CAPITOLO SECONDO

Nuvole di fumo color pastello galleggiavano nell’a­ria del cabaret. Ognuna, che fungeva da contrasse­gno, si alzava da un orifizio situato al centro di ciascun tavolo: qui un viola pallido, di fronte un rosa delicato come la pelle di un neonato, là un verde che ricordava la garza indiana tessuta con erbe della pampa. Erano le nove di sera e il caba­ret A’Chigua, il migliore di Bahia, aveva appena ini­ziato lo spettacolo. Un suono di campane tintin­nanti aveva intonato le prime note di un ritmo sen­suale, dando il via a un gruppo di ballerini in posa, ciascuno avvolto in un costume stilizzato raffigu­rante una formica. Le finte antenne e le mandibole ondeggiavano attraverso le nuvole di fumo.

I clienti abituali dell’A’Chigua occupavano dei bassi divani. Le donne, splendenti di colori tropica­li vivaci come fiori della giungla, sedevano di fron­te agli uomini vestiti di bianco e qua e là, come punti interrogativi, spiccavano le candide uniformi dei bandeirantes. In questa zona Verde, i bandeirantes potevano rilassarsi e divertirsi dopo aver presta­to servizio nella giungla Rossa o alle barriere.

Un cicaleccio continuo in una dozzina di lingue diverse aleggiava nel locale.

«Stasera mi è capitato un tavolo rosa. È il colore del seno delle donne, non è vero?» «Così ho co­sparso il formicaio con una schiuma insetticida e l’ho vuotato completamente… era pieno di formi­che come quelle della Piratininga. Dovevano essere dieci o venti miliardi.»

La dottoressa Rhin Kelly era rimasta in ascolto per una ventina di minuti, la sua attenzione era sempre più attratta dalle tensioni e dagli stati d’a­nimo di cui era carica l’atmosfera.

«Già, il nuovo metodo di disinfestazione…» fece un bandeirante seduto a un tavolo alle sue spalle che stava affrontando il problema dei superstiti «… contro gli insetti più resistenti. L’operazione di ripulitura finirà con l’essere un lavoraccio manua­le, proprio come in Cina, dove sono costretti a uc­cidere gli ultimi insetti con le mani».

Rhin udì il suo compagno rigirarsi sul divano e pensò: Deve aver sentito. Levò lo sguardo al di so­pra della colonnina di fumo color ambra e incon­trò gli occhi a mandorla del suo accompagnatore. Lo vide sorridere e pensò, come aveva già fatto al­tre volte, che questo dottor Travis Huntington Chen-Lhu era un «personaggio» veramente distinto.

Era alto, con un viso squadrato dalla carnagio­ne olivastra, sormontato da una massa di capelli ta­gliati corti, ancora neri nonostante la sessantina. Si piegò verso di lei e bisbigliò: «Non c’è modo di evitare le chiacchiere, eh?»

Lei scosse il capo, domandandosi forse per la de­cima volta come mai una persona di riguardo co­me il dottor Chen-Lhu, direttore di zona dell’Orga­nizzazione Internazionale di Ecologia, avesse insi­stito ad accompagnarla là quella sera, la sua pri­ma sera a Bahia. Non si faceva illusioni sul motivo per cui l’avesse invitata a lasciare Dublino: senza dubbio aveva un problema da risolvere che richie­deva l’intervento dei servizi di spionaggio dell’OIE. Come al solito, il problema avrebbe finito con l’im­plicare la manipolazione di qualcuno. Chen-Lhu glie­ne aveva accennato brevemente quel giorno stesso. Ma doveva ancora pronunciare il nome dell’uomo che lei avrebbe attirato con l’inganno.

«Si dice che certe piante muoiano per mancanza di impollinazione.» Adesso era una donna alle sue spalle che parlava e Rhin si irrigidì. Una conversa­zione pericolosa, quella.

Ma il bandeirante dietro di lei disse: «È meglio se tieni la bocca chiusa, bambola. Parli come quel­la signora che hanno pizzicato a Itabuna».

«Quale signora?»

«Una che distribuiva volantini dei Carsonites, proprio nel villaggio oltre la barriera. La polizia l’ha bloccata prima che potesse sbarazzarsi di una ventina di opuscoli. Gran parte del materiale è sta­to recuperato in tempo prima che potesse diffon­dersi, sai come vanno a finire queste cose, special­mente là, vicino alla zona Rossa.»

Del chiasso, proveniente dall’entrata, disturbò l’atmosfera del locale. Si udì una voce che gridava: «Johnny, ehi Johnny! Fortunato te!»

Rhin e gli altri clienti volsero lo sguardo in dire­zione delle voci e Rhin notò che Chen-Lhu fingeva indifferenza. Vide che anche i bandeirantes erano rimasti fermi ai loro posti come bloccati da una for­za misteriosa.

Ritto davanti a loro c’era un bandeirante che por­tava, attaccato al risvolto della giacca, un distintivo d’oro da capogruppo, raffigurante una farfalla. Rhin lo studiò con improvviso interesse e notò che era un uomo di media statura, dalla carnagione scura e dai capelli neri ondulati; era tarchiato, ma si muoveva con una certa agilità. Il suo corpo, che sprigionava forza, contrastava col viso magro e ari­stocratico, dominato da un naso sottile con una gibbosità pronunciata. Evidentemente i suoi ante­nati annoveravano senhores de engenho.

Rhin lo definì «di una bellezza brutale». Anco­ra una volta notò l’atteggiamento indifferente di Chen-Lhu e pensò: Ora capisco perché siamo qui.

Quel pensiero la rese stranamente consapevole del proprio corpo. Provò una momentanea sensa­zione di repulsione per il suo ruolo, mentre pensa­va: Mi sono data da fare e mi sono venduta per essere qui in questo momento. E che cosa mi ri­mane? Nessuno voleva le prestazioni professionali di Rhin Kelly, entomologo. Ma Rhin, una bellezza irlandese, era una donna che traeva piacere da «al­tre» sue prestazioni… questa Rhin Kelly era molto richiesta.

Se non mi piacesse questo lavoro, forse non l’o­dierei tanto, pensò.

Sapeva di non passare inosservata in quel luogo pieno di donne indigene dalla pelle scura. Aveva i capelli rossi, gli occhi verdi, la carnagione delicata punteggiata di lentiggini. In quel locale, vestita con un abito lungo che si armonizzava col colore dei suoi occhi e con un distintivo dorato dell’OIE ap­puntato sul petto, in quel locale, rappresentava il tipo esotico.

«Chi è quell’uomo all’ingresso?» chiese.

Un sorriso simile al soffio di una leggera brezza increspò i lineamenti finemente cesellati di Chen-Lhu. Lanciò uno sguardo verso l’entrata. «Quale uo­mo, mia cara? Ce ne sono almeno… sette.»

«Smettila di fingere, Travis.»

Gli occhi a mandorla si posarono su di lei, quin­di ruotarono verso il gruppo che sostava all’entrata. «È Joao Martinho, jefe degli Irmandades e figlio di Gabriel Martinho.»

«Joao Martinho», fece lei. «Deve essere quello di cui mi hai parlato, che dovrebbe aver carta bian­ca per ripulire la Piratininga.»

«Ha già avuto il denaro, mia cara. Per Johnny Martinho, è ciò che conta di più.»

«Quanto?»

«Ah, che donna pratica», disse lui. «Si sono spar­titi cinquecentomila cruzados.» Chen-Lhu si appog­giò allo schienale del divano, aspirò l’aroma pun­gente dell’incenso che si levava dalla colonnina di fumo del loro tavolo. Pensò: Cinquecentomila! Sa­ranno sufficienti per distruggere Johnny Martinho… se riesco a dimostrare le mie ragioni contro di lui. E con Rhin, come potrei fallire? Questo branco di idioti di Bahia sarà ben felice di accogliere una don­na affascinante come Rhin. Sì, avremo presto il no­stro capro espiatorio: Johnny Martinho, il capita­lista, il gran senhor addestrato dagli yankee.

«Negli ambienti di Dublino il nome di Joao Mar­tinho è famoso», disse Rhin.

«Ah sì?» fece lui. «Che cosa dicono?»

«Hanno parlato dei problemi sorti nella Pirati­ninga, è stato fatto il suo nome e quello di suo pa­dre.»

«Ah, capisco.»

«Circolano delle strane voci», osservò lei.

«Le trovi di cattivo augurio?»

«No, semplicemente strane.»

Strane, pensò lui. Quella parola gli provocò un momentaneo senso di sconforto, in quanto riecheg­giava il messaggio inviatogli dal suo paese, che lo aveva spinto a richiedere l’intervento di Rhin. La sua strana indolenza nel risolvere il problema sta sollevando inquietanti interrogativi. Il significato della parola e della frase era piuttosto palese. Chen-Lhu aveva captato l’impazienza che traspariva da quel messaggio: la scoperta di una catastrofe, che si profilava in Cina, poteva verificarsi da un mo­mento all’altro. E sapeva che non si fidavano di lui per via di un suo antenato di razza bianca. Disse abbassando il tono della voce: «Strano non è il ter­mine più adeguato per descrivere i bandeirantes che infestano di nuovo le zone Verdi.»

«Ho udito delle storie assurde», mormorò lei, «laboratori segreti dei bandeirantes… esperimenti illegali di mutamento…»

«Avrai notato, Rhin, che la maggior parte dei rap­porti su insetti strani, giganteschi, proviene dai ban­deirantes. Questa è l’unica stranezza secondo te.»

«È logico», fece lei, «i bandeirantes si trovano in prima linea, dove queste cose possono accadere.»

«Non mi dirai che tu, un entomologo, credi a que­ste assurdità», ribatté lui.

Rhin alzò le spalle, sentendosi stranamente per­versa. Travis aveva ragione, naturalmente; doveva essere così.

«Logico», proseguì Chen-Lhu, «strumentalizzare le più assurde dicerie per fomentare la paura detta­ta dalla superstizione fra i contadini tabareus: que­sta è l’unica logica, suppongo.»

«Così vuoi che mi lavori questo capo bandeirante», fece lei. «Che cosa dovrei scoprire?»

Dovrai scoprire quello che ti dirò io, pensò. Inve­ce disse: «Che cosa ti fa pensare che questo Martinho sia il tuo obiettivo? È un’informazione avuta a Dublino?»

«Oh», rispose lei, riuscendo a controllare uno scatto d’ira. «Non avevi un particolare motivo di far­mi venire qui. Il mio fascino era una ragione più che sufficiente!»

«L’hai detto!» Si volse e fece cenno a un came­riere che si avvicinò al tavolo. Subito dopo il came­riere si fece strada tra il gruppetto che stazionava all’entrata e parlò con Joao Martinho.

Il bandeirante lanciò una rapida occhiata a Rhin, quindi si volse per incontrare lo sguardo di Chen-Lhu. Questi fece un cenno col capo.

Alcune donne simili a farfalle di stoffa si erano unite al gruppo di Martinho. Lo sguardo dei loro oc­chi pesantemente truccati sembrava provenire da cavità sfaccettate.

Martinho si staccò dal gruppo e si diresse verso il tavolo contrassegnato dal fumo color ambra. Accennò un inchino a Chen-Lhu. «Il dottor Chen-Lhu, suppongo», disse. «Piacere di conoscerla. Come può l’OIE privarsi del suo direttore che si concede que­sto genere di distrazioni?» Con un gesto abbracciò l’atmosfera di frenetica tensione che regnava nell’A’Chigua.

E Martinho pensò: Ecco… gli ho manifestato i miei pensieri in modo che non possa fraintendermi.

«Mi concedo un po’ di svago», disse Chen-Lhu. «Un breve relax per dare il benvenuto a un nuovo membro del nostro staff.» Si alzò dal divano e ab­bassò lo sguardo su Rhin. «Rhin, ti presento il senhor Joao Martinho. Johnny, questo è il dottor Rhin Kelly di Dublino, il nostro nuovo entomologo.»

Intanto Chen-Lhu pensava: Questo è un nemico. Non devo commettere errori. È un nemico. È un nemico. È un nemico.

Martinho accennò un inchino. «Encantado.»

«Lieta di conoscerla, signor Martinho. Ho sentito parlare delle sue prodezze… persino a Dublino.»

«Persino a Dublino», ripeté lui. «Sono sempre stato favorito dalla sorte, ma mai come in questo momento.» La fissò con una intensità sconcertante, mentre si domandava quali compiti speciali le fos­sero stati affidati. Era l’amante di Chen-Lhu?

Il silenzio fu interrotto dalla voce di una donna seduta a un tavolo dietro Rhin: «I serpenti e i rodi­tori stanno esercitando una sempre crescente pres­sione sulla civilizzazione. L’ho letto nel…»

Qualcuno la zittì.

«Travis», disse Martinho, «francamente non capi­sco come possa una donna così affascinante essere chiamata dottore.»

Chen-Lhu fece un risolino forzato. «Attento, John­ny. Il dottor Kelly è il mio nuovo direttore setto­riale.»

«Un direttore itinerante, spero», ribatté Martinho.

Rhin lo guardò con freddezza; ma era una falsa freddezza. La franchezza di Martinho la eccitava e la spaventava al tempo stesso. «Sono stata messa in guardia circa il linguaggio adulatorio dei latini», disse. «È una caratteristica che si trasmette di pa­dre in figlio, mi hanno detto.»

La sua voce aveva assunto un tono gutturale che indusse Chen-Lhu a sorridere fra sé. Ricorda, questo è il nemico, pensò. «Vuole unirsi a noi, Johnny?»

«Mi evita la sfrontatezza di imporre la mia pre­senza. Tuttavia, come vede, sono accompagnato da alcuni dei miei bandeirantes.»

«Sembrano molto occupati», disse Chen-Lhu e fe­ce un cenno verso l’entrata, dove un gruppo di don­ne sfarfalleggiavano attorno agli amici di Martinho, meno uno. Donne e bandeirantes si stavano accomo­dando a un grande tavolo contrassegnato col fu­mo blu.

L’uomo rimasto solo distolse lo sguardo da Mar­tinho e lo posò sui suoi compagni attorno al tavolo, quindi si rivolse nuovamente verso Martinho.

Rhin lo studiò attentamente: capelli grigio cenere, faccia da ragazzo vecchio, deturpata da una cicatrice di acido che gli solcava la guancia sinistra. Le ricor­dava il sacrestano della sua parrocchia di Wexford.

«Ah, quello è Vierho», disse Martinho. «Lo chia­miamo il Padre. Non ha ancora deciso chi deve pro­teggere… i nostri fratelli Irmandades o il sottoscrit­to. Forse io ne ho maggior bisogno.» Fece un cenno in direzione di Vierho, quindi si volse e sedette vi­cino a Rhin.

Apparve un cameriere che depose sul tavolo un ca­lice trasparente colmo di una bevanda color oro, da cui spuntava un tubo di vetro.

Martinho lo ignorò continuando a fissare Rhin. «Allora, gli irlandesi sono pronti a unirsi a noi?»

«Unirsi a voi?»

«Sì, nella ricerca di un nuovo equilibrio ecolo­gico.»

La donna lanciò un’occhiata a Chen-Lhu che ri­mase impassibile, quindi rivolse nuovamente l’atten­zione su Martinho. «Anche gli irlandesi, come i cana­desi e i nordamericani, sono riluttanti, preferisco­no attendere.»

Martinho parve infastidito dalla risposta. «Voglio dire… che l’Irlanda ne valuta sicuramente i vantag­gi», disse. «Da voi non ci sono serpenti. Ciò deve…»

«Ciò è qualcosa che Dio ha fatto per mano di san Patrizio», ribatté Rhin. «Non riesco a immaginare che voi bandeirantes siate fatti della stessa pasta.» Lo disse in tono stizzito e se ne pentì immediata­mente.

«Avrei dovuto avvertirla, Johnny», si intromise Chen-Lhu. «Ha un temperamento irlandese.» E pen­sò: Sta recitando la commedia tutto a mio vantaggio, questo verme.

«Già», fece Martinho. «Se Dio non ha ritenuto di doverci sbarazzare degli insetti, forse sbagliamo nel cercare di farlo con le nostre mani.»

Rhin gli lanciò un’occhiata piena di sgomento.

Chen-Lhu soffocò uno scatto d’ira. Questo verme sta tentando di abbindolare Rhin per attirarla dalla sua parte. Deliberatamente!

«Il mio governo non riconosce l’esistenza di Dio», disse Chen-Lhu. «Forse se il buon Dio dovesse intro­durre uno scambio di ambasciate…» Batté la mano sul braccio di Rhin, e notò che stava tremando. «Co­munque, l’OIE è convinta che in capo a dieci anni la lotta sarà estesa fino a nord del confine del Rio Grande.»

«È questa la convinzione dell’OIE? O non è piut­tosto quella della Cina?»

«Di entrambe», affermò Chen-Lhu.

«Anche se il Nord America si oppone?»

«Suppongo che si lascerà persuadere.»

«E l’Irlanda?»

Rhin si sforzò di sorridere. «Gli irlandesi», disse, «sono notoriamente un popolo irragionevole.» Al­lungò la mano per prendere il suo drink, ma in quel momento la sua attenzione fu attratta da un bandeirante vestito di bianco, ritto di fronte a lei.

Martinho balzò in piedi e si inchinò nuovamente a Rhin. «Dottor Kelly, mi permetta di presentarle uno dei miei fratelli Irmandades, padre Vierho.» Quindi si rivolse al suo compagno: «Questa bellezza, stimato padre, è un direttore settoriale.»

Vierho fece un breve cenno col capo e con aria im­pacciata sedette a una estremità del divano, vicino a Chen-Lhu. «Encantado», mormorò.

«Sono poco mondani i miei Irmandades», disse Martinho, riprendendo il suo posto accanto a Rhin. «Sono certo che preferirebbero esser fuori a ucci­dere formiche.»

«Johnny, come sta suo padre?» chiese Chen-Lhu.

Senza distogliere gli occhi da Rhin, Martinho ri­spose: «La questione del Mato Grosso lo tiene mol­to occupato.» Fece una pausa. «Ha degli occhi in­cantevoli.»

Ancora una volta Rhin rimase sconcertata dalla sua disinvoltura. Sollevò il calice contenente il suo drink e disse: «Cos’è questa roba?»

«Ah, quello è idromele brasiliano. Lo assaggi. Nei suoi occhi ci sono dei puntini luminosi che si into­nano al colore dorato del suo drink.»

Rhin evitò di replicare. Avvicinò il bicchiere alle labbra e assaporò la bevanda. Quando colse lo sguar­do di Vierho fisso su di lei, si fermò col tubo di ve­tro vicino alle labbra.

«I suoi capelli sono proprio di quel colore?» chie­se Vierho.

Martinho scoppiò a ridere e disse in tono sorpreso e stranamente affettuoso: «Ah, Padre!»

Rhin assaporò il suo drink cercando di mascherare una sensazione di disagio; trovò che aveva un sapore delicato, dolce come l’aroma di certi fiori, con una punta di amaro.

«Ma sono veramente di quel colore?» insistette Vierho.

Chen-Lhu si sporse in avanti. «Molte ragazze irlan­desi hanno i capelli rossi, Vierho. Rispecchiano un temperamento selvaggio.»

Rhin posò il bicchiere sul tavolo, meravigliandosi delle sue stesse emozioni. Sentiva che fra Vierho e il suo capo si era instaurato un certo cameratismo e si rammaricava di esserne esclusa.

«Quali sono i suoi programmi, Johnny?» chiese Chen-Lhu.

Martinho lanciò un’occhiata a Vierho, quindi si ri­volse a Chen-Lhu e lo fissò con durezza. Per quale motivo questo funzionario dell’OIE mi rivolge una si­mile domanda, qui e in questo momento? si doman­dava. Chen-Lhu deve essere a conoscenza dei miei programmi. Non potrebbe essere altrimenti. «Mi sorprende che non ne abbia sentito parlare», rispo­se. «Oggi pomeriggio ho fatto un’ulteriore offerta per assicurarmi la Serra Dos Parecis.»

«Dove si trova il grosso insetto della Mambuca», mormorò Vierho.

Un improvviso impeto d’ira rabbuiò i lineamenti di Martinho. «Vierho!» esclamò.

Rhin fissò prima l’uno e poi l’altro. Uno strano si­lenzio era calato sul gruppo. Lo avvertì simile a un fremito per tutto il corpo. C’era in quel silenzio qual­cosa di spaventoso, persino di erotico… che la tur­bava profondamente. Captò la reazione del suo cor­po e ne ebbe una repulsione violenta. Sapeva che questa volta non era in grado di individuarne la vera causa. Poteva solo pensare: Ecco perché Chen-Lhu mi ha mandata a chiamare: per attirare questo Joao Martinho e manipolarlo a dovere. Lo farò, ma ciò che mi turba maggiormente è la certezza che ne trarrò piacere.

«Ma, capo», fece Vierho, «sai bene quel che han­no detto su…»

«Lo so», ringhiò Martinho. «Sì, lo so!»

Vierho annuì con espressione contrita. «Hanno detto che…»

«Che esistono insetti mutanti, lo sappiamo», pro­seguì Martinho. E pensò: Perché Chen-Lhu mi ha co­stretto a questa rivelazione? Per vedermi litigare con uno dei miei uomini?

«Insetti mutanti?» chiese Chen-Lhu.

«Abbiamo visto quello che abbiamo visto», tagliò corto Vierho.

«Ma quella ‘cosa’, come viene descritta, è una im­possibilità materiale. Non può che essere il prodotto di qualche superstizione, ne sono certo», insistette Martinho.

«Veramente, capo?»

«Comunque, qualunque cosa sia, siamo in grado di affrontarla», dichiarò Martinho.

«Di che cosa state parlando?» chiese Rhin.

Chen-Lhu si schiarì la voce. Lascia che ora scopra fino a che punto si spingerà il nemico, pensò. La­scia che si accorga della perfidia di questi bandeirantes. Poi, quando le avrò spiegato che cosa deve fare, non si tirerà certo indietro.

«C’è in giro una storia», disse Chen-Lhu.

«Una storia!» sogghigno Martinho.

«Delle chiacchiere, allora», si corresse Chen-Lhu. «Sembra che alcuni bandeirantes di Diogo Alvarez asseriscano di aver visto, nella Serra Dos Parecis, una mantide lunga tre metri.»

Vierho, teso in volto, si piegò verso Chen-Lhu. La cicatrice che gli solcava la guancia era impallidita. «Lo sa, senhor, che Alvarez ha perduto sei uomini prima di abbandonare la serra? Sei uomini! E…»

Vierho si interruppe all’apparire di un uomo tar­chiato dalla carnagione scura che indossava una tuta da lavoro piena di macchie. Si fermò alle spalle di Martinho e rimase in attesa.

Poi il nuovo venuto si chinò su Martinho e gli bi­sbigliò qualcosa all’orecchio.

Rhin riuscì a captare solo alcune parole (parlavano a voce molto bassa in un dialetto incomprensibile del retroterra), un accenno alla Plaza, la piazza cen­trale… folla.

Martinho si umettò le labbra e chiese: «Quando?»

Ramon si raddrizzò e disse alzando leggermente il tono della voce: «Proprio adesso, capo.»

«Nella Plaza?»

«Sì, a meno di un isolato da qui.»

«Di che cosa si tratta?» chiese Chen-Lhu.

«Di una pulce», fece Martinho.

«Una pulce?»

«Così dicono.»

«Ma questa è zona Verde», osservò Rhin sgo­menta.

Martinho si alzò e si allontanò dal divano.

Mentre alzava lo sguardo sul capo bandeirante, il viso di Chen-Lhu tradiva una certa preoccupazione.

«La prego di scusarmi, signorina», disse Martinho.

«Dove sta andando?» chiese lei.

«C’è un lavoro da sbrigare.»

«Una pulce?» insistette Chen-Lhu. «È sicuro che non si tratti di un errore?»

«Nessun errore, senhor», fece Ramon.

«Ma non esiste un modo per evitare questi incon­venienti?» chiese Rhin. «Ovviamente si tratta di un clandestino che è riuscito a infiltrarsi nella zona Verde, nascosto in qualche carico, oppure…»

«Forse no», replicò Martinho. Poi si rivolse a Vierho. «Raduna gli uomini. Avrò particolarmente bisogno di Thome per il camion e di Lon per mano­vrare le luci.»

«Subito, capo.» Vierho balzò in piedi e attraversò il locale per unirsi agli altri Irmandades.

«Che cosa significa… forse no?» chiese Chen-Lhu.

«Si tratta di quelle stranezze cui lei si rifiuta di credere», disse Martinho, poi si rivolse a Ramon: «Unisciti a Vierho, per favore.»

«Sì, capo.» Ramon fece dietrofront con una pre­cisione quasi militare, e si mosse sulla scia di Vierho.

«Vuole spiegarsi, per favore?» disse Chen-Lhu.

«Secondo la descrizione si tratta di un insetto, lun­go quasi mezzo metro, che spruzza acido», fece Martinho.

«Impossibile», ribatté Chen-Lhu.

Rhin scosse il capo. «È assolutamente improba­bile che una pulce…»

«È uno scherzo dei bandeirantes», affermò Chen-Lhu.

«Come vuole lei, senhor», disse Martinho. «Ha visto la cicatrice sulla guancia di Vierho? Anche quel­lo è il risultato di uno scherzo.» Si volse e si inchinò a Rhin. «Mi perdona, senhorita?»

Rnin si alzò. Una pulce lunga quasi mezzo metro? Adesso le ritornavano alla mente gli strani racconti uditi nella sua fanciullezza. Si sentiva turbata, come in preda a una sensazione di irrealtà. C’erano dei li­miti alla materia. Cose simili non potevano esistere. Oppure sì? Adesso era soprattutto un entomologo. Erano subentrate la logica e l’esperienza. Quella fac­cenda poteva essere provata o smentita nel giro di pochi minuti. A meno di un isolato da qui, aveva detto l’uomo. Nella Plaza. E sicuramente Chen-Lhu non le avrebbe permesso di liberarsi così in fretta di Martinho. «Veniamo con lei, naturalmente», disse.

«Naturalmente», fece eco Chen-Lhu, alzandosi.

Rhin si avvicinò a Martinho e lo prese a braccet­to. «Signor Martinho, per piacere, mi mostri que­sta fantastica pulce.»

Martinho pose una mano su quella di Rhin e provò una elettrizzante sensazione di calore. Che donna conturbante! «Preferirei di no», disse. «Lei è così attraente e se penso a quello che l’acido di…»

«Non ci facciamo influenzare dalle chiacchiere», intervenne Chen-Lhu. «Vuole farci strada, Johnny?»

Martinho sospirò. Le persone incredule sono così ostinate… tuttavia gli si profilava l’opportunità di far giungere alle alte sfere la inconfutabile prova di ciò che la maggior parte dei bandeirantes già co­nosceva. Sì, il direttore di zona Chen-Lhu sarebbe venuto. Doveva venire. Con riluttanza Martinho gli offrì il braccio di Rhin. «La invito a seguirmi, ma per favore, senhor, tenga lontana la nostra affasci­nante Rhin Kelly. A volte le chiacchiere degenerano in una brutta avventura.»

«Useremo le necessarie precauzioni», disse Chen-Lhu. Lo scherno nella sua voce era fin troppo evi­dente.

Gli uomini di Martinho si erano già avviati verso l’uscita. Si girò e li seguì a lunghi passi, ignorando i clienti del locale che in silenzio lo seguivano con lo sguardo.

Rhin, nel dirigersi verso la strada con Chen-Lhu, rimase colpita dall’apparecchiatura che i bandeiran­tes portavano sulle spalle. Non sembravano uomini sottomessi con l’inganno, eppure doveva essere co­sì. Non poteva essere altrimenti.

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