaga coscienza degli ultimi fantastici momenti passati sottoterra. Senza dubbio lo sbocco del corridoio, simile all’ingresso scoperto nel cimitero di Isling, si trovava in mezzoallevestigiadiStonehenge,e le iscrizioni e i simboli dovevano trovarsi sia all’esterno sia all’interno della pietra magica. Più tardi sarebbe tornato sul posto per tentare di ritrovarla, ma per il momento era più importante correre in aiuto di Liska.

Graham immaginava che alla fine della lunga e snervante marcia nel corridoio interminabile aveva dovuto passare inconsciamente la mano sulle simboliche incisioni, e che il meccanismo, scattando, l’avesse catapultato nel mondo dei vivi. A meno che non fosse semplicemente sbucato all’aria aperta da un comunissimo passaggio e che il suo svenimento fosse stato causato dall’emozione e dalla stanchezza. In ogni caso una apertura doveva trovarsi tra le statue di Stonehenge, forse celata da uno dei semplici altari.

La macchina attraversò Isling addormentata e si inoltrò sulla Vadia. Mentre si avvicinavano al Cimitero del Diavolo, Graham riuscì a distinguere nel buio la sagoma tozza del camioncino presso la siepe di biancospino, a fianco dell’ingresso.

Una sottile fetta di luna ammiccò da una nube rivelando più nettamente i contorni delle cose. Lo scienziato ringraziò il suo silenzioso compagno che, fatto compiere un mezzo giro alla macchina, si allontanò senza perdere tempo.


Appena entrato nel cimitero, Graham vide una forma umana stesa poco lontano dall’argano. Inquieto, si avvicinò di corsa e si inginocchiò. Subito i suoi timori scomparvero: Thomas non era svenuto, né ferito, né tanto meno morto. Molto più semplicemente, dormiva con la testa appoggiata nell’incavo di un braccio.

Thomas, scosso poco delicatamente dall’archeologo, si drizzò a sedere sbattendo le palpebre, ancora insonnolito.

«Che cosa vi è successo?» chiese subito Graham.

«Eh? Come?» biascicò Thomas con la voce impastata, poi, come se la domanda giungesse solo allora al suo cervello, rispose: «Non direi che è successo gran che. Ho aspettato per un’ora o due. C’era bel tempo e un gran caldo. Credo di essermi addormentato senza nemmeno accorgermene. C’è qualcosa che non va?»

Senza più badargli, Graham corse all’argano. Il cavo, normalmente arrotolato sull’asse e tenuto ben saldo dal gancio di sicurezza, pendeva al di sopra del pozzo. Sorpreso, Graham puntò la torcia elettrica verso lo scavo.

La pietra verde era là, al suo posto, e la corda penzolava sul centro della lapide!

Ecco spiegato il mistero. Almeno in partesi disse Graham. La pietra si è richiusa troncando di netto la fune!

Il fenomeno doveva essersi prodotto senza che Thomas se ne accorgesse. Ma come aveva potuto la pietra riprendere la sua posizione? Appena postasi questa domanda, lo scienziato si diede dell’imbecille per non aver previsto una cosa tanto evidente: lo strano meccanismo scattava automaticamente. Una volta imparata la combinazione era facile aprire la lapide che però restava aperta solo per un certo tempo, trascorso il quale la pietra si richiudeva da sola!

Graham cercò di ricordare quanto tempo era passato prima che, mentre lui e Liska si trovavano nella caverna, la corda cedesse. Due ore e mezzo, concluse, forse tre. Questa sua idea coincideva con la pretesa di Thomas di essersi addormentato due ore dopo la discesa dei compagni. In tal modo era chiaro che non era stato in grado di assistere all’incidente.

Dunque, l’ingresso al pozzo rimaneva aperto circa tre ore, e la pietra si spostava solo mettendo in moto lo scatto che funzionava con la combinazione. Come una cassaforte. Poteva restare chiusa per settimane, anni o secoli, se nessuno la faceva funzionare, ma una volta aperta restava così per tre ore circa. Adesso bisognava provocare di nuovo lo scatto per liberare Liska. Tre ore erano sufficienti allo scopo, e con un largo margine di sicurezza anche.

Improvvisamente la voce sorpresa di Thomas ruppe il silenzio.

«Accidenti a me se ci capisco qualcosa! Come diavolo avete fatto a risalire?»

«Seguendo un passaggio sotterraneo» spiegò Graham. «La corda si è spezzata, come vedete, e così Liska e io ci siamo separati per cercare un’altra via d’uscita. Io l’ho trovata, ma lui è ancora laggiù.»

«Gli è successo qualcosa?»

«No. Io ho incontrato qualche difficoltà, ma Liska è al sicuro, per quanto la sua situazione non sia molto allegra là sotto.»

«Ma come ha potuto rompersi la corda, dico io? Era nuova!»

«Anche le funi più resistenti possono rompersi, infatti questa si è spezzata… Adesso bisogna andarne a prendere un’altra sul camioncino. Ci pensate voi?»

«Certo, e di corsa, anche. Mi sono riposato abbastanza» rispose Thomas allontanandosi in fretta.

Per non perdere tempo, Graham si avvolse attorno alla cintura il pezzo di cavo rimasto sull’argano, fissandolo saldamente. Poi scese nella buca e tornò a passare le dita sulle incisioni nel modo che ormai conosceva bene. Ancora una volta la straordinaria sparizione avvenne sotto i suoi occhi: la strana materia metà pietra e metà metallo si restrinse contraddicendo ogni legge fisica. Una volta di più l’archeologo si trovò sospeso sul pozzo nero, e i suoi piedi, agitandosi nella ricerca di un appiglio, provocarono piccole cascate di terriccio dalle pareti della fossa. Guadagnato il terreno solido, Graham trovò Thomas già intento a fissare il nuovo cavo sull’asse dell’argano. Gli diede una mano per fare più in fretta, e in capo a venti minuti tutto fu pronto per ricominciare la discesa.

«Restate vicino all’argano» disse Graham a Thomas. «Starò giù solo il tempo necessario per attaccare la navicella e raccogliere Liska. Fate quindi attenzione al segnale per ritirarci su subito.»

«Vi confesso che non sarò affatto spiacente di svignarmela. E più presto sarà, meglio sarà: questo posto non è allegro.»


Le mura del pozzo cominciarono a scorrere davanti a Graham che affrontava la penosa discesa. L’archeologo si era munito di una nuova torcia elettrica e ne aveva fissato una seconda nella borsa agganciata alla cintura. Questa volta non c’era la navicella a donargli quel senso di sicurezza che, sebbene effimera, aveva rincuorato alquanto Liska e lui durante la prima esplorazione. Adesso Graham pendeva direttamente dal cavo, come un ragno, e girava su se stesso sballottato da tutte le parti.

Le pareti seguitavano a sfilare con monotonia, lui doveva fare un notevole sforzo per non svenire e per vincere la nausea e la sonnolenza. Pensava a Thomas che aveva continuato a dormire tranquillamente mentre si erano scatenate le incontrollabili forze misteriose. Forse era stato meglio che non si fosse accorto di niente. Se avesse visto la corda spezzata e la pietra materializzarsi sotto i suoi occhi avrebbe certo perso la testa, nella migliore delle ipotesi se la sarebbe data a gambe in preda al panico gettando l’allarme in tutto il villaggio, e la cosa sarebbe magari giunta alle orecchie delle autorità londinesi. A considerare bene i fatti, Thomas aveva scelto la condotta più saggia: poiché dormiva, non aveva visto niente, e non vedendo niente non aveva potuto peggiorare la situazione. Inoltre, essendo ben riposato, adesso era stato assai più utile.

Finalmente, come Dio volle, la discesa ebbe fine. Le pareti si allargarono incurvandosi sull’ossario, e Graham cominciò a girare intorno la luce della sua torcia. Il grande cumulo di ossa apparve in distanza con un grigiore confuso, salì incontro all’uomo, si rivelò in tutto il suo macabro candore.

Prima ancora di toccare il fondo Graham lanciò il suo richiamo.

«Liska!»

Gli rispose l’eco della caverna, ma non gli giunse nessuna voce umana. Liberandosi febbrilmente della corda, lo scienziato si sentì per la prima volta inquieto sulla sorte del suo assistente. Per un istante rimase immobile al centro della immensa tomba percorrendola con lo sguardo e fugando le ombre con la lampada. «Liska» tornò a chiamare, e poi più forte: «Liska, sono Graham… Dove siete, Liska?»

La sua voce urtò contro le pareti, rimbalzando d’angolo in angolo, divenendo sempre più debole per spegnersi in un sussurro.

La navicella e il rotolo della prima corda erano sempre là dove le aveva lasciate. Niente mancava dall’equipaggiamento, né viveri, né torce. Sentendo aumentare in sé l’agitazione che l’aveva colto nel non vedere subito il giovane compagno, lo scienziato cercò di rassicurarsi pensando che forse Liska si era addentrato nel corridoio che avevano scoperto insieme, spinto dalla curiosità. Se fosse stato così, allora lui avrebbe dovuto seguirlo rifacendo la sconvolgente esperienza di quel torturante pellegrinaggio. Pazienza! Era uno sforzo terribile che lo aspettava, ma avrebbe costretto il suo corpo a obbedirgli per arrivare sino alla fine. La prospettiva di rivivere gli ultimi allucinanti minuti prima di uscire da quella maledetta trappola gli fece correre i brividi per la schiena. Inoltre, se lui si fosse inoltrato nel tunnel, la pietra lassù avrebbe avuto il tempo di richiudersi un’altra volta, e se non fosse riuscito a trovare Liska né a sbucare a Stonehenge… La lampada gli scivolò di mano, e Graham si asciugò sui pantaloni le mani madide. Non poté fare a meno di imprecare mentalmente contro Liska: e sì che ne aveva di esperienza, quel ragazzo. Possibile che si fosse avventurato nel corridoio senza rifornirsi di una torcia? Ora, dal momento che dalla navicella non mancava nulla, era più logico pensare che non fosse quella del tunnel la strada presa dall’assistente. Ma dov’era dunque, dal momento che non si trovava nella caverna? Graham non sapeva più cosa pensare.

Bruscamente si decise, e in pochi passi raggiunse il posto dove aveva scavato con Liska il passaggio per il corridoio. Sotto i suoi piedi le ossa scricchiolarono sgretolandosi con un rumore secco che risuonava sinistro nel silenzio opprimente. Si lasciò scivolare nel pertugio, raggiunse il corridoio e proiettò la luce della torcia più lontano che poté.

Scorse solo le uniformi pareti verdastre, misteriose e lontane. Ispezionò il suolo e notò che nessuna orma affiancava quelle lasciate dal suo passaggio. Nessuno dunque lo aveva seguito per quella strada.

Rimontato nella caverna esaminò attentamente il suolo attorno allo scavo, e continuò la minuziosa ricerca seguendo la parete nella speranza che Liska avesse scoperto un nuovo passaggio. Pensò anche che l’assistente, scavando, poteva essere rimasto imprigionato da un improvviso cedimento delle ossa.

Aveva esaminato quasi metà della caverna quando il raggio della lampada illuminò l’involucro metallico della torcia di Liska, proprio vicino alla navicella. Si precipitò in quella direzione, ma quasi subito trasalì e dovette fermarsi e asciugarsi le mani improvvisamente sudate.

Rimase così, immobile, a lungo, rifiutandosi di credere all’evidenza. Quello che vedeva era troppo orribile perché lui potesse far qualcosa che non fosse lo starsene lì fermo a guardare, terrorizzato, sentendosi invadere da una disperazione che gli faceva vacillare la mente.

Accanto alla torcia elettrica, giacevano altri oggetti: la fibbia di una cintura, un orologio da polso, qualche chiave, alcune monete, un coltello a serramanico, una matita, bottoni… tutte quelle cose metalliche e inorganiche che un uomo porta generalmente nelle sue tasche o che fanno parte dei suoi vestiti. Ma di vestiti, lì intorno, non c’era traccia. C’era invece un nuovo scheletro che recava al polso un orologio dal braccialetto di metallo, che Graham riconobbe subito: era l’orologio di Liska.

E quello scheletro era tutto ciò che restava di Liska!

La morte dell’assistente doveva essere stata istantanea, come per tutte le migliaia di uomini morti prima di lui in quella trappola spaventosa.

Al momento destinato, apparentemente dopo la chiusura della pietra verde, una grande forza di origine sconosciuta aveva spogliato la vittima della sua carne, dei vestiti e di ogni altra materia organica a parte le ossa.

Quando fu di nuovo in grado di ragionare, Graham pensò che, poiché la pietra era rimasta aperta per treore,lui aveva dovuto impiegare un tempo pressappoco uguale per percorrere tutto il corridoio. Senza dubbio era questa la ragione dello sconvolgimento che l’aveva assalito nel momento in cui stava guadagnando l’uscita.

Soltanto per miracolo, quindi, era sfuggito a quella disintegrazione della carne che aveva ucciso Liska. Il suo assistente aveva subito la stessa sorte riservata migliaia di anni prima alle vittime dei sacrifici le cui ossa coprivano il pavimento della caverna. Graham era convinto che l’imboccatura del pozzo costruito con la misteriosa sostanza verde fosse in origine al livello del suolo, bene in vista, per attirare la curiosità di coloro che, non temendo l’avventura, osavano esplorarlo. La trappola mortale aveva in tal modo la funzione dello specchietto per le allodole! In seguito era sopravvenuto il periodo delle glaciazioni: quando poi i ghiacciai si erano ritirati, uno spessore considerevole di detriti aveva ricoperto la lapide.

Secondo i geologi, i quali non sono affatto d’accordo sulle date del periodo glaciale, l’avvenimento può risalire dai 40.000 anni a 1.000.000 di anni prima della nostra epoca. Ora, poiché il tipo degli scheletri più recenti trovati nella caverna indicava come relativamente vicina l’età dei ghiacci, per giustificare la presenza degli altri resti, quelli più antichi, bisognava che la costruzione del pozzo risalisse a una data anteriore a un milione di anni. Prima della nascita dell’uomo, quindi. O piuttosto, e questo secondo pensiero sconvolse Graham, prima dell’aurora della vita, come se la trappola avesse un rapporto intenzionale, calcolato, voluto, con l’esistenza dell’uomo sulla terra.

L’archeologo tornò verso la navicella con la lentezza di chi è estremamente stanco. Prese un telo che aveva portato con l’intenzione di raccogliervi ciò che di interessante avesse trovato nel pozzo, e vi riunì quel che restava del disgraziato assistente. Poi posò il misero fardello sul fondo della navicella, attaccò solidamente il cavo e fece il segnale convenuto con Thomas.

Mentre cominciava la lenta salita, lo scienziato pensava tristemente alle ore che lo aspettavano. Per prima cosa bisognava spiegare alle autorità locali quello che era successo a Liska.

Era però convinto che a Isling non sarebbero stati troppo zelanti nel condurre l’inchiesta, e nemmeno lui, d’altra parte, aveva intenzione di aiutarli molto.

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