Si mise a sedere alla scrivania e lesse le bozze del mio articolo. Le siglò con una matita copiativa e me le diede. «Waldo,» disse.
Mentre le portavo in tipografia, diedi una occhiata alle correzioni. Poca roba. I due primi periodi dovevano essere composti di nuovo su due colonne, in corpo più grande, e poi c’erano alcune parole e alcune frasi cambiate qua e là. Roba di trascurabile importanza, ma egli aveva l’abitudine di cambiare sempre qualcosa per non lasciare che l’articolo passasse come lo avevo scritto io.
Quando tornai, stava battendo a macchina. Lessi solo in fondo ad una riga la parola «Waggoner», ma, per poterne sapere di più, avrei dovuto chinarmi sopra la sua spalla.
«Spitzer,» disse, «Mac e lo sceriffo sono ora qui di fronte, e Mac vuole sempre parlarvi. Tanto vale sbrigarsela. Ma non trattenetevi più a lungo del necessario. Ah… avete mangiato qualcosa?»
«Mio Dio, no!» esclamai. «Me ne sono proprio dimenticato.» Le sere di chiusura di solito faccio un salto fuori alle cinque e mezzo, ed Hetherton esce quando rientro; in questo modo il lavoro non ha interruzioni.
Disse: «Prendetevi un sandwich, mentre siete fuori.»
«Certo.» Mi voltai per uscire.
«Un momento, Spitzer. Lasciatevi interrogare da McNulty, ma cercate di far cantare anche lui; può darsi che sia saltato fuori qualcosa di nuovo.»
«Va bene, ma in questo caso sarà meglio che mi diciate che cosa state aggiungendo al mio articolo. Se ignoro quello che siete riuscito a raccogliere, non posso sapere che cosa è nuovo e che cosa no.»
Corrugò la fronte, ma capì che non poteva darmi torto. Disse: «Quando è arrivato, lo sceriffo si è messo subito a perquisire la stanza assieme a McNulty. Ma sembra che l’assassino abbia già fatto qualcosa del genere ieri sera. Il portafogli di Amy — Birdie sostiene che ne portava sempre uno — mancava dalla borsetta. Anche i cassetti e gli armadi erano stati rovistati. Essi cercavano soprattutto lettere o documenti che dessero l’indirizzo di Kansas City. Non c’era il più piccolo pezzo di carta là dentro… nemmeno carta straccia nel cestino.»
Dissi: «La sua macchina ha una targa del Missouri. Con quella dovrebbero essere in grado di rintracciare il suo indirizzo a Kansas City.»
«Naturalmente. McNulty ha preso nota del numero quando, nel ritorno, siamo passati davanti al Filone. Ma sarà una cosa che richiederà molto tempo; bisogna passare attraverso l’ufficio motorizzazione della capitale di Stato, e non sarà possibile avere una risposta per stasera. Se avesse trovato un indirizzo, probabilmente avrebbe chiamato subito la polizia di Kansas City. Così invece dovrà aspettare fino a domani mattina, e poi chiamerà per prima cosa il registro automobilistico.»
«Questo è tutto?»
«Un’altra cosa. C’era una bottiglia quasi vuota di Seagram’s per terra, vicino al letto, sul lato opposto alla porta, ed è per questo che voi non l’avete notata. Birdie giura che Amy non beveva mai da sola, che lei non ha mai trovato una bottiglia, vuota o piena, nella sua stanza.»
Pensai che, grazie a Dio, quella sera mi ero portato via la mia bottiglia quando me n’ero andato. Avevo pensato che, quando fossi arrivato a casa, avrei ancora avuto voglia di bere qualcosa, mentre Amy, evidentemente, aveva già bevuto fin troppo. In caso contrario, se era vero che Amy non beveva mai da sola, forse la mia bottiglia sarebbe stata ancora là, e con tanto di impronte digitali.
Dissi: «Così, a quanto sembra, il suo ospite ha portato una bottiglia e l’ha fatta bere fino a quando non è crollata. Poi l’ha uccisa e ha frugato dappertutto nella stanza. O viceversa, se era ben sicuro che dormisse. E i bicchieri?»
«Ne sono stati adoperati due. Ma erano tutti e due sul cassettone, e accuratamente ripuliti all’esterno, come la bottiglia, del resto. Evidentemente l’assassino se ne intendeva di impronte digitali.»
«Il che significa che non ne troveranno neppure da altre parti. E il cadavere? Lo sottoporranno ad autopsia?»
«Il cadavere è nella cella mortuaria di Murcheson. Ci sarà l’autopsia, probabilmente domani. Ma non hanno ancora deciso se è meglio far venire qui il coroner o trasportare il cadavere a Douglas. Questo è tutto. Andate, Spitzer. Voglio che siate di ritorno al più presto possibile.»
Fuori, indugiai qualche secondo per decidere se mangiare prima o dopo aver visto McNulty. Fu l’appetito ad avere la meglio. Quando mi accorsi che erano quasi le otto e che non avevo più mangiato da mezzogiorno, avvertii subito una fame tremenda. Raggiunsi a piedi il ristorante più vicino, due isolati più oltre, e ordinai panini e salsiccia.
E intanto ripensavo a quello che, secondo Hetherton, era stato ritrovato nella stanza, oltre ad Amy. E le mie conclusioni non erano certo rosee per me, perchè in questo modo veniva ad essere escluso il mio candidato numero uno per la camera a gas, l’unica persona, ad eccezione di Hetherton, senza la quale mi sarei sentito molto più a mio agio a Mayville, Herbie Pembrook. Forse Herbie era intelligente abbastanza da sapere qualcosa sulle impronte digitali, ma non mi riusciva assolutamente di vedere Amy che lo invitava e che beveva con lui. Herbie non era certo un tipo che potesse far colpo. I suoi abiti erano sempre sudici, e, anche se non mi ero mai avvicinato a lui quanto bastava per accertarmene, avevo il sospetto che fosse egualmente sudicio sotto gli abiti. Aveva denti gialli e irregolari che sporgevano lievemente in avanti. La sua barba sembrava sempre di tre giorni e i suoi capelli di tre mesi. Se Amy aveva avuto qualche relazione a Mayville, l’ultima persona su cui poteva essere caduta la sua scelta era certo Herbie. Sicuramente non erano state le occasioni a mancarle. Non mi riusciva semplicemente di vederla invitare Herbie nella sua stanza ed ubriacarsi con lui in costume adamitico.
Quando uscii dal ristorante, resistetti virilmente alla tentazione di spingermi qualche porta più avanti e di digerire la salsiccia con un bicchierino da Cass. Traversai invece la strada ed entrai nella stazione di polizia.
Seduto alla scrivania, McNulty stava parlando al telefono. «No, accidenti,» strillò, «non posso nemmeno immaginare quando sarò a casa.» Capii così che aveva in corso una discussione con la moglie.
Lo sceriffo della contea di Cochise sedeva accanto alla scrivania. Quando entrai, mi salutò agitando il sigaro e disse: «Salve, Bob», ed io risposi: «Salve, sceriffo.» Lo sceriffo della contea di Cochise, di stile moderno, non assomigliava affatto ai tipici sceriffi dei film western o della televisione, salvo che per un particolare: portava uno Stetson a tesa larghissima, di un bianco meraviglioso, che doveva essergli costato un bel mucchio di soldi. Lo aveva in testa in quel momento, spinto un poco indietro sulla nuca. Per il resto, vestiva come un uomo d’affari e non portava rivoltella.
Charlie Sanger era seduto in un angolo della stanza e, i piedi sul tavolo, era immerso nella lettura di un western.
McNulty riagganciò il ricevitore. «Maledette tutte le donne,» disse, senza rivolgersi a nessuno in particolare, poi a me: «Mettetevi a sedere. Sarà una faccenda abbastanza lunga.»
Non capivo perchè sarebbe dovuta essere una faccenda lunga, ma avvicinai la sedia. «Prima che attacchiate con il terzo grado, Mac, ho un suggerimento da farvi, ed è meglio che ve lo faccia prima che me ne dimentichi. State ancora cercando l’indirizzo di Amy a Kansas City?»
«Già. Strano che non ci fosse qualcosa nella sua stanza. A meno che quel tale non se lo sia portato via.»
«Si è preso anche le chiavi della macchina?»
«No. Quelle le ho qua io. Perchè?»
«Probabilmente c’è la ricevuta del bollo attaccata al volante. E poi, c’è qualcuno che lascia i documenti nello scomparto dei guanti. Avete perquisito la macchina?»
McNulty fece schioccare le dita. «Non ci avevo pensato. Ottima idea! Charlie!»
Charlie doveva aver ascoltato anche se leggeva, perchè già stava attraversando la stanza. «Volete che vada a dare una occhiata, Mac?»
«E subito.» McNulty infilò le mani in tasca, prese un piccolo portachiavi e lo buttò a Charlie. «Andate a piedi, così potrete tornare con la macchina e metterla nello spiazzo qui dietro, in modo che sia a portata di mano. Inutile lasciarla davanti al Filone.»
Poi McNulty si rivolse a me. «Statemi a sentire, comincerò con le stesse domande che vi ho già rivolto, perchè allora lo sceriffo non c’era. Bene. Siete venuto qui da Kansas City circa un anno fa?»
«Esatto. Fra una settimana sarà giusto un anno.»
«Quanto tempo siete vissuto laggiù?»
«Ci sono nato. Ci ho vissuto tutta la mia vita, salvo quattro anni, cinque se contiamo quello che ho passato qui. Ho passato due anni all’università di Stato dell’Ohio e altri due sotto le armi, quasi sempre nel Texas. Sono stato congedato quattro anni fa.»
«E siete tornato a Kansas City e ci siete rimasto fino a quando non vi siete trasferito qui?»
«Già.»
«Ma non conoscevate Amy Waggoner laggiù? Nemmeno superficialmente?»
«No. Non l’avevo mai vista prima che venisse a Mayville. Pochi giorni dopo il suo arrivo, per essere precisi. O almeno, lei mi ha detto che era arrivata da pochi giorni.»
«E dove l’avete conosciuta? L’avete abbordata in un bar?»
«L’ho conosciuta in un bar, non abbordata, perchè siamo stati presentati.»
«Da chi? Avanti, raccontatecelo.»
«Era una domenica pomeriggio… vediamo, lei era qui da un mese, e di conseguenza deve essere stato tre domeniche fa. Andavo a zonzo e sono capitato al Filone. Dietro il banco c’era Willie Perkovich, davanti Amy. C’erano anche altri clienti, ma non molti.
«Quando sono entrato, Willie ed Amy stavano chiacchierando. Mi ha fatto cenno di avvicinarmi e mi ha detto: “Ho il piacere di presentarvi una vostra concittadina, Bob. È…” Poi non riusciva a ricordare il nome, ammesso che lo sapesse, e lei lo ha detto, e io le ho detto il mio. Poi, quando ho ordinato da bere, ho offerto naturalmente un bicchiere anche a lei. Abbiamo parlato, se non mi sbaglio, per una mezz’ora, poi me ne sono andato.»
«Che cosa vi ha detto di se stessa?»
«Non molto. Che era di Kansas City ma che, con ogni probabilità, non ci sarebbe tornata. Che si sarebbe trasferita a ovest, forse in California, ma che Mayville le piaceva e si sarebbe fermata per un poco. Forse per sempre. Mi ha rivolto un mucchio di domande sulla città e io le ho risposto. Clima e roba del genere. Le ho fatto notare che d’estate faceva un caldo terribile, ma mi ha detto che il caldo non le dava fastidio. Non mi ha chiesto però se c’era la possibilità di trovare lavoro, ed ho pensato perciò che doveva vivere di rendita, una piccola rendita di un qualche genere, probabilmente alimenti.»
«Perchè una piccola rendita?»
«Perchè, se fosse stata ricca, non sarebbe venuta a vivere nel piccolo motel di una cittadina… e di una cittadina, per di più, dove non conosceva nessuno. Le ho chiesto se conosceva qualcuno, e mi ha risposto no, salvo i pochi che le erano stati presentati da quando era arrivata. E, secondo lei, tutti si erano dimostrati molto gentili.»
«Avete parlato di Kansas City?»
«Non molto, quella prima volta. Ma quando ci siamo trovati una seconda volta, senza contare i saluti che ci eravamo scambiati per strada, eravamo al bar di Cass, quasi una settimana più tardi. Una settimana esatta, ora che ci penso, perchè era domenica di pomeriggio. E quella volta abbiamo parlato quasi sempre di Kansas City.»
«Vi ha detto proprio che veniva di là? Insomma…»
«Capisco che cosa intendete. Sì, veniva proprio di là… o era vissuta là molto tempo, non ci era passata semplicemente. Per esempio, quando le ho detto che abitavo vicino ad Ashland Square, sapeva dov’era, e ha nominato diversi posti della zona. E, quando abbiamo parlato dei negozi e dei bar, ne ricordava alcuni che io avevo dimenticato. Sì, ha abitato a Kansas City, e di recente direi; i suoi ricordi erano più chiari dei miei, dopo un anno.»
«Non ha accennato a dove abitava?»
«No, ma ho avuto l’impressione che fosse in centro o vicino al centro.»
«Qualcosa che potesse farvi pensare se era sposata o sola quando abitava là?»
«Niente. Non le ho rivolto domande sulla sua vita personale e non so, di conseguenza, se, rivolgendogliele, le avrebbe eluse o avrebbe risposto.»
«Avete parlato con lei altre volte?»
«Ora che ci penso, credo di aver parlato tête-à-tête con lei unicamente in quelle due occasioni. E un paio di altre volte in circostanze simili, ma c’erano anche altri e la conversazione era generale.»
«Era ubriaca in quelle occasioni?»
«Quando le ho parlato da solo, no. Le altre due volte era già sera, e, se non era ancora ubriaca, era sulla strada buona per diventarlo. Mi consta che a tarda sera… Ma in questo caso si tratta soltanto di un sentito dire, e intendo attenermi a quanto so di scienza mia.»
McNulty sospirò. «Non importa, in ogni modo. Abbiamo già parlato con molte persone, e poi l’ho vista anch’io più di una volta. Conosciamo la sua… sì… tecnica del bere. Cominciava sempre di primo pomeriggio e a mezzanotte era regolarmente ubriaca. Ma mai al punto da non poter camminare: teneva piuttosto bene l’alcool, per essere una donna. E adesso parliamo un po’ di ieri sera. Che cosa avete fatto?»
«Mi sono comportato nella più saggia delle maniere. Appena finito di lavorare, ho mangiato e sono tornato a casa. Ho passato la sera in camera mia a leggere e sono andato a letto poco dopo le dieci. Cerco sempre di fare una bella dormita il mercoledì sera, perchè il giovedì, cioè oggi, è la nostra giornata più dura. Un momento, ho mentito. Ho bevuto un bicchierino da Cass dopo aver mangiato e prima di rientrare a casa. Deve essere stato fra le sei e mezzo e le sette.»
«C’era Amy?»
Scossi la testa. «Non ho visto Amy ieri. E credevo sapeste che Amy non era troppo ben vista da Cass la sera. Cass ne aveva fatto una regola come quella che avevate fatto voi di non permetterle di tornare a casa in macchina di notte. Non gli va che la gente si ubriachi nel suo locale.»
«Non credo siate in grado di dimostrare di aver passato la sera e la notte in camera vostra. Vediamo un po’, state in casa della signora Burdock, vero?»
«La risposta alla vostra seconda domanda è sì. Alla prima no… dopo le dieci. La signora Burdock sa che sono rientrato poco dopo le sette, perchè mi sono fermato a chiacchierare con lei. Verso le nove e mezzo ha bussato alla mia porta, mi ha detto di aver preparato del cacao e mi ha chiesto se ne volevo una tazza. Ho risposto di sì. Abbiamo bevuto il cacao e chiacchierato fino alle dieci circa, poi sono salito e sono andato a letto. Credo sia andata a letto anche lei, è la sua solita ora.
«Ma non è in grado di dirvi se io sono uscito ancora dopo quell’ora, perchè la sua stanza al piano terreno è sul retro della casa e lei ha il sonno molto duro. Così dovete convincervi che non ho alibi per l’ora della notte in cui Amy è stata uccisa.»
«Va bene. E adesso, come facevate a sapere che da Birdie è possibile rimanere chiusi fuori quando la chiave è all’interno? Io non lo sapevo, e dubito che altri a Mayville lo sappiano, dal momento che, come avete detto anche voi, è successo soltanto poche volte.»
Ecco allora che cosa mordeva McNulty, una sciocchezza del genere. Sorrisi. «Perchè sono uno dei pochi a cui è capitato. Quando sono arrivato qui, un anno fa, per prendere il posto al Sun, mi sono fermato da Birdie i primi tre giorni, mentre cercavo una stanza in città. Ma, nel mio caso, la faccenda è stata abbastanza semplice, perchè non avevo chiuso la finestra. Se dubitate, parlatene con Birdie; lo ricorderà certo.»
McNulty brontolò. «Non vi conoscevo allora, non sapevo che vi eravate fermato là. Così tutta questa storia non significava niente, ma… ma c’è un’altra cosa che volevo chiedervi da un pezzo. Forse potete illuminarmi in proposito. Primo: quanti anni avete?»
«Ventinove.»
«Più o meno come immaginavo. E quanto vi paga Hetherton?»
Capii a che cosa stava mirando e sospirai. «Trentacinque la settimana.»
«Più o meno come immaginavo anche qui. Più o meno quello che paga di solito. E, prima che arrivaste voi, non era mai riuscito ad accaparrarsi un buon giornalista. Non andate a ripeterglielo, ma, quando si tratta di stipendio, è il bastardo più avaro di tutto quanto lo Stato. Fino ad ora tutti i suoi dipendenti erano stati ragazzini appena usciti dalla scuola o vecchi giornalisti falliti, come sono vecchi falliti i suoi tipografi, del resto, e anche quelli non resistevano molto. Non ho mai conosciuto uno solo della vostra età che sia rimasto più di un paio di mesi: se non se ne andavano per lo stipendio da fame, se ne andavano per il modo in cui li trattava.
«Ma voi siete intelligente, educato, avete accennato a due anni di università, e avete ventinove anni. E vi tenete un posto come quello. È assurdo: potreste guadagnare il doppio in qualunque giornale della zona; accidenti, i commessi di drogheria se la passano meglio al giorno d’oggi. Se non vi nascondete qui, o se Hetherton non sa qualcosa di compromettente che vi riguarda… maledizione, non capisco proprio.»
Tornai a sospirare. Capivo adesso che cosa lo aveva tormentato nei miei riguardi da almeno sei mesi a quella parte: aveva continuato a chiedersi se tenevo questo posto per nascondere qualcosa d’altro o simili. E la verità era semplice: mi ero lasciato giocare come uno stupido. Fino a quel momento, escludendo Hetherton e me, due sole persone conoscevano la storia: Doris e Tom Acres. E Cass ne sapeva qualcosa, anche se ignorava fino a che punto mi ero lasciato giocare.
«Credo che dovrò raccontarvi tutto, Mac,» dissi. «Sì, Hetherton ha qualcosa che mi riguarda: una promessa che non avrei mai dovuto fargli.»