Capitolo IV

L’equipaggio della Tellur era raccolto in biblioteca. Erano tutti presenti, tranne un uomo che era rimasto di guardia ai comandi dei meccanismi elettronici, costruiti per segnalare qualsiasi avaria dei circuiti.

L’astronave aveva rallentato di molto la velocità, ma non prima di aver percorso più di diecimila milioni di chilometri oltre il punto in cui aveva incrociato l’astronave proveniente da un altro mondo. Adesso si muoveva ad una velocità pari ad un ventesimo della velocità assoluta, ed era trattenuta sulla rotta esatta del ritorno dai meccanismi calcolatori. Sarebbero passati per lo meno otto giorni terrestri prima che le due astronavi potessero incontrarsi… purché la Tellur si mantenesse entro un margine di errore ammissibile e purché gli sconosciuti navigatori degli spazi possedessero, a loro volta, strumenti altrettanto precisi ed una astronave altrettanto sicura.

Se tutto fosse andato per il meglio, le due navi, due minuscoli punti nell’infinità del cosmo, avrebbero potuto entrare l’una nella portata del localizzatore dell’altra.

E quando ciò fosse accaduto, l’uomo, per la prima volta nella sua storia, avrebbe incentrato i suoi simili provenienti da un’altra parte dell’universo, esseri pensanti dotati di potenza e di aspirazioni simili alte sue: esseri la cui esistenza era stata prevista e presentita dalla ragione umana, al di là di ogni dubbio.

E se, prima di allora, i vasti abissi del tempo e dello spazio che separavano i mondi abitati erano stati invalicabili, ora i terrestri avrebbero stretto la mano di altre creature pensanti, avrebbero stabilito per loro mezzo un legame con tutti gli altri, come pegno del trionfo finale del pensiero e del lavoro cosciente su tutte le forze elementari della natura.

Per miliardi di anni, minuscole gocce di protoplasma vivente avevano abitato le cupe, calde acque degli abissi oceanici, ed altre centinaia di milioni di anni erano trascorsi, prima che si sviluppassero in organismi più complessi, che finalmente potevano emergere dall’acqua, verso la terraferma. E altri milioni di anni erano trascorsi in una elementare lotta per la sopravvivenza, in balia delle forze della natura, prima che il cervello diventasse uno strumento poderoso che guidava la ricerca del cibo delle creature viventi e la loro lotta per sopravvivere.

L’evoluzione era divenuta più rapida, la lotta per l’esistenza era diventata più dura, la selezione naturale aveva proceduto ad un ritmo più veloce. E durante quel lungo cammino, c’erano state innumerevoli vittime… gli animali erbivori divorati dai carnivori, i carnivori che erano morti di fame: i deboli e i malati che avevano dovuto soccombere, i maschi uccisi nella lotta per la conquista della femmina, gli individui morti difendendo i loro piccoli oppure uccisi da catastrofi naturali.

Tutto questo si era verificato nel lungo corso di una cieca evoluzione elementare fino a che un lontano parente della scimmia, nel durissimo periodo della grande glaciazione, aveva sostituito l’istinto con la fatica cosciente, nella sua ricerca dei mezzi per sopravvivere: era la creatura che poi era diventata uomo non appena si era resa conto, per la prima volta, della potenza rappresentata dall’unione della fatica e dell’esperienza razionale.

Ma, da allora, dovevano passare ancora migliaia di anni di guerre e di sofferenze, di fame e di oppressione e di ignoranza: ma sempre erano presenti nell’uomo la speranza e la fede in un futuro migliore.

E quella speranza, quella fede non erano state deluse. Il futuro radioso sognato dagli uomini era diventato realtà; l’umanità, unita in una società priva di classi e libera dalla paura e dall’oppressione, aveva raggiunto altissime mete scientifiche ed artistiche che non avevano eguali in tutta la storia.

E ciò che era sembrato il passo più difficile, la conquista dello spazio, era ormai compiuto. E, finalmente, al culmine della sua lunga, laboriosa ascesa lungo la scala del progresso, l’ultimo frutto della conoscenza e del lavoro umano, la costruzione della Tellur, l’astronave ad autonomia immensa, che adesso esplorava le zone più lontane dell’universo.

Ora, questo supremo prodotto dell’evoluzione tecnica della Terra e del Sistema Solare stava per entrare in contatto con qualcosa che rappresentava il coronamento di un’altra evoluzione, forse non meno tortuosa e difficile, iniziata miliardi di anni prima in un altro angolo dell’universo.

Questi pensieri, in una forma o nell’altra, si affacciavano alla mente dei componenti dell’equipaggio della Tellur. Anche la giovanissima Taina era impaurita dal tremendo significato di quel momento. Chi poteva sapere se quel pugno di esseri umani, che rappresentavano i miliardi di abitanti della Terra, si sarebbero dimostrati degni del loro compito? Avrebbero potuto rappresentare degnamente il lavorò, la perfezione fisica, l’intelligenza e la costanza dell’umanità? In che modo bisognava prepararsi a quell’incontro? Non c’era altro da fare che riconsiderare da grande, durissima battaglia che l’umanità aveva condotto per la conquista della libertà del corpo e dello spirito.

Ma in quel momento era ancora più eccitante il pensiero del prossimo incontro con creature viventi provenienti da un altro mondo. Quale poteva essere il loro aspetto? Mostri, o modelli di perfezione, secondo i canoni terrestri?

Toccava ad Afra Devi, nella sua qualità di biologa, parlare per prima.

Con le guance accese dall’eccitazione, Afra pareva ancora più bella del solito. Mentre parlava, il suo sguardo si posava frequentemente sul grande dipinto che sovrastava la porta: un panorama colorato e tridimensionale d’una scena montuosa dell’Africa Equatoriale. Lo sconvolgente contrasto fra i pendii ricoperti di cupe foreste e lo scintillante splendore della vetta sembrava illustrare il suo pensiero.

Afra ricordò i tempi antichi, in cui si credeva comunemente che esseri pensanti potessero esistere praticamente sotto ogni forma, e che la struttura del loro organismo potesse variare grandemente. Questo era accaduto quando la sopravvivenza di alcuni pregiudizi avevano indotto anche gli scienziati più seri a ritenere che un cervello si potesse sviluppare in qualsiasi corpo… proprio come un tempo gli uomini avevano creduto che i propri dei potessero assumere qualsiasi forma fisica. Ma ormai l’anatomia e la fisiologia dell’uomo, l’unica creatura terrestre dotata di un cervello capace di pensiero razionale, non erano più ritenuti il prodotto di un accidentale capriccio della natura. Al contrario, esse rappresentavano il massimo grado di adattamento all’ambiente e corrispondevano alle capacità di ragionamento ed all’attività nervosa così poderosamente sviluppale dell’uomo.

Il nostro concetto di bellezza negli esseri umani e di bellezza in generale si era evoluto nel corso di migliaia di anni, come l’accettazione inconscia di forme strutturali meglio adatte per l’una o per l’altra azione.

Ecco perché noi scopriamo la bellezza in una macchina possente, nelle onde dell’oceano, negli alberi e nei cavalli, così come la scopriamo negli esseri umani. Anche allo stadio animale, l’uomo, grazie allo sviluppo del suo cervello, non era stato-costretto ad adattarsi ad un unico modo di vita, come accadeva invece per la maggioranza delle bestie.

Le gambe umane non erano adatte ad una corsa prolungata neppure su un terreno solido, eppure mettevano l’uomo in grado di spostarsi velocemente e di arrampicarsi sulle rocce e sugli alberi.

In quanto alla mano è l’organo più universale, capace di compiere milioni di gesti, di fare milioni di cose: è stata la mano, che ha trasformato la bestia primitiva in un essere umano…

In altre parole, l’uomo, fin dai primi stadi della sua evoluzione, progredì come un organismo universale adattabile ad una grande varietà di condizioni. Con l’avvento della prima organizzazione sociale, l’organismo dell’uomo si adattò progressivamente alle sue multiformi attività. A differenza degli altri animali, la bellezza degli esseri umani consiste non soltanto e non tanto nella perfezione fisica quanto nella universalità raggiunta dall’attività della loro mente e nella nobiltà del loro spirito.

«Qualunque essere pensante, proveniente da un altro mondo, che sia in grado di raggiungere l’universo deve essere perfetto ed universale come gli umani della nostra Terra, ed altrettanto bello,» proseguì Afra. «Di conseguenza non possiamo aspettarci mostri, uomini-fungo o uomini-scarafaggi. Non saprei dire quale sarà esattamente l’aspetto degli esseri che incontreremo: forse una forma simile alla nostra, od un altro tipo di bellezza: ma sarà la bellezza che incontreremo, non ho il minimo dubbio.»

«La tua teoria è affascinante,» disse Tey Eron. «Tuttavia…»

«Capisco quello che vuoi dire,» ribatté Afra. «Anche lievi deviazioni dalla norma può produrre mostruosità, e in questo caso le deviazioni sono estremamente probabili. Un volto umano privo di naso, di palpebre o di labbra è ripugnante, proprio perché rappresenta una deviazione rispetto alla normalità. Il muso di un cane o di un cavallo è profondamente diverso dal volto umano, ma noi non lo consideriamo affatto brutto. Al contrario, spesso lo giudichiamo bello. La ragione è che la sua bellezza deriva dalla sua funzionalità, mentre in un volto umano sfigurato l’armonia naturale è stata sconvolta.»

«Di conseguenza tu pensi che, anche se saranno molto diversi da noi, non potremo giudicarli brutti?» insistette Tey. «Immagina che somiglino a noi, ma che abbiano le corna e la proboscide da elefante!»

«Un essere pensante non ha bisogno di corna, e di conseguenza non può averle. Il naso potrebbe essere allungato in forma di proboscide, anche se una proboscide sarebbe inutile per una creatura dotata di mani. E un essere umano deve avere le mani. Se questi esseri avessero una proboscide, rappresenterebbero una eccezione alla regola. Ma tutto ciò che esiste come risultato di una evoluzione storica e di una selezione naturale diventa la regola, anche se le eccezioni sono numerose. Ecco in cosa consiste la bellezza della funzionalità. No, io non credo che troveremo mostri con corna e coda, sull’astronave che incontreremo. Soltanto le forme di vita più basse differiscono grandemente fra loro; più alta è la forma di vita e più deve essere simile a noi Terrestri.»

«Mi dichiaro battuto,» disse Tey Eron, guardandosi intorno; si sentiva orgoglioso della logica di Afra.

Kari Ram, tuttavia, aveva un diverso punto di vista, e lo espose con la sua solita cautela.

Kari Ram era convinto che gli strani esseri, anche se avevano un aspetto umano e probabilmente bellissimo, avrebbero potuto rivelarsi infinitamente diversi dagli umani, in quanto ad intelligenza ed a convinzioni. E in questo caso, avrebbero potuto dimostrarsi nemici crudeli e terribili.

Moot Ang intervenne in difesa della biologia.

«Anch’io ho riflettuto spesso su questa possibilità,» disse. «E mi sono convinto che lo stadio più elevato dell’evoluzione di tutti gli esseri pensanti comporta necessariamente l’esistenza di una perfetta comprensione reciproca. La mente dell’essere intelligente riflette le leggi che regolano l’evoluzione dell’intero universo. In questo senso, l’uomo è un microcosmo. Il pensiero segue le leggi dell’universo, che sono le stesse, in qualunque luogo. Il pensiero, dovunque abbia origine, sarà basato inevitabilmente sulla logica matematica e dialettica. Non può esistere un processo di pensiero completamente diverso, così come l’uomo non può esistere al di fuori della società e della natura…»

Un mormorio di approvazione si levò dagli ascoltatori.

«E’ molto bello, quando le opinioni di molte persone coincidono,» disse Afra Devi. «E’ la prova della loro esattezza, è una dimostrazione di congenialità… soprattutto se ciascuno accosta il problema partendo dai punti di vista della sua specializzazione.»

«Vuoi dire la biologia e le scienze sociali?» chiese Yas Tin, che non era ancora intervenuto nella conversazione.

«Sì. La pagina più gloriosa dell’intera storia dell’uomo, sulla Terra, è rappresentata dal rapido estendersi della comprensione reciproca che accompagnò lo sviluppo della civiltà e della conoscenza. Più alto è il livello della civiltà, più facile diventa per i popoli e le razze diverse, in una società priva di classi, comprendersi reciprocamente; e diventa più chiaro lo scopo comune dell’esistenza umana, la necessità di unificare dapprima le nazioni, poi l’intero pianeta. Giudicando dall’attuale livello di evoluzione raggiunto dall’umanità sulla Terra, e dal livello raggiunto dalle creature che stiamo per incontrare…» Afra si interruppe.

«E’ vero,» confermò Moot Ang. «Due pianeti diversi che si incontrano nello spazio aperto potranno comprendersi meglio di quanto possano farlo due nazioni incivili sullo stesso mondo!»

«E la famosa teoria secondo la quale la guerra era inevitabile anche nell’universo?» chiese Kari Ram. «I nostri antenati, che pure avevano raggiunto un livello di civiltà abbastanza elevato, ne erano convinti.»

«Dov’è finito quel libro che avevi promesso di mostrarci?» disse Tey Eron, rivolto al capitano. «Non parla di due astronavi che tentarono di distruggersi reciprocamente, al primo incontro?»

Il comandante si allontanò, diretto alla sua cabina. Questa volta non accadde alcun incidente, e Moot Ang ritornò, dopo poco, portando la piccola stella a otto punte del microfilm che fu piazzato nella macchina-lettrice.

Gli astronauti si raccolsero per ascoltare il racconto uscito dalla fantasia di un antico autore americano.

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