Capitolo XI

Era giunto il momento della partenza.

Gli equipaggi delle due astronavi si schierarono, faccia a faccia, ai due lati della parete divisoria. Gli uomini della Terra, dal colorito bronzeo, e gli uomini dalla pelle proveniente dal mondo di fluoro, il cui nome rimaneva tuttavia ignoto, si dissero addio con gesti e sorrisi che rappresentavano, per entrambi, inequivocabili messaggi di amicizia.

I membri dell’equipaggio della Tellur provavano un sentimento di tristezza più acuto di quelli mai provati prima di allora, nemmeno quando avevano lasciato la loro Terra sapendo che vi sarebbero ritornati soltanto dopo sette secoli.

Non riuscivano a sopportare il pensiero che, entro pochi minuti, questi bellissimi e strani amici-sconosciuti sarebbero svaniti per sempre nello spazio cosmico per continuare la loro solitaria ma forse non disperata ricerca di altri mondi abitati da esseri pensanti simili a loro.

Ma forse solo in quel momento, gli astronauti si resero pienamente conto che la forza ispiratrice di tutte le loro ricerche, di tutti i loro sogni e di tutte le loro lotte era il sommo bene dell’Uomo, la cosa più preziosa di tutte le civiltà, di tutte le stelle, di tutti gli universi-isola; veramente l’Universo, nella sua interezza, era l’Uomo, la sua ragione, le sue emozioni, la sua forza, la sua bellezza… la sua vita!

La felicità, la conservazione e l’evoluzione dell’umanità erano lo scopo principale dell’avvenire, adesso che il Cuore del Serpente era stato sconfitto e non c’erano stati pazzeschi sprechi di energia vitale simili a quelli verificatisi nelle società umane ai livelli più bassi del loro sviluppo.

L’Uomo era l’unica forza nell’Universo capace di agire secondo intelligenza, di superare gli ostacoli più formidabili, di raggiungere lo stadio di un mondo organizzato razionalmente… il trionfo della vita onnipossente e la fioritura della personalità umana…

Il capitano dell’astronave bianca fece un segno con la mano, mentre una giovane donna, la stessa che si era spogliata per dimostrare la bellezza fisica degli abitanti del pianeta di fluoro corse verso la divisione per trovarsi viso a viso con Afra. Si appoggiò contro lo schermo trasparente ed allargò le braccia come se volesse abbracciare la donna della Terra. Afra si lanciò a sua volta contro lo schermo, come un uccellino che cercasse un varco in una gabbia di vetro. Il suo viso era bagnato di lagrime. Poi la luce si spense, dall’altra parte e la parete divisoria fu un vuoto nero dal quale non giungeva più una risposta alle insorgenti emozioni dei Terrestri.

Moot Ang ordinò l’accensione dell’illuminazione di tipo terrestre, ma la galleria, dall’altra parte, era già vuota.

«Gruppo di operazioni esterne, presto! Mettete le tute spaziali e disinserite la galleria!» la voce del capitano spezzò il silenzio carico di una strana angoscia. «Gli uomini addetti ai motori tornino ai loro posti! Astronavigatore, alla torretta di controllo. Tutti ai propri posti per la partenza!»

Tutti si affrettarono ad uscire dalla galleria, portando gli strumenti ed i registratori.

Soltanto Afra rimase indietro, immobile nella debole luce che filtrava dal portello dell’astronave. Sembrava congelata dal freddo intenso dello spazio interstellare.

«Afra, stiamo per chiudere la botola!» gridò Tey Eron, che era già ritornato a bordo. «Vogliamo vederli partire.»

La giovane donna trasalì.

«Aspetta, Tey, aspetta!» gridò; poi rincorse il capitano. Il secondo ufficiale rimase sbalordito quando vide Afra ritornare correndo insieme a Moot Ang.

«Tey, riporta il proiettore nella galleria!» disse il capitano. «Chiama i tecnici e fa rimontare lo schermo.»

L’ordine fu trasmesso in un attimo e il raggio possente del riflettore lampeggiò su e giù nella galleria, alla stessa intermittenza con cui aveva lampeggiato il localizzatore della Tellur quando le due astronavi si erano incontrate per la prima volta.

Gli stranieri interruppero il loro lavoro e ritornarono nella galleria. La Tellur accese una luce azzurra con il filtro 430, e Afra si piegò, tremando, sulla tavola da disegno; i suoi schizzi venivano ripresi da una telecamera che li proiettava sullo schermo. Partendo dalla convinzione che le catene spirali degli schemi d’eredità sulla Terra e sul pianeta di fluoro fossero all’incirca le stesse, Afra li tracciò, poi disegnò un diagramma che mostrava il metabolismo dell’organismo umano. Lanciò un’occhiata alle grige figure immobili dall’altra parte della parete divisoria, cancellò il simbolo dell’atomo di fluoro con i suoi nove elettroni e lo sostituì con il simbolo dell’atomo di ossigeno.

Gli stranieri trasalirono.

Poi il loro capitano si fece avanti e, premendo il volto contro la farete trasparente, osservò gli schizzi di Afra con i suoi occhi immensi. Finalmente alzò le mani con le dita intrecciate all’altezza della fronte, poi si inchinò davanti alla donna della Terra.

Gli abitanti del «pianeta di fluoro avevano afferrato l’idea nata all’ultimo momento nella mente di Afra, nella tensione del commiato. Afra stava pensando ad uno schema arditissimo per cambiare i processi di trasformazione chimica che erano la caratteristica principale del complesso organismo umano, per sostituire l’ossigeno al fluoro, in un processo metabolico, attraverso gli agenti dell’ereditarietà: per preservare tutte le particolarità, tutte le caratteristiche ereditarie del popolo di fluoro, pur mettendo in grado i loro corpi di trarre la loro energia da un’altra sorgente!

L’idea era troppo immensa per poter essere realizzata entro un tempo breve; era ancora più remota dei settecento anni che la Tellur doveva trascorrere lontana dal pianeta-madre… secoli e secoli di incessante progresso scientifico in continua accumulazione.

Eppure quante cose sarebbe stato possibile ottenere, unendo gli sforzi dei due pianeti! Specialmente se anche gli esseri pensanti di altri mondi avessero accettato di unirsi a loro. La razza umana del pianeta di fluoro non avrebbe dovuto estinguersi solitaria come una scintilla fantasma annientata nell’immensità dell’universo.

Quando i popoli degli innumerevoli pianeti delle innumerevoli stelle e degli universi-isola si fossero uniti, come ciò sarebbe inevitabilmente accaduto, gli abitanti del pianeta di fluoro non dovevano essere tagliati fuori da quella immensa unità soltanto perché la loro struttura fisica era diversa.

Forse, in realtà, il sentimento di tristezza di fronte alla separazione definitiva che aveva afferrato gli astronauti era immotivata. Perché, anche se erano opposte l’una all’altra per ciò che riguardava la struttura dei loro pianeti e dei loro corpi, le due razze umane della Terra e del pianeta di fluoro erano simili nel modo di vivere, erano dotate della stessa potenza intellettuale e della stessa conoscenza.

Quando Afra guardò negli occhi il capitano dell’astronave bianca, ebbe l’impressione che avesse compreso perfettamente il suo progetto. Od era soltanto un riflesso dei suoi stessi pensieri?

Eppure, gli stranieri sembravano avere nella ragione umana la stessa fede del popolo della Terra. E la scintilla di speranza accesa fra loro dalla biologa della Tellur rese meno tristi i loro gesti di saluto, perché non si trattava più di un addio, ma della promessa d’un incontro futuro.


Lentamente, le due astronavi si divisero, si allontanarono cautamente, per non danneggiarsi a vicenda con le esplosioni dei rispettivi motori ausiliari.

I motori dell’astronave bianca entrarono in funzione per primi. Vi fu un grande lampo accecante, e la nave era già scomparsa. Non rimaneva altro che lo spazio nero ed immenso.

Un minuto più tardi anche la Tellur si mosse. Dopo aver accelerato prudentemente, intraprese un balzo attraverso le insormontabili distanze interstellari.

Ben protetti nell’interno delle cupole, i componenti dello equipaggio non si rendevano più conto della compressione dei quanta luminosi né del cambiamento di colore delle stelle davanti a loro che diventavano di un violetto sempre più profondo.

L’astronave piombò nell’oscurità impenetrabile dello spazio-zero, oltre al quale la splendente vita della Terra continuava a fiorire, in attesa del suo ritorno.


Fine

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