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Il caffè si stava raffreddando nella tazzina, e su un piatto i toast avevano già perso la loro fragranza. Graham si era completamente dimenticato della colazione. Era giunto forse il momento al quale le sue ricerche e gli studi incessanti l’avevano preparato? Rilesse ancora l’articolo che riguardava il mistero di Isling e che era di straordinario interesse per lui.

Carter E. Graham aveva da poco passato la quarantina: la sua faccia, lo sguardo, tutto in lui rivelava una grande intelligenza e un carattere posato. Era di statura media, ma la sua corporatura snella lo faceva sembrare più alto.

Deposto il giornale, lo scienziato rimase a lungo pensoso, riandando a tutti i ricordi che la lettura dell’articolo gli aveva riportato alla mente. Le immagini che prendevano forma nel suo pensiero non sembravano avere molto in comune con i fatti di Isling, erano i ricordi delle ricerche fatte in Egitto, nel Tibet, a Stonehenge, nei paesi della civiltà Maya e nell’isola di Pasqua. Un giorno forse avrebbe reso pubblico il risultato delle sue lunghe ricerche, ma sino a quel momento gli era mancato il tempo di rivedere gli appunti e di coordinarli. Dopo le prime esplorazioni che aveva potuto effettuare grazie a una eredità, si era visto costretto per questioni economiche ad accettare l’incarico di conservatore presso il Museo, limitandosi allo studio delle vestigia romane che di tanto in tanto venivano alla luce in Inghilterra. Adesso quel giornale aveva fatto rinascere in lui l’antica passione per il mistero cosmico che lo riconduceva alle antiche rovine sparse in ogni parte del mondo.

L’articolo che aveva attirato la sua attenzione parlava di un oggetto trovato da alcuni bambini in un cimitero e poi scomparso in modo misterioso. Di tutta la vicenda questa era l’unica cosa che lo interessasse, perché, se quell’immagine era quella che lui pensava, lui avrebbe fatto un gran passo avanti nella soluzione dell’enigma che l’aveva sempre ossessionato.

Possibile, pensava Graham. E proprio a Isling, a meno di centocinquanta chilometri da qui. E dire che sono andato sino in capo al mondo per cercarlo… Però potrebbe anche essere frutto della fantasia di un giornalista. In un fatto come questo, l’immaginazione di solito ha la parte più importante… Bene, c’è solo un mezzo per accertarsene, concluse. Si diresse in fretta al telefono e chiamò la stazione.

«Pronto? A che ora c’è il primo treno per Isling-Westmor?» chiese dando una rapida occhiata all’orologio. «Alle undici e venticinque? Bene, e a che ora arriva?… Alle tredici e quaranta a Westmor? Grazie.»

Mancava un quarto alle nove, quindi aveva tutto il tempo per prepararsi con calma. Telefonò al Museo per avvertire che quel giorno sarebbe stato assente e si affrettò a scegliere gli strumenti che gli sarebbero serviti per quello che intendeva fare e tutto quanto poteva essere utile in un breve viaggio. Prima di uscire di casa guardò attentamente una carta geografica della regione. La memoria non l’aveva tradito: Isling distava pochissimo da Stonehenge.

La sua impazienza era tale che il viaggio gli parve interminabile. Ingannò il tempo cercando di ricordare tutti i particolari venuti alla luce durante gli scavi ai quali aveva preso parte, per trovare un punto di contatto con i fatti di Isling. Alle 13 e 40 il treno entrò puntualmente nella stazione di Westmor. Dopo essersi informato dell’orario dei treni per il ritorno, Graham noleggiò un’auto per arrivare a destinazione. Mentre la macchina correva sulla provinciale, lo studioso tracciò mentalmente il programma di quello che gli conveniva fare. Pensò che sarebbe stato opportuno evitare la curiosità degli abitanti del piccolo centro, almeno finché non fosse sicuro sulla convenienza di effettuare veri e propri scavi.

Alle 14 e 30 la macchina arrivò in vista del paese. Isling era un villaggio di poche centinaia di abitanti, e Graham si rese subito conto che difficilmente il suo arrivo sarebbe passato inosservato. Pazienza! Qualche scellino in più del prezzo pattuito convinse l’autista ad aspettare fino alle otto di sera. Se per quell’ora non avesse ancora finito, avrebbe sempre fatto in tempo a rimandare la macchina e a cercare una stanza per passare la notte a Isling.

Presa la valigia, e senza preoccuparsi di chiedere indicazioni, lo scienziato s’incamminò per la Vadia poiché il giornale spiegava chiaramente che la vecchia arteria aggirava il paese senza attraversarlo. Lungo la strada, Graham passò accanto ai resti calcinati di un incendio recente. Aveva percorso forse mezzo chilometro, quando si trovò di fronte al Cimitero del Diavolo. Notò con interesse che la Vadia s’interrompeva bruscamente ad alcuni metri dall’ingresso, quindi: o il cimitero era più antico della strada o questa era stata interrotta appositamente per permettere di sistemare in quel punto la necropoli. Un’ipotesi valeva l’altra. Sarebbe stato interessante stabilire con certezza quale fosse quella valida, e Graham si ripropose di occuparsene in seguito.

Il pomeriggio era umido e caldo, ma un leggero vento veniva dalle colline. Non appena ebbe varcato la soglia del cimitero, Graham provò una bizzarra sensazione, quasi che con quel gesto lui avesse infranto tutti i legami col resto del mondo. Pensò che la sensazione fosse dovuta all’alta siepe di biancospino che circondava il cimitero isolandolo completamente.

Posata per terra la valigia, lo scienziato ne tolse un piccone a manico corto, un martello da geologo e una piccola vanga, poi si guardò attorno con attenzione. Il luogo aveva la forma di un cerchio imperfetto, con un diametro di circa duecento metri, e si trovava al culmine di una piccola altura. A giudicare dalle erbacce che crescevano folte dappertutto, dovevano essere moltissimi anni che nessuno più si prendeva cura della necropoli. Graham fece il giro completo del cimitero, osservando ogni particolare e chinandosi a esaminare le iscrizioni. Per la maggior parte, parole e date erano illeggibili, e quelle che poté decifrare datavano da un’epoca anteriore alla regina Elisabetta. Terminata l’ispezione, Graham tornò ai suoi attrezzi, li raccolse, e andò a mettersi al centro della necropoli, dove il terreno era leggermente sopraelevato. Una volta lì si guardò ancora attorno con aria pensosa, e un’ombra di dispetto apparve sulla sua faccia espressiva.

Curioso, mormorò fra sé. C’è qualcosa che non è come dovrebbe. A meno che io non abbia passato tutti questi anni a prender granchi, qui dovrebbero esserci i resti di un monumento o di un altare pagano. Invece non c’è niente, assolutamente niente!

Continuò a scrutare in ogni direzione finché notò un punto in cui l’erba appariva calpestata e la terra smossa di recente. Graham decise di cominciare da lì. Infilò i guanti, strappò le erbacce, e impugnata la pala si mise a scavare con cautela. Aveva raggiunto appena una profondità di pochi centimetri, quando l’attrezzo urtò qualcosa traendo un suono metallico. Allora Graham abbandonò la pala e si mise a togliere la terra con le mani per portare alla luce l’oggetto trovato. Lavorava con precisione e metodo, e con grande attenzione. Il sudore gli colava dalla fronte. Finalmente si rialzò reggendo una vaga forma di colore grigio verdastro.

Mai niente fu maneggiato con tanta cura quanto quel piccolo oggetto.

Graham esaminò a lungo la sua scoperta passando dalla sorpresa alla contemplazione. Un’ombra sembrò oscurare il cielo, e attorno a lui tutto diventò buio. L’oggetto che Graham teneva fra le mani non misurava più di dieci centimetri, ma pesava enormemente, ed era scolpito in un materiale che lo scienziato non conosceva: né metallo né pietra, ma quasi una straordinaria mescolanza dei due elementi. Piccole cavità, parte integrante della forma, solcavano tutta la superficie. La superficie verdognola trasudava un umore viscido. La cosa più straordinaria però era l’effetto di arcana potenza che ne emanava, quasi che la statuetta avesse il dono di trasformarsi da pietra in metallo e da metallo in altra materia misteriosa. Le mani di Graham si serrarono con forza intorno all’oggetto i cui contorni cominciarono improvvisamente a vibrare, e lo scienziato si sentì trasportare in un altro mondo, in un universo sconosciuto eppure bizzarramente familiare, come se fosse stato ricacciato indietro agli inizi del tempo, in mezzo ai ricordi ancestrali della sua razza, in un’epoca di mondi fiammeggianti, ed ebbe la sensazione che la fantastica statuetta si dilatasse in maniera abnorme ergendosi sopra di lui simile a una gigantesca stele svettante nel cielo come un magico titano delle stelle.

Durante le sue spedizioni Graham aveva assistito a molti spettacoli inusitati o terrificanti, mai però aveva conosciuto la paura come in quel momento. Ebbe la tentazione di ricacciare nella terra la pazzesca immagine, e questa volta per sempre.

Lentamente, con grande sforzo, riuscì a vincere l’angoscia che per un attimo l’aveva sopraffatto. Posò a terra la statuetta e indirizzò la sua attenzione sulla terra smossa. L’esperienza gli suggeriva di scavare più profondamente e sebbene il suo subcosciente gli suggerisse di non cercare altro, riprese la pala e ricominciò a togliere terra.

Passò un’ora. Graham continuava a lavorare e a sudare. S’interruppe solo un attimo per ingoiare alcune pillole energetiche e qualche sorso d’acqua della borraccia.

Un campanile batté le sei, poi le sei e mezzo. Gli restava meno di un’ora se voleva tornare a Isling in tempo per trovare ancora la macchina che l’avrebbe riportato a Westmor permettendogli di prendere l’ultimo treno. Aveva ormai deciso di rinunciare alle ricerche, quando il piccone incontrò un ostacolo che diede lo stesso suono metallico che aveva annunciato la scoperta della statuetta.

Graham non aveva previsto di trovare un secondo oggetto uguale al primo, e ne fu assai sorpreso. Ormai allo stremo delle forze, e terribilmente affamato, affrettò il più possibile i suoi movimenti per mettere infine termine a quella giornata estenuante.

Ben presto apparve una superficie piana dello stesso colore verde. Non si trattava di un’altra statuetta. Erano le sette meno un quarto. Tolse con le mani ancora un po’ di terra, poi si inginocchiò per osservare da vicino la superficie verde, e la sua faccia prese un’espressione sconcertata: aveva aggiunto un nuovo mistero a tutti quelli che già rendevano perplessi gli archeologi. Due iscrizioni, i cui caratteri non assomigliavano ad alcun segno conosciuto, erano incise profondamente sulla lastra, e tra le due diciture spiccava un’accozzaglia di simboli geometrici che non avevano niente in comune con quelli tradizionali di Euclide.

Più cercava di dare un senso alla sua scoperta e più la trovava incomprensibile.

Il suo stato d’animo era molto simile a quello dei filologi di fronte ai geroglifici prima della scoperta della celebre pietra Rosetta con la sua iscrizione bilingue. Graham si rimproverò aspramente per non aver portato anche una macchina fotografica.

Le sorprese però non erano finite. Lo scienziato passò una mano sui simboli indecifrabili, e la terra si mosse. La lastra si ribaltò, divenne un angolo, un arco, un ovale, una linea retta, un punto, e scomparve sovvertendo tutte le leggi che regolano la geometria. Sotto lo sguardo sbalordito di Graham, apparve una voragine tenebrosa, un tunnel che sprofondava nel mondo. Dall’abisso salì un soffio di aria antica, assai più antica di quella che colpisce chi penetri in una piramide… Graham fece un gesto, e istantaneamente avvenne il fenomeno inverso. L’enigma geometrico si ripropose, e Graham si ritrovò inginocchiato su una solida lastra di… di che cosa?

Passò qualche minuto prima che lo scienziato fosse di nuovo in grado di ragionare. Si guardò le mani che a quanto sembrava erano state l’inconscio strumento dell’imponderabile, e vide che tremavano. Si rialzò, ancora stordito, uscì dallo scavo e si affrettò a richiudere la fossa. Il vento e il fatto di sentirsi tra le mani la pala servì a rendergli la coscienza della realtà, e quando la superficie verde scomparve sotto uno spesso strato di terra, Graham tirò un sospiro di sollievo. Colmato l’avvallamento, avvolse la statuetta in un pezzo di tela e raccolse gli attrezzi. Non tentò nemmeno di far sparire le tracce del suo lavoro: dal macabro recinto emanava un tale fluido soprannaturale, proveniente da un tempo così lontano, che bastava da solo a tenere lontani gli abitanti di Isling, senz’altro curiosi ma soprattutto superstiziosi.

Nonostante la stanchezza, Graham si sentiva eccitato, certo com’era di aver fatto una scoperta sensazionale. Adesso avrebbe dovuto chiedere l’assistenza di persone pratiche di ricerche archeologiche per poter continuare i lavori nel Cimitero del Diavolo, e non le avrebbe certamente trovate a Isling. Per prima cosa però bisognava depositare la statuetta verde al Museo e studiarla sin nei minimi particolari, comparandola alle riproduzioni esistenti di sculture primitive rinvenute in Africa o nell’America Centrale o in Oceania.

Il giorno ormai era al termine, ma il caldo era ancora opprimente. Prima di uscire dal cimitero, Graham si voltò un attimo e si credette vittima di un’illusione ottica dovuta forse alla stanchezza: l’aria era nettamente visibile e oscillava lenta, sopra la fossa appena ricoperta come l’onda di un mare misterioso…

Graham raggiunse Isling alle otto in punto, buttò la valigia nella macchina e si lasciò cadere esausto sul sedile posteriore. Dalla velocità con cui l’auto filò in direzione di Westmor, lo scienziato capì che l’autista era stato messo al corrente di tutte le superstizioni locali.

Le prime stelle brillavano già quando Graham arrivò alla stazione. Si preoccupò di trovare uno scompartimento interamente vuoto per poter riguardare la sconvolgente statuetta al riparo da occhi indiscreti, e prima della partenza del treno, ebbe anche il tempo di bere un bicchiere di birra e di mangiare un panino. Poi, il convoglio si mosse sferragliando, e il rumore ritmico delle ruote accompagnò i pensieri di Graham comodamente appoggiato al morbido schienale. Guardava dal finestrino con aria assente e ripensava all’amore infelice, causa prima della scelta di un’occupazione che l’aveva portato fin nei punti più remoti del mondo. Poi, l’interesse della ricerca nei posti dove esistevano le testimonianze delle antiche civiltà aveva sostituito la vecchia passione amorosa con la passione per l’archeologia. L’Atlantide, Anghor-Vat, Stonehenge, l’Isola di Pasqua, la Sfinge, le città sepolte dell’Africa del Nord, tutti questi nomi avevano il potere di accelerare i battiti del suo cuore con i loro misteri affascinanti. Chi aveva scolpito e innalzato i colossali monumenti e le statue gigantesche che ancora resistevano al tempo? Perché nessuno era mai riuscito a identificare i geniali costruttori? Domande senza risposta, enigmi indecifrabili! Dal giorno in cui era stato conquistato dal fascino dell’archeologia, quei misteri non avevano mai cessato di ossessionarlo. Spesso si era immaginato di essere prossimo alla soluzione, e ogni volta se l’era vista sfuggire. Ma adesso sentiva che la scoperta di Isling era più importante di ogni altra.

Scuotendosi dal torpore che l’aveva colto, Graham aprì la valigia e ne tolse la statuetta. Ancora riprovò la sensazione di essere sospeso sul vuoto, di nuovo risentì l’angoscia che gli veniva comunicata dall’immagine i cui contorni tornarono a vibrare come l’aria infuocata della superficie di un deserto. Quel fenomeno era del tutto incomprensibile. La stamina possedeva dunque il potere di provocare anche illusioni ottiche? O era la fatica che gli giocava brutti scherzi? Eppure si era sottoposto a fatiche assai più dure, e i suoi nervi non avevano mai ceduto! Pensò ai paradossali postulati della matematica einsteiniana e immediatamente ricordò il fenomeno della pietra verde che si era ribellata alle più solide regole stabilite dalla fisica. Questo lo portò a una conclusione: se la lapide era in grado di sfuggire alle più elementari norme della fisica, anche la statuetta poteva eluderle, poiché era composta della medesima sostanza.

Perplesso, Graham esaminò la superficie verdastra. L’aspetto apparente era quello di una mica porosa, ma aveva la durezza del quarzo, il peso dell’oro e la fluidità del mercurio. Quella strana materia dalle proprietà ancora più strane, suggeriva il confronto con parecchi metalli conosciuti e minerali noti, ma conservava una qualità particolare. Be’, sarebbe stato compito dei fisici e dei chimici stabilirne la natura. Lui si sarebbe limitato a prendere visione delle analisi di laboratorio.

Continuò il suo esame cercando di determinare l’uso e la funzione della statuetta, irritato di non essere in grado di stabilirne bene la forma a causa delle vibrazioni. Sembrava l’immagine di un mostro, ma non appena era certo che fosse tale, ecco che assumeva l’aspetto di un antico dio, magnifico e terribile, suggerendo l’idea di un gigantesco titano proteso verso le stelle… Superba quell’impressione di immensità! Se almeno fossero cessate quelle vibrazioni, lui sarebbe riuscito forse a dare un nome a quella fantastica cosa. Infine, stordito dal continuo movimento dell’oggetto, Graham ne distolse lo sguardo. Provava il desiderio irresistibile di distruggere la statuetta, di calpestarla per sentirla urlare, di gettarla dal finestrino o meglio ancora di ridurla in mille pezzi, ma sapeva bene che non l’avrebbe mai fatto non solo per il fascino che ne emanava, ma anche e soprattutto perché ne intuiva la latente energia che la rendeva simile a una dinamo in riposo. Gli sembrava che una immensa forza fosse in agguato nella piccola cosa, pronta a esplodere incontenibile appena ne avesse ricevuto l’ordine…

Frastornato da tutte le idee che gli frullavano nel cervello, Graham rigirò la statuetta a testa in giù, e vedendo che sulla base era rimasto appiccicato uno strato di terra, usò un temperino per ripulirla. A poco a poco apparve la superficie verde, a poco a poco Graham poté leggervi le medesime iscrizioni, gli stessi simboli visti qualche ora prima a Isling sulla lapide.

Graham si stupì una volta di più. Le mani che avevano modellato la statuetta erano dunque le stesse che avevano inciso la grossa pietra. Ma qual era il motivo di quella doppia iscrizione? Sarebbe riuscito a scoprirne il significato? Ecco un nuovo punto interrogativo che veniva a infittire il mistero. Graham non era un glottologo, ma era dotato di notevole perspicacia e aveva familiarità con la storia dei linguaggi. Conosceva i caratteri di tutte le lingue scritte, antiche e moderne che fossero, e pur non sapendole decifrare era però in grado di riconoscere a vista il sanscrito dei cinesi, i geroglifici del popolo Maya, il siamese primitivo e tutti gli altri, ma per quell’iscrizione frugò invano nella sua memoria: quei segni non erano paragonabili a nessun altro. Era forse la lingua degli Atlantidi? Era la forma del primo linguaggio che aveva preceduto di millenni tutti gli altri? Chi aveva inciso quelle parole, e quale mente le aveva suggerite? C’erano poi i segni geometrici, simboli stenografici di un sistema matematico super-einsteiniano, relativo a un tempo multiplo e a uno spazio multiplo. Soltanto due figure avevano un significatoper Graham: duecerchi contenenti un gran numero di punti disposti diversamente. Lo scienziato tolse di tasca una lente d’ingrandimento e dopo un lungo esame si convinse che uno dei cerchi riproduceva l’attuale posizione delle stelle. Anche l’altro circolo doveva essere una carta astronomica, ma le costellazioni che vi erano segnate gli risultavano del tutto nuove. Forse si riferivano a un diverso frammento dell’universo. Forse erano le medesime stelle del primo cerchio ma viste da un osservatorio situato in un’altra galassia. Forse non si riferivano allo spazio ma al tempo…

Con un gesto d’impazienza, Graham avvolse ancora la statuetta nel pezzo di tela, e la ficcò in valigia. Guardò l’orologio: le undici meno venti. Ancora un’ora di viaggio. Si accomodò meglio sul sedile imponendosi di pensare ad altro, tanto avrebbe avuto tutto il tempo possibile per dedicarsi a quel problema. Delle microfotografie! Ecco, quelle gli sarebbero state utili…

Clic-clic, Clic-clic, Clic-cli…

Il ritmo regolare delle ruote e lo sballottamento del treno avevano un effetto calmante sui suoi nervi. Sentiva il bisogno di riposare corpo e cervello, e non vedeva l’ora di andare a letto…

Clic-clic, clic-clic…

Chiuse gli occhi, reclinò la testa sul petto e si assopì…

All’improvviso Graham sussultò raddrizzandosi mezzo intontito. L’orologio segnava le undici. Il suo assopimento era durato solo un quarto d’ora: qualcosa l’aveva svegliato. Si guardò attorno, scrutò nel corridoio attraverso la portiera, poi fuori del finestrino, ma non notò niente di anormale. Eppure… Eppure aveva la netta sensazione di una presenza… Tese l’orecchio, e oltre lo sferragliare del treno, lontanissimi, irreali, captò altri rumori. Forse si stava preparando un temporale Purché mi lasci il tempo di arrivare a casa!, pensò.

Ascoltò attentamente e di nuovo intese lo strano borbottio. Era veramente il temporale o si trattava del battito del suo cuore? O era qualcosa all’interno dello scompartimento? Concentrò l’attenzione, e il rumore crebbe d’intensità. Adesso era una voce che gridava parole incomprensibili e disumane, giungendo da una lontananza infinita.

N’ga n’ga rhthl’g cheti ust s g’lgggar septhulchu nyrcg s thargoth k’tuhl s brogg meargoth s bh’rw’ lutl ubwcthughu dägoth…

Non una sillaba di quel linguaggio aveva senso per Graham. Il suono diventava sempre più forte, riecheggiando in lui come lo sciacquio di un’onda, lo eccitava e lo esaltava, l’opprimeva e l’angosciava con una forza che lui non aveva mai conosciuto.

Ivetri tremarono, l’aria vibrò sotto l’impeto della voce. Graham si sentì afferrare dal turbinio di un gorgo, si tappò le orecchie con le mani per non sentire. Ma le parole erano in lui, attorno a lui, sempre più forti, sempre più forti…

Poi fu il buio, e il freddo, e la sensazione di uno spazio così sconfinato da superare ogni capacità d’intendere, quasi un abisso senza fine, e il terrore…

Un lampo verde sorse dal nulla. Lontano si alzò acuto l’urlo di una donna subito seguito dallo stridio dei freni contro il metallo delle ruote. Il pavimento sembrò congiungersi al soffitto, e Graham, rannicchiato in se stesso, tese una mano per prendere la sua valigia, ma afferrò solo l’aria.

Abbandonata a se stessa, la valigia piombò fuori dello sportello contorto. Tenebre e silenzio avvolsero l’uomo.

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