Capitolo VII

Nella fascia di luci azzurre, l’astronave straniera era di un bianco puro. Scintillava dell’abbagliante splendore della neve montana, a differenza della Tellur, la cui armatura esterna di metallo lucido come uno specchio era stata progettata per riflettere qualsiasi tipo di radiazione cosmica. Soltanto la struttura centrale a forma di anello continuava a scintillare debolmente.

La grande massa era venuta molto vicina alla Tellur: distanti com’erano da ogni altro campo gravitazionale, le due astronavi esercitavano una sull’altra una attrazione reciproca, il che dimostrava che l’astronave proveniente da un altro mondo non era costruita di antimateria. La Tellur protese le sue strutture d’atterraggio; una serie di tubi telescopici inclinati, con imbottiture di plastica resiliente coperte di uno strato protettivo destinato a difendere la nave contro un possibile contatto con l’antimateria. Nel frattempo, sulla prua dell’altra nave apparve un’apertura nera simile ad una bocca: e ne spuntò una specie di piattaforma retrattile chiusa da una barriera di paletti.

Qualcosa di bianco si mosse nell’apertura buia, poi cinque figure uscirono sulla piattaforma. Afra trattenne il respiro. Quelle figure bianche avevano proporzioni straordinarie: avevano circa la stessa statura dei terrestri, ma la loro circonferenza toracica era molto superiore a quella degli umani, ed avevano una specie di protuberanza sul dorso. Invece di portare gli elmetti spaziali, sferici e trasparenti, portavano qualcosa di simile a grandi conchiglie, con una frangia di spine a forma di ventilatore disposta sulla fronte, più sotto, si scorgeva il riflesso cupo del vetro nero.

Il primo degli sconosciuti fece un brusco movimento che lo rivelò dotato di due braccia e di due gambe. L’astronave bianca si mosse e quando la sua prua fu puntata direttamente contro la Tellur, una struttura di metallo rosso fu spinta avanti, ad una distanza di oltre venti metri.

Vi fu un lieve urto, quando le due astronavi entrarono in contatto; ma non vi fu il lampo accecante della disintegrazione atomica: le due astronavi erano fatte dell’identica materia!

Afra, Yas e Kari udirono una lieve risata risuonare negli otofoni dell’elmetto. Era il capitano. Gli rivolsero uno sguardo interrogativo.

«Posso rassicurare tutti voi, e specialmente Afra,» disse Moot Ang. «Pensate un po’ come dobbiamo apparire strani, ai loro occhi. Fantocci bulbosi con membra articolate e grandi teste rotonde vuote per tre quarti!»

Anche Afra rise.

«Tutto dipende da quello che c’è all’interno delle tute spaziali. Non è l’involucro, quello che conta.»

«Per lo meno hanno lo stesso numero di braccia e di gambe che abbiamo noi!» osservò Kari.

Una sorta di copertura bianca a forma di fisarmonica apparve attorno alla struttura metallica emersa dall’astronave bianca; la sua estremità si protese verso la Tellur.

La prima delle figure sulla piattaforma — Moot Ang era certo che si trattava del comandante — faceva gesti di invito che non lasciavano dubbi sul loro significato. In risposta al suo gesto, il dotto tubolare che l’equipaggio della Tellur usava per comunicare con le altri astronavi incontrate nello spazio aperto emerse dal suo ricettacolo, nella parte inferiore dello scafo. Ma il dotto della Tellur era rotondo, quello della nave straniera aveva una sezione ellittica.

Per rendere possibile la connessione, i tecnici della nave terrestre costruirono in fretta una congiunzione di legno piuttosto tenero, che diventò solido come l’acciaio, non appena fu esposto al freddo intenso dello spazio aperto poiché, la temperatura bassissima cambiò la sua struttura molecolare.

Nel frattempo, una scatola cubica di metallo rosso che portava sulla parte anteriore uno schermo nero apparve sulla piattaforma dell’astronave bianca. Due componenti dell’equipaggio si curvarono su di essa, poi si raddrizzarono, arretrando. Sullo schermo apparve una figura dai contorni umani. La parte superiore di quella figura si espandeva e si contraeva, mentre sottili frecce bianche affluivano dentro di essa o ne venivano espulse, nel ritmo di espansione e di contrazione.

«Molto ingegnoso!» esclamò Afra. «E’ la respirazione. Adesso dovranno dirci qual’è la composizione della loro atmosfera. Ma in che modo?»

Quasi in risposta alla sua domanda, la figura sullo schermo fu sostituita da una macchia nera in una nube anulare grigiastra… evidentemente il nucleo di un atomo circondato dagli elettroni in orbita. Moot Ang si sentì la gola contratta. Avrebbe voluto gridare il suo sbalordimento, ma non riusciva ad emettere il minimo suono. Perché adesso c’erano quattro figure sullo schermo… due, una sull’altra, proprio nel centro, erano collegate fra loro da una spessa linea bianca, mentre le altre due, all’esterno, puntavano verso le figure centrali le loro frecce nere.

Con il cuore in tumulto, Moot Ang ed i suoi compagni contarono gli elettroni. La figura nello sfondo rappresentava probabilmente l’elemento principale degli oceani del mondo sconosciuto: mostrava un elettrone che ruotava attorno al nucleo… idrogeno. Ma la figura principale simboleggiava evidentemente il componente principale della loro atmosfera: nove elettroni in orbita attorno al nucleo significavano fluoro!

«Fluoro!» gridò delusa Afra.

«Continua a contare!» esclamò Moot Ang. «Ci sono le altre figure… Sei elettroni, e questo significa carbonio. Sette, significa azoto. Non potrebbe essere più chiaro! Passa l’ordine di preparare una tavola come quella, relativa alla nostra atmosfera ed al nostro metabolismo. Sarà identica alla loro, tranne che per la figura centrale, dove ci sarà l’ossigeno con i suoi otto elettroni, invece del fluoro. Che peccato!»

Quando la tavola fu mostrata, gli astronauti che si trovavano sulla piattaforma di osservazione della Tellur videro una delle figure bianche trasalire e portarsi una mano all’elmetto in un gesto che dimostrava chiaramente la sua delusione, non inferiore alla delusione dei terrestri.

Sporgendosi oltre il parapetto della piattaforma, il capitano dell’astronave sconosciuta fece un movimento deciso con il braccio, come per spezzare un legame invisibile. Le spine del suo elmetto scintillarono minacciosamente verso la Tellur, che si trovava parecchi metri al disotto del livello dell’altra nave. Poi la figura alzò il braccio, lo riabbassò, come se cercasse di indicare due piani paralleli.

Moot Ang ripeté il gesto, e l’altro sollevò ancora un braccio come in un gesto di saluto, si voltò e scomparve nel vano buio che si apriva dietro di lui. I suoi compagni lo seguirono.

«Scendiamo anche noi,» disse Moot Ang, abbassando la leva della discesa.

La botola si richiuse sul capo degli astronauti prima che Afra riuscisse a cogliere qualcosa di più di un semplice sguardo della magnifica vista delle stelle, accese di tutto il loro splendore nello spazio nero… una vista che l’aveva sempre affascinata. Le luci si riaccessero nella camera stagna, poi si udì il lieve sibilo delle pompe, la prima indicazione che la pressione dell’aria era ritornata eguale a quella della Terra.

«Dovremo erigere uno schermo divisorio, prima di connettere i due passaggi?» chiese Yas Tin, non appena si fu tolto l’elmetto.

«Sì,» rispose Moot Ang. «E’ quello che stava cercando di farci capire il capitano dell’altra nave. E’ una tragedia che essi non possano sopravvivere senza un’atmosfera di fluoro. L’ossigeno sarebbe velenoso. Per giunta, molti dei nostri materiali, dei nostri metalli, delle nostre vernici che sono sufficientemente stabili in una atmosfera di ossigeno, sarebbero corrosi dal loro respiro. Invece di acqua, essi hanno l’acido fluoridrico, che intacca il vetro e tutti i silicati. Dovremo erigere uno schermo trasparente che non possa venir intaccato dall’ossigeno, mentre loro dovranno erigerne uno inattaccabile dal fluoro. Ma dobbiamo affrettarci. Possiamo continuare a discutere mentre costruiamo lo schermo.»

Il vano che separava i quartieri dell’equipaggio dalla sala motori della Tellur fu trasformata in un laboratorio chimico: servendosi dei componenti portati dalla Terra, fu gettata una pesante lastra di plastica trasparente come il cristallo.

Nel frattempo, l’astronave bianca non mostrò alcun segno di vita, sebbene fosse tenuta costantemente sotto osservazione.

Nella biblioteca della Tellur ferveva il lavoro.

I componenti della spedizione stavano selezionando gli stereofilm e le registrazioni magnetiche di fotografie della Terra e di riproduzioni delle più insigni opere d’arte. Furono preparati, in tutta fretta, disegni e diagrammi che mostravano le funzioni matematiche e la struttura cristallina delle sostanze più comuni della Terra, degli altri pianeti del sistema e del sole stesso.

Un grande schermo stereoscopico fu adattato ed una unità sonora potentissima, che riproduceva la voce umana senza la minima distorsione, fu incastonata in un involucro a prova di fluoro.

Durante i brevi intervalli dedicati ai pasti ed al riposo, l’equipaggio della Tellur discuteva della strana atmosfera del pianeta da cui erano partiti gli occupanti dell’altra astronave.

I processi messi in atto sul pianeta sconosciuto dall’energia irradiata dal suo sole avevano reso possibile l’esistenza della vita e l’accumulazione di energia sufficiente a controbilanciare la dissipazione; dovevano aver seguito uno schema generale simile a quello evolutosi sulla Terra. Un gas libero attivo — ossigeno, fluoro o qualsiasi altro — poteva accumularsi in una atmosfera soltanto come risultato delle funzioni vitali delle piante. In qualunque circostanza la vita animale, compresa quindi la vita umana, doveva servirsi di tale gas, combinandolo con il carbonio, come componente basilare e delle piante e degli animali.

Gli oceani di quel pianeta dovevano essere costituiti di acido fluoridrico, che veniva scisso dalle piante con l’aiuto dell’energia radiante del sole del sistema, (così come le piante della Terra spezzavano l’acqua, costituita di idrogeno ed ossigeno) accumulando gli idrati di carbonio e liberando il fluoro. Il fluoro, mescolato all’azoto, veniva respirato dagli umani e dalle bestie, che ottenevano d’energia vitale dalla combustione degli idrati di carbonio nel fluoro, e dovevano esalare fluoruro di carbonio e fluoruro d’idrogeno.

Questo tipo di metabolismo doveva dare loro una energia pari ad una volta e mezzo l’energia di un metabolismo fondato sull’ossigeno. E, senza dubbio, poteva dare origine all’evoluzione delle più alte forme di vita. Ma l’estremo grado di attività del fluoro richiedeva, senza dubbio, una più intensa radiazione solare. Per produrre energia sufficiente per spezzare le molecole di fluoruro di carbonio per fotosintesi, era indispensabile una radiazione non appartenente alla zona giallo-verde, che invece serviva per l’acqua; erano necessarie le più potenti radiazioni azzurre e violette. Era evidente che il sole di quel pianeta sconosciuto era una stella azzurra estremamente calda.

«Qui c’è una contraddizione,» osservò Tey Eron, che era appena rientrato dal laboratorio. «Il fluoruro d’idrogeno [O acido fluoridrico (n.d.t)] si trasforma rapidamente in gas.»

«Verissimo. A più di venti gradi,» rispose Kari, gettando uno sguardo su un manuale.

«E qual’è il suo punto di congelamento?»

«Meno ottanta.»

«Questo significa che il pianeta è piuttosto freddo. In che modo questa teoria può adattarsi all’ipotesi del sole azzurro molto caldo?»

«Non c’è nessuna discrepanza,» notò Yas Tin. «Può darsi che il pianeta si trovi in un’orbita lontana dal sole. E i suoi oceani potrebbero trovarsi nelle zone temperate o polari. Oppure…»

«Possono esservi parecchie ragioni,» intervenne Moot Ang. «Ci siamo imbattuti, nello spazio, in un’astronave proveniente da un pianeta dall’atmosfera al fluoro e fra poco conosceremo certo tutti i dati che ci interessano. Ma c’è un altro particolare molto interessante: il fluoro non è un elemento comune, nell’universo, in generale. Anche se le scoperte più recenti lo hanno portato dal quarantesimo al diciottesimo posto per quanto riguarda la prevalenza, l’ossigeno rimane l’elemento più comune, dopo l’idrogeno e l’elio, seguito dall’azoto e dal carbonio. Altri calcoli dimostrano che, in natura, l’ossigeno è duemila volte più frequente del fluoro. E’ una chiara indicazione che in tutto l’universo esistono pochissimi pianeti ricchi di fluoro, e un numero ancora inferiore di pianeti dotati di una atmosfera di fluoro… ossia, di pianeti che abbiano una vegetazione la quale abbia liberato il fluoro nell’atmosfera. Deve trattarsi di un tipo di pianeta molto raro.»

«Adesso capisco il gesto di delusione del loro capitano!» disse Afra Devi. «Stavano cercando altri esseri umani simili a loro. Ecco perché sono rimasti così sconvolti!»

«Questo farebbe pensare che stanno cercando già da molto tempo e che hanno già trovato altri esseri pensanti.»

«Sì, ma che respirano ossigeno, come noi!» gridò Afra.

«Possono esistere atmosfere di altro tipo,» obiettò Tey Eron. «Di cloro, per esempio, o di solfo, o di solfuro di idrogeno.»

«Non potrebbero produrre le più alte forme di vita, però,» esclamò Afra, trionfalmente. «Non sarebbero in grado di fornire ad un organismo se non una energia equivalente da un terzo a un decimo dell’energia fornita all’ossigeno!»

«Ma questo non si può applicare al solfo,» osservò Yas Tin.

«E’ l’equivalente dell’ossigeno!»

«Stai pensando ad un’atmosfera di anidride solforosa e ad un oceano di solfo liquido?» chiese Moot Ang all’ingegnere.

Yas Tin annuì.

«Ma in questo caso l’idrogeno prenderebbe il posto dell’idrogeno, non dell’ossigeno, se facciamo il confronto con la Terra,» intervenne Afra. «E l’idrogeno è l’elemento più comune dell’universo. Il solfo, per la sua rarità, potrebbe prendere difficilmente il posto dell’idrogeno. Una simile atmosfera sarebbe, ovviamente, un fenomeno ancora più raro che una atmosfera di fluoro.»

«E sarebbe possibile soltanto su un pianeta molto caldo,» disse Tey Eron, voltando le pagine di un manuale. «Un oceano di solfo sarebbe liquido soltanto ad una temperatura variabile da cento a quattrocento gradi.»

«Secondo me ha ragione Afra,» disse Moot Ang. «Le atmosfere di cui abbiamo parlato sono molto meno probabili del nostro tipo di atmosfera, consistente negli elementi più comuni dell’universo. Al di fuori di questo tipo, vi sono soltanto fenomeni estremamente improbabili.»

«Su questo punto sono d’accordo,» ribatté Yas Tin. «Ma gli elementi del caso intervengono spesso nell’immensità dell’universo. Prendi la nostra Terra, la nostra Terra di tipo “standard". Tanto la Terra, quanto i suoi vicini, Marte e Venere, possiedono una grande quantità di alluminio, che è invece piuttosto raro nel resto dell’universo.»

«Eppure possono passare decine se non centinaia di migliaia di anni perché si verifichi la ripetizione di questi fenomeni casuali,» disse Moot Ang. «Anche con le astronavi di nuovo tipo! Se gli occupanti dell’altra astronave stanno veramente cercando da tanto tempo un altro mondo simile al loro, comprendo ciò che possono aver provato, quando hanno incontrato noi.»

«E’ un’ottima cosa che la nostra atmosfera consista degli elementi più comuni dell’Universo,» disse Afra. «Per lo meno abbiamo buone speranze di trovare molti altri pianeti simili al nostro.»

«Eppure il nostro primo incontro è avvenuto con gli abitanti di un pianeta diverso,» osservò Tey.

Afra aveva già la risposta pronta ma il chimico dell’astronave entrò in quel momento per annunciare che lo schermo trasparente era pronto.

«Ma non potremmo salire sull’altra astronave indossando le tute spaziali?» chiese Yas Tin.

«Certo che potremmo. E loro potrebbero visitare la nostra, nello stesso modo. Probabilmente ci scambieremo visite… ma sarà meglio che ci abituiamo a trattare a distanza,» rispose il capitano.

I terrestri montarono lo schermo di plastica trasparente all’estremità del dotto tubolare, mentre gli occupanti dell’altra nave facevano altrettanto.

Poi, i componenti di entrambi gli equipaggi si incontrarono nello spazio, dove lavorarono insieme a connettere fra loro le due gallerie; e si scambiarono leggere pacche sulle spalle e sulle braccia, in segno di amicizia.

Protendendo in avanti le protuberanze dei loro elmetti, gli stranieri cercavano di sbirciare oltre gli elmi dei terrestri, che consentivano una visione migliore: nulla, invece, si poteva scorgere dei lineamenti degli sconosciuti. Eppure, i terrestri avevano la sensazione istintiva che quegli occhi curiosi li studiassero con una indubbia benevolenza.

Quando furono invitati a salire a bordo della Tellur, le figure vestite di bianco espresso a gesti il loro rifiuto. Uno di essi toccò l’elmetto e protese le braccia, come per fracassare qualcosa.

Tey comprese che lo straniero temeva per la sorte del suo elmetto, in una atmosfera di ossigeno.

«E’ chiaro che hanno avuto la nostra stessa idea, e che prima vogliono incontrarci nella galleria,» disse Moot Ang.

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