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Devo ammettere che, per le prime settimane, risultò esatta la previsione di Hetherton, quando mi aveva detto che per un poco gli sarei stato di scarsissimo aiuto. Facevo del mio meglio, ma un conto è imparare una cosa leggendola su un libro, mentre metterla in pratica è una faccenda assolutamente diversa. Dovevo riscrivere quasi tutti gli articoli, e quando riuscivo a mettere assieme qualcosa di buono, o di quasi buono, impiegavo un tempo incredibilmente lungo. Naturalmente, non c’è fretta in un settimanale, se non si è al giorno di chiusura, ma c’è pur sempre una certa quantità di lavoro da smaltire, e non si può buttare via un’ora e mezzo per pochi centimetri di colonna su una riunione di boy-scout solo per essere sicuro di fare una cosa così perfetta che il direttore non si azzarderà a respingerla.

Ma dopo un mese ero entrato nel giro, e dopo tre mesi sapevo di sbrigarmela bene e di guadagnarmi il mio stipendio. Non che Hetherton me lo dicesse. Ma lavoravo in fretta e bene come lui, e le correzioni dei miei articoli riguardavano solo particolari di secondaria importanza.

Dopo sei mesi capii fino a qual punto mi ero lasciato giocare, perchè, con ogni probabilità, ero il miglior cronista che Hetherton avesse mai avuto. Ero in grado di fare tutto quello che faceva lui, e meglio, e più in fretta. Per ciò che riguardava la parte editoriale, bene inteso; ignoravo completamente la parte commerciale, che però non mi interessava. Ma il mio scopo era quello di diventare un cronista.

A peggiorare le cose in un senso e a migliorarle in un altro contribuì la conoscenza — che feci a quell’epoca — di Tom Acres, il direttore del quotidiano di Bisbee; e la nostra conoscenza non tardò a trasformarsi in qualcosa di simile all’amicizia. Si era fermato un giorno al Sun, senza un motivo particolare; passava da Mayville per raggiungere Tucson, e per caso Hetherton era fuori in cerca di pubblicità. Tom ed io avevamo parlato qualche volta per telefono, in occasione di scambi di articoli, ma quella volta ci conoscemmo personalmente e chiacchierammo a lungo.

Aveva qualche anno più di me, cioè era abbastanza giovane per essere già il direttore di un quotidiano, sia pure piccolo. Alto, magro e biondo, parlava con una punta di accento del Texas; seppi più tardi che era nato e cresciuto nel Texas, ma che lo aveva lasciato da quando aveva dieci anni.

Mi chiese se capitavo mai a Bisbee, ed io gli risposi di sì, ma che non avevo mai nemmeno pensato di venirlo a trovare. Mi disse allora di pensarci la prossima volta, e fu così che mi recai da lui, nella mia giornata di riposo, due settimane più tardi. Mi portò a casa sua, dopo avermi fatto visitare gli uffici del giornale, mi presentò sua moglie Marna e mi trattenne a cena.

Nei mesi seguenti andai tre volte a Bisbee, e le prime due volte Tom e Marna insistettero per avermi a casa, ma la terza volta fui io ad insistere perchè uscissero con me, giurando che, se non avessero accettato, non avrei mai più mangiato con loro. Finii per spuntarla.

E quella sera — avevo scontato solo dieci mesi della mia condanna con Hetherton e me ne mancavano altri quattordici — Tom avanzò una proposta. Durante gli aperitivi cominciò a chiedermi quanto guadagnavo a Mayville, se non avevo niente in contrario a dirglielo. Avevo molte cose, date le circostanze, ma glielo dissi lo stesso.

Scosse la testa. «Niente di molto spaventoso, per un giornale che vi lascia cominciare senza esperienza precedente.» (Di questo avevo già parlato con Tom.) «Ma, accidenti, Bob, in dieci mesi avete già imparato tutto quello che c’è da imparare da quel giornale, e secondo me è ora che vi trasferiate a un quotidiano. Forse preferireste addirittura fare un passo più lungo e cercare un posto a Tucson o a Phoenix, ma, se Bisbee vi interessa, posso farvi senz’altro un’offerta. Partirete da sessantacinque dollari. È più o meno lo stipendio che guadagnereste da qualsiasi altra parte cominciando a lavorare in un quotidiano con una esperienza che riguarda solo un settimanale. Naturalmente il nostro stipendio massimo — a meno che non mi trasferisca e voi occupiate il mio posto — non equivale a quello di un giornale più importante, ma, se resterete con noi un anno — e nel giro di un anno arrivereste a settantacinque dollari — sarete pronto a…»

«Basta!» lo interruppi. «Mi state spezzando il cuore. Accetterei di corsa la vostra offerta, se solo lo potessi. Non avete bisogno di insistere. Ma non posso, a meno che l’offerta non sia ancora valida di qui a quattordici mesi.» E, naturalmente, dovetti spiegargli l’accordo che avevo fatto con Hetherton.

Tom corrugò la fronte. «Un accordo del genere non è morale. Sapevo che Hetherton era un figlio di puttana, ma ignoravo che lo fosse fino a quel punto. Specie se si tiene presente che vi ha fatto lasciare il posto che occupavate prima di mettervi con le spalle al muro.»

«Sì, ma è stata colpa mia. Prima di buttarmi, avrei dovuto appurare che cosa intendeva per “un periodo di tempo ragionevole”. Maledizione, vorrei che fosse un contratto scritto; lo impugnerei e lascerei che mi muovesse o cercasse di muovermi causa, almeno in tribunale farebbe la figura dello stupido, come me, tale e quale. La mia onestà è semplicemente normale, Tom. Non ci penso due volte a contravvenire alle leggi, nel limite del ragionevole, o a impugnare un contratto scritto. Ma una promessa verbale… forse sono stato educato male, ma non mi va di venire meno a una promessa verbale. E adesso me ne devo andare. Posso solo sperare che la vostra offerta sia ancora valida fra quattordici mesi.»

«Non dovete preoccuparvi se sarà ancora valida o meno. Voglio dire, dipenderà dalle circostanze, qui a Bisbee, ma, con l’esperienza che vi siete fatto, sia pure con Hetherton, non vi riuscirà certo difficile trovare un posto.»

Marna Acres disse: «Vedo una scappatoia, Bob.» Tutti e due la guardammo, e lei continuò: «Non avete promesso di non fare, fuori dal lavoro, qualcosa che possa costringerlo a licenziarvi. Diventate l’amante di sua moglie, bruciategli la casa o simili…»

Risi. «Se aveste visto la moglie di Hetherton, capireste che al mondo c’è un destino peggiore di quello di lavorare per il Sun. E tutto quanto, prescindendo da quell’orribile suggerimento, potrebbe convincerlo a licenziarmi mi farebbe finire in prigione, e che vantaggio ne ricaverei allora?»

«Nessuno,» ammise Marna.

Nemmeno Tom ed io vedemmo a che cosa avrebbe potuto giovarmi di finire in prigione, e lasciammo le cose a questo punto.

Ed ora, a due mesi di distanza, stavo finendo di raccontare la mia storia a McNulty e allo sceriffo. Oh, non la conversazione che ho appena riferito, quella no; non accennai nemmeno al fatto di aver ricevuto un’altra offerta di lavoro. Parlai solo dei termini del contratto verbale che avevo stretto con Hetherton e delle circostanze che mi avevano spinto ad accettarlo. Dissi quel tanto che bastava per rispondere alla domanda di McNulty e per chiarire la situazione.

E parve che l’avessi chiarita davvero. La voce di McNulty era più amichevole di quanto non lo fosse stata da molto tempo. Da un pezzo ormai dovevo rappresentare per lui una specie di punto interrogativo. Ma si limitò a dire: «Credo che siamo a posto,» poi guardò lo sceriffo. «Non sembra anche a voi? O avete qualche altra domanda da rivolgere?»

Lo sceriffo scosse la testa, ma poi ci ripensò. «Una soltanto: continuate a riflettere su quelle chiacchierate che avete avuto con Amy. Forse ricorderete qualcosa che potrebbe fornirci un indizio. Qualche altra località dove ha abitato, oltre Kansas City, qualche bar che ha affermato di aver frequentato… roba del genere, insomma.»

«Certo,» risposi, «continuerò a riflettere. A proposito Mac, Hetherton mi ha detto di chiedervi se è saltato fuori qualcosa di nuovo, dopo che lui se n’è andato.»

«Niente. A che ora andate in macchina?»

«Di solito, verso le dieci, ma forse stasera tardiamo un po’.»

«Va bene. Ci fermeremo qui fino a chissà che ora. Se salta fuori qualcosa di importante, vi avvertirò.»

«D’accordo.» Mi diressi verso la porta, ma, prima che la raggiungessi, entrò Charlie Sanger, ed allora mi scostai e tornai indietro. Puntò dritto sulla scrivania di McNulty e gli consegnò qualcosa. Disse: «Abbiamo un indirizzo, Mac. La patente di guida. È proprio vero che qualcuno lascia i documenti nello scomparto dei guanti.»

Girai dietro la scrivania e guardai, al disopra della spalla di McNulty, la patente che egli stava osservando. Era una patente del Missouri, infilata in una custodia di cuoio e celluloide. Signora Amy Waggoner, 712 Olive Street, Kansas City, Mo. E la descrizione corrispondeva: un metro e sessantacinque, cinquantun chili, capelli biondi, occhi azzurri. L’età, trentacinque, mi sorprese un poco; era quella che avevo immaginato dal viso, ma il suo corpo aveva un aspetto molto più giovanile.

«Bene.» disse McNulty. «Adesso che abbiamo un indirizzo, telefonerò subito a Kansas City.» Allungò un braccio verso il ricevitore, ma lo ritirò subito e guardò Charlie Sanger. «Niente altro nella macchina?»

«Niente nel portabagagli. Qualche altra roba nello scomparto dei guanti, ma niente di importante. Un paio di cartine stradali, occhiali da sole, una scatola di Kleenex. Niente lettere.»

«Portate qui tutto, in ogni modo. Ci daremo un’occhiata.» Si voltò per rivolgermi la parola. «Questo indirizzo significa qualcosa per voi, Bob?»

«Niente di particolare. Deve essere vicino al centro, e credo che sia una zona di case d’affitto.»

Annuì e tornò ad allungare il braccio verso il telefono, ed io seguii fuori Charlie. Ammesso che McNulty riuscisse a sapere qualcosa da Kansas City, lo avrebbero richiamato più tardi, ed era perfettamente inutile che io restassi lì ad aspettare. Probabilmente Hetherton si stava già chiedendo come mai la mia assenza durava tanto.

Quando comparvi, mi fulminò con una occhiata. «Niente di nuovo?»

Cominciai a parlargli della patente, ma egli mi interruppe bruscamente. «Scrivete tutto.»

Scrissi il pezzo, glielo mostrai, gli lasciai correggere due parole e lo portai in tipografia. E, quando tornai, dissi: «Dobbiamo richiamare Bisbee per quei pezzi che avete scritto voi e per questo?»

«No. Non dedicherà all’avvenimento più di due righe, e ne ha più che a sufficienza.»

Ma, mentre mi sedevo al mio posto, cambiò idea. «Sì, chiamate Acres. Trasmettetegli quei pezzi.» Sollevai il ricevitore e riconobbi la voce di Doris, ma, con Hetherton lì presente, mi limitai a chiederle di passarmi Tom Acres. Hetherton mi gridò: «Già che gli parlate, chiedetegli se c’è qualcosa di nuovo per noi.»

Sentii la voglia di ridere, perchè era questa la vera ragione per cui mi aveva detto di chiamare. Cercava di risparmiare un dollaro. Le comunicazioni erano a pagamento in arrivo, e, se Tom ci avesse trasmesso qualcosa, l’interurbana sarebbe figurata sul suo conto, non sul nostro.

Ma Tom conosceva il trucco e sogghignò quando, dopo avergli dettato le altre notizie su Amy, gli chiesi se aveva qualcosa di nuovo per noi. Rispose che non aveva niente. Ma ci richiamò, pagamento in arrivo, dieci minuti più tardi, per trasmetterci una notizia che, diceva, aveva ricevuto in quel momento per telescrivente da Phoenix: niente di straordinario, ma un pezzo che avremmo pubblicato perchè si trattava di un intrigo politico che riguardava la contea di Cochise e, indirettamente, anche Mayville.

Battei il pezzo e lo passai a Hetherton, che aveva appena terminato di scriverne un altro. Disse: «Li porterò io in tipografia. E credo che sia tutto; abbiamo finito più presto di quanto immaginavo, a meno che non salti fuori qualcosa di nuovo sul delitto. Fate una corsa a vedere.»

Tornai nell’ufficio di polizia. Charlie Sanger non c’era, ma c’erano McNulty e lo sceriffo.

«Stiamo per andare in macchina,» dissi. «Qualcosa di nuovo su Amy?»

McNulty scosse la testa. «Kansas City non ha ancora richiamato. Ma dubito che richiamino stanotte, se hanno raccolto solo informazioni di carattere generale. A meno che non capitino su qualcosa di interessante che possa aver l’aria di èssere stato un movente del delitto…»

«E per ciò che riguarda il resto?»

«Poca roba. Ho parlato per telefono con l’impiegato postale. Amy riceveva la sua corrispondenza fermo posta, veniva a ritirarla un paio di volte la settimana e di solito c’erano una o due lettere per lei. Alcune venivano da Kansas City.»

«Non tutte?»

«No. Una volta la settimana arrivava per lei una busta gialla, raccomandata; Clem crede che il timbro fosse di Seattle, ma non ne è sicuro. Con ogni probabilità, era l’assegno per gli alimenti.»

«Avete cercato di sapere dove lo incassava?» «Certo, ma non lo presentava nei bar, e così deve essersi trattato di una banca. Ma il solo impiegato di banca che avrebbe potuto dirci qualcosa non è in città stanotte, è andato a Tucson per affari. Così, dovremo aspettare fino a domani. E questo è tutto.»

Hetherton scosse la testa quando gli parlai delle buste gialle che probabilmente contenevano l’assegno per gli alimenti e gli chiesi se dovevo aggiungere questo particolare. «Non ne vale la pena. Potete andare adesso, Spitzer.»

Andai diritto da Cass. Mi fermo sempre lì il giovedì sera, per il bicchierino della staffa. Mi sembra di essermelo guadagnato, dopo tutte quelle ore di lavoro intenso. E poi, magari, c’era una piccola chiacchierata e un poco di musica, se Cass era di buon umore e non aveva troppo da fare. Anche Hetherton capitava sempre lì per un bicchierino, mezz’ora o un’ora più tardi; qualche volta io c’ero ancora, qualche altra no.

Quella sera ci sarei stato, perchè dovevo far passare più di un’ora prima di passare a prendere Doris a mezzanotte.

C’era gente da Cass — due coppie in uno scomparto, un’altra in un altro — ma nessuno che conoscevo. Al banco, nessuno, e io mi misi a sedere là, come al solito. Cass, che era appena tornato da uno degli scomparti, mi disse: «Un minuto e sono da voi.» Fece squillare il campanello della cassa e andò a portare il resto.

Come fu di nuovo al suo posto, preparò un whisky e acqua e me lo fece scivolare davanti. «Qualcosa di nuovo su Amy Waggoner, Bob?» mi chiese.

«Niente di importante. Fino a che punto siete informato, voi?»

«Me ne hanno parlato alcuni clienti, poi è venuto qui Mac e mi ha chiesto che cosa sapevo di lei e io gli ho detto tutto quanto era a mia conoscenza, cioè ben poco. Credo che le mie ultime notizie risalgano a un paio d’ore fa.»

«Da allora non è successo quasi nulla, Cass. Hanno trovato la sua patente di guida, e Mac ha telefonato a Kansas City per vedere se riuscivano a raccogliere qualche notizia sul suo conto.»

«Pensano che sia stato qualcuno di qui ad ucciderla?»

Mi strinsi nelle spalle. «Non hanno ancora scavato abbastanza. Se scoprono per caso che qualcuno di qui era in rapporti intimi con lei, quel disgraziato ti diventa automaticamente l’indiziato numero uno.»

«Perchè lei ha bevuto con quel tale, volete dire? Mac me lo ha accennato.»

«Non solo perchè beveva con luì, ma anche perchè era in costume adamitico. Voi non conoscete nessuno con il quale Amy potrebbe aver fatto una cosa del genere, vero?»

Cass scosse la testa. «Per quello che ne so, Amy era in rapporti amichevoli con tutti, ma non amichevoli fino a quel punto. Secondo me, se la intendeva con gli uomini solo per bere e per chiacchierare. Mi sembrava una semplice alcoolizzata che viveva dei suoi alimenti… un caso molto triste, tutto considerato.»

«Siete sicuro che viveva degli alimenti? Ve lo ha detto lei?»

«Non me lo ha detto esattamente, ma li riceveva. La seconda volta che capitava qui mi ha chiesto se volevo cambiarle un assegno. Non era un assegno suo, ha precisato, ma l’assegno che un avvocato le passava per gli alimenti. Allora non la conoscevo ancora abbastanza per correre un rischio del genere, e poi erano soltanto le prime ore del pomeriggio e le banche erano aperte. Le ho risposto che il registratore di cassa era vuoto e le ho indicato dov’era la banca. Credo che lo abbia incassato là.»

«Non avete visto l’assegno?»

«No, e non le ho nemmeno chiesto di che importo era. Davvero non avevo soldi nel registratore di cassa, e, anche se si fosse trattato di un assegno piccolo, sarei rimasto quasi senza contanti.» Sospirò e diede un’occhiata al pendolo a muro. «Bene, credo che sia abbastanza tardi perchè possa permettermi il mio primo della giornata. E voi siete pronto per un altro?»

Guardai e vidi che avevo già vuotato due terzi del mio bicchiere. Ma dissi: «Meglio che faccia durare ancora un poco questo.»

Si versò un whisky. «Accidenti,» disse, «mi è spiaciuto quanto ho saputo di Amy. Mi vergogno adesso di essermi mostrato piuttosto duro con lei. Ma sapete anche voi come voglio che il mio locale sia tranquillo. A meno che non sia io a fare chiasso, e lo faccio soltanto quando penso che la gente lo voglia. E non posso sopportare gli ubriachi. Ho dovuto dire ad Amy che sarebbe stata la benvenuta qui a tutte le ore del giorno, ma non la sera.»

«Diventava fastidiosa quando era ubriaca?»

«Proprio fastidiosa, no. Ma… trasandata, ecco. Si vedeva che aveva bevuto troppo, se capite quello che voglio dire.»

«Certo, Cass. Non preoccupatevi. Devo mettere un nichel nel juke box?»

«Se volete un po’ di musica. Ma non me la sento di cantare. Sapete, ho l’impressione che avrei dovuto cercare di aiutare Amy in qualche modo… ma che sia dannato se so come. Ammesso che mi fossi rifiutato di servirla, anche quando non aveva ancora bevuto troppo, a che cosa sarebbe servito?»

«A niente.»

Nello specchio dietro il banco vidi che i quattro, le due coppie, stavano uscendo dallo scomparto e si dirigevano verso la porta. Cass augurò la buona notte, che venne contraccambiata. Quando furono usciti, andò a ritirare i bicchieri e li fece scivolare nell’acquaio del banco.

«Gente di qui?» chiesi. «Non conoscevo nessuno.»

«Si fermano qui solo per stanotte. Mi hanno chiesto l’indirizzo di un motel, e gliel’ho dato.» Sorrise. «Poi, per accontentarli, ho telefonato e ho fissato le stanze. Così hanno bevuto qualcosa che non avrebbero bevuto se fossero dovuti andare a prenotare personalmente.»

Pensai che ero pronto per il secondo bicchiere, e Cass me lo preparò. Mentre faceva scivolare i soldi nel registratore di cassa, entrò Hetherton.

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