CAPITOLO QUINTO

Joao si drizzò a sedere, si tolse la maschera di gela­tina dal volto e si guardò intorno. Nuvole di insetti si addensavano sopra un aerocarro Irmandades.

Una voce disse: «Li hai ammazzati tutti nella cap­sula?»

«Tutto quello che si muoveva.» La risposta era roca, incerta, come quella di una persona sopraffatta dall’emozione.

«Qualcosa può essere ancora utilizzato?»

«La radio è distrutta.»

«Già. È la prima cosa che attaccano.»

Joao riconobbe i suoi Irmandades. Ne contò set­te: Vierho, Thome, Ramon, Pietr, Lon…

La sua attenzione fu attirata da un gruppetto di persone assiepate al di là dei suoi uomini; tra loro c’era Rhin Kelly. Aveva i capelli arruffati, il volto striato di sporco e lo fissava con uno sguardo vitreo.

Poi vide sulla destra la capsula del suo aerocarro, già calata in una fossa perimetrale, cosparsa di schiu­ma e di insetticida spray. Seguì con lo sguardo la linea della fossa e vide che circondava una zona di terra battuta con le tende nel mezzo. Al di là c’era la savana. Ritti di fianco a lui, c’erano due uomini in uniforme dell’OIE, con in mano delle bombole a spray.

Joao volse di nuovo l’attenzione a Rhin, cercando di ricordarla come l’aveva incontrata all’A’Chigua.

Adesso indossava una semplice uniforme da campo dell’OIE, chiazzata di fango rosso scuro. Il suo sguar­do non era affatto invitante. «Vedo che esiste una punizione ideale per questo… traditori», disse.

Joao rimase colpito dal tono isterico della sua vo­ce e impiegò un secondo per penetrare il significato delle sue parole. Traditori?

A poco a poco prese coscienza dell’aspetto lacero e inzaccherato delle uniformi dell’OIE.

Vierho si avvicinò, lo aiutò a mettersi in piedi e gli allungò un panno per togliersi di dosso la gelati­na. «Capo, che cosa sta succedendo?» chiese. «Ab­biamo ricevuto il tuo segnale, ma tu non hai risposto al nostro.»

«Ti dirò più tardi», disse con voce sommessa nel constatare l’atteggiamento ostile di Rhin e compagni nei suoi confronti. Rhin appariva prostrata e febbri­citante.

Mentre i suoi uomini gli toglievano di dosso gli in­setti morti, sentiva il dolore provocato dalle pun­ture attutirsi per l’effetto del neutralizzatore.

«Di chi è quello scheletro nella capsula?» chiese uno dell’OIE.

Prima che Joao potesse rispondere, Rhin disse: «Morte e scheletri non dovrebbero rappresentare nulla di nuovo per Joao Martinho, traditore della Piratininga!»

«Non sono altro che dei pazzi!» esclamò Vierho.

«I suoi insetti le si sono rivoltati contro, non è così?» fece Rhin con sarcasmo. «Quello scheletro, è ciò che rimane di uno di voi, eh?»

«Che cosa significano questi discorsi sugli schele­tri?» chiese Vierho.

«Il tuo capo lo sa perfettamente», rispose Rhin.

«Vuole essere così gentile da fornirmi delle spie­gazioni?» chiese Joao.

«Non è necessario», replicò lei. «Lo faranno i suoi amici laggiù.» Indicò un punto al di là della savana dove si iniziava la giungla.

Joao seguì la traiettoria del suo braccio e vide una fila di uomini con l’uniforme bandeirante che sosta­vano con aria indifferente all’ombra della giungla, circondati da nuvole di insetti. Sfilò il binocolo dal collo di uno dei suoi uomini e mise a fuoco le imma­gini. «Padre», chiamò.

Vierho si avvicinò massaggiandosi la guancia punta da un insetto.

Joao mormorò qualcosa all’orecchio di Vierho e gli passò il binocolo in modo che potesse vedere lui stesso quei volti solcati da rughe sottili, quel lucci­chio straordinario degli occhi.

«Accidenti!» esclamò Vierho.

«Ha riconosciuto i suoi amici?» chiese Rhin.

Joao la ignorò.

Vierho passò il binocolo a un altro Irmandades. I due ricercatori dell’OIE che erano rimasti in ascolto si avvicinarono e volsero lo sguardo in direzione del­le figure che spiccavano nell’ombra della giungla.

Uno dei due si fece il segno della croce.

«Che cosa c’è in quella fossa?» chiese Joao.

«Gelatina», rispose l’uomo. «Tutto ciò che era ri­masto per neutralizzare gli insetti.»

«Non li fermerà», asserì Joao.

«Eppure li ha fermati», ribatté l’uomo.

Joao annuì. Cominciava a nutrire dei sospetti sul­la loro posizione in quel luogo. Guardò Rhin. «Dottor Kelly, dov’è finito il resto dei suoi uomini?» Con un’occhiata, passò in rassegna il personale dell’OIE. «Sono certo che il corpo dei ricercatori dell’OIE sia composto da più di sei uomini.»

Rhin strinse le labbra e rimase in silenzio.

Più Joao la guardava e più le appariva sofferente. «Allora?» insistette. Lanciò un’occhiata alle tende e si accorse che erano piuttosto malconce. «Il vostro equipaggiamento? Gli autocarri? Il laboratorio?»

«Strane domande, le sue», disse Rhin, ma dal suo tono beffardo trapelava una nota d’incertezza, e d’isterismo. «A circa un chilometro da qui, nel fit­to della giungla», indicò alla sua sinistra, «c’è il rottame di un autocarro con la maggior parte del nostro… equipaggiamento, come lei lo definisce. Le bobine dell’autocarro sono state distrutte dall’acido prima ancora che ci accorgessimo che qualcosa non funzionava. Anche il rotore di sollevamento… tutto».

«Acido?»

«Dall’odore sembrava acido ossalico, ma dall’effet­to poteva essere acido cloridrico», spiegò uno dei suoi compagni, un biondo nordico con una brucia­tura da acido proprio sotto l’occhio destro.

«Raccontate dall’inizio», incitò Joao.

«Eravamo bloccati qui, in questo luogo…» s’inter­ruppe per guardarsi attorno.

«Otto giorni fa», proseguì Rhin.

«Già», disse il giovane biondo. «Ci hanno distrut­to la radio, l’autocarro… sembravano pulci gigante­sche. Sono in grado di spruzzare acido a una distan­za di quindici metri.»

«Come quella che avete visto nella Plaza di Bahia?» chiese Joao.

«Ci sono tre esemplari morti in provetta, nel nostro laboratorio da campo», disse Rhin. «È una vera e propria organizzazione, una cooperativa di alveari. Guardi lei stesso.»

Joao si umettò le labbra con aria pensierosa.

«Ho udito parte di quello che ha detto ai suoi uo­mini», riprese Rhin. «Non penserà che noi le cre­diamo?»

«Che voi mi crediate o no, non ha importanza», replicò Joao. «Come siete arrivati fin qui?»

«Abbiamo abbandonato l’autocarro e ci siamo fat­ti strada fin qui usando un mezzo di fortuna», spie­gò il biondo. «Li abbiamo tenuti a bada per un po’, quindi siamo fuggiti portandoci dietro tutto quello che potevamo del nostro equipaggiamento. Abbiamo scavato una trincea attorno al nostro accampamento, l’abbiamo cosparsa di insetticida in polvere, gelatina spray e per finire di olio copahu… ed eccoci qui.»

«In quanti siete?» chiese Joao.

«Eravamo in quindici nell’autocarro», rispose Rhin. Fissò Joao, studiando le sue reazioni. Il suo atteggia­mento, le sue domande, tutto faceva supporre che fosse in buona fede. Si sforzò di meditare su questa ipotesi, ma la sua mente era troppo confusa, non riusciva a coordinare le idee. Fin dal primo attacco, aveva avuto la netta sensazione che nelle punture de­gli insetti ci fosse qualcosa di molto simile a una droga. Purtroppo il loro laboratorio non era suffi­cientemente attrezzato per scoprire di quale sostan­za si trattasse.

Joao si massaggiò la nuca. Le punture degli inset­ti cominciavano a farsi sentire. Passò in rassegna i suoi uomini controllando le loro condizioni fisiche, l’equipaggiamento di ognuno, contò quattro fucili a gas e vide che portavano a tracolla dei caricatori di riserva.

E c’era la sua capsula al sicuro nella trincea. Forse l’insetticida a spruzzo, di cui era cosparsa la cabina, aveva danneggiato i circuiti di controllo; rimaneva pur sempre l’aerocarro là nella savana.

«Cerchiamo di farci strada fino al carro», disse.

«Il vostro aerocarro?» chiese Rhin guardando la savana. «Penso che sia ormai fuori uso, bandeirante», aggiunse con una risata isterica. «Sono certa che d’ora innanzi ci saranno sempre meno traditori. Vi state intrappolando con le vostre stesse mani.»

Joao si volse di scatto per guardare il carro Irmandade e vide che si stava inclinando sul fianco si­nistro. «Padre!» urlò. «Tommy! Vince! Andate…» S’interruppe nel vedere l’aerocarro sprofondare ul­teriormente.

«L’avverto», disse Rhin, «stia lontano dal bordo della fossa, se prima non ha spruzzato l’insetticida dall’altro lato. Il loro getto d’acido può raggiungere anche quindici metri di distanza… come può vede­re», fece un cenno verso l’aerocarro, «l’acido corro­de il metallo e persino la plastica».

«Lei è pazza», disse Joao, «perché non mi ha av­vertito immediatamente? Avremmo potuto…»

«Avvertirla?»

L’uomo biondo disse: «Dottor Kelly, forse avrem­mo…»

«Taci, Hogar», lo interruppe lei, lanciandogli una occhiata. «Piuttosto, va’ a vedere come sta il dottor Chen-Lhu.»

«Travis? È qui?» chiese Joao.

«È, arrivato ieri con un collega che purtroppo è morto quasi subito», rispose Rhin. «Ci stavano cer­cando e sfortunatamente per loro ci hanno trovati. Credo che il dottor Chen-Lhu non sopravviverà fino a domattina.» Guardò il suo collega. «Hogar!»

«Sissignora», fece l’uomo e, alzando le spalle, si diresse verso le tende.

«Abbiamo perso otto uomini per colpa dei suoi so­ci, bandeirante», disse Rhin. Guardò lo sparuto grup­po degli Irmandades. «La morte di otto di voi… tra­ditori, non sarebbe sufficiente per ripagare la vita dei miei uomini!»

«Lei è pazza da legare», replicò Joao sentendo sorgere dentro di sé un’ira furibonda. Chen-Lhu era lì… morente? Poteva aspettare, per prima cosa c’era del lavoro da sbrigare.

«La smetta di fare la commedia, bandeirante», disse Rhin. «Li abbiamo visti i suoi amici, laggiù. Abbiamo visto i suoi ‘compagni di gioco’ e adesso è tutto chiaro: eravate troppo avidi e il gioco vi è sfuggito di mano.»

«Lei non può accusare i miei Irmandades, non ne ha le prove», dichiarò Joao. Si rivolse a Thome: «Tommy, tieni d’occhio questi pazzi. Non permetterere loro di intralciare il nostro lavoro». Prese un fucile a gas e delle cartucce di riserva, poi fece un cenno a tre uomini armati. «Voi, venite con me.»

«Capo, che cosa hai intenzione di fare?» chiese Vierho.

«Salvare il salvabile dall’aerocarro», rispose Joao.

Vierho sospirò, prese fucile e cartucce e fece se­gno agli altri di rimanere con Thome.

«Andate pure a farvi ammazzare», disse Rhin. «Non crediate che ve lo impediremo.»

Joao si trattenne a stento dal rivolgerle una se­rie di ingiurie. Gli doleva fortemente il capo e non aveva voglia di litigare. Si diresse verso il bordo della trincea, il più vicino possibile all’aerocarro, spruzzò una nube d’insetticida sull’erba al di là della fossa, quindi fece cenno agli altri di seguirlo e balzò oltre la fossa.


In seguito Joao non volle più ripensare a quei mo­menti vissuti nella savana. Avevano superato la trincea da appena venti minuti che già dovettero ritirarsi nell’isola di tende. Joao e i suoi tre compa­gni erano stati colpiti dall’acido e avevano riportato gravi ustioni. E avevano tratto in salvo solo una piccola parte del materiale che giaceva nell’aerocarro, per lo più cibo. Non avevano potuto ricupe­rare la trasmittente.

L’attacco giunse da tutte le parti, da creature na­scoste tra l’alta erba. La schiuma insetticida servì a immobilizzarli solo temporaneamente. Nessuna sostanza velenosa sparata col fucile sembrò avere altro effetto che intontire le creature. L’attacco eb­be fine soltanto quando gli uomini si misero in sal­vo dietro le trincee.

«È evidente che quei mostri hanno distrutto per prima cosa le nostre apparecchiature radio», bal­bettò Vierho. «Come potevano saperlo?»

«Non cerco di indovinare», rispose Joao. «Non muoverti mentre ti curo le ferite.»

Vierho aveva una guancia e una spalla gravemente ustionate dall’acido e i suoi abiti cadevano a bran­delli.

Joao gli spalmò dell’unguento sulle ferite, quindi si avvicinò a Lon. L’uomo, che stava già perdendo la pelle della schiena, aspettava pazientemente di es­sere curato.

Rhin venne in aiuto di Joao con rotoli di garza sterilizzata e numerosi cerotti, ma si rifiutò di par­lare, persino di rispondere alle più semplici domande.

«Ne ha ancora di questa pomata?»

Silenzio.

«Ha preso dei campioni di acido?»

Silenzio.

«Come sta Chen-Lhu?»

Silenzio.

Joao si scoprì il braccio sinistro colpito dall’acido in tre punti e vi spalmò la pomata neutralizzante, quindi coprì le ferite con delle larghe strisce di ce­rotto.

«Dove sono gli esemplari di pulce che avete cat­turato?»

Silenzio.

«Lei è stupida, disonesta e megalomane», sbottò Joao senza scomporsi. «E non mi provochi troppo.»

Il volto della donna si sbiancò e i suoi occhi verdi lampeggiarono, ma non aprì bocca.

Joao provava un dolore acuto al capo, il braccio gli pulsava e gli pareva che i suoi occhi non riuscisse­ro a distinguere bene i colori. Il silenzio della donna lo esasperava, eppure provava una strana sensazione di distacco, come se quel sentimento d’ira non fosse il suo. «Si comporta come una che voglia essere violentata», disse. «Desidera che l’affidi ai miei uo­mini? Le assicuro che non aspettano altro.» Mentre parlava le sue parole gli suonavano strane… come se avesse voluto dire qualcos’altro senza esserne ca­pace.

Il volto di Rhin era in fiamme. «Come osa!» strillò.

«Ah, adesso le va di parlare», disse Joao. «Andia­mo, non sia melodrammatica. Non ho intenzione di darle questa soddisfazione.» Scosse il capo; non era esattamente ciò che voleva dire.

Rhin lo fissò sdegnata. «Lei è un insolente…»

«Dica quello che vuole», la interruppe il giovane, «tanto i miei uomini non avranno il piacere della sua compagnia».

Dal silenzio che seguì trapelava un senso di lon­tananza, di separazione, e a Joao parve addirittu­ra che Rhin fosse diventata più piccola. Prese co­scienza di un rumore lontano, come una specie di muggito, o forse era solo lui che lo sentiva. «Quel rumore», disse.

«Capo?» chiese Vierho alle sue spalle.

«Cos’è quel rumore?»

«È il fiume, capo.» Indicò un masso di roccia scura che si ergeva in lontananza al di sopra della giungla. «C’è un baratro laggiù e, quando soffia il vento, il rumore arriva fin qui. Senti, capo…»

«Che cose c’è» Joao provò un impeto d’ira nei confronti di Vierho. Non poteva parlare chiaramente?

«Devo dirti qualcosa.» Lo guidò verso il biondo nordico che sostava presso l’entrata di una tenda.

Joao guardò Rhin. Gli aveva voltato le spalle e rimaneva in piedi a braccia conserte. La sua posa rigida e severa aveva un che di ridicolo. Joao re­presse a stento una risata e si lasciò condurre dal giovanotto. Come si chiamava? Ah, sì, Hogar.

«Questo signore qui», Vierho indicò Hogar, «dice che la dottoressa è stata punta dagli insetti».

«La prima sera», bisbigliò Hogar.

«Da allora non è più la stessa», fece Vierho. «Nel­la testa, capisci? Dobbiamo adattarci ai suoi umori.»

Joao si passò la lingua sulle labbra aride.

«Gli insetti che l’hanno punta erano simili a quel­li che hanno assalito lei», precisò Hogar.

Si sta prendendo gioco di me! pensò Joao.

«Voglio vedere Chen-Lhu», disse Joao. «Adesso.»

«Il dottor Chen-Lhu è molto grave», rispose Ho­gar. «Credo che stia morendo.»

«Dov’è?»

«Nella tenda.»

«È cosciente?»

«Sì, ma non è assolutamente in condizioni di…»

«Sono io che do gli ordini qui!» scattò Joao.

Hogar e Vierho si scambiarono una strana oc­chiata.

Vierho disse: «Capo, forse…»

«Vado a trovare Chen-Lhu adesso.» Così entrò nella tenda.

All’interno il luogo era buio e gli ci vollero alcu­ni istanti per abituare gli occhi all’oscurità. Hogar e Vierho lo seguirono nella tenda.

«La prego, signor Martinho», disse Hogar.

«Capo, forse più tardi…» mormorò Vierho.

«Chi c’è là?» La voce era bassa ma controllata e giungeva da una branda sistemata in un angolo della tenda.

Joao vide una figura umana distesa sulla branda, la macchia bianca di una fasciatura e riconobbe, nella penombra, il volto di Chen Lhu. «Sono Joao Martinho», disse.

«Ah, Johnny», mormorò Chen-Lhu alzando leggermente il tono della voce.

Hogar si inginocchiò vicino a lui e disse: «La pre­go, dottore, non deve stancarsi troppo».

C’era uno strano accento di familiarità nelle sue parole, ma Joao non riuscì a spiegarsene la ragione.

Si avvicinò alla branda e guardò Chen-Lhu. Le sue guance erano scavate come dopo un lungo digiuno e gli occhi sembravano immersi in due oscure cavità.

«Johnny», disse Chen-Lhu in un bisbiglio, «allora siamo salvi».

«Non siamo salvi», rispose Joao.

«Ahhh male, molto male», mormorò Chen-Lhu. «Allora moriremo tutti insieme, eh?» E pensò: Quale ironia! Io e il mio capro espiatorio presi nella stessa trappola. Che futilità!

«C’è ancora speranza», intervenne Hogar.

Joao scorse Vierho farsi il segno della croce e pensò: Stupido ignorante!

«Quando c’è vita, eh?» disse Chen-Lhu. Guardò Joao. «Sto morendo Johnny, ma parte del mio pas­sato mi sfugge.» E pensò: Moriremo tutti, qui e nel mio paese… anche loro moriranno. Fame o ve­leni, che differenza fa?

Hogar guardò Joao e disse: «Senhor, la prego, lo lasci in pace».

«No», si oppose Chen-Lhu, «rimanga. Ho alcune cose da dirgli».

«Non deve stancarsi, dottore», insistette Hogar.

«Che cosa importa, ormai?» mormorò Chen-Lhu. «Abbiamo marciato a occidente, eh, Johnny? Vorrei poterci ridere su!»

Joao scosse il capo. La schiena gli doleva e prova­va un fastidioso formicolio alle braccia. Improv­visamente l’interno della tenda parve rischiararsi.

«Ridere?» bisbigliò Vierho. «Madonna santa!»

«Vuole sapere perché il mio governo non ha fat­to entrare i vostri osservatori?» chiese Chen-Lhu. «Che ironia! La Grande Crociata ha avuto l’esito opposto nel mio paese. Il suolo sta diventando sem­pre più sterile. Non c’è rimedio che tenga: fertiliz­zanti, prodotti chimici, niente.»

Joao non capiva che cosa volesse dire. Sterile? Sterile?

«Andiamo incontro alla più grande carestia che la storia abbia mai descritto», asserì Chen-Lhu.

«Per via della mancanza di insetti?» chiese Vierho.

«Naturalmente!» rispose Chen-Lhu. «Cos’altro è cambiato? Abbiamo spezzato gli anelli-chiave della catena ecologica. Sappiamo anche quali… ma ades­so è troppo tardi.»

Suolo sterile, pensava Joao. Un’idea molto inte­ressante, ma in quel momento gli doleva troppo il capo per meditarci su.

Vierho, angosciato dal silenzio di Joao, si chinò su Chen-Lhu e disse: «Perché il suo popolo non am­mette il fatto, in modo da avvertire gli altri prima che sia troppo tardi?»

«Non sia sciocco», esclamò Chen-Lhu con una sfumatura di autoritarismo nella voce. «Siamo di­sposti ad arrenderci su tutti i fronti, ma perdere la faccia, mai! Ve lo rivelo perché sto morendo e perché sono certo che anche voi non sopravviverete a lungo.»

Hogar si alzò e si allontanò dalla branda come se temesse qualche contagio.

«Vede, avevamo bisogno di un capro espiatorio», spiegò Chen-Lhu. «È per questo motivo che sono venuto qui… per trovarlo. Stiamo lottando per qual­cosa molto più importante delle nostre vite.»

«Potete sempre incolpare i nordamericani», disse Hogar in tono amaro.

«Abbiamo già esaminato questa possibilità», di­chiarò Chen-Lhu. «Ma non c’è via d’uscita. Abbiamo fatto tutto da noi stessi, capisce? No… l’unica solu­zione era di trovare qui un capro espiatorio. Gli inglesi e i francesi ci avevano procurato parte dei veleni. Li abbiamo esaminati a fondo, ma senza suc­cesso. Anche i russi ci avevano aiutati… ma nel lo­ro paese la questione del nuovo equilibrio ecologi­co non è stata risolta in modo globale… soltanto fino alla linea degli Urali. Ci avrebbero dimostrato di avere gli stessi problemi e… capisce? Avremmo fatto una pessima figura.»

«Perché i russi non hanno comunicato nulla?» chiese Hogar.

Joao guardò Hogar, pensando: Parole senza sen­so, parole senza senso.

«I russi stanno silenziosamente estendendo la linea degli Urali nella zona Verde», disse Chen-Lhu. «Stanno infestando di nuovo, capisce? No… avevo dato disposizioni di trovare un nuovo insetto, tipica­mente brasiliano, che avrebbe distrutto gran parte dei raccolti… e di questo fatto avremmo incolpato… chi? Forse qualche bandeirante.»

Incolpare i bandeirantes, pensò Joao. Già, tutti si scagliano contro i bandeirantes.

«La cosa più divertente», riprese Chen-Lhu, «è quello che si vede nelle vostre zone Verdi. Sapete a che cosa alludo?»

«Lei è diabolico», esclamò Vierho con rabbia.

«No, sono soltanto un patriota», ribatté Chen-Lhu. «Non vi interessa sapere che cosa ho visto nelle vo­stre zone Verdi?»

«Parli, maledizione!» scattò Vierho.

«Ho visto i segni della stessa carestia che si è abbattuta sulla mia nazione», disse Chen-Lhu. «Frut­ti più piccoli, raccolti più poveri, foglie secche, pian­te avvizzite. Presto ve ne accorgerete tutti.»

«Allora si fermeranno prima che sia troppo tardi», affermò Vierho.

Che assurdità, pensò Joao. Chi mai si ferma prima che sia troppo tardi?

«Lei è un ingenuo, mio caro», replicò Chen-Lhu. «I vostri governanti non sono diversi dai nostri: ciò che più conta per loro è la conservazione del potere. Non si accorgeranno di nulla finché sarà troppo tardi.»

Joao si chiese come mai l’interno della tenda si fosse improvvisamente oscurato; la pelle gli bruciava e il capo gli girava come se avesse bevuto troppo. Una mano gli toccò la spalla. Abbassò lo sguardo sulla mano, poi risalì su per il braccio fino a… un volto: Rhin. Aveva gli occhi pieni di lacrime.

«Joao… senhor Martinho, sono stata una sciocca», disse.

«Hai ascoltato tutto?» chiese Chen-Lhu.

«Già», rispose lei.

«Che peccato», esclamò Chen-Lhun. «Avevo spe­rato di conservarti qualcuna delle tue illusioni… per un breve lasso di tempo, comunque.»

Che conversazione bizzarra, pensò Joao. E che stra­na persona questa Rhin. Strana anche questa tenda, con la traversa che mi gira attorno e sta per venirmi addosso.

Qualcosa si abbatté sul suo capo.

Sono caduto, pensò. Non è strano?

L’ultima cosa che udì prima di piombare nell’inco­scienza fu la voce spaventata di Vierho che grida­va: «Capo!»


In sogno vide Rhin che volteggiava su di lui di­cendo: «Non è questo il momento di discutere su chi deve dare gli ordini». E ancora in sogno le ri­volse uno sguardo cattivo pensando come fosse odiosa, nonostante la sua bellezza.

Qualcuno disse: «Che differenza fa? Tanto fra poco saremo tutti morti».

E un’altra voce aggiunse: «Guarda, guarda que­sto qui. Rassomiglia a Gabriel Martinho, il prefetto».

Joao si sentì sprofondare in un abisso dove il suo volto, chiuso in una morsa d’acciaio, era costretto a guardare nel monitor della sua cabina di pilotaggio. Lo schermo mostrava un gigantesco cervo volante col volto di suo padre. Udì un ronzio simile al verso della cicala e una voce che diceva: «Non agitarti. Non agitarti…»

Si svegliò col desiderio di urlare, ma si accorse che nessun suono gli usciva dalla gola. Il suo cor­po era bagnato di sudore e Rhin gli sedeva accanto asciugandogli la fronte. Appariva pallida e dimagrita e aveva gli occhi infossati. Per un attimo si chiese se questa Rhin dal volto emaciato fosse parte di un sogno; lo guardava dritto negli occhi, eppure non aveva l’aria di notare il suo risveglio.

Fece per parlare, ma aveva la gola troppo secca.

Quel movimento attirò l’attenzione di Rhin che si curvò su di lui e lo fissò; poi prese una borraccia e gli versò alcune gocce d’acqua in gola.

«Che cosa…» mormorò con voce roca.

«Anche lei, come me, è stato punto da un in­setto il cui veleno contiene una droga», spiegò Rhin. «Adesso cerchi di non sforzarsi.»

«Dove?»

Lei lo guardò intuendo il significato più ampio della domanda.

«Siamo tuttora in trappola», rispose, «ma ades­so pare che ci sia una possibilità di cavarcela».

Dal suo sguardo Rhin capì la domanda che le sue labbra non riuscivano a formulare.

«La sua capsula», disse. «Alcuni circuiti sono sta­ti seriamente danneggiati, ma Vierho sta tentando di sostituirli. Ora deve rimanere calmo.» Gli control­lò il polso, gli infilò un termometro in bocca e dopo poco lo lesse. «La temperatura è normale», dichia­rò. «Ha avuto in passato disturbi cardiaci?»

Istantaneamente pensò a suo padre, ma la doman­da non riguardava lui. «No», mormorò.

«Mi sono rimaste alcune trasfusioni energetiche. Potrei fargliene una, se non è debole di cuore», sug­gerì Rhin.

«La prego», fece lui.

«Introdurrò l’ago in una vena della gamba», dis­se. Quindi si curvò su una cassetta vicino alla branda da cui prese un involucro scuro e piatto, sollevò le lenzuola e cominciò la trasfusione del liquido energe­tico nella vena.

Joao avvertì una trafittura nella gamba sinistra; era ancora assopito e tutto gli sembrava così re­moto.

«Ecco come abbiamo riportato Chen-Lhu in vi­ta», continuò Rhin, tirando giù le lenzuola.

Travis non è morto, pensò. Intuì che si trattava di un fatto estremamente importante, ma gliene sfug­giva il motivo.

«Era qualcosa di più di una droga», spiegò Rhin, «la sostanza che ha avvelenato me e Chen-Lhu. L’ha scoperta Vierho nell’acqua».

«Acqua?»

Rhin credette che volesse bere e gli avvicinò la borraccia alle labbra. «Due giorni dopo il nostro ar­rivo, scavammo un pozzo in una delle tende», rac­contò. «Un’infiltrazione del fiume, naturalmente. L’ac­qua era carica di veleni, in parte nostri. Vierho sen­tì che l’acqua aveva un sapore amaro e, dopo averla analizzata, scoprimmo che conteneva un’altra sostan­za: un allucinogeno capace di produrre una reazione molto simile alla schizofrenia. Escludo che sia sta­ta mescolata all’acqua da esseri umani.»

Joao sentì che il liquido gli infondeva nuove ener­gie. Un crampo simile alla morsa della fame gli atta­nagliava lo stomaco. «Allora sono stati… ‘quelli’», commentò.

«È probabile», rispose Rhin. «Abbiamo allestito un laboratorio rudimentale. La resistenza a questo allucinogeno varia a seconda dell’individuo. Hogar sembra esserne immune, il suo organismo invece è privo di difese contro tale droga.» Gli controllò nuo­vamente il polso. «Si sente più forte?»

«Sì.»

Adesso i crampi gli stringevano i muscoli della co­scia… un dolore ritmico e acuto.

«Abbiamo analizzato lo scheletro nella capsula», riprese Rhin. «Una cosa sconcertante. Assomiglia in modo impressionante allo scheletro umano, a ecce­zione della spina dorsale e di piccoli fori… presu­mibilmente dove si attaccavano gli insetti per artico­larlo. È leggero come una piuma, ma molto resisten­te. L’affinità con la chitina è piuttosto evidente.»

Joao meditò su questo fatto, aspettando che le nuo­ve energie introdotte nel suo corpo si accumulasse­ro. Man mano che i minuti passavano, si sentiva sempre più forte. Ecco che cosa era accaduto nel frattempo: avevano riparato la capsula e analizza­to lo scheletro.

«Quanto tempo sono rimasto qui?» chiese.

«Quattro giorni», rispose Rhin. Lanciò un’occhia­ta all’orologio da polso. «Quattro giorni esatti.»

Joao captò una nota di forzata contentezza nella sua voce. Che cosa nascondeva? Stava per dare una risposta alla domanda, quando un fruscio di tessu­to e un breve lampo di luce gli preannunciarono la visita di qualcuno.

Dall’apertura della tenda emerse Chen-Lhu. Dal­l’ultima volta che lo aveva visto, appariva terribil­mente invecchiato. La pelle del suo volto era grin­zosa e cascante, le guance erano incavate. Cammina­va con grande cautela. «Vedo che il paziente è sve­glio», disse.

Joao rimase sorpreso dalla robustezza della sua voce… come se tutte le energie fisiche dell’uomo si fossero incanalate in un’unica direzione.

«Gli sto facendo una trasfusione energetica», gli comunicò Rhin.

«Ottima idea», fece Chen-Lhu. «Non ci rima­ne molto tempo. Glielo hai detto?»

«Soltanto che abbiamo riparato la capsula.»

Certe cose si devono dire con delicatezza, pensò Chen-Lhu. Con molta delicatezza. Da un temperamen­to latino ci si possono aspettare strane reazioni.

«Stiamo programmando un tentativo di fuga con la capsula», lo informò Chen-Lhu.

«Non è possibile», affermò Joao. «La capsula non può sollevarsi con più di tre persone a bordo.»

«Esatto, trasporterà tre persone», proseguì Chen-Lhu. «Ma non sarà necessario che le sollevi; in ef­fetti non potrebbe.»

«Che cosa intende dire?»

«Il suo atterraggio è stato disastroso; uno dei pattini è danneggiato e il serbatoio è rotto. Gran par­te del carburante era andato perduto, prima ancora che scoprissimo il danno. C’è anche il problema dei comandi: non sono in buone condizioni nonostante la perizia del Padre.»

«Rimane il fatto che può trasportare solo tre per­sone», insistette Joao.

«Visto che non siamo in grado di trasmettere un messaggio, possiamo portarlo», disse Rhin.

Brava ragazza, pensò Chen-Lhu. Attese che Joao assimilasse il concetto.

«Chi?» chiese Joao.

«Io stesso», rispose Chen-Lhu. «Unicamente per attestare la rovina del mio paese e avvertire la vo­stra gente prima che sia troppo tardi.»

Le parole di Chen-Lhu gli riportarono alla mente un’intera conversazione udita nella tenda: Hogar, Vierho… Chen-Lhu che blaterava su… su…

«Suolo sterile», disse Joao.

«Il suo popolo deve sapere prima che sia troppo tardi», affermò Chen-Lhu. «Per questo motivo io sarò uno dei passeggeri. E Rhin per il fatto che…» Alzò debolmente le spalle. «Diciamo per cavalleria e inoltre perché è piena di risorse.»

«E fanno due», disse Joao.

«Con lei fanno tre», concluse Chen-Lhu e rimase in attesa dell’esplosione.

Invece Joao disse semplicemente: «Ma non ha al­cun senso».

Sollevò il capo e guardò il suo corpo disteso sulla branda. «Quattro giorni qui e…»

«Ma lei è il solo ad avere… entrature politiche», disse Rhin. «È in grado di farsi ascoltare.»

Joao lasciò ricadere il capo sulla branda. «Persino mio padre non mi ascolterebbe!»

La sua asserzione provocò un sorprendente silen­zio. Rhin alzò lo sguardo su Chen-Lhu, quindi fissò Joao.

«Lei pure ha delle amicizie autorevoli, Travis», disse Joao. «Probabilmente più influenti delle mie.»

«E forse no», obiettò Chen-Lhu. «D’altra par­te, lei è l’unico che abbia visto da vicino la creatura, il cui scheletro ci porteremo dietro. Lei è un testi­mone oculare.»

«Siamo tutti testimoni oculari.»

«Abbiamo sottoposto la questione ai voti», disse Rhin. «I suoi uomini insistono.»

Joao guardò prima l’uno, poi l’altra e fece no­tare: «Ciò non toglie che dobbiamo lasciare dodi­ci uomini in questo posto. Che cosa ne sarà di lo­ro?»

«Soltanto otto, adesso», mormorò Rhin.

«Chi?»

«Hogar», rispose lei. «Thome della sua squadra, più due dei miei aiutanti: Cardin e Lewis.»

«Come?»

«C’è un oggetto che assomiglia a un flauto qena», spiegò Chen-Lhu. «La creatura nella capsula ne ave­va uno.»

«Una cerbottana», disse Joao.

«No», disse Chen-Lhu. «La loro imitazione è ancora più perfetta. Si tratta di un generatore di vi­brazioni che disgrega le cellule del sangue umano. Da quando lo abbiamo scoperto, stiamo tentando con tutte le nostre forze di tenerli lontani.»

«Adesso comprende che è nostro dovere trasmet­tere questa informazione», sottolineò Rhin.

Su questo non c’è alcun dubbio, pensò Joao.

«Deve esserci qualcun altro, più forte di me, in grado di assicurare il successo di questa missione», dichiarò Joao.

«Tra un paio d’ore sarà in perfetta forma», dis­se Rhin. «Nessuno di noi si trova in condizioni migliori delle sue.»

Joao fissò la luce grigia che filtrava attraverso il soffitto della tenda. Il carburante è scarso, i coman­di sono danneggiati. Hanno intenzione di scendere lungo il fiume, naturalmente. È l’unico mezzo per proteggerci da quelle… cose.

Rhin si alzò. «Deve riposare, per accumulare ener­gie», affermò. «Tra poco le porterò del cibo. Abbia­mo soltanto delle razioni da campo, ma sono molto nutrienti.»

Chissà che fiume sarà, quello, si chiese Joao. L’Itapura, probabilmente. Fece un rapido calcolo, ba­sandosi sulla sua conoscenza della regione e sulle ore di volo impiegate per attraversarla, prima del suo fortunoso atterraggio. Il fiume sarà lungo sette od ot­tocento chilometri. E siamo prossimi alla stagione del­le piogge. Non abbiamo una sola possibilità di ca­varcela.

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