13

Mi affrettai ad alzarmi.

Vi ho già descritto la signora Hetherton? Credo di non averlo ancora fatto. Ma non ci avete perduto niente. È piccola, e perdonatemi il luogo comune se dico che è secca come un chiodo ed ha la faccia di chi ha bevuto aceto. E una voce che ricorda il rumore di un cardine arrugginito. Contrariamente a Hetherton, veste malissimo. Può darsi che sia più vecchia del marito e può darsi che no, ma certo ha l’aria di avere almeno cinque anni più di lui. E andare d’accordo con lei è ancora più difficile che non andare d’accordo con lui, il che vuol dire molto. Fortunatamente, capita in ufficio non più di una volta al mese, e si ferma al massimo qualche minuto. Ma anche così è già troppo.

«Giovanotto,» mi domandò, «stavate per caso facendo una telefonata personale nel tempo che dovreste dedicare a mio marito?»

Risposi, conciliante: «Era una chiamata personale, signora Hetherton, ma oggi non devo dedicare tempo a vostro marito. È la mia giornata di libertà. Mi ha pregato di fermarmi per un poco, per fargli un piacere. Stavo aspettando voi.»

«State aspettando me? E dov’è il signor Hetherton?»

«Ha dovuto uscire per affari. Ha detto che dovevate venire qui a ritirare un poco di denaro, e mi ha chiesto di darvi quello della piccola cassa. Di quanto avete bisogno?»

«Avrebbe anche potuto aspettarmi. Humpf! Va bene, comunque: venti dollari mi saranno sufficienti.»

Presi la scatola della piccola cassa dalla cassaforte e le diedi venti dollari. Né mi ringraziò né mi salutò. Uscì senza una parola, mentre rimettevo a posto la scatola.

Stavo per girare la manopola della combinazione quando ricordai di aver dimenticato il biglietto. Tornai alla scrivania, scrissi su un foglio: «Dati alla signora Hetherton venti dollari. R. S.», poi misi il foglio nella scatola. E allora, con l’anta della cassaforte aperta e con la certezza che Hetherton, uscito da dieci minuti soltanto, non sarebbe rientrato prima di altri cinque almeno, provai improvvisamente la tentazione di curiosare dentro. Se era una cosa che faceva Birdie, perchè non avrei dovuto farla io? E la mia curiosità era più giustificata della sua.

Volevo sapere quanto guadagnava Hetherton; era una cosa che continuavo a chiedermi da più di un anno.

Non c’era gran che là dentro, oltre la scatola della piccola cassa ed i mastri, nonché i due libri della prima nota, uno per il giornale e l’altro per la tipografia, che Alicia Howell teneva aggiornati. Era tutta roba che non mi interessava. Ma su uno scaffale separato c’era un libro più piccolo; sapevo di che cosa si trattava, ma non ero mai riuscito a sfogliarlo. Hetherton lasciava che la signorina Howell sbrigasse il normale lavoro di contabilità, ma badava personalmente al bilancio mensile che trascriveva su quel libro. Non mi sarebbe servito a niente di sfogliarlo e di vedere quanto guadagnava Hetherton, ma ero curioso, e, quando avessi saputo, avrei saputo anche se odiarlo più o meno per il. miserabile stipendio che mi pagava.

Non avrei rischiato nulla a dare un’occhiata. L’anta della cassaforte era fra me e l’ingresso, e, se avessi letto a quel riparo, senza perdere d’occhio la porta, avrei potuto rimettere tutto a posto in fretta, ed egli avrebbe immaginato che stavo chiudendo via la scatola della piccola cassa.

Presi il libro e l’aprii. Il mese precedente, aprile, dava un utile superiore ai mille e trecento dollari. Lordo o netto? Diedi una scorsa alle varie voci e vidi che comprendevano tutto, persino la svalutazione dell’edificio; i mille e trecento dollari rappresentavano così un utile netto.

Dopo una rapida occhiata alla porta, sfogliai in fretta le pagine che riguardavano l’anno precedente. Le cifre variavano, naturalmente. Dicembre era il mese più ricco, con un utile di più di duemila e cinquecento dollari, perchè c’erano le pubblicità natalizie e la stagione turistica era in pieno svolgimento. Ma, anche per i mesi peggiori, le cifre erano sempre di quattro numeri. A un calcolo approssimativo, Hetherton doveva guadagnare, netti, circa ventimila dollari l’anno.

Più o meno il doppio di quello che avevo immaginato. Conoscevo la sua casa, dall’esterno, e la sua macchina; certo non avrei mai supposto, dal suo tenore di vita, che superasse i diecimila dollari all’anno, anzi sarei stato pronto a giurare che il suo reddito era inferiore. A meno che non avesse qualche vizio segreto molto costoso, o che non sovvenzionasse molto generosamente in segreto istituzioni di carità — ma non riuscivo a vedere Hetherton né sotto un aspetto né sotto l’altro — viveva con meno della metà di quello che guadagnava e metteva da parte, come minimo, diecimila dollari all’anno. E, sotto questo punto di vista, lo stipendio da fame che pagava a me e agli altri appariva meno che mai giustificato.

Mi bastava guardare il bilancio dell’ultimo anno, cioè da quando lavoravo per lui; chiusi il libro e lo rimisi sul ripiano della cassaforte. E, mentre facevo così, vidi che sul ripiano c’era una semplice busta bianca, che prima il libro mi aveva nascosto.

Non so che cosa mi fece pensare che in quella busta potesse esserci qualcosa di interessante, ma fu tale la sensazione che provai. Doveva essere importante, se Hetherton la teneva in cassaforte, e sotto il libro dei profitti e perdite che lui solo poteva maneggiare.

Diedi un’altra occhiata alla porta e decisi di correre il rischio. La busta era rovesciata, e così avevo notato che non era chiusa. La presi e l’aprii. Dentro, c’era un foglio ripiegato tre volte. Lo presi, e sbarrai gli occhi, sbalordito, perchè quello che vedevo non aveva per me significato alcuno.

Era un avviso della polizia che una volta doveva essere stato esposto in un ufficio postale o simili, perchè ai quattro angoli c’erano i fori delle puntine da disegno.

Recava la fotografia di un giovane che mi riusciva assolutamente sconosciuto. O meglio, le foto erano due: una di faccia e una di profilo. Dovevano essere state scattate in prigione perchè, in quella di faccia, lo sconosciuto portava attaccato al collo un numero. Era un bel giovane, malgrado l’espressione chiusa del viso, ma credo che chiunque si trovi chiuso in prigione abbia una espressione piuttosto chiusa.

Sotto, c’erano la serie delle impronte digitali e la didascalia: «Ricercato per rapina a mano armata».

Fra le fotografie e le impronte c’erano nome e descrizione: James Norcutt, un metro e ottantasette, settantotto chili, capelli neri, occhi azzurri… Non ricordo il resto della descrizione, perchè non cercai nemmeno di fissarmela nella memoria.

Sotto la descrizione, si invitava chiunque fosse in grado di dare informazioni su James Norcutt a rivolgersi al capo della polizia di Hoboken, New Jersey. E c’era una data, che risaliva a quasi venticinque anni prima. E la carta, come avevo già notato, cominciava a ingiallire, segno evidente di una certa quale anzianità.

Rimisi il foglio nella busta, la busta al suo posto e vi appoggiai sopra il libro dei profitti e perdite. Chiusi la cassaforte e girai la manopola.

Ma rimasi ancora in piedi per un buon minuto, meditabondo. Non riuscivo assolutamente a capire che cosa facesse nella cassaforte di Hetherton quel vecchio avviso della polizia.

E mi chiedevo, soprattutto, se esso poteva avere qualche legame con Amy Waggoner e con l’assassinio di Amy Waggoner. Così come stavano le cose, non riuscivo a vedere legame alcuno, si trattava per me di due misteri, l’uno e l’altro incomprensibili.

E poi mi chiesi… se non c’era per caso qualche legame fra Amy Waggoner e Sidney M. Hetherton.

Era possibile, sia pure molto lontanamente, che Amy Waggoner fosse stata l’amante di Hetherton, e che fosse stato lui ad arrotondare i cinquanta dollari settimanali degli alimenti con una cifra eguale, purché ella venisse a stabilirsi lì? Era logico che, in questo caso, si fossero comportati come si erano comportati, avessero finto cioè, in pubblico, di non conoscersi nemmeno. Ed Hetherton si allontanava dalla città, una volta ogni tanto, in genere per pochi giorni ma in qualche occasione anche per una settimana. La meta di qualcuno di questi viaggi poteva benissimo essere stata Kansas City; poteva aver benissimo conosciuto Amy. E forse l’aveva convinta a trasferirsi lì, dove sarebbe stata più vicina, dove avrebbero avuto occasione di vedersi più spesso… A giudicare da quello che avevo visto nel libro dei conti nella cassaforte, e non sapevo se aveva altri redditi oltre il giornale e la stamperia, egli poteva certo permettersi di spendere cinquanta dollari la settimana e anche di più…

Stavo tornando alla mia scrivania quando la porta si aprì ed entrò qualcuno. Ma non era Hetherton che tornava più presto del previsto; era la mia collega d’ufficio, Alicia Howell. O meglio, la signorina Howell, perchè i nostri rapporti non erano tali da autorizzarci a chiamarci per nome. Non che fosse realmente ostile, con me o con qualsiasi altro, ma non era il tipo di donna che si possa chiamare per nome, ecco. Per un poco mi aveva incuriosito, ma poi avevo smesso di interessarmi a lei, per pura e semplice mancanza di alimento per le riflessioni. Non parlava mai di sé, e di lei non sapevo niente di più di quanto avevo saputo il giorno della mia assunzione, quando Hetherton ci aveva presentato.

Disse: «Buon giorno, signor Spitzer», e andò alla sua scrivania. Non mi chiese che cosa facevo in ufficio nel mio giorno di riposo e sapevo che non me lo avrebbe chiesto; non chiedeva mai niente, a meno che non avesse avuto bisogno di sapere qualcosa per motivi di lavoro. Di me e dei miei precedenti conosceva, più o meno, quello che io conoscevo di lei e dei suoi.

Dissi: «Salve. Siete stata fuori per una commissione?» Io sono molto meno inibito per ciò che riguarda le domande.

«Avevo mal di testa, signor Spitzer. Ho dovuto uscire poco prima di mezzogiorno.»

La guardai mentre infilavo il foglio nella macchina. «Avreste potuto riposare per tutto il resto della giornata; sono quasi le quattro ormai.» Aveva davvero l’aria di non stare troppo bene: il suo viso equino sembrava più affilato del solito, più pallido. E aveva gli occhi cerchiati di rosso.

«Non sarebbe stato onesto, signor Spitzer. Avevo promesso al signor Hetherton di tornare se il mal di testa mi fosse passato, e mi è passato.»

Era affar suo, non mio, e credetti opportuno lasciar perdere; mi girai verso la macchina da scrivere e mi concentrai sull’articolo.

Peccato che non potessi sfruttare quella che forse era la vera traccia: gli stupefacenti rinvenuti nella macchina di Amy. Cominciai invece con i risultati dell’autopsia, che, in ordine di importanza, venivano subito dopo. E lisciai McNulty dicendo come aveva scoperto — il merito era suo, anche se ero stato io a far lavorare le gambe — che Amy, almeno da quando era venuta a Mayville, spendeva apparentemente circa il doppio del suo reddito noto.

Riferii poi quello che avevamo saputo da Waggoner sul passato di Amy, aggiungendo il particolare che sarebbe stato lui a pagare i funerali. Poi, ripensandoci, cancellai questa frase; il fatto che ci fossero i funerali aveva un interesse puramente locale, e io stavo scrivendo per Bisbee e per la trasmissione in telescrivente.

Poi, per un ultimo controllo prima di telefonare a Tom, chiamai McNulty per accertarmi che non fossero emersi fatti nuovi da quando ci eravamo visti l’ultima volta.

Non c’era niente; aveva chiamato Kansas City, ed ora i poliziotti si stavano dando da fare per sapere quanto spendeva alla settimana Amy quando viveva là. «Oh, e possiamo cancellare dall’elenco degli indiziati quel tale che veniva proprio da Kansas City; è un tipo a posto. Il capo della polizia lo conosce personalmente, e così non ha avuto nemmeno bisogno di interrogarlo per richiamarmi poi. Lo conosce abbastanza per sapere che cosa faceva da queste parti: era in viaggio alla volta della California per una partita di pesca. È il legale di una grossa azienda di quella città. Ehi, Bob, siete sempre del parere di fare un salto da Birdie dopo aver trasmesso il vostro pezzo?»

«Non ho ancora fatto progetti, Mac. Ma potrei anche andarci. Perchè?»

«Potreste fare qualcosa per me. Un po’ troppo complicato da spiegarsi per telefono. Attraversate la strada prima di allontanarvi, e vi dirò tutto.»

«D’accordo. Arrivederci allora.»

Interruppi la comunicazione, ma tornai subito a sollevare il ricevitore. Non c’era niente da aggiungere in quello che McNulty mi aveva raccontato; tanto valeva che telefonassi e la facessi finita. Non fu la voce di Doris a rispondermi, naturalmente; non aveva ancora preso servizio. Chiesi di Tom Acres, e meno di un minuto dopo parlavo con lui. Gli lessi quello che avevo appena terminato di scrivere.

Disse: «Bene, Bob. Non si può ottenere vino da una botte vuota, e per l’articolo dovrò accontentarmi di questo. Ma tenete gli occhi aperti, e se prima delle dieci salta fuori qualcosa che vale la pena di stampare, telefonatemi.»

«D’accordo, Tom.»

«Arrivederci, amico. E buona fortuna.»

Interrotta la comunicazione, andai a mettere il dattiloscritto sulla scrivania di Hetherton. Poi uscii e traversai la strada.

McNulty mi salutò con un cenno quando mi vide. «State per andare da Birdie?»

«Si.»

«Potete fare due cose. Prima, cercare una cannula. Sapete che cosa è una cannula, vero?»

«Mac, anche se non sono sposato, non sono più un ragazzino. L’aggeggio che avete nominato ha due versioni: una con un bollitore d’acqua calda appeso al muro e fornito di un tubo di gomma, l’altra…»

«Va bene, va bene. Guardate se Amy aveva uno di questi aggeggi, di qualsiasi tipo.»

«D’accordo, ma perchè?»

«Il coroner ha avuto un’idea e mi ha telefonato. Mi ha detto che Amy non aveva avuto… sì… rapporti sessuali nelle due ore che hanno preceduto la sua morte. Ma poi ha pensato che se li aveva avuti ed aveva poi fatto un lavaggio accurato non sarebbe rimasta traccia alcuna. Ho guardato là dentro, ma non ricordo di aver visto se c’era o meno una cannula.

«Questo ci servirà a completare il quadro, ci aiuterà a capire se una cosa del genere può o meno essere successa, Bob. Voglio dire, potrebbe essere successa subito dopo che quel tale è entrato, e poi potrebbero aver cominciato a bere fino a quando lei è crollata.»

«Va bene,» dissi. «Controllerò. Ma c’era qualcosa d’altro, vero?»

«Sì. Ho parlato con Murcheson e gli ho trasmesso l’ordine per il funerale. E lui mi ha ricordato una cosa quando mi ha chiesto con che cosa volevamo che fosse seppellita, e così qualcuno dovrebbe ritirare un vestito. Già che andate da Birdie, questo qualcuno potreste essere voi. Era nuda come un verme, avvolta in un lenzuolo quando l’hanno portata a Douglas, e credo che non si seppellisca la gente in quello stato, sia pure in una cassa chiusa.»

«Sarà una cassa chiusa, Mac?»

«No, a meno che l’autopsia non abbia praticato tagli sopra il collo, cosa che considero improbabile. In ogni modo, prendete un abito in ordine e tutto il resto che può essere necessario. Fatevi aiutare da Birdie. Mettete tutto in valigia; ce n’è una proprio della misura adatta per un completo.»

«D’accordo. E la valigia va portata a voi o a Murcheson?»

«Non importa. A me, credo; Murcheson vi porterebbe un poco fuori strada, e comunque devo vederlo domani per gli ultimi accordi. Statemi bene a sentire, intendo restare qui fino alle sei, a meno che non succeda qualcosa. Ma prima di andare a casa mi fermerò a bere qualcosa da Cass. Se vi fate vedere là, vi pagherò un bicchiere e voi potrete darmi la valigia.»

«Benissimo. Arrivederci là allora… a meno che non vi veda qui prima.»

Sul marciapiede, mi guardai attorno e mi irrigidii. Herbie Pembrook era fermo davanti agli uffici del Sun e stava guardando dentro dalla finestra. Cercava me, senza dubbio, per fulminarmi di occhiate attraverso i vetri, come gli era già capitato di fare. Ma non c’ero; senza accorgersi della mia presenza, risalì in bicicletta e si allontanò, pedalando, in direzione nord.

Che cosa diavolo poteva avere contro di me Herbie Pembrook? tornai a domandarmi.

Improvvisamente, mi venne un’idea, e sentii il bisogno di rifletterci sopra; prima di andare da Birdie, perchè non c’era fretta che mi spingessi fin là.

Invece di andare a prelevare la macchina, traversai la strada e puntai sul locale di Cass. Il Bar Sinistro. Cass mi accolse cordialmente e mi riempì il mio solito bicchiere di whisky e acqua, poi si allontanò. Riusciva sempre a capire, chissà come, quando qualcuno aveva voglia non di chiacchierare ma di starsene in pace, e in questi casi vi lasciava tranquillo.

Ed io volevo riflettere su due cose. Primo, anche se non riuscivo assolutamente a vedere come potesse ricollegarsi all’assassinio di Amy, il mistero di quell’avviso della polizia chiuso in una busta nella cassaforte di Hetherton. Un vecchio, vecchissimo avviso in una busta nuovissima.

Chi diavolo era il James Norcutt che veniva in esso descritto, e quale possibile rapporto poteva esistere fra quest’uomo e l’ultrarispettabile signor Hetherton?

Rievocai la foto di James Norcutt e cercai di aggiungergli venticinque anni per immaginare quale aspetto poteva avere ora, per vedere se si trattava magari di qualcuno che avevo conosciuto a Mayville. Ma quel viso era stato quello di un giovane, quasi di un ragazzo, e venticinque anni possono comportare una differenza enorme, specie fra, diciamo, i venti e i quarantacinque. Cercai mentalmente di sottrarre venticinque anni alle facce delle persone che conoscevo a Mayville per immaginare quale aspetto avevano avuto da giovani, ma anche in questo modo non arrivai a risultato alcuno. Mi sforzai persino di immaginare Hetherton giovane, e mi accorsi di non riuscire a vederlo più giovane di quello che era, sia pure di pochi anni. Ma questo non importava perchè, in ogni caso, non sarebbe potuto essere Norcutt; l’altezza di Norcutt era stata rilevata in un metro e ottantasette. E un uomo non può diventare più piccolo di quasi trenta centimetri.

Rinunciai.

E affrontai il secondo problema, l’idea che mi era balenata pochi minuti prima, quando avevo visto Herbie Pembrook che guardava dentro dalle finestre del Sun.

Si trattava di questo: avevo cancellato Herbie dal mio elenco degli indiziati quando avevo saputo che, in base al rapporto del coroner, Amy aveva bevuto il suo ultimo bicchiere pochi minuti soltanto prima di crollare.

Ma era proprio sicuro che colui con il quale aveva bevuto fosse la persona che poi l’aveva uccisa?

Nient’affatto. Supponiamo che lo spasimante, l’uomo con il quale Amy aveva un appuntamento, avesse portato la bottiglia ed avesse bevuto con lei, ma se ne fosse andato quando ella sì era addormentata.

Ed Herbie li spiava. Appena l’uomo era scomparso, aveva provato la maniglia e si era accorto che la porta era aperta. E la cosa sarebbe stata possibilissima se colui che se n’era andato non conosceva il funzionamento di quella particolare serratura. Ed Herbie poteva benissimo averla uccisa, prima o dopo averla guardata a lungo, soddisfacendo il suo vizio segreto, per poi frugare dappertutto, rubare e andarsene. Tutto il resto che avevo immaginato a proposito di Herbie si adattava. Alla perfezione.

Ma, per accusare Herbie, avevo solo e unicamente una teoria. Avrei potuto trovare qualcosa nella sua baracca?

Ed Herbie, solo pochi minuti prima, si era diretto in bicicletta verso la parte opposta della città. Avevo il coraggio di correre il rischio che se ne restasse assente il tempo sufficiente a lasciarmi parlare con la donna con cui viveva… come si chiamava?… ah, già, la signora Wayne… e, se ottenevo l’autorizzazione, a dare un’occhiata alla baracca di Herbie, ammesso che non fosse chiusa? E se avessi finito per trovare un coltello con una lama da cinque pollici? O documenti o qualcosa che, anche a un esame superficiale, apparissero provenienti dalla stanza di Amy? O…

Conclusi che quel coraggio l’avevo. Vuotai il bicchiere d’un fiato, salutai con un cenno Cass e mi diressi in fretta verso la mia macchina.

Mentre mi avvicinavo al motel, vidi Birdie che stava curando il prato maneggiando la falciatrice meccanica con la massima disinvoltura, come se fosse stata uno stecco, e questo mi diede un’altra idea. Frenai bruscamente e svoltai nello spiazzo di fronte all’ufficio. Mentre mi avvicinavo, Birdie smise di lavorare e alzò la testa.

«Birdie,» dissi, «vi spiegherò tutto più tardi, ma vorrei che mi faceste un piacere. Restate qui fuori, ma smettetela di far funzionare quella falciatrice, e, se passa Herbie Pembrook in bicicletta, fermatelo e parlategli in modo da trattenerlo il più a lungo possibile. Ditegli che siete stanca e che vorreste far terminare a lui il lavoro… qualsiasi cosa. Vi rimborserò più tardi quello che gli pagherete, e così il peggio che vi può capitare è di trovarvi il prato sistemato gratuitamente. Siamo d’accordo?»

«Certo, Bob. Ma perchè, diavolo…»

«Devo parlare con la signora Wayne, e non voglio che Herbie ci sia. Adesso è in città, e probabilmente non tornerà subito, ma…»

«La signora Wayne non c’è. È andata a far visita alla sorella a Phoenix.»

«Tanto meglio. Allora potrò dare un’occhiata alla baracca di Herbie, se non è chiusa o simili. Va bene?»

«S-sì, va bene.»

«Vi spiegherò tutto più tardi.»

Quando Doris, la sera precedente, mi aveva indicato la casa della signora Wayne, faceva scuro; non avevo potuto vedere la costruzione, e tanto meno la baracca. Ed ora mi accorsi che la baracca non era dietro la casa ma di fianco ad essa, perfettamente visibile dalla strada. E, mentre varcavo il cancello e mi dirigevo verso di essa, notai anche che non dovevo preoccuparmi di una eventuale serratura. La porta era socchiusa.

Entrai in fretta e mi chiusi il battente alle spalle, in modo che non fosse possibile vedermi dalla strada. C’era una finestra su una parete, e in questo modo la luce era più che sufficiente con la porta chiusa.

Il locale, di due metri per due e mezzo circa, aveva un pavimento di legno, senza tappeti. Non poteva contenere — e non conteneva infatti — molti mobili. C’era una branda militare con un vecchio materasso. Una sedia a schienale dritto. Un vecchio cassettone e un vecchio tavolo da cucina coperto di roba. Niente elettricità perchè sul tavolo, fra l’altro, c’erano due lanterne a petrolio e una stufetta pure a petrolio. Piatti e fondine scompagnati e sbrecciati, chicchere e utensili da cucina. Herbie si preparava da solo i pasti, o almeno era attrezzato per farlo.

Niente acqua corrente, ma un mastello vicino al cassettone, e, sul cassettone, una brocca e un catino: evidentemente Herbie, per bere, mangiare e cucinare, andava ad attingere acqua al rubinetto esterno della casa della signora Wayne.

Alle pareti, un vecchio specchio, ma niente quadri. Mi ero aspettato qualche pin-up? Forse, ma capii che non poteva tenerle se solo la signora Wayne capitava là dentro qualche volta.

Sul cassettone, insieme a spazzola, pettine e un rasoio di sicurezza, c’era un mucchio di giornali a fumetti (sapeva leggere, era evidente), ed io sfogliai i primi. Volevo vedere di che tipo erano e speravo di poter trovare fra di essi qualcosa che confermasse i miei sospetti. Artists and Models o roba del genere, con fotografie di nudi. Ma, per quanto cercassi accuratamente, pur senza metterli in disordine, erano tutti fumetti, per una buona metà western, per il resto polizieschi. Sì, c’erano diversi Dick Tracy, se questo poteva significare qualcosa. Ma erano tutti fumetti innocui, che non avevano nulla a che vedere con il sesso, il sadismo ed altri argomenti dello stesso tipo.

Senza toccare nulla, diedi una rapida occhiata al contenuto dei tre cassetti. Nel primo cassetto, biancheria pulita ma non stirata, biancheria sporca nel cassetto centrale. Nell’ultimo, niente. Non erano foderati, e non ebbi di conseguenza bisogno di guardare sotto la carta per vedere se c’era nascosto qualcosa.

Mi chiesi se aveva una giacca e mi guardai attorno. Sì, ad alcuni chiodi fissati alla parte interna della porta c’erano appesi degli indumenti. Un impermeabile, una giacca pesante, un paio di calzoni.

Aprii il cassetto del tavolo di cucina. Conteneva quello che c’è di solito nei cassetti dei tavoli da cucina: coltelli, forchette, cucchiai, un apriscatole. Cercai un coltello che avrebbe potuto produrre la ferita riscontrata su Amy, ma non lo trovai: tutto si limitava a un coltello da macellaio, troppo grande, a un coltello per patate, troppo corto, e a due coltelli normali spuntati.

Mi guardai attorno per vedere se c’era qualcosa d’altro da ispezionare, ma non c’era niente. Salvo le tasche degli indumenti appesi dietro la porta. Erano vuote.

Se Herbie aveva nascosto qualcosa lì dentro, l’aveva nascosta molto bene, sotto un asse del pavimento o in un posto che non sarei mai riuscito a trovare nel poco tempo che potevo osare di rischiare.

Uscii, badando a lasciare la porta socchiusa, come l’avevo trovata. E, in fretta, mi incamminai verso la strada e il motel.

Per prima cosa, vidi la bicicletta di Herbie appoggiata al suo treppiede sul bordo della strada, e ringraziai il cielo di aver pensato di chiedere a Birdie di intrattenerlo, perchè, in caso contrario, mi avrebbe sorpreso nella sua stanza o mentre uscivo.

Quando fui più vicino, lo scorsi intento a parlare con Birdie davanti alla porta dell’ufficio. Tutti e due alzarono la testa e mi guardarono mentre mi avvicinavo.

Herbie mi fulminò con una occhiata minacciosa. Forse immaginava da dove venivo. Da dove altro sarei potuto venire, a piedi e da quella direzione, con la mia macchina abbandonata nello spiazzo del motel? La prima casa dopo quella della signora Wayne era un buon paio di chilometri più oltre, e certo se fossi dovuto andare là, mi sarei servito della macchina.

E Birdie, maledetta, si voltò ed entrò nell’ufficio, lasciandomi solo ad affrontare la tempesta. Probabilmente immaginava che ci fossero guai in vista, e voleva girarne alla larga.

Ma non avevo scelta: non potevo girarmi e scappare, mi sarei tradito in questo modo, e poi lui, con ogni probabilità, mi avrebbe battuto, se non in velocità, in resistenza. Così tirai dritto. Dissi: «Salve, Herbie», con un tono che mi sforzai di far apparire disinvolto e allegro.

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