12 dicembre 2005

32

Thora sedeva alla sua scrivania e picchiettava ritmicamente il bordo con una matita. Matthew la osservò in silenzio per un po’. «Ho sentito dire che i Rolling Stones stanno cercando una nonna alle percussioni», disse alla fine.

Thora smise di tamburellare e posò la matita. «Non ci crederai, ma fare così mi aiuta a pensare meglio.»

«A pensare? Perché ti metti a pensare proprio ora?»

Il giorno prima Thora gli aveva raccontato il tentativo disperato di Halldor di far ricadere l’attenzione su Briet, ma dopo aver passato una notte insonne a pensarci, la colpevolezza della ragazza non le sembrava più così improbabile.

«Mi pare che la nostra indagine stia procedendo bene, se si escludono alcuni punti ancora oscuri.», riprese a parlare Matthew, «ma credimi, quando la polizia comincerà a mettere sotto torchio quello studente, salteranno subito fuori i soldi scomparsi e forse anche il manoscritto, se mai esiste.»

E guardando fuori della finestra aggiunse: «Andiamo piuttosto da qualche parte a fare un brunch, anche se in ritardo». Era appena arrivato all’ufficio di Thora, dopo essersi svegliato troppo tardi.

«Impossibile. Oggi è la giornata di riposo dei ristoratori», mentì Thora. «I locali non riaprono prima di mezzogiorno». Matthew sospirò. «Ma sopravviverai anche a questo. Di là ci sono dei biscotti, te li faccio portare subito», e prese il telefono per chiamare la segretaria. «Bella, mi servirebbe il pacco di biscotti vicino alla caffettiera.» Nell’aria aleggiava il secco «Vieniteli a prendere» di risposta, cosicché si affrettò ad aggiungere: «Non è per me, ma per il nostro ospite.» Poi riattaccò e si rivolse di nuovo a Matthew: «Non ti sembra il caso di verificare le accuse contro Briet? Forse sono fondate.»

Matthew rovesciò il capo all’indietro e si mise a fissare il soffitto per un instante, prima di risponderle. «Ma non ti rendi conto che Halldor è stato messo con le spalle al muro?» Thora annuì. «Nient’altro di ciò che abbiamo sentito o visto avvalora un coinvolgimento di Briet nel nostro caso, se non il fatto che è una ragazza squilibrata, che ha preso parte a liturgie diaboliche con tanto di membra umane arrostite.»

«Ma forse ci è sfuggito qualcosa di importante», ribadì Thora con poca convinzione.

«Del tipo? No, mi dispiace, mia cara, ma alla fin fine sembrerebbe proprio che Hugi sia il vero omicida di Harald e che il suo amico abbia completato l’opera. L’unica questione ancora irrisolta è quella del denaro scomparso. La cosa più probabile è che i due abbiano inventato la storia del manoscritto ritrovato per ingannare Harald, facendogli credere che loro sapevano dove si trovava. Devi riconoscere che Halldor era in una posizione privilegiata per poter creare una storia credibile, in qualità di traduttore del suo amico. Niente di più facile che prendere i soldi per il fantomatico acquisto e far fuori Harald per metterlo a tacere. La spiegazione che Halldor ha fornito circa la maglietta di Hugi non sta in piedi.»

«Ma…» In quell’istante Bella fece il suo ingresso trionfale senza bussare. Aveva disposto i biscotti su un vassoio e versato del caffè in una tazza. Una sola tazza. Thora era certa che se i biscotti fossero stati per lei, Bella le avrebbe lanciato dalla porta il pacco ancora chiuso, mirando alla testa.

«Mille grazie», disse Matthew nel ricevere quelle delizie. «Certe persone non comprendono l’importanza della colazione», aggiunse indirizzando un’occhiata ironica a Thora e facendo l’occhiolino a Bella, la quale guardò Thora con sufficienza prima di sorridere da un orecchio all’altro a Matthew e uscire soddisfatta.

«Le hai fatto l’occhiolino», esclamò Thora meravigliata.

Matthew le fece due volte l’occhiolino. «Ora l’ho fatto due volte a te. Sei contenta?» continuò mettendosi in bocca un biscotto con grande teatralità.

«Stai attento, lei non è fidanzata e potrei dirle in quale albergo stai pernottando.» In quel momento squillò il suo cellulare.

«Salve, sto parlando con Thora Gudmundsdottir, vero?» chiese una voce femminile che Thora non riconobbe.

«Sì, sono io.»

«Sono Gudrun, la proprietaria dell’appartamento affittato ad Harald», si presentò la donna.

«Sì, salve.» Thora scrisse il nome su un foglio e lo mostrò a Matthew. Poi aggiunse due punti di domanda in fondo per fargli capire che ne sapeva quanto lui della chiamata.

«Non so se sto telefonando alla persona giusta, ma siccome avevo il suo biglietto da visita sottomano… Sa, il fatto è che ho trovato una scatola qui dentro, pochi giorni fa. Era di Harald ed era piena di…» La donna esitò come per cercare le parole.

«Sì, ne sono al corrente», intervenne Thora per risparmiarle la fatica di descrivere le parti di corpo cucinate.

«Ah, sì? Ottimo.» Dalla voce traspariva il sollievo. «Come può ben immaginare, presi uno spavento terribile e solamente ora mi sono resa conto che, nel panico del momento, mentre correvo via dalla lavanderia avevo stretto nel pugno un documento antico.»

«Mi pare di capire che non l’ha consegnato alla polizia.»

«No, appunto. Avevo intenzione di farlo, ma nella confusione del momento me ne sono dimenticata. Così l’ho appena ritrovato accanto al telefono in cucina.»

«Che tipo di documento è?»

«Beh, pare una vecchia lettera. Antichissima. Mi sono ricordata che voi stavate appunto cercando una cosa simile e ho pensato che magari sarebbe stato meglio consegnarla a voi anziché alla polizia.» Thora udì la signora tirare il fiato prima di continuare. «Gli investigatori hanno già tanto su cui indagare. Non vedo come questa lettera possa riguardarli.»

Thora scarabocchiò sul foglio di prima le parole «Lettera antica???» Matthew sollevò le sopracciglia e si prese un altro biscotto.

Al telefono Thora disse: «Ci farebbe molto piacere darle almeno un occhiata. Potremmo venire a trovarla adesso?»

«Ehm, va bene. Sono a casa. C’è soltanto una cosa.» La donna tacque.

«Che cosa?» chiese Thora guardinga.

«Ho paura di aver stretto un po’ troppo la lettera nella fuga. Ero completamente sotto choc. Ma non è proprio del tutto rovinata…» Poi ammise: «È per questo motivo che non ho avuto il coraggio di riferirlo alla polizia. Non volevo che si mettessero a fare tante storie vedendo che l’ho praticamente stracciata. Spero invece che voi mi capiate.»

«Non si preoccupi. Ora veniamo.» Thora riattaccò a si alzò in piedi. «Devi portarti i biscotti con te. Mi dispiace, ma stiamo per uscire. Forse abbiamo ritrovato la lettera danese scomparsa!»

Matthew prese in fretta e furia due biscotti e un altro sorso di caffè. «La lettera che il professore stava cercando?»

«Sì, lo spero.» Thora afferrò la borsetta e si avviò verso la porta. «Se è veramente quella, possiamo andare a restituirla a Gunnar e cogliere l’occasione per farci dire qualcosa di Briet.» Contenta per come stavano andando le cose, Thora lanciò un sorriso malizioso a Matthew. «Anche se non si trattasse di quella famosa lettera, potremmo far finta di non saperlo.»

«Stai forse pensando di ingannare quel poveraccio?» le chiese Matthew fingendosi scandalizzato. «Non direi che sia una bella cosa da fare, non ti pare? Anche considerando tutto quello che ha dovuto sopportare negli ultimi tempi.»

Thora si voltò verso di lui mentre percorreva il corridoio e gli sorrise di nuovo. «L’unico modo per scoprire se la lettera sia quella incriminata è di andare personalmente da Gunnar, no? E se così fosse, il sollievo per averla ritrovata ce lo renderà particolarmente grato e pronto a tutto per aiutarci. Due o tre domande su quella Briet non saranno certo un grosso peso per lui.»


Thora non sorrideva altrettanto entusiasticamente mentre sedeva al tavolo della cucina di Gudrun con la lettera fra loro tre. Gunnar non sarebbe affatto rimasto entusiasta nel ricevere il prezioso documento in quelle condizioni. Magari avrebbe preferito addirittura che rimanesse smarrito. «Lei è sicura che non fosse già danneggiata quando la tirò fuori dalla scatola?» domandò Thora mentre cercava di appiattire con prudenza gli spessi fogli senza far staccare il pezzo che era stato praticamente strappato via.

La signora abbassò vergognosa lo sguardo sulla carta. «Sicurissima. Devo averla rovinata così nell’agitazione. Ero uscita di senno in quel momento.» Sorrise come per scusarsi. «Forse è possibile incollarla di nuovo insieme, no? E darle una stirata?»

«Sì, certo, crediamo che si possa fare», rispose Thora nonostante sospettasse che il restauro della lettera sarebbe stato assai più problematico di quella semplificazione casalinga. «La ringraziamo profondamente per essersi messa subito in contatto con noi. Ha fatto bene, questo è sicuramente il documento che stavamo cercando, e non ha niente a che vedere con l’indagine della polizia. Ci penseremo noi a restituirlo ai legittimi proprietari.»

«Benissimo, prima mi sbarazzo di tutto quello che mi ricorda Harald, prima dimentico tutto quello che è successo. Non sono certo state delle giornate felici per me e mio marito quelle passate dall’omicidio. Inoltre vorrei che faceste sapere alla sua famiglia che è mio espresso desiderio liberare al più presto l’appartamento. Soltanto allora potrò cominciare a riprendermi.» Posate le esili mani sul tavolo, si mise a fissare le dita piene di anelli. «Non che quel ragazzo mi stesse antipatico, anzi. Non fraintendetemi.»

«No, no», la rassicurò Thora con voce amichevole. «Posso ben immaginare il disagio creatovi dall’intera vicenda.» Seguì una breve pausa. «Così, tanto per concludere la nostra conversazione, vorrei chiederle se lei abbia conosciuto il gruppo di amici di Harald. Li ha mai visti o sentiti?»

«Cos’è, una battuta?» domandò la donna improvvisamente ostile. «Se li ho sentiti? Si può dire che praticamente erano in casa mia, a giudicare dal fracasso che facevano.»

«Che intende dire?» chiese di nuovo Thora. «Urla? Litigi?»

La donna sbuffò. «Per lo più si trattava di musica ad altissimo volume. Se si può chiamarla musica. E poi forti tonfi, come se stessero tutti a saltare e battere i piedi sul pavimento. Ogni tanto si udivano ululati, grida e strilli. Avevo l’impressione che l’appartamento fosse diventato un manicomio.»

«Ma perché allora non gli deste la disdetta?» chiese Matthew, che fino a quel momento si era tenuto in disparte. «Se ben ricordo, nel contratto d’affitto c’è un articolo riguardante il comportamento degli affittuari come causa di recesso.»

La donna arrossì violentemente, e Thora se ne chiese il motivo. «No, il ragazzo mi piaceva, pagava l’affitto sempre puntualmente e, a parte le feste scatenate, era un ottimo inquilino.»

«Erano allora i suoi amici a fare tutto quel baccano?» le domandò.

«Sì, a pensarci bene era colpa loro», rispose in fretta la donna. «O perlomeno le cose peggioravano sempre durante le loro visite. Certo, Harald era abituato a tenere la musica alta e camminare con il passo pesante, ma quando lo andavano a trovare gli amici, la situazione precipitava.»

«Ha mai avuto l’impressione che Harald e quei suoi amici litigassero?»

«No, non mi pare. Anche la polizia mi ha fatto la stessa domanda. L’unica cosa che ricordo è un battibecco, anzi una scenata nella lavanderia tra Harald e una ragazza. Non che mi fossi messa a ficcanasare, ma dovevo preparare i dolcetti di Natale, e li sentii discutere mentre passavo davanti alla porta dello stanzino. Non volevo essere indiscreta.» Il rossore le invase di nuovo le guance. Il fatto era che la donna aveva già mostrato a Thora e Matthew il suddetto stanzino, e aveva spiegato loro come e dove aveva rinvenuto la scatola. Anche alla luce di quelle spiegazioni era impensabile che la signora si fosse trovata a passare davanti alla porta dello stanzino per cucinare. Ora era importante per Thora trovare il modo di farle raccontare che cosa avesse sentito senza accusarla di essersi attaccata alla porta per origliare.

«Oh!» sospirò piena di comprensione. «Anch’io ho abitato in un appartamento nel quale una porta comune si apriva verso il mio salotto. Che cosa non ho dovuto soffrire! Si sentiva praticamente tutto quello che dicevano i vicini, un vero tormento.»

La donna la fissò guardinga. «Harald in genere si faceva il bucato da solo, per fortuna. Non so se quella ragazza lo stesse aiutando a riempire la lavatrice oppure se l’avesse solamente accompagnato, fatto sta che si erano scaldati entrambi per un documento smarrito, se ben ricordo. Quasi sicuramente questo qui. Harald la pregava di lasciar perdere, dapprima molto cortesemente, poi in modo più brusco. La ragazza gli ripeteva continuamente che la lettera le avrebbe offerto un’occasione da non perdere per i suoi studi, ma non ho capito bene che cosa intendesse con quelle parole. Però non riuscii a sentire altro, dato che, come vi ho già detto, mi trovavo semplicemente a passare davanti alla porta.»

«Ha per caso riconosciuto di chi era la voce? Poteva essere quella della biondina che faceva parte del gruppo?» sondò Thora speranzosa.

«No, non la riconobbi affatto», rispose la donna, di nuovo brusca e distaccata. «Le ragazze che lo venivano a trovare erano solitamente due, una alta con i capelli rossi, l’altra bassa e bionda, quella a cui si riferisce lei. Le due avevano in comune l’aspetto di due prostitute chiamate alle armi, cioè pesantemente truccate e vestite in tuta mimetica. Entrambe poco attraenti ed estremamente sgarbate. Penso che non mi abbiano mai rivolto un saluto, nonostante ci incontrassimo spesso. Per questo motivo non avrei potuto riconoscere la loro voce.»

Benché Thora concordasse con la signora circa la maleducazione di Briet e Marta, non poteva certo considerarle poco attraenti. Cominciava a sorgerle il sospetto che la donna si fosse presa una cotta per Harald e fosse gelosa delle sue amiche. Ma in quel momento la conversazione prese una nuova piega. «Beh, comunque tutto ciò non importa e non si collega affatto al nostro caso», annunciò, poi fece il gesto di rialzarsi e prese la lettera. «La ringraziamo vivamente per averci aiutato e provvederemo a risolvere il problema dell’appartamento.»

Anche Matthew si alzò e diede la mano alla signora, la quale lo guardò negli occhi sorridendo. Il sorriso con cui Matthew le rispose fu alquanto impacciato. «Perché non lo prende lei l’appartamento?» gli chiese la donna posando con grazia l’altra mano sul dorso di quella di Matthew.

«Sì, cioè no, mi dispiace ma non intendo abitare in questo Paese», rispose Matthew imbarazzato, mentre cercava di recuperare la sua mano senza offendere la donna.

«Peccato, Bella ne sarebbe entusiasta», commentò in tono amabile Thora, approfittando dell’occasione d’oro per rendergli pan per focaccia. La signora gli lasciò subito la mano.


«Tocca a te dargli il documento», affermò Thora mentre cercava di mettergli fra le mani l’ingombrante busta che la donna aveva fornito loro prima che se ne andassero, per prevenire ulteriori danneggiamenti alla povera lettera. Come se le sue condizioni non fossero già disperate.

«Nemmeno per sogno», ribatté Matthew incrociando le braccia strette. «È stata una tua idea, per cui io intendo solamente rimanere a guardare la sua reazione. Al massimo gli potrei dare un fazzoletto se scoppierà a piangere nel momento in cui aprirà la busta.»

«Non mi sento così da quando ammaccai la macchina del vicino, appena presa la patente», commentò in tono lugubre Thora. I due erano stati fatti accomodare nell’anticamera dell’ufficio di Gunnar, in attesa che il professore tornasse da una lezione. L’avvocatessa appoggiò la schiena alla poltrona e continuò: «Come se fossi stata io a rovinarla, questa dannata lettera».

«Comunque tocca proprio a te dargli la brutta notizia», insisté categorico Matthew controllando l’orologio. «Ma quando torna? Devo assolutamente mangiare qualcosa prima del tuo incontro con Amelia. Sei sicura, almeno, che il turno di riposo dei ristoratori termini a mezzogiorno, vero?»

«Faremo presto, non ti preoccupare. E tu potrai mangiare prima ancora di accorgertene.» Thora udì finalmente un rumore di passi provenire dal corridoio e si alzò per guardare fuori. Era per l’appunto Gunnar che procedeva a passo svelto verso il suo ufficio. Sotto le braccia teneva una pila di carte e di libri e sembrò stupito nel vederli.

«Buongiorno», disse mentre cercava la chiave del suo ufficio nelle tasche dei pantaloni. «Posso aiutarvi?»

«In realtà forse siamo noi che possiamo aiutare lei», esordì Thora simulando entusiasmo. «Volevamo mostrarle questo documento che abbiamo ritrovato da poco: potrebbe essere la lettera che stavate cercando.»

Il volto del professore si illuminò. «Che bella notizia», disse aprendo la porta del suo ufficio. «Entrate, prego. Non mi pare vero.» Arrivato davanti alla scrivania, vi depose il materiale che stava trasportando, poi si sedette e fece accomodare i suoi ospiti. «Dove mai l’avete trovata?»

Thora si sedette a sua volta e posò la busta sul tavolo. «A casa di Harald, in una cassa con altri oggetti. Solo che la dobbiamo mettere in guardia… la lettera non è affatto in buone condizioni.» Thora sorrise come per scusarsi. «La persona che l’ha ritrovata l’ha ridotta molto male.»

«Male?» chiese Gunnar aprendo la busta con cautela. Con altrettanta delicatezza tirò fuori la lettera, e più si rendeva conto delle sue condizioni, più il suo volto si incupiva. «Che diavolo le è capitato?» esclamò infine deponendo la lettera sul tavolo e restando a fissarla.

«Vede, la donna che l’ha trovata ha rinvenuto anche dell’altro e si è spaventata a morte», continuò Thora. «E ne aveva il motivo, può starne certo. È stata proprio lei a pregarci di riconsegnarvela, chiedendo scusa per quello che aveva combinato, e sperando che fosse possibile restaurarla.»

Gunnar pareva sotto choc. Guardava la lettera senza muoversi. A un tratto si mise a ridere, una risata particolarmente sgradevole, per nulla divertita. «Mio Dio», disse infine tra i denti non appena ebbe smesso di ridere istericamente. «Ora sì che Maria si arrabbia.» Il suo corpo ebbe un brivido nel pronunciare quel nome. Gunnar si mise ad accarezzare la lettera, poi la tirò verso di sé e la esaminò. «Comunque questa è proprio la lettera che cercavamo, e dovrei essere felice del suo ritrovamento», concluse riprendendo a sghignazzare.

«Maria?» chiese Thora. «Chi è Maria?»

«La direttrice dell’Istituto Arni Magnusson», rispose Gunnar con voce sconsolata. «È lei che ha il cuore a pezzi per colpa di questa faccenda.»

«Allora mi raccomando, le faccia sapere da parte della signora che l’ha ritrovata che le dispiace moltissimo per come l’ha ridotta, ma non l’ha fatto apposta», ribadì Thora.

Gunnar tolse lo sguardo dalla lettera e lo pose sull’avvocatessa. Il suo volto indicava che aveva ben poco da aggiungere. «Sì, senz’altro.»

«Invece vorrei approfittare dell’occasione per chiederle informazioni su una studentessa del suo dipartimento. Si tratta di Briet, un’amica di Harald.»

Gunnar la guardò torvo. «Che vuole sapere di lei?»

«Ci è stato detto che tra i due era sorto un contrasto. Qualcosa che riguardava un loro progetto in comune riguardante Brynjolfur Sveinsson. E che avrebbero litigato a causa di un documento scomparso. Ne sa forse qualcosa?» Thora si accorse che dietro la scrivania era appeso un ritratto maschile. «Non è lui questo qui nel quadro?» gli chiese indicando il dipinto.

Gunnar la fissò pensieroso prima di risponderle senza gettare nemmeno uno sguardo dietro di sé: «No, quello non è il vescovo, ma un mio bisnonno, che ha il mio stesso nome di battesimo. Come può notare lei stessa, indossa l’abito talare, non le vesti vescovili del diciassettesimo secolo.»

Thora avrebbe voluto sprofondare, e decise di non chiedere informazioni anche su una delle fotografie appese alla parete, che mostrava il professore in posa con un uomo che sembrava il contadino di Hella, quello che lei e Matthew avevano incontrato quando avevano visitato le grotte degli eremiti irlandesi. Il fatto che si fosse vergognata aveva ringalluzzito il professore, che disse con voce secca: «Voi siete gli ospiti più molesti che abbia mai ricevuto». Il suo viso era di pietra.

Thora ebbe un sussulto. «Ci dispiace molto. Volevamo solo chiarire alcuni particolari ancora oscuri, e Briet è uno di questi. Se comunque non ne vuole discutere con noi, potrebbe darci il nome del docente o dell’assistente che la seguiva.»

«No, no, vi posso rispondere io stesso. Ma devo ammettere che siete proprio bravi a scovare tutti gli scheletri nell’armadio del nostro dipartimento. E Briet è uno di questi.»

«Davvero?» chiese Thora con stupore. «Credevamo che la questione fosse delicata solamente per lei. Ci hanno detto che ultimamente si sia comportata in modo strano, ed è per questo che le abbiamo rivolto la domanda.»

«Quella dannata ragazza si era montata la testa… e se non fosse stato per l’intervento di Harald, il dipartimento sarebbe finito nei guai.» Gunnar si allentò il nodo della cravatta.

«Di cosa si trattava, esattamente?» domandò Thora mentre osservava con attenzione il fermacravatta del professore, che le faceva suonare un vago campanello d’allarme.

Gunnar abbassò lo sguardo sulla cravatta quando si rese conto che Thora la stava guardando con troppa curiosità. Per sicurezza la spolverò con la mano, quasi per togliere eventuali avanzi di cibo, ma così facendo si graffiò con il bordo affilato del fermacravatta e tirò via la mano con un guizzo. «Di cosa si trattava, ha detto? Vediamo un po’. Se ben ricordo, Harald e Briet avevano deciso di catalogare tutte le fonti conosciute su Brynjolfur Sveinsson come tesina per un corso che frequentavano entrambi. Io penso comunque che l’idea fosse venuta ad Harald e non a Briet, abituata com’era ad appoggiarsi agli altri nelle sue ricerche.»

«Era qualcosa che si ricollegava alle ricerche di Harald?» tentò Thora, ritenendo probabile che il ragazzo volesse scoprire se il vescovo Brynjolfur fosse entrato in possesso del manoscritto del Malleus maleficarum.

«No, assolutamente da escludere», rispose deciso Gunnar. «Quello studente era totalmente dispersivo, come vi ho già detto. Invece di usare le ricerche effettuate nei suoi corsi minori come una sorta di preparazione alla tesi finale, gli piaceva spaziare qua e là a suo capriccio. Ciò comunque non riguardava il vescovo, che come ben sapete visse nel diciassettesimo secolo.»

«Era lei il relatore della tesina?» chiese Thora.

«No, mi sembra di ricordare che fosse stato Thorbjörn Olafsson. Se volete controllo nel computer.» Gunnar indicò lo schermo sulla scrivania.

Thora lo ringraziò, ma gli disse che non importava. «Vorremmo solamente sapere da lei cos’era successo di così grave, altro al momento non c’interessa. Abbiamo poco tempo a nostra disposizione.»

Gunnar guardò il suo orologio. «Lo stesso vale comunque anche per me, ho fretta di far riavere la lettera a Maria.» A giudicare dal suo aspetto, il compito non lo entusiasmava affatto. «Allora, i due andarono in tutte le biblioteche e gli archivi della città: l’Archivio di Stato, la Sala dei Codici e altri luoghi in cui poterono registrare tutti i documenti e le lettere in cui si menzionava il nome del nostro vescovo. E stavano facendo enormi progressi, da quanto ho potuto capire, finché Briet si mise in testa di aver scoperto che una lettera era stata trafugata dall’Archivio di Stato.»

«Ma non poteva avere ragione?» chiese Thora gettando uno sguardo al malconcio documento sulla scrivania. «Voglio dire, non sarebbe la prima volta che accade un fatto del genere…»

«Può anche darsi, ma nel loro caso si trattava solamente di un errore umano nella gestione degli archivi. Pur non essendo affatto chiaro dove sia andata a finire quella lettera, Briet diede la colpa del furto a una persona ben precisa, che però in quel caso era al di sopra di ogni sospetto.»

«E chi sarebbe questo insospettabile?» chiese Thora.

«Chi siede qui davanti a voi», rispose Gunnar, fissandoli in volto come per sfidarli a mettere in dubbio la sua innocenza.

«Capisco», riprese Thora, che aggiunse, guardandolo a sua volta decisa in viso: «Mi scusi la curiosità, ma perché mai a Briet venne in mente una sciocchezza del genere?»

«Come vi ho appena detto, si trattava di una svista nella gestione degli archivi. Secondo quanto riferiva l’elenco dei prestiti, sarei stato io l’ultima persona a consultare quel particolare documento, ma in realtà io non l’avevo mai toccato. Quindi, o qualcuno lo ha preso in prestito a mio nome, oppure qualcuno ha pasticciato con i numeri del registro. Brynjolfur Sveinsson non rientra affatto nel mio campo d’interesse, e non mi sarebbe mai venuto in mente di mettermi a fare ricerche su documenti che lo riguardano. Ma ciò che rese l’intero fatto ancora più seccante e triste fu che la ragazza cercò di avvantaggiarsi del sospetto appena sollevato per ricattarmi. Voleva che la aiutassi a farla avanzare negli studi. Mi disse di punto in bianco che se la facevo promuovere in alcune materie avrebbe taciuto e mi avrebbe salvato dallo scandalo. Io ne parlai con Harald, che mi promise di farla recedere dalle sue intenzioni insensate. Poi mi misi in contatto con i miei conoscenti all’archivio per pregarli di indagare sul caso. Non volevo che una stupida ragazzina credesse di avermi in pugno con una falsa accusa. Invece quelli non riuscirono a trovare niente a proposito, essendo trascorso circa un decennio dall’ultimo prestito. Alla fine hanno riconosciuto che doveva essersi trattato di un madornale errore da parte loro, e che il documento doveva essere andato a finire assieme ad altre carte, e prima o poi sarebbe stato ritrovato. Briet intanto ebbe la felice idea di smettere di perseguitarmi.»

«Ma che cosa si sa della lettera?» chiese Thora. «Voglio dire, qual era il contenuto?»

«Si tratta di un’epistola inviata nel 1702 da un prete di Skalholt ad Arni Magnusson. Sembra che fosse la risposta alla sua richiesta d’informazioni circa la fine che aveva fatto una porzione dei manoscritti stranieri in possesso di Brynjolfur Sveinsson, che era morto pochi anni prima, cioè nel 1675. Non c’è alcun dubbio che la lettera avesse fatto parte integrante della raccolta conservata nell’archivio, anzi, molti si ricordavano personalmente di averla letta. Una storia veramente strana.»

«E nient’altro?» intervenne Thora. «Niente che riguardasse dei codici nascosti o trafugati da Skalholt per metterli in salvo?»

Gunnar la fissò con sguardo penetrante. «Perché me lo chiede, quando sa benissimo la risposta?»

«Che intende dire?» domandò Thora meravigliata. «Io non so niente di quella lettera, eccetto quello che lei ha appena finito di riferirmi.» I suoi occhi si posarono di nuovo sul fermacravatta del professore. Che diavolo aveva quella spilla per farla agitare così tanto? E che razza di reazione era quella appena mostrata dall’uomo?

«È una strana coincidenza allora», disse Gunnar seccamente, convinto che i due ne sapessero più di quanto dessero a intendere. «Se volete, possiamo anche continuare a fingere e mentirci a vicenda. Nella lettera c’è un paragrafo che gli esperti hanno avuto grosse difficoltà a decifrare, un testo oscuro riguardante la salvaguardia di alcuni pezzi pregiati da mettere al sicuro contro le mire di un funzionario danese, e di un nascondiglio accanto a una croce antica. La maggior parte degli studiosi concordano nel riconoscere nella croce quella della chiesa di Kadlanes, che venne rimossa con l’avvento del luteranesimo a seguito del divieto di esporre reliquie sacre.»

«Vedo che ne sa molto di quella lettera», intervenne Matthew, che fino a quel momento aveva taciuto, «se si pensa che non l’ha mai vista né studiata.»

«Ovviamente mi informai del suo contenuto quando venni accusato del furto», gli rispose il professore adirato. «La lettera è ben conosciuta nell’ambiente degli storici e alcuni hanno scritto degli ottimi saggi sull’argomento.»

Thora fissava il fermacravatta come in trance. Era un oggetto insolito, apparentemente d’argento. «Dove ha comprato quel fermacravatta?» chiese a un tratto come una stupida, indicando la cravatta blu a righe oblique.

Gunnar e Matthew la guardarono stupefatti. Il professore afferrò la cravatta e si mise a controllare il fermaglio, poi lo lasciò ricadere quando le rispose: «Devo ammettere di essere sconcertato dalla piega che la nostra conversazione sta prendendo. Ma dal momento che lei dimostra un interesse smodato per questo oggetto, le rispondo che l’ho ricevuta in regalo per il mio cinquantesimo compleanno». Poi si alzò. «Penso sia inutile continuare il nostro incontro, dato che non ho affatto intenzione di mettermi a chiacchierare sul mio abbigliamento. Ora mi attende un altro incontro altrettanto deprimente con Maria, la direttrice dell’istituto, per cui non ho tempo da perdere con le vostre sciocchezze. Vi faccio i miei migliori auguri di buon proseguimento delle indagini, ma vi consiglio nello stesso tempo di attenervi al presente, dato che il passato non ha niente a che vedere con l’omicidio di Harald.»

Detto ciò, mostrò loro la porta per uscire.

33

Matthew guardò Thora e scrollò il capo. Erano all’ingresso dell’Istituto Arni Magnusson. «Quella tua ultima osservazione ha proprio avuto un bel successo.»

«Ma non hai visto il fermacravatta?» chiese Thora eccitata. «Era a forma di spada: una placca d’argento sormontata da una spada che teneva ferma la cravatta da una parte all’altra. Non l’hai visto?»

«Sì, e con ciò?»

«Non ricordi le fotografie del collo di Harald? Dell’impronta che assomigliava a un pugnale o una croce? Che aveva detto il medico legale? ‘Se guardate bene, potrete riconoscere una specie di minuscolo pugnale, anche se potrebbe trattarsi di tutt’altro. La pelle non è certo un calco di gesso!’»

«Sì, sì», rispose Matthew. «Capisco dove vuoi arrivare, solo che non sono sicuro si tratti della stessa cosa. Le foto non erano per niente chiare, Thora. Inoltre, Gunnar è un professore di Storia medievale. La spada vichinga sul fermacravatta si collega con ogni probabilità al suo campo di ricerche, la colonizzazione dell’Islanda. Io non ci leggerei troppo. Anche perché a me il segno sul collo era sembrato più simile a una croce.» Matthew sorrise. «Forse Harald è stato ucciso da un prete pazzo.»

Thora prese titubante il suo telefonino. «Voglio parlare con Briet. Tutta questa storia suona molto strana, anzi, inspiegabile.»

Matthew fece segno di no con la testa, ma l’avvocatessa non si fece condizionare. Briet rispose al quarto squillo, scorbutica come il solito. Quando Thora le riferì la notizia dell’arresto di Halldor, la ragazza si addolcì e acconsentì a incontrarli alla libreria universitaria nel giro di un quarto d’ora. Matthew avanzò delle deboli rimostranze, ma quando Thora gli disse che poteva comprarsi qualcosa da mangiare alla caffetteria dell’università, si convinse ad accompagnarla. Quando Briet comparve, stava divorandosi una fetta di pizza.

«Che cosa ha detto Halldor alla polizia?» chiese con voce tremante la biondina non appena si sedette al tavolo.

«Niente», rispose Thora, «per il momento. Invece a me personalmente ha raccontato delle belle storie, soprattutto riguardo la notte fatidica e le vostre pratiche sul corpo di Harald. Non mi sorprenderebbe affatto se riferisse le stesse cose anche ad altre persone nei prossimi giorni. Inoltre lui è convinto che Harald lo abbia ucciso tu.»

Briet sbiancò in volto. «Io? Non sono stata io ad ammazzarlo.»

«Lui afferma che a un certo punto te ne saresti andata via, quella sera, e che quando rinveniste il cadavere ti saresti comportata in maniera alquanto strana. Eri come un’altra persona.»

Briet spalancò la bocca e rimase così per qualche attimo, prima di riprendere a parlare. «Sì, mi allontanai per una ventina di minuti al massimo. Poi, quando ritrovammo il corpo di Harald, rimasi completamente sotto choc. Non riuscivo neppure a pensare, figuriamoci se potevo parlare.»

«Ma dov’eri andata?» le chiese Matthew.

Briet gli lanciò un sorriso ambiguo. «Io? Mi ero appartata con un mio vecchio conoscente, dentro il bagno. Te lo può confermare anche lui.»

«Per venti minuti?» insisté Matthew scettico.

«Sì. E con ciò? Vuoi sapere per filo e per segno che cosa abbiamo fatto?»

«No», la interruppe Thora. «Ce lo possiamo facilmente immaginare.»

«Ma che volete da me, allora? Non l’ho ucciso io il povero Harald. Mentre Halldor eseguiva il rituale sul suo corpo, io mi limitavo a guardarlo. L’unico che si troverebbe nei guai se Halldor parlasse con gli agenti è Andri. È lui che l’ha aiutato a incidere la runa. Io Harald non l’ho nemmeno sfiorato.»

«Ho bisogno di qualche delucidazione sulla tesina che tu e Harald stavate scrivendo sul vescovo Brynjolfur e la lettera scomparsa», riprese Thora. «Halldor ci ha riferito di un vostro dissidio al riguardo. È vero?»

Briet guardò Thora con espressione incredula. «Quella stupidaggine? Che c’entra con tutto questo?»

«Non lo so, è per questo che te lo chiedo», ribatté Thora.

«Harald era insopportabile», esclamò Briet all’improvviso. «Ormai avevo Gunnar in pugno. Quando andai a trovare il professore per dirgli che sapevo che aveva rubato la lettera all’Archivio di Stato, si mise a tremare come una foglia. È stato lui a rubarla, l’ho capito subito, e non mi importa di quello che dicono gli altri.»

«Ma perché dici che Harald era insopportabile?» chiese Matthew.

«In un primo tempo la cosa gli sembrò divertente, anzi, mi spronò a incastrare il professore. Addirittura ci introducemmo di nascosto nel suo ufficio per cercare il documento, dopo che Gunnar mi aveva cacciata fuori. Ma poi successe un fatto strano. A un certo punto Harald cambiò improvvisamente idea, e dopo aver trovato un vecchio articolo sugli eremiti irlandesi prese a comportarsi come un ossesso.»

«In che senso?» domandò Thora.

«Si trattava di un articoletto scritto da Gunnar, conservato in uno degli armadi. Harald me lo fece vedere perché gli leggessi le didascalie sotto le foto. Si era eccitato soprattutto per due fotografie, una che rappresentava una croce, e l’altra che raffigurava una specie di buca. Poi volle sapere tutto riguardo un altro disegno, mentre io crepavo dalla paura che il professore rientrasse. In quel momento perdere tempo così mi sembrava stupido. Alla fine Harald si ficcò l’articolo in tasca e ce ne andammo in fretta e furia.»

«Che cosa ti aveva detto di preciso? Te ne ricordi, per caso?»

«Non esattamente. Ci chiudemmo nell’aula degli studenti e lì pretese che gli traducessi di quale buca trattava la foto, e io gli spiegai che era una specie di focolare domestico dentro una grotta. Poi c’erano anche una croce scolpita nella parete interna della stessa grotta e un altare.»

«Ma il disegno?» insisté Matthew. «Che cosa rappresentava?»

«Era una pianta stratigrafica della grotta, con dei simboli che indicavano la posizione dei vari ritrovamenti. Se ben ricordo, uno era accanto alla croce, un altro nel foro del soffitto, probabilmente un camino, e un terzo accanto alla buca, che doveva essere appunto il focolare.» Briet guardò Matthew. «Mi ricordo che si era infervorato per questo terzo simbolo e mi chiese se ritenessi probabile che i monaci cucinassero così vicino all’altare. Io gli risposi di non averne idea. Allora mi domandò se non fosse logico mettere il focolare sotto il camino. Ma nel disegno la posizione degli oggetti dava a intendere tutt’altro. Il focolare si trovava accanto all’altare, mentre il camino era vicino all’ingresso. Mi sembrava una questione talmente insignificante che mi sorprese vedere Harald infervorarsi così tanto.»

«E che successe poi?» domandò Matthew.

«Harald andò a discutere con Gunnar, e in seguito mi proibì di ficcanasare ulteriormente sulla lettera.» Briet li guardò indignata. «E pensare che all’inizio era stato lui a spronarmi a torturare Gunnar. Quel diavolo di Gastbucht, come lo chiamava lui.»

«Gastbucht?» ripeté Thora. Ecco quello che c’era scritto sul foglio di Harald! Non Gastbucht non era affatto il libro degli ospiti, come aveva creduto. E il segno successivo non era una croce, ma una «t». Gastbucht era la traduzione letterale di «Gestvik».


Thora e Matthew si precipitarono all’Istituto Arni Magnusson. Mentre correvano, l’avvocatessa chiamò al cellulare l’ispettore Helgason per riferirgli i loro sospetti nei riguardi del professore, ma Markus non parve impressionato dalle loro teorie, e solo dopo molte insistenze accettò di controllare i movimenti di denaro sul conto corrente di Gunnar Gestvik.

L’ufficio dello storico era vuoto quando vi arrivarono. Invece di aspettare fuori, i due si presero la libertà di sedersi all’interno per aspettare il suo ritorno. Ora Gunnar doveva ancora essere in riunione con Maria, la direttrice dell’istituto, per riconsegnarle la lettera.

Matthew diede un’occhiata al suo orologio. «Dovrebbe essere sulla via del ritorno ormai.» Infatti la porta si aprì e Gunnar entrò.

Nel vederli lì dentro, il professore ebbe un sussulto. «Chi vi ha fatto entrare qui?»

«Nessuno. Era aperto», rispose Thora tranquilla.

Gunnar andò a grandi falcate dietro la sua scrivania. «Pensavo non avessimo più niente da dirci.» Si sedette e li guardò con occhi torvi. «Non sono certo di buon umore in questo momento. Maria non è stata affatto contenta di ricevere la lettera in quello stato.»

«Non intendiamo disturbarla a lungo», disse Matthew. «Ma sono emersi dei dettagli che vorremmo chiarire con lei.»

«Ancora?» domandò Gunnar scortesemente. «Io invece credo di non aver altro da aggiungere su questa storia.»

«Sono solo poche domande», intervenne Thora.

Gunnar reclinò il capo all’indietro e si mise a fissare il soffitto. Prima di guardarli di nuovo in volto, emise un profondo sospiro. «D’accordo. Che cosa volete sapere questa volta?»

Thora guardò prima Matthew, poi il professore. «La croce antica di cui si parla nella lettera indirizzata ad Arni Magnusson non potrebbe essere quella scolpita dentro la grotta dei monaci irlandesi vicino a Hella? Lei dovrebbe essere la persona più esperta di questo periodo storico, non è vero? La croce doveva essere stata scolpita prima dell’inizio della colonizzazione vera e propria, no?»

Gunnar diventò rosso in volto. «Come faccio a saperlo io?» gridò senza pensarci.

Thora lo guardò con espressione meravigliata. «Io credo invece che lei sappia tutto quanto. Quella foto non mostra forse lei e il contadino che possiede il terreno in cui si trovano le grotte?» gli chiese indicando la fotografia incorniciata appesa alla parete. «Le grotte degli eremiti?»

«Sì, ha ragione. Ma non capisco il nesso…» disse Gunnar. «Mi sembra che mi facciate delle strane domande e non comprendo questa vostra improvvisa passione per la storia. Se volete iscrivervi alla nostra facoltà, i moduli si trovano in segreteria.»

Thora non si perse d’animo. «Io invece credo che lei si sia già reso conto perfettamente del nesso. Lei si trovava alla riunione dell’Erasmus, che si era protratta fino a mezzanotte, quando Harald venne assassinato.» Visto che Gunnar non rispondeva, l’avvocatessa aggiunse: «Non può essere che lei abbia incontrato Harald quella notte?»

«Che razza di stupidaggini sta dicendo? Ho già detto agli investigatori tutto quello che sapevo su quell’omicidio. Ho solamente avuto la sfortuna di incappare nel cadavere, ma per il resto non c’entro nulla. Anzi, ora vi prego di andarvene.» Il professore indicò loro la porta con mano tremante.

«Sono sicura che la polizia riesaminerà tutte le testimonianze ricevute, ora che è stato chiarito il trattamento subito dal corpo», riprese Thora lanciando a Gunnar un sorriso ironico.

«Che intende dire?» chiese Gunnar fuori di sé.

«Hanno arrestato la persona che ha tolto gli occhi al cadavere e gli ha inciso la runa magica sul petto. Il fatto che lei si è spaventato quando il corpo le è piombato addosso non le garantirà più un trattamento con i guanti da parte degli investigatori. Ora l’intero caso ha preso una piega differente, dopo la confessione di questa persona.»

Gunnar cominciò a boccheggiare. «So che avete poco tempo. Anch’io sono molto occupato e non ho intenzione di trattenervi più a lungo. La nostra conversazione si conclude qui.»

«Ha strangolato lei Harald con la sua cravatta», proseguì implacabile Thora. «Il fermaglio che indossa lo confermerà.» Alzandosi, gli disse con fermezza: «Il movente deve ancora venire alla luce, ma ora come ora non conta molto. L’ha ammazzato lei, non Hugi, né Halldor e nemmeno Briet. È stato lei.» Thora lo guardò fisso in volto, pervasa al contempo da disgusto e compassione, quando Matthew si alzò lentamente e con un braccio la spinse verso la porta. Sembrava temere che Gunnar saltasse su dalla sedia per strangolarla con la sua cravatta.

«Sei completamente impazzita?» chiese Gunnar a Thora, fissandola fuori di sé dal furore e dandole del tu. Poi si alzò di scatto, facendo cadere all’indietro la sedia. «Come ti viene in mente una cosa del genere? Ti consiglio di cercare un buono psichiatra il prima possibile.»

«Non è una follia, l’hai ammazzato tu!» insisté Thora, opponendo resistenza anche a Matthew. «Abbiamo tra le mani parecchi indizi che portano alla tua colpevolezza. Credimi. Quando la polizia avrà ricevuto le prove e comincerà a indagarti, non ti sarà più facile difenderti.»

«È da escludere, non l’ho ucciso io.» Gunnar rivolse lo sguardo verso Matthew, sperando di ricevere il suo sostegno.

Matthew però non mostrò alcun segno di compassione. «Sono certo che gli agenti riceveranno l’aiuto dei tuoi colleghi nell’indagine e una perquisizione al tuo appartamento non farà altro che fornire ulteriori prove indiziarie, se il fermacravatta non basta, vero?»

Il cellulare di Thora squillò. Mentre gestiva quella breve chiamata, non tolse mai gli occhi dal professore, che la seguiva nervoso. «Era la polizia, Gunnar», annunciò a fine telefonata.

«E allora?» esclamò Gunnar con il pomo di Adamo che gli andava su e giù.

«Mi hanno pregato di andare al commissariato. Hanno trovato degli interessanti movimenti di denaro sul tuo conto in banca e vogliono spiegazioni da parte nostra. Mi sembra ormai chiaro che gli agenti ti abbiano finalmente preso di mira.»

Gunnar li osservò entrambi, confuso e disorientato. Poi sollevò la sua cravatta e si mise a fissare il fermacravatta. Più di una volta aprì la bocca come per parlare, ma altrettante volte la richiuse. Alla fine scosse il capo arrendendosi all’evidenza. «State cercando i soldi scomparsi? Ne ho spesi pochi.» Li guardò, ma non ottenne alcuna reazione. «Ho anche il libro, che però non ho alcuna intenzione di consegnarvi. È mio, l’ho trovato io.» Si strinse la fronte con le mani: era l’immagine della disperazione. «Ma non ho nient’altro che si possa considerare inestimabile o speciale. Harald invece sembrava avere tutto, o perlomeno denaro a bizzeffe. Perché non si era fissato su qualcos’altro? Perché proprio su quel libro?»

«Gunnar, penso che dovremmo richiamare la polizia», disse Thora in tono amichevole. «A noi non devi dire più niente, risparmiati le forze.» Quando si accorse che Matthew aveva già tirato fuori il suo telefono, gli suggerì a bassa voce: «Il 112». L’uomo si allontanò leggermente per chiamare.

«Mi aspettavo sempre che la polizia mi accusasse del delitto, anche quella prima volta in cui venni interrogato per rispondere del ritrovamento del cadavere. Ero convinto che stessero solamente giocando al gatto col topo, fingendo di non sapere che l’avevo ucciso io. Poi invece capii che non avevano neppure il minimo sospetto nei miei confronti.» Il professore alzò lo sguardo e sorrise amaramente. «Non avrei mai potuto simulare il terrore che mi assalì quando il corpo mi crollò addosso. Quando l’avevo visto per l’ultima volta era ancora disteso nell’aula degli studenti e per un attimo ho creduto che fosse resuscitato per tornare a vendicarsi. Ma dovete credermi, gli occhi non glieli ho cavati io. Io l’ho soltanto strangolato.»

«Soltanto, eh?» ripeté Thora. «Ma perché? Perché voleva comprarti il manoscritto del Malleus maleficarum? Lo avevi trovato tu?»

Gunnar annuì. «Nelle grotte. Presi un congedo e mi immersi nelle ricerche sui monaci irlandesi. Ottenni dal contadino il permesso di effettuare degli scavi là dentro nella speranza di ritrovare resti umani che dimostrassero o confutassero la teoria che le grotte erano state scavate proprio dagli eremiti. Prima di allora quelle caverne non erano mai state esaminate scientificamente, e io fui il primo a piantarci la zappa. Fino alla seconda metà del secolo scorso ci tenevano il bestiame, per cui erano rimaste pressoché inesplorate. Ma invece di rinvenire reperti umani, trovai uno scrigno ben nascosto sotto l’altare. Dentro c’era quel codice famoso, assieme ad altri oggetti: una Bibbia in danese, un salterio e due magnifici libri di scienze naturali in norvegese.» Gunnar guardò Thora con intensità. «Non potei resistere. Mi affrettai a portare lo scrigno nell’auto prima che il contadino mi vedesse, e non dissi mai niente a nessuno della mia scoperta. A poco a poco mi resi conto che avevo scoperto dei documenti preziosissimi, provenienti dall’episcopato di Skalholt. Due libri erano addirittura contrassegnati dalle iniziali di Brynjolfur Sveinsson, LL. Ma fu soltanto dopo la comparsa di Harald che potei capire come mai quella strana edizione del Malleus fosse tra quelle carte.»

«Ma come aveva fatto lui a scoprirlo?» chiese Thora.

«Un colpo di fortuna, se così si può dire.» Sospirò. «Harald venne in Islanda con la precisa intenzione di rinvenire quel codice, come senza dubbio saprete anche voi. Aveva ricercato tutte le fonti possibili e immaginabili prima di capitare sulla pista giusta, o almeno così credeva. Era convinto che Jon Arason avesse preso il manoscritto per darlo alle stampe e che poi lo avesse nascosto quando il mondo attorno a lui aveva iniziato a crollare. A quel tempo non mi ero affatto reso conto del suo obiettivo, e non feci niente per impedirgli di proseguire. Se ne andò, per esempio, a Skalholt per indagare sulle fonti relative al luogo della decapitazione. E proprio là si imbatté nella pista del Malleus per pura coincidenza. Qualcuno gli parlò della collezione di manoscritti di Sveinsson, e lui si convinse di poter seguire, fino alla fine, le tracce della collezione trafugata e nascosta. Poi venne nel mio ufficio quando Briet scoprì che ero stato io a rubare la lettera scomparsa all’Archivio di Stato…»

Gunnar guardò per terra e poi di nuovo Thora. «Naturalmente me l’ero tenuta, quando ne scoprii il contenuto: temevo che quel documento avrebbe portato altre persone sulla pista delle grotte. Ma fu un errore pagato caro. Non che Briet costituisse un grosso ostacolo, anzi… Solo che, subito dopo, comparve Harald in persona. Lui si era informato sul contenuto della lettera e venne subito al sodo. Mi disse che sapeva che avevo ritrovato il Malleus di Kramer e voleva averlo. Mi aveva appena sottratto l’articolo sui monaci e sulle grotte, un vecchio articolo che ero stato costretto a scrivere al termine del mio permesso di studi. Dovevo rendere conto delle ricerche effettuate, e così pubblicai le mie conclusioni su un periodico che ora non esce più e che, a suo tempo, circolava soltanto tra pochi specialisti. Commisi lo sbaglio di metterci anche una foto della buca dalla quale avevo tirato fuori lo scrigno, affermando che si trattava di un antico focolare. Nessuno si mise a confutare le mie teorie, anzi, credo proprio che nessuno abbia mai letto l’articolo nella sua interezza. Harald invece fece due più due. E pensare che in un primo tempo avevo sospettato del furto una donna delle pulizie!»

Gunnar tacque per un istante. «Harald voleva il Malleus. Mi disse che non gli interessava nient’altro del materiale che avevo rinvenuto nella buca, ma il libro sulle streghe lo voleva a ogni costo. Poi mi propose di comprarlo, e mi promise una cifra talmente alta da superare ogni mia immaginazione. Una somma del genere non avrei potuto ricavarla nemmeno dal mercato nero, neppure se avessi saputo dove si trovava tale mercato. E così, invece di buttarlo fuori dall’ufficio, acconsentii. Venni abbagliato da tutto quel denaro, anche se non ignoravo il valore del manoscritto. Poi Harald mi fece avere la somma pattuita. Fu allora che cambiai idea, ma non potevo certo dirglielo.» Il professore sbuffò animosamente. «Voi non potete certo comprendere cosa significhi dedicare la propria esistenza alla ricerca storica, quanto sia entusiasmante scoprire qualcosa. E questa volta si trattava di un reperto inestimabile. Un pezzo unico, senza pari.»

«Allora hai ucciso Harald per tenerti il manoscritto senza restituirgli il denaro e subire alcuna conseguenza?» domandò Thora. «Chissà, forse lui avrebbe preferito vivere che essere ucciso per quel libro.»

Gunnar emise una risata forzata. «Ovviamente avevo tentato di rimangiarmi la parola, ma lui mi aveva riso in faccia e mi aveva fatto capire che sarebbe stato meglio patteggiare con lui che con le autorità, dato che non avrebbe certo esitato a rivelare l’intera situazione alla polizia se, a quel punto, lo avessi tradito.»

Gunnar tirò un sospiro liberatorio. «Lo vidi arrivare in bicicletta da Sudurgata, mentre stavo tornando a casa in macchina. Allora feci inversione e lo fermai all’ingresso. Lui si liberò della bici ed entrammo insieme nell’edificio. Aveva la mano sporca del sangue che gli stava uscendo dal naso, una vera emorragia. Che schifo.» Gunnar chiuse gli occhi. «Poi adoperò la sua chiave e il suo codice segreto per aprire la porta. Era ubriaco e sicuramente anche drogato. Cercai ancora una volta di parlargli, e lo pregai di mostrarmi un po’ di comprensione. Ma lui continuò a ridermi in faccia. Allora lo inseguii fin dentro la stanza degli studenti, dove si mise a rovistare nel suo armadietto finché non ne estrasse una pillola bianca, che ingoiò all’istante. Poi crollò su una poltrona, mi girò le spalle e mi pregò di massaggiargliele. Credetti in quell’attimo che si fosse ammorbidito nei miei confronti, ma poi capii che aveva solamente ingoiato una pillola di ecstasy che a quanto pare aumenta nelle persone il desiderio di contatto fisico. Mi ero avvicinato a lui pensando di soddisfare la sua richiesta nella speranza che accondiscendesse alla mia. Ma una volta messe le mie mani su di lui mi sentii pervadere da un odio tale verso quel ragazzo che, senza rendermi conto di quello che facevo, mi sfilai la cravatta e gliela misi attorno al collo. Poi cominciai a stringere. Lui tentò di divincolarsi, senza riuscirci. Alla fine morì. Scivolò piano piano dalla poltrona sul pavimento e io me ne andai.» Gunnar guardò Thora negli occhi, in attesa di una sua reazione. Si era completamente dimenticato di Matthew.

Il suono delle sirene penetrò dalla finestra e divenne sempre più assordante. «Sono venuti a prenderti», gli annunciò Thora.

Gunnar tolse lo sguardo da lei e lo rivolse alla finestra. «E io che pensavo di diventare rettore», esclamò triste.

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