CAPITOLO OTTAVO

Il rapporto, sebbene interessante per le sue varia­zioni, aggiunse ben poco alle informazioni generali che il Cervello aveva assorbito in precedenza. L’ap­parizione dei simulacri lungo la riva del fiume aveva suscitato in loro paura e turbamento. C’era da aspet­tarselo. Il cinese aveva dimostrato senso pratico, non condiviso dagli altri due. Questo fatto, aggiunto agli apparenti tentativi del cinese di far innamorare i due giovani, poteva essere molto significativo. Il tempo avrebbe dato i suoi frutti.

Nel frattempo, il Cervello sperimentò qualcosa di simile a un’altra emozione umana: la preoccupa­zione.

I tre nel veicolo venivano trascinati sempre più lontano dalla caverna sul fiume. Il sistema di rap­porto-calcolo-decisione-azione stava subendo ritardi molto significativi.

Gli organi sensoriali del Cervello riesaminarono le volute dei messaggeri sul soffitto della caverna.

Il veicolo si stava avvicinando a una serie di ra­pide. I suoi occupanti avrebbero potuto trovarvi la morte, oppure rinvigorire le loro forze e superarle in volo. Quello rappresentava un elemento di preoc­cupazione da prendere seriamente in esame.

Il veicolo aveva già volato una volta.

Calcolo-decisione.

«Riferite ai gruppi di azione», ordinò il Cervello, «di catturare il veicolo e i suoi occupanti prima che raggiungano le rapide. Devono catturare gli umani vivi, se possibile. Se devono essere sacrificati, l’or­dine è il seguente: il primo a essere preso sia il ci­nese, poi la regina inerme e per ultimo l’altro ma­schio».

Gli insetti sul soffitto danzarono il campione del messaggio ed emisero ronzii modulati per imprimere i vari elementi che lo componevano, quindi decolla­rono nella luce dell’alba attraverso l’imboccatura della caverna.

Azione.


Chen Lhu teneva lo sguardo fisso davanti a sé, os­servando il corso del fiume illuminato dalla luce lu­nare. Increspato dalle linee circolari dei mulinelli, simili a ragnatele, fluiva come un nastro color ar­gento per lunghi tratti diritti.

Dalla parte frontale della cabina giungevano i re­spiri di un sonno profondo, finalmente appagato.

Ora probabilmente non sarò costretto a uccidere Johnny, quello scriteriato, pensò il cinese.

Guardò la luna, attraverso il finestrino laterale e notò che era bassa e prossima al tramonto. La luce bronzea della terra si rifletteva sulla superficie non illuminata della luna e in questa zona buia si deli­nearono i tratti di un volto: Vierho.

È morto, l’amico di Johnny, pensò Chen-Lhu. Quel­lo era un simulacro apparso sulla sponda del fiume. Nessuno può essere scampato alla distruzione dell’ac­campamento. I nostri amici laggiù saranno andati incontro alla sua stessa sorte.

Si chiese allora: Come avrà affrontato la morte, Vierho… come un’illusione o come un cataclisma?

Una domanda vana.

Nel sonno, Rhin si rigirò accostandosi a Joao. «Mmmmm», mormorò.

I nostri amici insetti non aspetteranno a lungo prima di sferrare l’attacco, pensò Chen-Lhu. Natu­ralmente saranno in agguato aspettando il momento giusto e scegliendo il posto più adatto. Dove avrà luogo: in una gola rocciosa, in una insenatura? Dove?

Quel pensiero trasformava ogni ombra della notte in una fonte di pericolo. E Chen-Lhu si stupì di aver permesso alla sua mente di indugiare in simili paure.

Ciononostante rimase all’erta, coi nervi tesi.

Fuori c’era uno strano silenzio, come di attesa, la sensazione di una presenza misteriosa nella giungla.

È un’assurdità, cercò di convincersi Chen-Lhu.

Si schiarì la gola.

Joao si girò sul sedile e avvertì il calore del corpo di Rhin, rannicchiato contro il suo. Respirava som­messamente.

«Travis», bisbigliò.

«Sì?»

«Che ora è?»

«Riposi un altro po’, Johnny. Ha ancora due ore.»

Joao chiuse gli occhi, si appoggiò allo schienale ma non riuscì a riaddormentarsi. Qualcosa nella cabina… qualcosa. C’era qualcosa che richiedeva una ricogni­zione da parte sua.

Muffa.

Era più forte del solito e si mescolava all’odore acre della ruggine.

Quegli odori lo riempirono di malinconia. Gli di­cevano che tutto nella capsula si stava deteriorando e la capsula era un simbolo di civilizzazione. Quegli odori rappresentavano la fragilità umana e una mi­naccia di morte.

Accarezzò i capelli di Rhin pensando: Perché non approfittare adesso di un attimo di felicità? Domani potrebbe essere troppo tardi.

A poco a poco si riaddormentò.


L’alba fu annunciata da uno stormo di pappagalli ciarlieri, nascosti nel fitto della giungla che fiancheg­giava il fiume. Altri uccelli più piccoli si unirono al coro: si udivano trilli, battiti di ali, cinguettii.

Joao udì le grida degli uccelli, come da un’enorme distanza, che a poco a poco lo strappavano dall’asso­pimento. Aprì gli occhi, era sudato e si sentiva stra­namente debole.

Rhin, durante la notte, si era allontanata da lui; dormiva raggomitolata contro la parete della cabina.

Joao guardò la luce bianco-azzurra del nuovo giorno.

Un velo di nebbia nascondeva sia il tratto di fiume a monte sia quello a valle. L’ambiente chiuso della cabina era saturo di umidità soffocante.

Joao aveva la bocca secca e amara. Si drizzò a se­dere e si sporse in avanti per guardare attraverso la curva del parabrezza. La schiena gli doleva e aveva le gambe rattrappite.

«Johnny, non si aspetterà di veder spuntare dei soccorsi», disse Chen-Lhu.

Joao tossì e replicò: «Stavo osservando il tempo. Tra poco cominceranno le piogge».

«Forse.»

Com’è grigio il cielo, pensò Joao, il colore era cupo, plumbeo come quello di una lavagna, scenario ideale per un avvoltoio che, senza un battito d’ali, volteg­giava attraverso le cime degli alberi. Si inclinò mae­stosamente, batté le ali una volta… due volte… e vo­lò verso le vette dei monti.

Joao abbassò lo sguardo e notò che la capsula du­rante la notte si era incagliata in un’isola galleg­giante di tronchi e cespugli. Vide che i tronchi era­no ricoperti di muschio. L’isola doveva essersi for­mata tempo addietro, forse la stagione precedente… no, ancora prima. Il muschio era spesso.

Improvvisamente un vortice staccò la capsula dai tronchi.

«Dove siamo?» chiese Rhin.

Joao si volse e vide che era sveglia, ma evitava di incontrare il suo sguardo.

Che cosa diavolo avrà? pensò. Si vergogna?

«Siamo ancora nello stesso punto, mia cara Rhin», disse Chen-Lhu. «Sul fiume. Hai fame?»

«Sì, molto.»

Mangiarono in silenzio. Joao era sempre più con­vinto che Rhin facesse di tutto per evitarlo. Prima uscì dal portello e rimase a lungo sulla piattaforma galleggiante, quindi si sedette di nuovo, appoggiò la testa allo schienale fingendo di dormire.

Vada al diavolo, disse fra sé Joao. Uscì dalla cabi­na sbattendo il portello alle sue spalle.

Chen-Lhu bisbigliò all’orecchio di Rhin: «Sei sta­ta molto brava ieri sera, mia cara».

Lei parlò senza aprire gli occhi: «Va’ all’inferno!»

«Non credo nell’inferno.»

«E io invece sì?» Aprì gli occhi e lo fissò.

«Certo.»

«Ognuno ci crede a modo proprio», disse lei e richiuse gli occhi.

Per qualche motivo che non riusciva a spiegarsi le sue parole e azioni lo irritavano e non poteva fare a meno di punzecchiarla, rinfacciandole le sue credenze: «Sei una terribile calamità aborigena!»

Lei parlò senza aprire gli occhi: «Ti esprimi co­me il cardinale Newman».

«Non credi nel peccato originale?» la canzonò Chen-Lhu.

«Credo in un certo tipo di inferno», rispose lei guardandolo dritto negli occhi.

«A ciascuno il suo, eh?»

«L’hai detto tu; io no.»

«Anche tu l’hai detto.»

«Davvero?»

«Sì! È così!»

«Stai urlando», fece notare lei.

Chen-Lhu aspettò di riacquistare la calma, quindi bisbigliò: «E di Johnny che cosa ne pensi?»

«È migliore di te.»

Prima che Chen-Lhu potesse ribattere, Joao aprì il portello ed entrò nella cabina.

«Salve, capo!» disse lei sorridendo… un caldo, in­timo, accattivante sorriso.

Joao ricambiò il sorriso e scivolò sul sedile. «An­dremo incontro alle rapide, oggi», annunziò. «Lo sento. Che cosa stava urlando poco fa, Travis?»

«Oh, nulla di importante», rispose Chen-Lhu, ma la sua voce tremava di rabbia.

«Si trattava di una discussione ideologica», disse Rhin. «Travis rimane un ateo incallito fino alla fine. Io invece credo nel paradiso.» Così dicendo accarezzò la guancia di Joao.

«Perché credi che ci stiamo avvicinando alle ra­pide?» domandò Chen-Lhu e pensò: Devo interrom­pere questa conversazione. È una partita pericolo­sa, quella che stai giocando con me, Rhin.

«Innanzitutto, perché la corrente è più veloce», spiegò Joao.

Guardò fuori del finestrino frontale. La natura che li circondava stava assumendo un aspetto diverso. Le colline si avvicinavano sempre più al letto del fiume. Numerosi vortici si staccavano dalle sponde disegnando linee a spirale.

Un gruppetto di scimmie dalla lunga coda cominciò a correre di pari passo con la capsula, emettendo stridule grida tra gli alberi.

«Ogni creatura che vedo là fuori mi suggerisce una domanda: È veramente ciò che sembra?» disse Rhin.

«Quelle sono vere scimmie», ribatté Joao. «Cre­do che ci siano delle creature che i nostri amici non possano imitare.»

Adesso il fiume si restringeva e le colline erano sempre più vicine. Lungo le sponde, giganteschi al­beri di legno duro dai rami contorti lasciavano il posto a file di palme pago,che facevano da sfondo a intrichi di arbusti e liane che caratterizzano la ve­getazione della giungla. A intervalli il verde era in­terrotto da tronchi rosso bruno di guayavilla i cui rami spioventi sfioravano l’acqua.

In una curva del fiume, la capsula colse di sor­presa un uccello dalle piume rosa e dalle lunghe zam­pe che si cibava in una secca. Sbatté le pesanti ali e si alzò in volo, scomparendo dalla vista.

«Allacciatevi le cinture», disse Joao.

«È sicuro che sia necessario?» chiese Chen-Lhu.

«Sì.»

Joao udì scattare le fibbie, allacciò la sua cintura e diede un’occhiata al cruscotto per controllare le modifiche apportate da Vierho nei comandi. Botto­ne d’avviamento… spia luminosa… manetta del gas. Mosse la cloche e si accorse che era piuttosto lenta. Pregò mentalmente che il galleggiante di destra non cedesse e si preparò ad affrontare le rapide.

Giunse un suono, simile al rombo del vento che soffia attraverso gli alberi. La capsula fece un’ampia curva, quindi in un punto dove la corrente era più forte fu trascinata in un vortice e girò più volte su se stessa finché riprese la rotta originaria; là, a non più di un chilometro di distanza, scorsero un agitato ribollire di acqua schiumosa. Il fragore prodotto dal­l’acqua diventava sempre più assordante.

Joao valutò la situazione: una spessa muraglia di alberi si ergeva su entrambe le sponde, il letto del fiume si restringeva e scure pareti di roccia bagnata sovrastavano le rapide. C’era un’unica via di usci­ta: attraversare le rapide.

Era necessario valutare attentamente sia la cor­rente sia la distanza: al momento giusto i galleggian­ti della capsula avrebbero dovuto colpire le onde della corrente contraria, le quali avrebbero aiutato i galleggianti a neutralizzare il loro impatto con la violenza del fiume.

È questo il posto, pensò Chen-Lhu. I nostri amici saranno qui ad aspettarci. Afferrò un fucile a gas e cercò di tener d’occhio entrambe le sponde.

Rhin strinse i braccioli del sedile e si appoggiò contro l’imbottitura dello schienale. Sentì che sta­vano per essere inesorabilmente trascinati nel vor­tice delle acque.

«C’è qualcosa fra gli alberi alla nostra destra», avvertì Chen-Lhu.

Un’ombra oscurò l’acqua che li circondava, mentre bianche sagome svolazzanti presero a radunarsi da­vanti al natante, ostacolando la visuale.

Joao premette il bottone d’avviamento contando: uno, due, tre. Tirò la manetta del gas.

I motori si accesero con un rombo assordante che coprì il rumore delle rapide. La capsula emerse dal­l’ombra attraversando lo schermo degli insetti.

Joao fu costretto a sterzare bruscamente per evi­tare un ammasso di rocce che si elevava nel bacino superiore. Sentendosi schiacciare contro il sedile dalla forza di gravità, diminuì l’accelerazione agendo ripetutamente sulla manetta del gas. Ti prego non esplodere, pregava mentalmente. Ti prego.

«Una rete!» gridò Rhin. «C’è una rete sospesa sul fiume.»

Si ergeva sulle rapide come un serpente grondante d’acqua.

Istintivamente Joao portò la mano sulla manetta del gas spingendola violentemente contro il cruscotto.

La capsula fece un balzo in avanti e sfiorò un ba­cino rilucente d’acqua. Poi la forza della corrente la sospinse verso un’umida parete di rocce. La rete era là, sospesa nel vuoto, quando la capsula si sollevò e i galleggianti affiorarono in superficie.

Su… su…

Joao poteva vedere l’acqua che si frangeva con estrema violenza contro la rete, come se cercasse di evitare l’impatto con l’oscura parete di rocce.

Qualcosa colpì i galleggianti con un suono simile a quello prodotto da uno strappo. Il muso della cap­sula prima affondò, poi, non appena Joao tirò a sé la cloche, fece un balzo in avanti. Strani crepitii scossero il natante; violenti spruzzi d’acqua esplosero tutt’intorno.

Per un breve attimo, Joao notò un movimento lun­go il bordo della scarpata. Una fila di massi tondeg­gianti si staccarono dalla parete e caddero rimbom­bando nell’acqua.

Con un’improvvisa virata, la capsula riuscì a evi­tarli. In quel momento Joao si accorse di essere sospeso per aria. Pur sbandando e serpeggiando, sta­vano prendendo quota. Joao allentò la manetta del gas.

La capsula sfiorò rombando una fila di alberi e fu di nuovo sul fiume. Una collina irta di alberi sfrecciava sotto di loro, mentre più avanti si sten­deva un corso d’acqua lungo e stretto, simile a un getto tumultuoso di olio scuro.

Joao udì la voce di Rhin che diceva: «Stiamo vo­lando! Stiamo volando!»

«Un volo pieno di ispirazione», disse Chen-Lhu.

Joao era così emozionato che le sue mani riusci­vano a mala pena a manovrare i comandi. Vide che il fiume formava un’ampia curva e che, al di là di quella, si apriva un’estensione di terre sommerse.

Fiume scuro… terre sommerse, pensò.

Joao teneva sotto controllo la stabilità del volo. Lanciò un’occhiata a occidente: nuvole scure si ad­densavano all’orizzonte, il cielo era plumbeo e prean­nunciava un temporale. La pioggia si è riversata sui colli, pensò. E ha inondato la pianura. Deve essere accaduto durante la notte.

Si adirò con se stesso per non aver notato prima il cambiamento del colore dell’acqua.

«Che cosa non va, Johnny?» chiese Chen-Lhu.

«Niente.»

Joao spostò la manetta del gas di due tacche, i motori scoppiettarono, poi tacquero. Interruppe completamente l’afflusso del carburante.

Nel tentativo di allontanarsi il più possibile tirò a sé la cloche, sfruttando il vento e la forza d’inerzia. La capsula cominciò a vibrare in coda. Joao inclinò il muso cercando di prolungare il volo il più possibi­le, ma la capsula si comportò come tale, precipitan­do come un sasso.

Il vento al loro passaggio produceva un suono simile a un lugubre sibilo che risuonava nella cabina.

Il fiume piegava a sinistra attraverso altre terre sommerse. Un solco sottile d’acqua tumultuosa de­limitava il corso d’acqua principale. Dolcemente Joao si inclinò in virata, poi riprese la rotta seguendo quella scia. L’acqua scorreva veloce, la capsula cominciò a imbardare e Joao lottò per mantenere il controllo dei comandi.

I galleggianti urtarono con violenza contro la su­perficie dell’acqua, sollevando un’infinità di spruzzi. L’ala destra cominciò a inclinarsi… sempre più in basso.

Joao puntò a sinistra in direzione di un lido di sabbia scura.

«Stiamo affondando», constatò Rhin, con un tono da cui traspariva sorpresa mista a terrore.

«Il galleggiante di destra», disse Chen-Lhu, «ha urtato contro la rete».

Il galleggiante di sinistra grattò il fondale, si fer­mò, fece roteare brevemente quello di destra, finché anche quest’ultimo affondò. Qualcosa gorgogliò sott’acqua, seguito da un’esplosione di bolle in super­ficie. La punta dell’ala destra si trovava a pochi millimetri dal pelo dell’acqua.

Rhin tremante nascose il capo tra le mani.

«E adesso?» fece Chen-Lhu, divertito e turbato al tempo stesso al suono angoscioso della sua stessa voce.

È la fine, pensò. Qui i nostri amici ci sorprende­ranno. Non c’è più speranza.

«Adesso ripariamo il galleggiante», disse Joao.

Rhin sollevò il capo e lo guardò.

«Qui?» chiese Chen-Lhu. «Ahhh, Johnny…»

Rhin premette il dorso della mano sulle labbra, pensando: Joao lo dice per rassicurarmi, perché mi vede disperata.

«Certamente, qui», ribatté bruscamente Joao. «Ora stia zitto e mi lasci pensare.»

Rhin abbassò la mano e disse: «Ce la faremo?»

«Se ce ne danno il tempo», rispose Joao. Sganciò la calotta e la spostò in avanti, slacciò la cintura di sicurezza, guardandosi attorno per tutto il tempo, scrutando l’aria, la giungla, il fiume.

Nessuna traccia di insetti.

Uscì dalla cabina, scivolò sulla superficie obliqua del galleggiante di sinistra e scrutò la giungla al di là della spiaggia: un intrico di rami contorti, liane, piante rampicanti, felci.

«Un esercito di insetti potrebbe essere nascosto là dentro senza che ce ne accorgessimo», bisbigliò Chen-Lhu.

Joao lo guardò. Il cinese era in piedi in fondo alla cabina.

«Come pensa di riparare il galleggiante?» chiese Chen-Lhu.

Rhin gli si mise di fianco aspettando la risposta.

«Ancora non so», rispose Joao. Si volse e seguì con lo sguardo la corrente del fiume.

File di piccole onde sospinte da un soffio di ven­to increspavano l’acqua del fiume e aumentavano man mano che il vento si faceva più forte. Poi il vento cessò di colpo. L’aria e l’acqua oscillavano per l’effetto del caldo misto a umidità. Un calore opprimente irradiava dal metallo della capsula e della spiaggia.

Joao scivolò nell’acqua; era pesante e calda.

«Che cosa ne dice dei pesci cannibali?» chiese Rhin.

«Loro non mi vedono, io non vedo loro», rispo­se Joao. «Così siamo pari.» Fece il giro della cap­sula a guado per dare un’occhiata ai motori a raz­zo. L’odore del gas di scarico era molto forte e una chiazza d’olio galleggiava in superficie. Joao alzò le spalle, si chinò e passò una mano lungo il bordo esterno del galleggiante di destra per esplorare la superficie nascosta.

A un certo punto le sue dita incontrarono uno squarcio frastagliato nel metallo e i frammenti del­la riparazione di Vierho. Joao esplorò il buco e no­tò con angoscia che era molto grosso.

Chen-Lhu si calò sul galleggiante di sinistra con un fucile a gas in mano. «Il danno è molto grave?» si informò.

Joao si raddrizzò e raggiunse a guado la spiaggia. «Abbastanza.»

«Possiamo porvi rimedio?» chiese Chen-Lhu, con voce rauca.

Joao si volse e lo guardò pensando: È spaventato il poveretto!

«Prima dobbiamo tirare il galleggiante fuori dal­l’acqua, poi ne riparleremo», disse Joao. «Comun­que credo che ce la faremo.»

«Come si farà a tirarlo fuori?»

«Useremo le liane… come verricello e i rami co­me rulli.»

Rhin si sporse dal finestrino della cabina. «Quan­to tempo occorrerà?»

«Se siamo fortunati stasera avremo finito.»

«Non ci lasceranno tutto questo tempo», obiettò Chen-Lhu.

«Abbiamo un vantaggio di trenta o quaranta chi­lometri su di loro», disse Joao.

«Ma anche loro possono volare», affermò Chen-Lhu. Sollevò il fucile e lo puntò alla sua destra. «Ec­coli che arrivano.»

Joao si volse di scatto nel momento in cui Chen-Lhu lasciava partire alcuni colpi e vide che l’ampia sventagliata del fucile a gas abbatteva una fila di in­setti svolazzanti, bianchi, rossi e oro, lunghi come il pollice di una mano. Ma dietro a quelli ce n’erano altri… altri… altri…


«Ha ripreso a volare», disse il Cervello in tono di accusa.

I messaggeri, sul soffitto, danzavano e ronzavano i loro rapporti, aprendo la strada a nuovi insetti che, come tanti granelli dorati, volteggiavano nella luce solare proveniente dall’imboccatura della ca­verna.

«Il veicolo è seriamente danneggiato», riferirono i nuovi venuti. «Non è più in grado di galleggiare sul fiume e giace parzialmente sommerso dalle acque. Sembra che gli umani non abbiano subito danni. Gruppi di azione sono già stati condotti sul luogo, ma gli umani hanno opposto resistenza sparando i loro veleni su qualsiasi cosa in movimento. Quali sono le tue istruzioni?»

Il Cervello cercò di acquisire la calma necessaria per calcolare e decidere. Emozioni… emozioni, pen­sò. Le emozioni sono la rovina della logica.

Dati-dati-dati. Era completamente sommerso di da­ti, ma c’era sempre un fattore che gli sfuggiva. Nuo­vi elementi modificavano i dati precedentemente ac­quisiti. Il Cervello era in possesso di molte informa­zioni sugli umani, alcune ottenute mediante osservazione, deduzione e intuizione, altre raccolte dai microfilm disponibili nelle biblioteche allesti­te dagli umani nelle zone Rosse in previsione di un loro ritorno.

I dati rivelavano numerose lacune.

Allora il Cervello fu colto dal desiderio di potersi muovere da solo, per osservare tramite i suoi organi sensoriali tutto ciò che per il momento gli veniva trasmesso dai messaggeri. Quel desiderio provocò un’esplosione di segnali confusi dai centri di control­lo dei muscoli, inattivi e quasi atrofizzati. Numerosi insetti infermieri accorsero sulla superficie del Cer­vello, alimentando le zone in cui si erano formate quelle insolite richieste, contrapponendo additivi ormonali alle frustrazioni che per un momento ave­vano minacciato l’intera struttura.

Ateismo, pensò il Cervello, non appena la serenità chimica si fu ristabilita. Parlano di ateismo e di pa­radiso. Quegli argomenti disorientarono il Cervello. La conversazione, così come gli era stata riportata, era sorta da una discussione che riguardava i model­li di accoppiamento fra gli umani… almeno fra quelli del veicolo.

Gli insetti sul soffitto si innervosirono dovendo ripetere la domanda: quali sono le tue istruzioni?

«Quali sono le mie istruzioni?»

Le mie istruzioni.

Io… me… le mie.

Di nuovo, gli insetti infermieri accorsero.

Il Cervello riacquistò la calma e si meravigliò del fatto che dei pensieri, dei semplici pensieri, potes­sero provocare un simile sconvolgimento. La stessa cosa sembrava accadere anche agli umani.

«Gli umani nel veicolo devono essere catturati vi­vi,» ordinò il Cervello. (E si rese conto che la sua richiesta era puramente egoistica. Aveva parecchie domande da rivolgere al terzetto.) «Radunate tut­ti i gruppi di azione disponibili. Individuate un posto lungo il fiume più adatto di quello precedente e schie­rate una metà dei gruppi di azione. L’altra metà do­vrà attaccare non appena possibile.»

Il Cervello si placò senza congedare i messagge­ri, quindi, come in seguito a un ripensamento, ag­giunse: «Se tutto il resto fallisce, distruggete i cor­pi ma salvate le teste».

Adesso i messaggeri erano liberi e debitamente istruiti. Svolazzarono fuori della caverna nella chiara luce del sole e si librarono sull’acqua rumoreggiante del fiume.

A occidente una nuvola oscurò per un attimo il so­le.

Il Cervello registrò questo fatto, notando che il rumore proveniente dal fiume quel giorno era più forte.

Piogge nell’entroterra, pensò. Questo pensiero su­scitò immagini nella sua memoria: foglie bagnate, rigagnoli nella foresta, aria fredda e umida, piedi che sguazzano nel fango.

Nell’immagine, i piedi apparivano come i suoi e questo il Cervello lo considerò un fatto strano. Ma ormai gli insetti infermieri erano riusciti a ristabi­lire la serenità chimica nel loro assistito e il Cer­vello continuò a considerare ogni dato in suo pos­sesso che riguardava il cardinale Newman. In nes­sun luogo avrebbe potuto raccogliere informazioni dettagliate su questo cardinale Newman.


La riparazione consisteva, all’esterno, di foglie tenute insieme con liane e strisce di tessuto di ten­da e, all’interno, con uno spray coagulante, il con­tenuto di una bombola schiumogena che Joao ave­va fatto esplodere all’interno del galleggiante. Ora la capsula galleggiava sul fiume in senso verticale e Joao, immerso nell’acqua fino alla cintola, ne con­trollava la riparazione.

Sentiva attorno a sé i sibili intermittenti delle sca­riche dei fucili a gas e delle bombole schiumogene. L’aria era pregna dell’odore amarognolo dei veleni. Una schiuma nera e arancione fluiva giù per il fiume, formando delle chiazze che lambivano la riva incu­neandosi fra i resti delle liane utilizzate per issare la capsula. La schiuma trasportava con sé miriadi d’insetti morti.

In un momento di tregua, Rhin si sporse dalla cabina e disse: «Per amore del cielo, quanto ci vor­rà ancora?»

«Sembra che regga», rispose Joao con voce roca.

Si sfregò il collo e le braccia. I fucili e le bombole non avevano neutralizzato tutti gli insetti. La pelle gli bruciava per via delle punture e dei morsi. Quan­do sollevò lo sguardo, notò che anche Rhin aveva la fronte costellata di puntini rossi.

«In tal caso, è meglio squagliarcela», disse Chen-Lhu continuando a osservare il cielo.

Joao, colto da un improvviso capogiro, barcollò e per poco non cadde in acqua. Il corpo gli doleva per la stanchezza. Sollevò a fatica il capo per studiare il cielo. Si stava tingendo di rosso. Forse avevano ancora un’ora di luce a disposizione.

«Per amor del cielo, andiamocene», insistette Rhin.

Joao si rese conto che l’attacco era ricominciato. Si spostò dal galleggiante per portarsi sulla spiaggia e quel movimento fece allontanare la capsula. Rima­se immobile a fissarla notando che il serbatoio era stato riparato; si chiese chi avesse fatto quella ripa­razione.

Ah, sì… Vierho.

La capsula, sospinta dalla corrente, continuava ad allontanarsi da Joao. Era a circa due metri da lui. Allo stremo delle sue forze, egli avanzò di qualche passo, allungò un braccio per afferrare la punta del galleggiante di destra e si lasciò trascinare nell’acqua.

Dal portello uscì una mano che lo afferrò per il colletto. Con l’aiuto di quella mano Joao si issò sul­le ginocchia e scivolò dentro la cabina. Solo allora si accorse che era la mano di Rhin.

Chen-Lhu si dava da fare per ripulire l’abitacolo dagli insetti.

Joao sentì una trafittura alla gamba destra; abbas­sò lo sguardo e vide che Rhin, ai suoi piedi, gli stava applicando un nuovo impacco energetico.

Perché lo sta facendo? si domandò. Improvvisa­mente ricordò: Ah, sì… le punture, i veleni.

«Pensavo che l’ultima applicazione ci avesse resi immuni», disse Joao sorpreso dal suono fievole della sua stessa voce.

«È possibile», annuì lei. «A meno che non ci abbiano iniettato un nuovo tipo di veleno.»

«Credo di essere stato punto un po’ dappertut­to», fece Chen-Lhu. «Rhin, hai chiuso ermeticamen­te il portello?»

«Si.»

«Ho dato una bella spruzzata sotto i sedili e sul cruscotto.» Chen-Lhu mise una mano sotto il braccio di Joao per aiutarlo a sedersi. «Qui, Johnny, al suo posto di comando.»

«Già.» Joao barcollò in avanti e scivolò sul se­dile. Aveva la sensazione che il suo capo poggiasse su della gomma molle. «Siamo trasportati dalla corrente?»

«Sembra di sì», rispose Chen-Lhu.

Joao aveva il fiato grosso. Sentiva l’impacco energetico come una forza lontana che lottava per lui contro la stanchezza. Era tutto sudato, aveva la gola arida e bollente. Il parabrezza, di fronte a lui, era cosparso di macchie rosse e nere dello spray e di residui di schiuma.

«Sono ancora lì», lo informò Chen-Lhu, «sulla spiaggia e più in là ci sono altri gruppi».

Joao si guardò attorno. Rhin era ritornata al suo posto, aveva il fucile a tracolla, la testa appoggiata allo schienale e gli occhi chiusi. Chen-Lhu era in­ginocchiato sul cassone e scrutava la sponda di si­nistra.

D’un tratto Joao ebbe l’impressione che ogni og­getto nella cabina assumesse tonalità grigie e ver­di. Sapeva che quegli oggetti erano di altri colori, ma in quel momento li percepiva soltanto grigi e verdi… persino la pelle di Chen-Lhu… e quella di Rhin.

«I colori… non distinguo più… i colori», mormorò.

«Un parziale daltonismo», fece Chen-Lhu, «può essere un sintomo».

Joao guardò fuori del finestrino di destra e in­travide fra gli alberi un’enorme distesa di vette color grigio e, ancor più su, un sole grigioverde.

«Chiudi gli occhi e rilassati», disse Rhin.

Joao appoggiò il capo allo schienale e lo volse per guardarla.

Rhin aveva messo in disparte il fucile e si stava piegando su di lui. Prese a massaggiargli le tempie. «Scotta», disse rivolta a Chen-Lhu.

Joao chiuse gli occhi. Sentiva le mani di lei, fre­sche e rilassanti. Aveva il cervello offuscato dall’estrema stanchezza… e là, nella gamba destra sen­tiva una fitta martellante: l’impacco energetico.

«Cerca di dormire», mormorò Rhin.

«Rhin, come ti senti?» chiese Chen-Lhu.

«Mi sono applicata un impacco durante la pri­ma tregua», rispose lei. «Le dosi di ACTH sembrano dare un sollievo immediato, sempre se la puntura è superficiale.»

«E, secondo te, Johnny è stato punto più di noi?»

«Là fuori? Ma certamente.»

Joao riusciva a captare solo i suoni confusi delle loro parole, ma ne capiva il significato con una chia­rezza impressionante. Fu stranamente affascinato dai toni contrastanti delle loro voci. Quella di Chen-Lhu era carica di finzione, quella di Rhin rivelava una paura soffocata e un genuino interesse nei suoi riguardi.

Rhin gli accarezzò ancora una volta la fronte, quindi scivolò sul suo sedile. Si passò una mano sui capelli e guardò fuori, verso occidente. Qualcosa si muoveva, sì: un agitato batter d’ali… «cose» che sembravano di dimensioni ancor più grandi. Alzò gli occhi e il suo sguardo raggiunse densi cirricumuli che facevano da aureola agli alberi raggrup­pati sulle colline. Lentamente il tramonto li colorò di rosso. Distolse lo sguardo e lo posò sulla super­ficie d’acqua di fronte a lei.

Il fiume in quel punto compiva una curva a mez­za luna, che trasportava la capsula quasi in direzio­ne nord, quindi si apriva in un corso d’acqua più ampio. Le onde lambivano la sponda con sfumature luminose color malva e argento.

Dalla riva opposta riecheggiò un cupo tubare di piccioni selvatici. Rhin si guardò attorno, ma avver­tì solo immobilità e silenzio.

Il sole calava dietro le vette lontane, mentre pattu­glie notturne di pipistrelli svolazzavano, planavano e si lanciavano in picchiata. Poi al ritmico cinguettio de­gli uccelli subentrarono i suoni della notte: il lontano ruggito di un giaguaro, fruscii, stormir di fronde e un tonfo assai vicino.

E ancora una volta immobilità e silenzio.

Qualcosa che ogni essere vivente della giungla te­me, pensò Rhin.

Una luna color ambra prese ad arrampicarsi su nel cielo. La capsula scivolava lungo il riverbero lunare simile a una libellula gigante in equilibrio sull’ac­qua. Una farfalla notturna si posò sul parabrezza, agitò le ali trasparenti come la filigrana, quindi scomparve.

«Continuano a tenerci sotto controllo», disse Chen-Lhu.

Joao sentiva il calore dell’impacco energetico scor­rergli nelle vene, ma persisteva in lui quel senso di stordimento: come se fossero tante persone in una volta. Dischiuse gli occhi e posò lo sguardo sul sof­fice tappeto luminoso delle colline. Era certo di quel­lo che vedeva, tuttavia una parte di lui si sentiva avvinghiata al telone del soffitto, come se realmente stesse per rintanarsi lì. E la luna era una luna a lui estranea, qualcosa di cui non aveva mai conosciuto l’esistenza, il suo alone formato dalla luce riflessa della terra era troppo grande, il suo spicchio illu­minato dal sole troppo risplendente. Sembrava una luna posticcia su uno scenario dipinto, la cui mae­stosità lo faceva sentire piccolo, come una micro­scopica meteora vagante negli spazi infiniti dell’uni­verso.

Premette forte le palpebre, muovendo a se stesso un rimprovero: non devo lasciarmi trasportare da simili pensieri altrimenti impazzirò! Dio mio! Che cosa mi succede? Si accorse che la capsula era im­mersa in un silenzio opprimente. Rimase teso all’a­scolto per captare anche il più piccolo rumore: il respiro controllato di Rhin, Chen-Lhu che si schia­riva la voce.

Il bene e il male sono opposti creati dall’uomo: esiste solo l’onore. Il pensiero riecheggiò nella sua mente, come se avesse già sentito pronunciare quel­le parole. Sì, quelle erano le parole di suo padre… suo padre, le cui sembianze erano state plagiate per produrne un simulacro, apparsogli sulla riva del fiu­me.

La vita dell’uomo è ancorata tra il bene e il male, pensò.

«Sai, Rhin, questo è un fiume marxiano. Tutto nel mondo scorre come questo fiume. Nella vita qualsiasi cosa cambia continuamente aspetto. Ma nulla può fermare la dialettica; non si dovrebbe mai porre un limite alla dialettica. Non c’è niente di sta­tico. Non c’è mai niente di uguale due volte.»

«Oh, smettila», brontolò Rhin.

«Voi, donne occidentali, non capite l’importanza della dialettica.»

«Perché non lo dici agli insetti?» disse Rhin con ironia.

«Come è ricca questa terra», mormorò Chen-Lhu. «Hai idea della quantità di persone del mio paese che queste terre potrebbero contenere? Naturalmen­te si dovrebbero apportare leggere modifiche: disbo­scamenti, coltivazioni a terrazze… In Cina abbiamo imparato a rendere produttive e abitabili, per milio­ni di persone, estensioni di terre come queste.»

Rhin si rizzò e fissò Chen-Lhu negli occhi. «Ci ri­siamo?»

«Questi stupidi brasiliani non hanno mai imparato a far buon uso delle fortune che hanno. La mia gen­te…»

«Capisco. La tua gente viene qui e mostra loro che cosa si deve fare, è così?»

«Si potrebbe anche fare», disse Chen-Lhu, e pen­sò: Fa’ le tue dovute considerazioni, mia cara Rhin. Quando ti accorgerai che cosa c’è in palio, capirai qual è il prezzo che si può anche pagare.

«E i brasiliani allora, alcuni milioni, ammassati nelle città e negli appezzamenti di terreno della Nuo­va Colonizzazione mentre è in pieno sviluppo la lotta per l’equilibrio ecologico?»

«A poco a poco si stanno abituando allo stato attuale delle cose.»

«Possono solo sopportarlo perché sperano in un futuro migliore!»

«Oh, no, mia cara Rhin, ti sbagli, sei troppo in­genua. Gli uomini al potere possono manipolare la gente per ottenere ciò che ritengono necessario.»

«E che cosa dici degli insetti?» chiese Rhin. «Del­la Grande Crociata?»

Chen-Lhu alzò le spalle. «Li abbiamo sopportati per migliaia di anni… prima.»

«E quelli abnormi, le nuove specie?»

«Intendi dire gli esseri creati dalle mani dei tuoi amici bandeirantes? Quelli li distruggeremo con pia­cere.»

«Non sono convinta che siano stati i bandeirantes a dar vita a quelle… creature là fuori. Sono certa che Joao sia al di fuori di ogni sospetto.»

«Sì?… Allora chi è stato?»

«Forse gli stessi che non vogliono ammettere il fallimento della loro Grande Crociata.»

«Ti assicuro che non è vero!» sbottò Chen-Lhu.

Rhin abbassò lo sguardo su Joao che respirava profondamente. Era possibile? No!

Chen-Lhu si appoggiò contro la paratia pensando: Considera ben bene queste cose, mia piccola cara, e se poi sarai tormentata dai dubbi, mi seguirai co­me un agnellino. Johnny Martinho… che ideale ca­pro espiatorio: addestrato nel Nord America, è di­ventato un burattino senza scrupoli nelle mani de­gli imperialisti! Un uomo privo di pudore, che fa l’amore sotto i miei occhi con una rappresentante dell’OIE. I suoi lo crederanno capace di tutto!

Un impercettibile sorriso mosse le labbra di Chen-Lhu.

Lanciando un’occhiata nel retro, Rhin poté solo vedere i duri e squadrati lineamenti del capo del­l’OIE. È così forte, pensò. E io sono così stanca.

Appoggiò il capo sul petto di Joao, come un bam­bino in cerca di conforto e gli circondò la vita con il braccio sinistro. Com’era febbricitante! D’un trat­to la mano sbatté contro un rigonfiamento, volumi­noso, metallico. Ne tastò i contorni con i polpastrel­li e capì che era… una pistola.

Rhin ritrasse la mano e si drizzò. Per quale motivo porta con sé un’arma di cui non ci ha mai parlato?

Joao continuava a respirare profondamente fin­gendo di dormire. Le parole di Chen-Lhu gli riecheg­giavano nella mente, mettendolo in guardia, spingen­dolo all’azione. Ma era necessario usare molta pru­denza.

Rhin, con lo sguardo fisso sull’acqua, pensava… dubitava. La capsula seguiva la scia luminosa della luna. Miriadi di lucciole danzavano nel buio della foresta. Quell’oscurità le trasmetteva uno strano sen­so di perversione. Joao, riflettendo sulle parole di Chen-Lhu, pensò: Tutto nell’universo scorre come un fiume. Che cosa sto aspettando? Potrei voltarmi e uccidere quel bastardo… oppure costringerlo a confessare tutta la verità. Che parte ha Rhin in tutta questa faccenda? Non mi è sembrata molto tenera con lui. Tutto nell’universo scorre come un fiume.

L’introspezione che ne derivò fu spietata per Joao: fece affiorare timori, inquietudini che si trasforma­rono in terrore. Quelle creature là fuori, pensò, han­no il tempo dalla loro parte. La mia vita è come un fiume, scorre… attimi, ricordi… nulla di eterno, nulla di assoluto.

Si sentiva febbricitante, confuso e il suo stesso battito cardiaco disturbava quelle riflessioni.

Come un fiume.

Non ha alcuna intenzione di confessare al mondo intero il fallimento del suo paese. Ha un piano… e io rappresento lo strumento per realizzarlo.

Il vento della notte soffiava sempre più impetuo­so prima su una semiala e poi sull’altra, costringen­do la capsula a beccheggiare, a rollare. Come l’aria penetrò attraverso i filtri d’areazione, la sua sostan­za corroborante stimolò i centri nervosi di Joao. Distese le gambe, sbadigliando, quindi si mise sedu­to.

Rhin gli toccò un braccio. «Come stai?» C’era in­teresse nella sua voce, ma anche qualcos’altro che Joao non riuscì a individuare. Rinuncia? Vergogna?

«Mi sento ancora… molto caldo», sussurrò.

«Un po’ d’acqua?» disse lei e gli avvicinò la borraccia alle labbra.

Pur sapendola calda, gli parve fresca come appe­na attinta a una sorgente. Parte dell’acqua gli scivo­lò dal labbro inferiore, il che gli confermò lo stato di debolezza in cui si trovava, nonostante l’impacco energetico. Lo sforzo per deglutire fu enorme.

Sono malato, pensò, molto malato… seriamente malato.

Lentamente appoggiò la testa allo schienale e guardò attraverso il pannello trasparente. Concen­trò lo sguardo sulle stelle… tante macchioline acu­minate che sembravano minacciare le nuvole al loro passaggio. Il movimento incessante della cap­sula gli provocava un fastidioso senso di nausea. Abbassò lo sguardo e notò delle piccole luci che flut­tuavano lungo la sponda di destra. «Travis», mor­morò.

«Sì?» fece Chen-Lhu, e si domandò: Da quanto tempo sarà sveglio? Sono stato ingannato dal suo re­spiro. Ho parlato troppo?

«Quelle luci», disse Joao, «quelle luci… laggiù».

«Ah, quelle? Ci hanno seguiti per tutto il tempo, ci sono sempre stati alle calcagna.»

«Quanto è ampio il fiume in questo punto?» chie­se Rhin.

«Circa un centinaio di metri», rispose Chen-Lhu.

«Come fanno a vederci?»

«Come non potrebbero con questa luna?»

«Non sarebbe il caso di sparare un colpo solo per…»

«Risparmiamo munizioni», la interruppe Chen-Lhu. «Dopo un attacco come quello di oggi… be’, non ce la faremmo a sostenerne un altro.»

«Sento qualcosa», fece Rhin, allarmata. «Che cos’è, una rapida?»

Joao si sollevò. Lo sforzo che dovette compiere lo atterrì. Non sarò in grado di manovrare i coman­di, pensò. E dubito che Rhin o Chen-Lhu sappiano farlo.

«Che cos’è?» incalzò Chen-Lhu.

Joao sospirò. «Deve trattarsi di una secca, là a si­nistra.»

Il rumore si faceva sempre più distinto: il ritmi­co lamento dell’acqua che si frangeva contro un ra­mo insabbiato, a poco a poco, si dileguò alle loro spalle.

«Che cosa potrebbe accadere se il galleggiante di destra dovesse andare a sbattere contro una secca?»

«Sarebbe la fine.»

Un improvviso vortice fece roteare la capsula che prese a oscillare avanti e indietro in un lento, incessante pendolare. Piccoli mulinelli si infranse­ro contro i galleggianti e il movimento cessò.

«Farò un turno io stanotte, Travis», disse Rhin.

«Mi domando perché non ci attacchino mai di notte», osservò Chen-Lhu. «È molto strano.»

«Tuttavia, non ci perdono mai di vista», disse Rhin. «Dormi adesso, monterò io la guardia.»

«Come vuoi, ma non far altro.»

«Che cosa vuoi dire?»

«Be’, non dormire, mia cara Rhin.»

«Va’ all’inferno», esplose lei con rabbia.

«Dimentichi che non credo nell’inferno.»


Joao fu svegliato dal lento scrosciare della piog­gia che contribuiva a prolungare il triste grigiore dell’alba. Pigramente la luce aumentò, dando ri­flessi color acciaio alle linee oblique dell’acquaz­zone che si riversava sul verde pallido della giun­gla. Era una pioggia di una violenza monotona che picchiettava sul pannello della capsula e costella­va la superficie del fiume di un’infinità di piccoli crateri.

«Sei già sveglio?» chiese Rhin.

Joao si mise a sedere. Si sentiva riposato e i capogiri erano del tutto scomparsi. «Da quanto tem­po piove così?»

«Da mezzanotte circa.»

Chen-Lhu si schiarì la voce e si avvicinò alle spalle di Joao. «Sono ore non vedo tracce dei nostri amici. Sarà forse perché odiano la pioggia?»

«Io odio la pioggia», disse Joao.

«Che cosa intendi dire?» chiese Rhin.

«Da un momento all’altro questo fiume diventerà un inferno.» Joao guardò a sinistra verso le nuvole che si addensavano basse sopra gli alberi. «E se mai dovessero arrivare i soccorsi, non potrebbero certa­mente vederci», aggiunse.

Rhin si inumidì le labbra. Si sentiva soffocata dal­l’emozione e si rendeva conto di quanto avesse spe­rato in quei soccorsi. «Quanto… quanto durerà la pioggia?» chiese.

«Quattro o cinque mesi», rispose Joao. «Nessuno di voi è uscito?»

«Io», rispose Chen-Lhu.

Joao si voltò e notò che la tuta dell’OIE era piena di macchioline scure.

«Non ho notato nulla là fuori: pioggia, solo piog­gia», disse Chen-Lhu.

Joao sentì un pizzicore alla gamba destra. Si chinò e notò con sorpresa che l’impacco energetico non c’era più.

«Stanotte mi sono accorta che soffrivi di spasmi muscolari», lo informò Rhin, «quindi te l’ho tolto».

«Dovevo dormire profondamente, non mi sono accorto di niente.» Le accarezzò la mano. «Grazie, mia bella infermiera.»

Rhin ritrasse la mano.

Joao la fissò con espressione interrogativa, ma lei si volse e guardò fuori del finestrino.

«Vado… un momento fuori», disse Joao.

«Ti senti abbastanza in forma?» chiese lei. «Eri molto debole.»

«Adesso sto bene.» Si alzò, si diresse verso il por­tello e si lasciò scivolare sulla piattaforma galieggiante. Sentiva la pioggia calda e contemporaneamente fresca bagnargli il viso. Si rannicchiò sulla punta del galleggiante, godendo di quella frescura.

Nella cabina, Chen-Lhu disse: «Perché non sei andata fuori con lui, Rhin?»

«Sei un gran bastardo, Travis.»

«Sei innamorata di lui?»

«Ma che cosa vuoi da me?» disse lei fissandolo con odio.

«La tua cooperazione, mia cara.»

«In che cosa?»

«Vorresti possedere una miniera di smeraldi? O magari di diamanti? Una ricchezza che tu non puoi nemmeno immaginare.»

«In cambio di che cosa?»

«Lo saprai al momento giusto, Rhin. Nel frattempo renderai malleabile il nostro bandeirante.»

Rhin represse uno scatto d’ira e gli voltò le spalle. L’indole dell’uomo è tradita dalla sua conformazione fisica, pensò. Tipi come Chen-Lhu sono capaci di tutto, ti piegano, ti torchiano… ma io non voglio! Non voglio! In fondo Joao è un bravo ragazzo. Ma perché porta in tasca un revolver?

Potrei ucciderla ora e spingere Joao giù dal gal­leggiante, pensò Chen-Lhu. Ma questo natante è dif­ficile da manovrare… e io non sono molto pratico di queste cose.

Rhin lo guardò con espressione distratta.

Non è improbabile che la mia dolce Rhin cambi atteggiamento, pensò Chen-Lhu. Conosco la sua de­bolezza, certo, ma ne devo essere sicuro.

Joao rientrò nella cabina, portando con sé un pia­cevole profumo di umidità, che venne subito annulla­to dal persistente odore di muffa.

Man mano che il tempo passava, la pioggia per­deva la sua impetuosità. La cabina era satura di aria calda e umida. Nuvole, simili a giganteschi batuffoli di cotone color cinerino, sfioravano le cime delle colline che si rispecchiavano sulla superficie del­l’acqua, e innumerevoli gocce di pioggia scivolavano di foglia in foglia come festoni di perle.

La capsula si inclinava e serpeggiava lungo un turbinio d’acqua melmosa su cui affioravano relitti di ogni genere: rami, sterpaglie, ammassi di radici grandi come la capsula, interi strati erbosi, canne e giunchi.

Joao socchiuse gli occhi fantasticando sullo strano cambiamento avvenuto in Rhin. Sapeva che, proprio in virtù del loro legame del tutto casuale, avrebbe dovuto infischiarsene e al massimo buttar lì qualche commento spiritoso. Ma non si sentiva né casuale né spiritoso nei confronti di Rhin. La ragazza aveva toccato qualche corda in lui che il piacere dei sensi non aveva mai sfiorato prima.

È amore? si chiese.

Ma il loro mondo aveva rinunciato al concetto del­l’amore romantico. Esistevano solo la famiglia e l’onore per cui quelle cose erano importanti; tutto il resto comportava il concetto del fare-solo-le-cose-giuste e che di solito significava salvare ciò che era possibile di situazioni che stavano per franare.

Non riusciva ad accostarsi con chiarezza al suo pro­blema. Joao sapeva soltanto che gli era stato creato a poco a poco e che la debolezza fisica in cui si tro­vava non faceva che aumentare la confusione men­tale… inoltre, la loro situazione era senza speranza.

Sto male, pensò. Il mondo intero sta male.

È malato in tanti modi.

Un forte ronzio lo distolse dal suo torpore. Spa­lancò gli occhi e guardò verso l’alto.

«Che cosa c’è?» chiese Rhin.

Joao si portò un dito alle labbra facendole segno di tacere, quindi piegò il capo da una parte.

Chen-Lhu si avvicinò allo schienale di Joao e dis­se: «Un aerocarro».

«Mio Dio, sì!» esclamò Joao, «e vola anche basso». Guardò il cielo sopra di loro e prese a sganciare la calotta, ma venne trattenuto dalla mano di Chen-Lhu.

«Johnny, guardi là!» disse indicando a sinistra.

Joao si volse di scatto.

Dalla riva si stava avvicinando qualcosa che a pri­ma vista sembrava una strana nuvola, grande, com­patta, che si muoveva verso una ben precisa direzio­ne… Un’enorme nuvola formata da migliaia e mi­gliaia di insetti bianchi, grigi e dorati. Si librò a una cinquantina di metri sopra di loro oscurando lo spec­chio d’acqua con la sua ombra.

La nuvola abbracciò tutta la capsula seguendone l’andatura, come una barriera mobile che la nascon­deva da qualunque cosa volasse in cielo.

Non appena Joao capì il significato di quella ma­novra, si volse a fissare Chen-Lhu. Aveva i lineamen­ti alterati dallo shock.

«È una mossa… calcolata», fece Rhin.

«Com’è possibile?» chiese Chen-Lhu. «Com’è pos­sibile? Incredibile.» Nello stesso momento, egli si accorse che Joao lo stava osservando attentamente, era evidente che si rendeva conto delle sue emozio­ni. Il cinese si adirò con se stesso. Non devo mani­festare la mia paura a questi balordi! pensò. Sedette, accennò a un sorriso e scosse il capo. «Addestrare degli insetti», aggiunse, «è incredibile… ma eviden­temente qualcuno l’ha fatto. Ne vediamo i risultati.»

«Ti prego, Dio mio», mormorava Rhin. «Ti pre­go.»

«Oh, smettila con quelle lagne da femminuccia!» esclamò Chen-Lhu. Ma si rese subito conto di aver sbagliato, non era la tattica migliore da adottare con Rhin, e aggiunse: «Devi star calma, mia cara. Lasciarsi andare a isterismi non serve a niente».

Il rombo dei motori si fece più distinto.

«Siete sicuri che sia un aerocarro?» chiese Rhin. «Forse…»

«È un aerocarro bandeirante», disse Joao. «Han­no montato due motori a razzo che possono funzio­nare alternativamente per risparmiare benzina.»

«Credi che stiano sorvolando la zona alla nostra ricerca?»

«Chissà. Comunque, sono al di là delle nuvole.»

«E anche sopra i nostri amici», precisò Chen-Lhu.

La vibrazione sonica dei motori a razzo riecheggiò per le colline. Joao volse il capo per seguire la di­rezione del suono. Giungeva ora, appena percettibi­le, dal corso superiore del fiume e si fondeva col gorgoglio delle acque.

«Chissà se scenderanno a cercarci», fece Rhin.

«Non stanno cercando nessuno», spiegò Joao. «Sono semplicemente passati di qua per caso.»

Rhin sollevò lo sguardo sulla nuvola di insetti. Dal­la sua angolazione e distanza, ogni singolo insetto sembrava fondersi in un altro fino a formare un meccanismo omogeneo.

«Potremmo usare i fucili!» così dicendo Rhin prese un fucile a gas, ma Joao le afferrò un braccio e la fermò.

«Non servirebbe a niente. Il cielo è ancora tutto coperto di nuvole.»

«Senza contare i rinforzi che hanno i nostri cari insetti, certamente superiori alle nostre forze», os­servò Chen-Lhu. «Ci potrei scommettere.»

«Se almeno non ci fossero le nuvole!» esclamò Rhin disperata. «Quando si aprirà… il cielo?»

«Forse nel pomeriggio», disse Joao cercando di usare un tono convincente. «In questo periodo del­l’anno succede sempre così.»

«Se ne stanno andando!» esclamò Rhin puntando l’indice verso gli insetti. «Guardate! Se ne stanno andando.»

Joao seguì con lo sguardo la massa svolazzante che si lanciava verso la sponda di sinistra. La sua ombra l’accompagnò finché, superato il verde degli alberi, si dileguò nella giungla.

«Se ne sono andati, finalmente», disse Rhin.

«Ciò significa che anche l’aerocarro se n’è anda­to», concluse Joao.

Rhin nascose il viso fra le mani, soffocando a fa­tica le lacrime.

Joao le si avvicinò e cominciò ad accarezzarle il collo per confortarla, ma Rhin gli allontanò la mano.

Devi avvicinarlo a te, Rhin, pensò Chen-Lhu, non respingerlo. «Dobbiamo ricordare il motivo per cui ci troviamo qui», disse poi a voce alta. «E anche ciò che dobbiamo fare.»

Rhin si agitò nel sedile, allungò le braccia e trasse un sospiro talmente profondo che i muscoli del petto le si contrassero dal dolore.

«Dobbiamo tenerci occupati», riprese il cinese. «Anche facendo qualcosa di banale, se necessario. È l’unico sistema per evitare… paura, noia, rabbia. Da’ retta a me… ti descriverò un’orgia alla quale ho assistito tempo fa in Cambogia. Eravamo in otto, senza contare le signore: un principe esautorato, un rappresentante ministeriale…»

«Oh, risparmiaci, non ci interessa affatto la tua maledetta orgia!» lo interruppe Rhin.

La carne, pensò Chen-Lhu. Rifugge da qualunque cosa che possa ricordare la sua stessa carne. È cer­tamente questa la sua debolezza. Mi fa piacere con­statarlo.

«Ah sì? Benissimo. Allora raccontaci della dolce vita di Dublino, mia cara Rhin. Adoro le storie di mariti che barattano le mogli, che passano il loro tempo andando a cavallo, incuranti del passato, del presente e del futuro.»

«Sei un uomo veramente spietato!» esclamò Rhin.

«Magnifico! Forse mi odi, Rhin e te lo concedo. In fondo anche l’odio tiene occupati. Ci si può lasciare trasportare da un sentimento come l’odio e pensare a cose più vantaggiose quali la ricchezza e il piacere. Ci sono circostanze invece in cui l’odio può avere la supremazia sul piacere carnale.»

Nell’udire quelle parole, Joao si volse e notò sul viso del cinese un’espressione dura ma controllata. Usa le parole come arma, pensò. La dialettica è una spada che sfodera per attaccare e difendersi, per manovrare la gente a suo piacere. Non lo capisce Rhin? Ma certo, non può capirlo… perché è in suo potere. Chen-Lhu si sta servendo di lei per qualcosa. Per un attimo, Joao rimase stordito dei suoi stessi pensieri.

«Mi sta osservando, Johnny», disse Chen-Lhu. «Che cosa crede di scoprire in me?»

È una partita a due, pensò Joao, e rispose: «Osservo un uomo nel pieno svolgimento del suo lavoro».

Chen-Lhu lo fissò. Non era il tipo di risposta che si aspettava… troppo sottile e penetrante, aperta a qualsiasi interpretazione. Si accorse che era difficile dominare una persona libera da qualsiasi legame. Si può raggirare e piegare a piacere… un uomo che ha sprecato le sue energie, ma se quest’uomo ha resi­stito, conservandole…

«Crede di capirmi, Johnny?» chiese Chen-Lhu.

«No, non la capisco.»

«Veramente? Eppure non sono affatto complicato; è facile capirmi.»

«Questa è una delle affermazioni più complicate che un uomo abbia mai fatto.»

«Mi sta prendendo in giro?» chiese Chen-Lhu e represse un impeto di collera e di sgomento. Joao stava tirando troppo la corda.

«Come potrei fare dell’ironia se non la capisco?» chiese Joao.

«È subentrato qualcosa in lei», disse Chen-Lhu. «Cos’è? Si sta comportando in modo molto strano.»

«Ora ci capiamo a vicenda», affermò Joao.

Mi istiga, pensò Chen-Lhu. Mi sta punzecchiando. E domandò a se stesso: dovrò uccidere questo pazzo?

«Vede, ha ragione lei, è facile riuscire ad ammaz­zare il tempo e a dimenticare i guai.»

Rhin lanciò un’occhiata a Chen-Lhu e vide che le sorrideva. Parlava principalmente nel mio interesse, pensò Rhin. Ricchezza e piaceri: in ciò consiste la ricompensa. Ma qual è il prezzo? Volse lo sguardo su Joao. Sì, gli consegno un bandeirante su un vas­soio d’argento. Gli cedo Joao da utilizzare come cre­de meglio.

Ora la capsula procedeva lentamente e Rhin fis­sava le colline che facevano capolino da dietro le nuvole basse. Perché mi tormento così? pensò. Non ci rimane una sola via di scampo. Abbiamo soltanto questi momenti da vivere e l’opportunità di trarne qualsiasi piacere possibile.

«Non vi sembra di essere un po’ inclinati verso il lato destro?» chiese Joao.

«Forse sì», rispose Chen-Lhu. «Crede che la ri­parazione stia cedendo?»

«Potrebbe darsi.»

«C’è una pompa fra gli attrezzi?»

«Potremmo utilizzare una di quelle bombole», disse Joao.

Rhin concentrò la mente sull’arma che Joao por­tava con sé e disse: «Joao, fa’ che non mi prendano viva, ti prego».

«Ah, che frase da melodramma», esclamò Chen-Lhu.

«La lasci in pace!» replicò Joao. Accarezzò la mano di Rhin, quindi guardò fuori scrutando tutt’intorno. «Perché non si fanno vivi?»

«Si sono scelti un altro posto e ci stanno aspet­tando al varco», disse Rhin.

«Sempre pessimista», osservò Chen-Lhu. «Che cosa potrebbero farci? Il peggio sarebbe se volessero le nostre teste secondo le usanze degli aborigeni di una volta.»

«È proprio di grande aiuto lei», ironizzò Joao. «Mi passi una bombola.»

«Subito, capo», disse Chen-Lhu, in tono beffardo.

Joao prese l’attrezzatura delle pompe a mano, metà di plastica e metà di metallo, raggiunse il portello in coda e scivolò sul galleggiante. Si fermò un attimo per guardarsi attorno.

Non un segno delle creature che sapeva intente a osservarli.

In lontananza, a circa cinque o sei chilometri, intravide fra gli alberi una scarpata a strapiombo su un’ansa del fiume.

Roccia vulcanica, pensò. E il corso del fiume do­vrà attraversarla in qualche modo.

Si chinò sul galleggiante, sbloccò la piastra di ispe­zione e introdusse la pompa. Un sordo gorgoglio rie­cheggiò all’interno del pontone. Accostò la pompa al foro e azionò l’impugnatura a leva. Un sottile getto d’acqua ricadde ad arco sul fiume, un forte odore di veleno fuoriuscì dalla bombola.

Joao udì il grido di un tucano riecheggiare dal fitto della giungla e la voce confusa di Chen-Lhu pro­veniente dalla cabina.

Sarei curioso di sapere di cosa parla quando non ci sono, pensò.

Sollevò lo sguardo in tempo per constatare che la curva del fiume era più larga di quanto pensasse. La corrente stava ora trasportando la capsula lontano dalla scarpata. Il fatto lasciò Joao del tutto indiffe­rente. In questa stagione, pensò, il fiume può ser­peggiare per un centinaio di chilometri e tornare in­dietro di un chilometro dal punto in cui ci troviamo adesso. Improvvisamente udì la voce concitata di Rhin che urlava: «Sei un figlio di puttana!»

Chen-Lhu rispose: «Da tempo nel mio paese non si dà più importanza all’albero genealogico».

La pompa aspirò aria gorgogliando e il rumore co­prì la risposta di Rhin. Joao rimise il tappo nel foro d’ispezione e fece ritorno nella capsula.

Rhin sedeva con le braccia conserte e voltava le spalle a Chen-Lhu. Aveva le guance rosse dall’ira.

Joao infilò la pompa nella sua custodia accanto al portello e abbassò lo sgardo su Chen-Lhu.

«Ho sentito che c’era acqua nel galleggiante», disse il cinese con voce controllata.

Ci avrei scommesso, pensò Joao. Qual è il tuo gioco, dottor Travis-Huntington Chen-Lhu? È un gioco sornione? Punzecchi la gente per divertimento oppu­re c’è qualcosa sotto? Scivolò sul sedile.

La capsula dondolò sotto l’azione di piccoli flutti creati da un vortice, si girò e si portò nuovamente col muso a valle, illuminata da un improvviso rag­gio di sole che faceva capolino da dietro le nuvole. Lentamente grandi chiazze blu squarciarono il cielo plumbeo.

«È uscito il sole, il caro vecchio sole», disse Rhin. «Ora che non ci serve più.» Fu pervasa da un im­provviso desiderio di protezione e appoggiò il capo sulla spalla di Joao. «Presto farà molto caldo», mormorò.

«Se volete restare soli, posso andarmene sul gal­leggiante», commentò Chen-Lhu ironicamente.

«Ignora quel bastardo, Joao», disse Rhin.

Dovrei ignorarlo? si chiese Joao. È questo che vuo­le… che io lo ignori? Come potrei?

I suoi capelli emanavano un profumo di mughet­to così eccitante che minacciava l’autocontrollo di Joao. Trasse un profondo sospiro e scosse il capo. Che cosa c’è in lei… in questa donna così volubile… e così piena di femminilità?

«Hai avuto un sacco di ragazze, non è vero?» chiese Rhin.

Le sue parole gli riportarono alla memoria una serie di immagini… piccoli occhi scuri, dall’espressio­ne furba e distaccata: occhi, occhi, occhi… tutti si­mili fra loro. E vistose figure racchiuse in corpetti attillati o avvolte in bianchi mantelli… ardenti sot­to le sue mani.

«Nessuna ragazza particolare?» insistette Rhin.

Perché fa così? si domandò Chen-Lhu. Sta forse cercando delle giustificazioni, delle ragioni per com­portarsi con lui come vorrebbe?

«Sono stato molto occupato», disse Joao.

«Ne sono convinta», fece lei.

«Che cosa vuoi dire?»

«Be’… nella zona Verde ci sono ragazze mature come il mango. Com’è la tua ragazza?»

Joao alzò le spalle, mentre le spostava la testa per guardarla in volto, ma lei oppose resistenza.

Sollevò lo sguardo verso un punto della mascella di Joao in cui non cresceva la barba. Ha sangue indiano, pensò. Niente barba: sangue indiano. «È bella?» insistette ancora.

«Ci sono molte donne belle», rispose lui.

«Scommetto che è uno di quei tipi bruni, ben do­tati», disse lei. «L’hai portata a letto?»

Joao pensò: Che cosa vuol dire questo? Che siamo tutti uguali?

«Sei un vero signore, ti rifiuti di rispondere», continuò Rhin. Si rizzò, ritornò nel suo cantuccio domandandosi con rabbia la ragione per cui aveva parlato così. Perché mi tormento? Che cosa voglio? Voglio forse tenere Joao Martinho tutto per me? Che vada all’inferno!

«In questo paese si è molto severi con le ragazze», disse Chen-Lhu. «Un sistema ancora patriarcale.»

«Non sei mai stato umano nella tua vita, Travis?» chiese Rhin. «Neanche per una volta?»

«Smettila!» esclamò con rabbia Chen-Lhu, e pen­sò: Questa puttanella! Come osa parlarmi così?

Ah, pensò Joao. Rhin ha toccato il tasto debole.

«Che cosa ti ha reso così inumano, Travis?» chie­se Rhin.

Malgrado quelle parole, Chen-Lhu riuscì a controllarsi e si limitò a dire: «Hai la lingua lunga, mia cara. Peccato che il cervello non sia alla sua altezza».

«È una risposta che non rientra nel tuo stile, Travis», commentò lei sorridendo a Joao.

Ma Joao, che aveva notato il tono alto della loro voce, ripensò a Vierho, il Padre, che sentenziava: «Una persona tende ad alzare la voce quando si sente sola e perché si è staccata da tutto quello che aveva nella vita. Ma non importa quanto si odia la vita, perché la si ama comunque. È come un calde­rone che bolle con dentro tutto ciò che si deve ave­re, ma che scotta le labbra».

D’un tratto Joao si sporse in avanti, afferrò Rhin per le braccia e la baciò, stringendola forte a sé. Solo dopo un breve attimo di esitazione, le labbra di lei, calde e tremanti, risposero al bacio. Subito dopo, Joao si staccò, la sospinse sul sedile e si ac­quattò nuovamente al suo posto.

Non appena riprese fiato, Rhin disse: «Si può sapere che cosa ti ha preso?»

«In ognuno di noi si nasconde un temperamento animalesco», fece Joao.

Prende le mie difese? si chiese Chen-Lhu, rizzan­dosi come un fuso. Non so cosa farmene di simili difese.

Ma Rhin scoppiò a ridere, soffocando la collera di Chen-Lhu, e si protese in avanti per accarezzare la guancia di Joao. «Non l’hai fatto solo per quello, vero?»

E Chen-Lhu pensò: Sta solo facendo il suo dovere. Come recita bene! È un’attrice nata. Sarebbe un peccato doverla uccidere.

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