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A sedici anni-luce e mezzo dal Sole, in prossimità del piano dell’eclittica, c’è una stella chiamata Alpha Aquilae, l’Altair degli antichi. Dotata di lu­ce bianca, con una temperatu­ra di superficie di 11.000 °C, undici volte più luminosa del Sole, Altair irradia luce e calo­re nel vuoto privo di pianeti che la circonda.

In un altro universo, in un punto che, qualora fosse possi­bile superare l’abisso che divi­de gli universi, corrispondereb­be esattamente ad Altair, una flotta di navi spaziali cercava scampo nel grigio nulla.

Il disastro era stato comple­to, totale la disfatta. La più potente flotta che mai la Terra avesse varato s’era scontrata con il nemico ed era stata sopraffatta. La “Salamina” era colata a picco eroicamente, e quasi la metà delle forze dell’Armada della Confedera­zione era scomparsa con essa. Le navi terrestri avevano inflit­to gravi perdite al nemico, e i ribelli avevano pagato cara­mente l’aver osato sfidare la Confederazione; ma infine ave­vano vinto, avevano battuto l’Armada della Confederazio­ne. E ora, mentre i resti della flotta sconfitta ripiegavano in disordine verso la Terra, i ri­belli facevano rotta verso il Sole e cioè verso il cuore della Confederazione terrestre.

Colpita ripetutamente dal fuoco nemico, con lo scafo che faceva aria in diversi punti, con gli equipaggi decimati, ma ancora agguerrita e pronta al combattimento, l’ammiraglia della Confederazione, la “Shilo”, ripiegava penosamen­te verso la Terra. Il comandan­te dell’unità e l’ammiraglio Abli Juliene si trovavano a colloquio, davanti a un grande schermo a 3D, su cui spiccava­no le stelle di quel settore della Galassia, nonché una se­rie di punti rossi e verdi: i rossi indicavano le unità nemiche, i verdi le navi della Confederazione. I punti rossi erano deci­samente più numerosi dei ver­di, e i due gruppi, con i rossi alle spalle dei verdi, si muove­vano verso un punto che brilla­va di una vivida luce azzurra: la Terra. Il Grande Ammiraglio apri, lentamente, una busta che conteneva gli ordini da eseguirsi solo in caso di disfat­ta. Juliene aveva la faccia stan­ca e tirata, e appariva terribil­mente invecchiato.

L’ammiraglio lesse rapida­mente gli ordini, poi senza dire parola, li passò al comandante della “Shilo”. Dopo aver scru­tato nella pseudo profondità dello schermo a 3D, Juliene scosse malinconicamente il ca­po grigio. Alla fine tirò fuori un taccuino dalla tasca della giacca e si mise a scrivere.

Il comandante della “Shilo” non fece commenti e aspettò che parlasse per primo l’ammi­raglio. Juliene, però, rimase in silenzio. Senza dire una parola, porse al comandante le anno­tazioni che aveva scritto, sospi­rò, caricò la pipa, la accese e cominciò a camminare su e giù per il ponte.

Il comandante della “Shilo” premette il bottone e chiamò l’ufficiale addetto alle comuni­cazioni, al quale ordinò: «Preparate una capsula per la Terra. C’è un messaggio da spedire.» Poi infilò le note dell’ammiraglio in un apparec­chio speciale, che ne trasmise la copia all’ufficiale delle co­municazioni. Allora, finalmen­te, il comandante si voltò, ancora una volta, verso lo schermo 3D, e, al pari del Grande Ammiraglio, sospirò amaramente.


Nel ponte inferiore, l’uffi­ciale addetto alle comunicazio­ni badò a che la capsula fosse allestita immediatamente e le note manoscritte di pugno del­l’ammiraglio venissero colloca­te all’interno di essa. Successi­vamente, la capsula fu catapul­tata fuori dell’astronave e un potente plasma-jet provvide a trascinarla nel grigio Anti-spazio, verso un punto dove un mondo di nome Terra ruotava in un universo coesistente.

La capsula accelerò via via, raggiungendo una velocità ca­pace di ridurre in poltiglia un essere umano, filando sempre più rapida verso il settore del­l’universo che conteneva la Terra.

Poche ore dopo aver lascia­to la “Shilo”, essa era giunta nei pressi di un complesso di strutture che corrispondevano all’incirca all’orbita coesistente di Saturno. Dopo aver ridotto la velocità, quando fu a pochi chilometri dalla stazione Anti­spazio, la capsula si fermò del tutto, emettendo un segnale di richiamo. In risposta al segna­le, la stazione lanciò un raggio traente, che agganciò la capsu­la, trasferendola a bordo di un’Unità speciale, che si trova­va in attesa nell’Anti-spazio. La capsula attraversò il campo d’energia dell’Unità e final­mente penetrò nel continuum stellare.

Una squadra di uomini, che lavoravano lassù sotto la luce delle stelle della Galassia, dove il Sole non era che un pallido disco, aprì la capsula, estrasse il contenuto e l’infilò in una trasmittente speciale. Le note del Grande Ammiraglio, tra­dotte in impulsi elettronici, furono inviate sulla Terra, che ruotava a dieci unità astrono­miche da quel punto. Dopo circa un’ora e venti minuti il segnale arrivò sulla Luna, e di qui fu ritrasmesso al Primo Ufficiale Segnali della Confe­derazione, a Ginevra. Appena ricevuto il messaggio, esso fu decifrato e inviato subito all’uf­ficio del presidente.

Esattamente otto ore e quattordici minuti dopo che il Grande Ammiraglio aveva scritto la comunicazione sul suo taccuino, la copia di essa arrivava sul tavolo di Herrera, presidente della Confederazio­ne.

L’uomo più potente della Galassia sedeva al tavolo, fis­sando quella mezza dozzina di foglietti che annunciavano la disfatta dell’Armada più po­tente della storia dell’umanità.

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