Capitolo VIII

Le due astronavi, adesso, erano immobili nello spazio infinito, unite insieme dal dotto tubolare.

La Tellur accese il suo poderoso complesso di riscaldamento, che rese possibile ai componenti dell’equipaggio di entrare nella galleria, indossando gli abili aderenti di azzurra lana artificiale che portavano, di solito, quando lavoravano a bordo.

Una lieve luce azzurra simile alla radiazione cristallina sulle vette delle montagne terrestri apparve dall’altra parte della parete divisoria. La differenza dell’illuminazione dall’altra parte dello schermo lo tinse d’una sfumatura d’acquamarina, come se fosse fatta di pura acqua d’oceano pietrificata.

Cadde un silenzio rotto soltanto dal respiro un po’ concitato dei terrestri. Tey Eron urtò lievemente Afra con il gomito; la ragazza tremava per l’emozione; la trasse accanto a sé e lei gli lanciò un rapido sguardo di gratitudine.

Un gruppo di otto occupanti dell’altra nave apparve alla estremità del dotto. Un gemito di sbalordimento sfuggì dalle labbra dei terrestri.

Era quasi impossibile credere ai propri occhi. Ciascuno dei terrestri, in fondo, si era aspettato di incontrare qualcosa di straordinario, qualcosa di soprannaturale. E, per questo motivo, la loro somiglianza con gli stranieri li colpì come un miracolo. Ma si trattava soltanto di una prima impressione: quando li osservarono meglio scoprirono molte differenze in quelle parti dei loro corpi che non erano nascoste dalle brevi tuniche sciolte e dai lunghi, ampi pantaloni simili a quelli indossati un tempo anche dagli abitanti della Terra.

Improvvisamente la luce azzurra si spense e venne accesa l’illuminazione della Tellur. La parete trasparente nella galleria perdette la sua tinta verdastra e diventò incolore. Osservando le persone ritte dietro lo schermo quasi invisibile, all’estremità del corridoio, era difficile credere che respirassero un gas mortale per i terrestri e che si bagnassero nell’acido fluoridrico.

Il loro fisico era normale, secondo i criteri terrestri, e la loro statura era eguale a quella della maggioranza degli abitanti della Terra. Il particolare più strano era il colore della loro pelle, grigio ferro con riflessi argentei, ed una sorta di trasparenza interiore, rosso-sangue, simile a quella dell’ematite.

Gli stranieri avevano teste rotonde e capelli nerissimi, ma il tratto più caratteristico della loro fisionomia era rappresentato dai loro occhi a mandorla. Erano occhi incredibilmente grandi, così grandi che sembravano occupare l’intera ampiezza del viso; erano fortemente obliqui, gli angoli esterni rialzati verso le tempie, più rialzati degli occhi di qualsiasi abitante della Terra. La sclerotica, di un profondo color turchese, sembrava anormalmente lunga, in confronto con le iridi e le pupille nere.

Le loro sopracciglia erano nere, diritte, ben disegnate; risalivano fino a confondersi con i capelli, in alto sulle tempie, e quasi si univano alla radice del naso. L’attaccatura dei capelli, sulla fronte, era nettamente delineata, in perfetta simmetria con la linea delle sopracciglia, e dava alla fronte la forma di un rombo esteso orizzontalmente. Il naso era corto e piatto, con due narici simili a quelle dei terrestri. Avevano la bocca piccola; le labbra socchiuse, di un delicato color lilla, rivelavano due file di denti eguali che avevano la stessa tinta turchese della sclerotica. Al di sotto degli occhi, i volti si restringevano, scendendo verso il mento dal disegno un po’ angoloso, e questa conformazione faceva sembrare la parte superiore del volto stranamente larga. La struttura delle loro orecchie era un mistero, perché gli stranieri portavano sul capo fasce di tessuto aureo che scendevano loro sulle tempie.

Degli stranieri, alcuni erano inequivocabilmente donne a giudicare dal loro collo più lungo e ben modellato, dai lineamenti più morbidi, dai capelli lanuginosi. Gli uomini erano più alti e più muscolosi ed avevano il mento più forte; le differenze fra i due sessi erano paragonabili a quelle esistenti nella razza umana terrestre.

Ad Afra sembrò che avessero soltanto quattro dita, anziché cinque; inoltre, le dita sembravano non avere affatto giunture, poiché si piegavano senza formare angoli.

Era impossibile indovinare la forma dei loro piedi, che affondavano nel morbido tappeto che rivestiva il passaggio. I loro abiti avevano una tinta rosso-cupa.

Più a lungo gli astronauti venuti dalla Terra osservavano gli sconosciuti provenienti dal pianeta di fluoro e meno strano appariva il loro aspetto.

E, soprattutto, si rendevano conto che stavano guardando esseri dotati di una notevole, particolare bellezza. Il segreto del fascino degli stranieri consisteva principalmente nei grandi occhi che guardavano i terrestri con un caldo riflesso di intelligenza e di benevolenza.

«Guardate quegli occhi!» esclamò Afra. «E’ molto più facile diventare umani quando si possiedono occhi come quelli… anche sé i nostri occhi sono, a loro volta, meravigliosi!»

«Perché dici questo?» chiese Tey, in un sussurro.

«Più un occhio è grande, e più vasta è la visione dei mondo che può cogliere.»

Tey annuì.

Uno degli stranieri fece qualche passo avanti e compì un gesto con la mano. La luce cui i terrestri erano abituati si spense, dall’altro lato della divisione.

«Avrei dovuto pensare alle luci!» mormorò Moot Ang.

«Ci ho pensato io,» disse Kari, spegnendo l’illuminazione normale e accendendo due potenti lampade munite di filtri 430.

«Ma questa luce ci farà sembrare altrettanti cadaveri!» esclamò Taina. «L’umanità non può apparire nel suo aspetto, migliore, in questo modo!»

«Non dobbiamo preoccuparci per così poco,» rispose Moot Ang. «La loro visione si estende molto profondamente nella regione del violetto, e forse perfino nell’ultravioletto. Questo mi induce a credere che siano sensibili ad un maggior numero di sfumature e che ricevano immagini molto più “morbide” di quelle che riceviamo noi.»

«Quindi, probabilmente, ai loro occhi noi sembriamo più gialli di quanto siamo in realtà?» chiese Tey, dopo un attimo di riflessione.

«E’ sempre meglio del colorito azzurrognolo d’un cadavere,» disse Taina. «Guardati attorno!»

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