Fredric Brown Il bicchiere della staffa

1

Era il primo caso di omicidio al quale mi capitava di dover lavorare, e probabilmente avrei perduto questa occasione se, quando arrivò la chiamata, avessimo saputo che si trattava di omicidio. È sempre il mio capo, Hetherton, a incaricarsi personalmente dei casi importanti, quei pochi casi importanti che si possono verificare in una cittadina. Io mi incaricavo del resto: riunioni parrocchiali e simili. Molto eccitante davvero.

Erano quasi le cinque quando il telefono squillò sulla scrivania di Hetherton; egli sollevò il ricevitore, disse: «Parla Hetherton,» poi rimase ad ascoltare. Hetherton — Sidney M. Hetherton — è il proprietario, direttore, redattore capo e amministratore del Weekly Sun di Mayville, Arizona. È anche uno scocciatore della più bell’acqua.

Non sentii le prime parole che disse nel ricevitore, ammesso che le abbia dette, perchè proprio in quel momento riuscii a dare forma alla frase seguente e ricominciai a battere sui tasti della vecchia Underwood sul tavolino accanto alla mia scrivania. E quando dico battere intendo la parola in tutto il suo significato; la Underwood è più anziana di me, e il rullo, che non era mai stato cambiato da chissà quanti anni, era diventato bianco di vecchiaia, e si era fatto duro come un sasso. Quando si usava quella macchina, non si riusciva a pensare, né tanto meno si sentiva un altro che parlava.

Ma terminai l’articolo al quale stavo lavorando e levai il foglio dal rullo in tempo per sentire Hetherton che diceva: «Va bene, signora Edwards, ci penso io.»

Avevo cominciato a rileggere quanto avevo appena finito di scrivere, in cerca di eventuali errori, quando Hetherton chiamò: «Spitzer», ed allora alzai la testa, lo guardai e dissi: «Sì, capo?»

Mi chiamava sempre Spitzer, e mai Bob e nemmeno Robert. E sempre riusciva a fare apparire quella parola come una bestemmia, cosa che non è certo, o come un nome ridicolo, e in questo caso non posso che dargli ragione. Il mio unico sistema per vendicarmi era di chiamarlo «capo», cosa che sapevo detestava, invece di «signor Hetherton». Mi aveva ammonito diverse volte di non farlo, ma io me ne dimenticavo regolarmente, ed ormai egli aveva deciso di non badarci. La sua sola alternativa era di licenziarmi; ed era una soluzione, questa, che appariva quanto mai desiderabile.

«Potete dedicarmi qualche minuto, Spitzer?» chiese.

Si trattava di una domanda retorica. Il mio tempo gli apparteneva. Specie quel giorno della settimana, il giovedì, cioè il giorno in cui il Sun andava in macchina; non potevo neppure pensare di andarmene alle cinque. Di norma erano come minimo le dieci quando Hetherton ed io chiudevamo, e i tipografi poi dovevano lavorare ancora diverse ore per stampare. Ma annuii, per far capire a Hetherton che potevo dedicargli qualche minuto.

Disse: «Era Birdie Edwards che chiamava. Sta cercando di mettersi in contatto telefonico con il capo McNulty, ma non riesce ad ottenere la comunicazione. La linea è occupata da più di mezz’ora. Mi ha chiesto se posso mandare qui di fronte qualcuno a trasmettergli un messaggio.»

«Certo,» feci. «E qual è questo messaggio?»

«Vuole che vada là subito. Non che le telefoni: che vada là.»

Una cosa abbastanza semplice. «Bene,» dissi, e mi diressi verso la porta. Poi mi voltai. «Se chiamava la polizia, forse si tratta di qualcosa che vale la pena di un articolo. Siamo vicini alla chiusura. Forse farò meglio ad accompagnare Mac, per misura di sicurezza. Se non è niente di importante, torno a piedi, a meno che lui non torni subito con la macchina, e in totale dieci minuti o un quarto d’ora mi saranno più che sufficienti.»

Corrugò la fronte ed esitò. «Va bene, ma tornate più presto che potete.»

La centrale di polizia, se tale si può chiamarla, è proprio dall’altra parte della strada, di fronte al Sun. È composta di due stanze non molto grandi. La stanza sulla fronte è l’ufficio. Una porta massiccia dà sulla seconda stanza, che è la prigione. O meglio, viene chiamata prigione, perchè in una città sul serio la chiamerebbero una topaia. I carcerati rimangono là dentro una notte come massimo; di solito si tratta di ubriachi messi sotto chiave fino a quando la sbornia non è passata. In caso di reati veri e propri, il carcerato viene trattenuto fino a quando non può essere trasferito alla prigione di contea, a venticinque chilometri di distanza, in attesa del processo e, se del caso, della condanna. Mayville non è attrezzata per i casi del genere. Ha, naturalmente, un giudice di pace che può sbrigarsela con le infrazioni al traffico, gli schiamazzi per ubriachezza e simili. Se appena è possibile, infligge multe piuttosto che condanne, sia pure brevi. Le multe giovano al bilancio cittadino, le condanne lo danneggiano.

Ricordo di aver chiesto una volta a McNulty, poco dopo il mio arrivo a Mayville, come se la sbrigavano, con quella prigione a stanza unica, quando veniva arrestata qualche donna. Mi aveva risposto che non arrestavano donne, se appena era possibile evitarlo. Se proprio non se ne poteva fare a meno, il capo o uno dei suoi due agenti doveva subito trasferirla alla sede di contea e lasciarla là: la moglie di McNulty l’accompagnava come rappresentante non ufficiale della polizia e come custode. Ma era una cosa che accadeva molto di rado.

Quando entrai, McNulty era ancora, o di nuovo, al telefono. Mi avvicinai alla porta a sbarre di ferro e diedi un’occhiata per vedere se c’era qualcuno al fresco: la prigione era vuota. Mi misi a sedere. Ascoltai la conversazione di McNulty quel tanto che mi bastava per capire che stava discutendo con la moglie e non certo trasmettendo un allarme generale per una rapina ad una banca; ed allora smisi di ascoltare ed aspettai.

McNulty è un bravo poliziotto, un buon capo della polizia quale può aspettarsi una cittadina come Mayville per lo stipendio che il suo bilancio le permette. È un uomo grande e grosso, con una discreta pancia; naviga verso la cinquantina ed occupa il posto da circa dieci anni. È nato a Mayville, e conosce benissimo tutti e tutto. A vent’anni era andato a Phoenix e si era arruolato come matricola nella polizia. Quindici anni più tardi era ancora poliziotto, anche se non più matricola, quando l’ex capo della polizia di Mayville si era ritirato per limiti di età. McNulty aveva ancora amici e conoscenti a Mayville, compreso un fratello che faceva parte del consiglio municipale; aveva avuto la possibilità di assicurarsi il posto e non se l’era lasciata sfuggire. Era stato un bel passo avanti per lui; a Phoenix non sarebbe nemmeno diventato sergente.

Non è brillante, ma onesto e coscienzioso, anche se qualche volta è piuttosto difficile andare d’accordo con lui. O meglio, a me riusciva qualche volta difficile di andare d’accordo con lui. Ma era sempre stato equo nel darmi quelle informazioni alle quali avevo legittimamente diritto per il giornale.

Già che ci sono, tanto vale che vi parli anche delle rimanenti forze di polizia di Mayville. McNulty veniva chiamato capo perchè aveva sotto di sé due poliziotti, o forse sarebbe più esatto chiamarli agenti, perchè né l’uno né l’altro portavano la divisa, come McNulty, del resto.

Uno era Charlie Sanger, un uomo alto e magro con capelli di un biondo scialbo e occhi di un azzurro scialbo, che vestiva quasi sempre come un cowboy e che, probabilmente, lo era stato una volta. Parlava molto lentamente, con tono strascicato, si muoveva molto lentamente, quando non c’era motivo di affrettarsi, e quasi sempre pensava lentamente. Restava in ufficio la sera, mentre McNulty ci restava di giorno.

L’altro era un messicano, un certo Refugio Herrara, meglio noto come Chico. Veniva raramente in ufficio se non c’era da accompagnare un prigioniero, ed una cosa del genere non era certo frequente. Badava a quella che Mayville chiamava Mextown, la parte occidentale della cittadina, la parte che sarebbe stata oltre i binari se ci fossero stati binari; Mayville non ha ferrovia. E comandava a bacchetta laggiù. Era il messicano più alto e massiccio che avessi mai visto, con una statura di quasi due metri e sui novantacinque chili di peso. Manteneva l’ordine a Mextown con metodi che forse qualche volta erano illegali, ma che funzionavano. C’erano pochissimi reati in quella zona, ed ancor meno erano quelli che arrivavano in giudizio, perchè Chico arrestava soltanto chi si era reso colpevole di qualche grave infrazione. Provvedeva personalmente alle mancanze di minore importanza, ammesso che non riuscisse a prevenirle. In questo modo faceva risparmiare un mucchio di soldi alla città.

McNulty riagganciò il ricevitore, e la sua sedia girevole scricchiolò quando si voltò per guardarmi. «E allora, Bob?»

Dissi: «Birdie Edwards vuole che andiate da lei, subito. Non è riuscita ad ottenere la comunicazione con voi e ha chiamato il giornale.»

«Che cosa vuole?»

«Ha parlato con Hetherton, non con me. Ma credo che non l’abbia detto… ha detto soltanto che voleva che andaste là, non che telefonaste.»

Corrugò la fronte. «Le telefonerò prima, in ogni modo.» Sollevò il ricevitore e compose il numero del La Fonda Motel. Birdie Edwards è la proprietaria del La Fonda Motel. Sì, so che la fonda significa «l’hotel» in spagnolo, il che rende il nome ridicolo, l’Hotel Motel, se tradotto. Ma non fatene colpa a me; non sono stato io a dare quel nome. Non credo nemmeno che sia stata Birdie Edwards; qualcuno mi ha detto che quel nome c’era già quando, pochi anni fa, lei si è trasferita a Mayville ed ha comperato l’esercizio.

Birdie Edwards è una donna grande e grossa, di tipo piuttosto volgare, che ricorda in tutto e per tutto la padrona di un bordello. E voci locali sostengono che questo precisamente era, in una località imprecisata dell’est, prima di venire a Mayville. Se le conosceva, queste voci, vere o false che fossero, dovevano averla divertita, perchè indirettamente le aveva incoraggiate dando, per ciò che la riguardava, una dozzina almeno di versioni contraddittorie, versioni che variavano circa il suo luogo d’origine, il numero dei mariti che aveva avuto e persino sul particolare se l’ultimo marito, presumibilmente il signor Edwards, era scomparso di circolazione in seguito a morte o a divorzio. Ma, ex madama o meno, molti l’avevano in simpatia, quelli che la conoscevano, bene inteso; ella veniva in città molto di rado. So che a me era simpatica, per quel poco che avevo avuto occasione di vederla. E, se anche era stata una madama, non me ne importava affatto; si trattava di una professione più vecchia della mia.

Sentii McNulty che diceva: «Birdie? Parla McNulty. Che cosa è successo? Mi sarebbe molto comodo se fosse qualcosa che può aspettare fino a domani…»

Probabilmente lo interruppe a questo punto, perchè tacque e rimase ad ascoltare per un poco. Poi disse: «Va bene, va bene, vengo. Mi metto in strada fra poco. Charlie Sanger sta per darmi il cambio, e pochi minuti non avranno importanza; non appena arriva, esco.»

Riagganciò il ricevitore e tornò a voltarsi per guardarmi. «Niente, probabilmente, ma potrebbe essere qualcosa. Conoscete Amy Waggoner?»

«Certo,» risposi. Chiunque frequentava i bar di Mayville conosceva Amy Waggoner, almeno di vista. Era in città solo da un mese, ma si era già fatta una fama nella… devo chiamarla café-society locale?… come la prima donna alcoolizzata che si fosse mai vista.

«Bene,» disse McNulty, «abita al motel di Birdie. La porta della sua stanza è chiusa a chiave dall’interno, e Birdie ha bussato senza ottenere risposta. Birdie ha paura che le sia successo qualcosa di brutto, ma non vuole assumersi la responsabilità di abbattere personalmente la porta, anche se il motel è suo. Dice che è una faccenda che mi riguarda.»

«Forse non è nella sua stanza,» suggerii. «Che la chiave sia nella serratura dall’interno non dimostra che ci sia. No certo, con le serrature che ci sono laggiù. Sono serrature a scatto che funzionano quando chiudete la porta, e se la chiave è nell’interno e girata in posizione adatta, potete anche restarvene chiuso fuori.»

McNulty brontolò: «Un bel tipo di serratura davvero per un motel! Viene da pensare che la gente rimanga costantemente chiusa fuori.»

«Non è facile come sembra,» replicai. «Potete chiudervi fuori, certo, ma per arrivare a questo dovete uscire in un certo determinato modo. Ecco come funziona più o meno la faccenda, Mac. Supponiamo che siate dentro con la porta chiusa a chiave. Per uscire, dovete girare la chiave. Ma, per chiudervi fuori, dovete tornare a girare indietro la chiave quando la porta è aperta, lasciare la chiave in quella posizione e poi chiudervi il battente alle spalle. E se lasciate la chiave nella toppa senza girarla quando la porta è aperta, non chiudete affatto.»

«Pure a qualcuno deve essere capitato.»

«Poche volte soltanto, mi ha detto Birdie. E quelle poche volte la finestra era o spalancata o non affrancata; bastava che qualcuno entrasse dalla finestra per aprire dall’interno. La finestra della Waggoner deve essere chiusa e affrancata perchè, in caso contrario, Birdie non avrebbe telefonato.»

Tornò a brontolare e fissò gli occhi sulla strada. «Bene, ecco che arriva Charlie. Avvertite Hetherton che gli telefonerò se c’è qualcosa di grosso. So che questa è per voi la serata di chiusura.»

«Hetherton mi ha chiesto di accompagnarvi, se non vi spiace.» Non era precisamente vero, perchè Hetherton si era limitato ad acconsentire con riluttanza a lasciarmi andare.

McNulty corrugò la fronte, e capii che la cosa lo seccava e che avrebbe fatto volentieri a meno di me. Ma disse: «Va bene, andiamo», come sapevo che avrebbe fatto quando avevo insinuato che l’idea era stata di Hetherton. Il rappresentante del potere esecutivo di una cittadina, anche se occupa il posto da molto tempo e se la sbriga benissimo, cerca di rimanere sempre in buoni rapporti con il direttore del giornale locale. In caso contrario gli articoli, senza incorrere nel reato di menzogna o di calunnia, possono essere girati in modo da farlo apparire ancora più asino di quello che realmente è.

Si fermò un momento a parlare con Charlie Sanger, poi salimmo sulla sua macchina ed attraversammo la città. La statale di Bisbee è l’arteria principale che attraversa Mayville; lungo di essa, il centro degli affari occupa tre isolati.

Appena oltre il centro degli affari, McNulty svoltò dalla strada nel parcheggio del Filone Buono, uno dei tre bar di periferia di Mayville, e il meno rispettabile dei tre, o almeno, la sera, il più chiassoso. Mayville ha cinque bar, ma due sono cantinas in Mextown.

«Volete un bicchierino?» mi chiese. «Io entro, in ogni modo, per vedere se non c’è Amy e per chiedere di lei.» Rovesciando il pollice, indicò una coupé Ford parcheggiata lì accanto.

«Certo,» dissi, scendendo da una parte mentre lui scendeva dall’altra. «Ma, Mac, se c’è la macchina di Amy, che cosa vi fa pensare che non ci sia lei? Deve esserci.»

Scosse la testa. «Potrebbe esserci e potrebbe non esserci. Vi dirò che cosa ne penso quando saremo dentro.»

Era già sulla porta, ed io lo seguii e mi guardai attorno. C’erano soltanto pochi clienti, e fra di essi non si vedeva Amy.

Andammo al banco, e Willie, il barista, ci si piantò davanti. «Salve, Mac. Salve, Bob.»

McNulty gli chiese: «È già stata qui Amy oggi?»

Willie si strinse nelle spalle esili. «Non lo so. Ho preso servizio adesso. Potete chiederlo a Perry: non se n’è ancora andato. È sul retro e si sta lavando. Qualcosa da bere?»

McNulty disse: «Whisky, con un bicchiere d’acqua a parte.» Si diresse verso la porta della toeletta.

Willie mi guardò con aria interrogativa, ed io gli dissi allora che avrei preso la stessa roba. Il whisky puro non è la mia passione, ma forse McNulty avrebbe avuto fretta di andarsene, e non mi va di buttare giù in fretta e furia un whisky e acqua.

McNulty tornò mentre Willie finiva di riempirci i bicchieri. Disse: «No, non è stata qui. Quando l’avete vista l’ultima volta, Willie?»

«Ieri sera, a mezzanotte, se non mi sbaglio. Perchè? C’è qualcosa che non va?»

«Non credo. Era ubriaca come al solito?»

«Più ubriaca che mai, ho paura. Di solito si ferma fino alla chiusura.»

«È uscita da sola?»

Willie rifletté un momento. «Credo, Mac, ma non ci giurerei; c’era gente, e avevo molto da fare. Ha detto arrivederci, o buonanotte, o simili quando si è allontanata dal banco, ma mi sembra di non averla vista uscire dalla porta.»

McNulty annuì. Prese il suo bicchiere e lo vuotò, ed io vuotai il mio. Disse: «Andiamo, Bob», e si voltò. Presi il portafogli e lo tolsi di tasca, ma Willie mi fece cenno di no, e McNulty non aveva nemmeno fatto il gesto di pagare. Evidentemente il capo della polizia e chi era con lui godevano della prerogativa di bere gratuitamente, almeno al Filone Buono.

Seguii McNulty in macchina. Mentre usciva dal parcheggio, disse: «A proposito della macchina di Amy. Mi sono fermato perchè l’ho vista, ma non ho pensato che per questo dovesse esserci anche lei. Una settimana fa le ho letto un paragrafo del codice: divieto di guidare quando si è bevuto troppo. Da allora la sua macchina è più spesso al Filone che non al motel. Termina sempre la sua sera qui. E, per arrivare a casa, ha quattro isolati soltanto. Non so se di norma va a piedi o si fa dare un passaggio. E non me ne importa che cosa faccia, purché non guidi.»

Smise di parlare, e, dato che io continuavo a tenere la bocca chiusa, mi domandò: «La conoscete bene?»

«Quel tanto che basta per rivolgerle la parola,» risposi. «E le ho offerto qualche bicchierino un paio di volte, quando non era ancora eccessivamente brilla.»

«È una donna piuttosto graziosa, alcoolizzata o meno. Vi siete preso qualche passaggio?»

Replicai, con tono deciso: «Non mi prendo passaggi, io.» Il che era vero, in un certo senso. Una volta era mancato poco che me lo prendessi, ma di questo tratteremo poi.

Eravamo intanto arrivati al La Fonda Motel, ed egli svoltò nel viale. Le braccia incrociate sul petto monumentale, Birdie Edwards era ferma davanti alla costruzione che le serviva da ufficio e da casa.

Il La Fonda è un motel di media grandezza. Non ha piscina o palme, ma nemmeno scarafaggi o cimici. Non è nuovo, ma Birdie tiene tutto in ordine, e non fa economia di vernice fresca quando ce n’è bisogno.

Ci sono undici costruzioni, il che significa che dieci sono da affittare. Due sono per famiglia, con due locali che possono ospitare dalle quattro alle cinque persone; le altre sono a stanza unica e possono essere affittate in doppio o in singolo. Durante la «stagione», quando i turisti accorrono a frotte nell’Arizona o attraversano l’Arizona alla volta della California, Birdie, di sera, espone quasi sempre il cartello «esaurito». E, dato che fa pagare sette o otto dollari per le costruzioni più piccole e dodici per quelle familiari, se la cava discretamente bene, un cento circa al giorno. Naturalmente, questo dura solo quattro mesi all’anno, più o meno da novembre a febbraio. In aprile la media si abbassa; Birdie fa pagare un cinque per le costruzioni da otto dollari, ed è raro vedere il cartello «esaurito», anche a notte tarda. E i mesi del caldo estivo sono i peggiori, naturalmente; chi abbia la testa sulle spalle si guarda bene dal passare per l’Arizona del Sud, a meno che non ci sia costretto. Ma per quasi tutti i motel i ricchi mesi invernali ripagano per i poveri mesi estivi.

Si era verso la metà di maggio. L’afflusso invernale era finito, ma ci sarebbe voluto ancora un mese circa prima che il caldo facesse passare la voglia di una gita in macchina. In quel momento c’erano tre auto nel parcheggio, il che significava che almeno quattro villette, compresa quella di Amy, erano affittate per la notte. E senza dubbio, prima di sera, ne avrebbe affittate altre.

McNulty fermò la macchina proprio davanti a Birdie.

«Non si può dire che non ve la siete presa comoda, Mac,» ella gli disse.

«Via, Birdie, ho dovuto aspettare che arrivasse Charlie Sanger, come vi avevo detto. E ci siamo fermati al Filone, per essere ben sicuri che lei non fosse là.»

«Avevo già telefonato io, prima di cercare di mettermi in contatto con voi. E avevo chiamato anche da Cass e da Ralph.»

Con un sospiro, McNulty mise piede a terra. «E va bene, Birdie. In ogni modo, non è successo niente, con ogni probabilità. Si è ubriacata in camera sua, ecco tutto. Ma, se lo volete, sono pronto ad abbattere la porta.»

«Non si è certo ubriacata là dentro. O, altrimenti, è la prima volta che le capita di farlo prima di sera.»

Ci stava già guidando attraverso lo spiazzo centrale, verso la terza costruzione. McNulty chiese: «Quando l’avete vista l’ultima volta?»

«Ieri, verso mezzogiorno. Quando di solito si alza.»

«Allora non l’avete sentita rientrare ieri sera? E sapete se era sola?»

Eravamo ormai davanti alla porta. Lì accanto c’era una finestra, ma le tendine erano abbassate e non si poteva vedere dentro.

Birdie disse: «No, non l’ho sentita rientrare ieri sera. E, naturalmente, non so se è tornata da sola o con un gregge di elefanti rosa. E adesso, Mac McNulty, smettetela di temporeggiare e sfondate quella porta. Se abbassate la maniglia e spingete forte con una spalla, riuscirete probabilmente a far saltare la serratura, che è piuttosto debole, senza rovinare il battente.»

«Va bene, Birdie, ma busserò prima, anche se voi avete già bussato. Forse si era addormentata allora, e può darsi che adesso sia sveglia.»

Bussò forte e chiamò: «Amy, ci siete?»

Aspettò un mezzo minuto, poi abbassò la maniglia, seguendo il suggerimento di Birdie, ed appoggiò una spalla al battente. La prima volta non ci riuscì, ma il secondo tentativo fu coronato da successo. La serratura cedette e la porta si spalancò; mancò poco che egli cadesse nella stanza.

Lo seguii, prima che potesse ordinarmi di girare alla larga. E Birdie mi stava alle calcagna.

Era una bella stanza, per quanto può essere bella la stanza di un motel, ma non ci badammo in quel momento.

Amy Waggoner c’era, certo. Era rovesciata di schiena sul letto matrimoniale, con un lenzuolo, la sola cosa che la coprisse, sollevato fino alle spalle nude.

Si sarebbe detto che dormiva se non ci fossero stati due particolari. Anche se il suo viso non appariva affatto alterato, non aveva l’aria di dormire: aveva l’aria di essere morta.

E sul lenzuolo c’era una macchia di pochi centimetri di diametro all’altezza del cuore, con il centro appena a destra della forma chiaramente delineata del seno sinistro. La macchia era di un rosso scuro, il colore del sangue essiccato.

Загрузка...