3

Lane impiegò quasi tre mesi a catturare tutte le prede che gli erano state richieste. Dopo poco più di un mese il suo Fiutabranchie fu assalito e ucciso da alcuni abitanti dell’oceano, per cui fu costretto a catturare da solo gli esemplari che ancora gli mancavano. Finalmente la caccia si concluse, lui risali a bordo e scaricò i Finti Tuffatori sul più vicino centro commerciale, e infine, stanco fisicamente e mentalmente fece ritorno a Porto Inferno.

Lasciata la nave nell’hangar e pagati i Dabihs, si concesse una bella dormita; infine, col Mufti appollaiato sulla spalla, andò al Tchaka.

Tchaka in persona serviva al bar. Era uno spettacolo solo guardarlo: alto più di due metri e mezzo e grosso in proporzione, aveva tutti i denti d’oro zecchino, portava una lucertola viva nel foro del lobo dell’orecchio destro grottescamente allungato, le dita ingioiellate brillavano come dieci minuscoli soli, e la tunica che indossava, fatta di un tessuto metallico a disegni complicati, cambiava colore ogni volta che lui si muoveva. Ma forse più bizzarro di tutto era l’occhio sinistro, artificiale, che scintillava e ammiccava emanando un’intensa luminosità. Correva voce che avesse perso l’occhio per una coltellata infertagli ai primordi di Porto Inferno, e si mormorava inoltre che fosse affetto da una strana e forse contagiosa malattia che divorava lentamente il suo enorme corpo. Ma secondo la voce più accreditata, si era fatto togliere apposta l’occhio per sostituirlo con quella stupefacente protesi. E Lane trovava questa versione più credibile, ancorché più terrificante, delle altre.

— Nicobar! — urlò Tchaka. — Sei tornato dalla guerra e vieni qui a spendere il tuo bottino? È un pezzo che non ti vedevo.

— Più di un anno — confermò Lane.

— Fatto buona caccia?

— Discreta. Preparami qualcosa di speciale.

— Il primo lo offre la casa — disse Tchaka scegliendo e mescolando gli ingredienti con la delicatezza di un concertista.

— Non c’è altro che possa fare per te? Un anno di lontananza è lungo — aggiunse ammiccando.

— Non capisco.

— Cosa?

— Perché ammicchi con l’occhio sano — disse Lane. — Se fossi al tuo posto ammiccherei con l’altro occhio.

— Sono buoni tutti e due — rispose Tchaka sorridendo. — Non li trovi belli?

— Splendidi — rispose Lane assaggiando la bibita che l’altro gli aveva preparato. — Però con uno non ci vedi.

— Credi? — Tchaka chiuse l’occhio destro e voltò l’altro verso la porta. — Stanno entrando due uomini — disse. — Quello a sinistra è sulla quarantina, ha la barba e indossa una vecchia uniforme militare. L’altro è un po’ più anziano, piccolo e grasso, rasato e se anche non sembra gli manca parte della gamba destra.

— Accidenti! — esclamò Lane sorpreso. — Di che colore sono i loro abiti?

— Non ne ho la minima idea — rispose Tchaka riaprendo l’occhio destro. — Sei rimasto sorpreso, eh, Nicobar? — Gettò indietro la testa scoppiando in una sonora risata. — È la prima volta che ti vedo esprimere una qualche emozione.

— Come hai fatto?

— Credevi che quest’occhio fosse qui solo per bellezza? Adessi sei tu che mi stupisci, Nicobar. A cosa può interessare la bellezza al proprietario del miglior bordello di Punto Nord? No, amico mio, quest’occhio non è solo un’opera d’arte: è una meraviglia della scienza. Ha lenti sia agli infrarossi sia agli ultravioletti ed è collegato all’estremità del mio nervo ottico. Povero Nicobar, che hai solo gli occhi che ti ha dato Dio! Povero diavolo che vedi solo la superficie delle cose, mentre io vedo forme e colori che tu nemmeno immagini.

— Mi sbalordisci — disse Lane.

— Vieni, Nicobar, avvicinati — disse Tchaka chinandosi sul banco. — Guardaci dentro e vedi i segreti del tempo e dello spazio.

Lane stava per guardare nel globo scintillante, ma si raddrizzò sentendo che il Mufti s’irrigidiva piantandogli gli artigli nella spalla.

— Un’altra volta, Tchaka.

— Perché?

— Mufti ha visto la lucertola che porti all’orecchio e se lo avvicinassi troppo potresti ricorrere alla scienza anche per l’udito, oltre che per la vista.

— Un orecchio ultrasonico sarebbe un ottimo complemento dell’occhio — rispose Tchaka. — Ci penserò, non è una cattiva idea. Ma adesso dimmi se vuoi qualcosa. Sono a tua disposizione in tutto e per tutto.

— Meno che quando sono a corto di soldi.

— Non devi confondere l’amicizia con la fiducia. Io sono amico di tutti ma ho fiducia solo in me stesso.

— Giusto.

— Giusto, già. Tu mi giudichi così. Altri mi considerano imperscrutabile e altri ancora, ci crederesti mai, hanno paura di me — così dicendo posò le mani sul banco affondando le dita per un paio di centimetri nel legno.

— Non capisco proprio perché — commentò Lane chiedendosi se poteva esistere in tutta la galassia un uomo della sua forza.

— E altri ancora — continuò Tchaka — mi giudicano misterioso.

— Io non ti ho mai giudicato così — disse Lane. — Ma a proposito di misteri, voglio rivelartene uno. Cosa ne sai dei buchi neri?

— Neri, bianchì, rosa, rossi, marrone, a pallini sono tutti uguali per Tchaka — disse questi mettendo in mostra tutti i suoi denti d’oro.

— Parlo sul serio. Cosa ne sai?

— Tchaka sa un po’ di tutto.

— Compresi i buchi neri?

— Compresi i buchi neri.

— Cosa diresti se ti raccontassi che una cosa che stavo inseguendo è arrivata a meno di cinquecento chilometri da un buco nero e poi si è allontanata con una virata?

— Direi che ti sei sbagliato.

— No, sono sicuro di quel che dico.

— Che cos’era?

— Non lo so. Ero troppo lontano per vederlo.

— Allora come fai a sapere che c’era?

— I miei sensori l’hanno seguito per tutto il tragitto fino al buco.

— E cosa è successo dopo che si è allontanato?

— Non lo so, Ho smesso l’inseguimento e sono tornato al lavoro.

— Non eri curioso?

— Non abbastanza da continuare a seguirlo. E poi, se era in grado di sfuggire all’attrazione di un buco nero la mia nave non poteva certo stargli alla pari.

— Già — convenne Tchaka pensoso, bevendo una lunga sorsata da una bottiglia.

— Mai sentito niente del genere? — chiese Lane.

— Una volta.

— Davvero? E chi te ne ha parlato?

— Quel vecchio là nell’angolo — rispose Tchaka indicando un vecchio grinzoso che sedeva a un tavolo con un’enorme bottiglia di alcol puro davanti a lui. — È successo trenta o forse anche quarant’anni fa. Venne qui un giorno e si prese una sbronza solenne. A quei tempi non avevo tanto da fare, così lo aiutai a riprendersi. Continuò a parlare tutta la notte e buona parte della mattina di una cosa che si tuffava in un buco nero. Pensavo che stesse dando i numeri per via di tutto quell’alcol che aveva ingurgitato ma quando tornò in sé continuò a ripetere ancora la stessa fottutissima cosa. Quando la ripeté alla sera, tutti gli risero dietro, e dopo di allora non ne parlò mai più. Ti va di conoscerlo?

— Non in modo particolare — rispose Lane.

— È per questo che mi sei simpatico, Nicobar — rise Tchaka. — Sempre educato. Ehi, Marinaio! — gridò al vecchio. — Vieni qua a farti un bicchiere gratis, te lo offre Nicobar Lane.

Il vecchio alzò gli occhi, ci pensò su un momento, poi si alzò a fatica e si avvicinò zoppicando al bar. Prese il bicchiere che Tchaka gli offriva, ne tracannò d’un fiato il contenuto, si asciugò la bocca con una manica logora, e infine disse: — Grazie — con una voce che pareva molto più giovane di lui. Doveva esser stato vigoroso, ai suoi tempi, e ancora adesso sembrava più sofferente che non logorato dagli anni.

— Sei il benvenuto — gli disse Lane, chinandosi sul banco con la speranza che il Mufti tornasse a scorgere la lucertola di Tchaka. — Come ti chiami, vecchio?

— Non lo so di preciso — rispose l’altro. — Mi chiamano Marinaio da talmente tanto tempo che ho scordato il mio vero nome.

— Perché ti chiamano Marinaio? — gli chiese Lane.

— Per via della Ballata del vecchio marinaio.

— Non vedo il rapporto.

Acqua, acqua ovunque, e non una goccia da bere - citò il vecchio. — Solo che per me non si tratta di acqua ma di pianeti. Milioni di mondi, verdi, rossi, azzurri, deserti e oceani e foreste e montagne così alte che non se ne può vedere la cima nemmeno nelle giornate limpide. Li ho visti tutti, su molti sono stato un pioniere che ha aperto agli altri la strada della colonizzazione. Ma non ho mai potuto fermarmi su nessuno per più di un mese al massimo. Pensavo sempre che ne esistesse un altro più bello intorno alla stella più vicina, e non potevo mai far a meno di andarlo a cercare. Pianeti dappertutto, un miliardo di mondi disponibili, e nessuno adatto a me. E così ho finito con l’arenarmi qui, troppo vecchio e malandato per tornare in uno di quei paradisi da cui sono fuggito.

— È stato il Marinaio a scoprire Punto Nord — spiegò Tchaka versando ancora da bere al vecchio.

— È vero — confermò il Marinaio. — Settantadue anni fa. Devo ammettere che non è stata una delle mie migliori conquiste. Ho dato io il nome sia al pianeta sia a questa città, e solo quando mi ci sono arenato ho capito che non avrei potuto scegliere un nome migliore.

— Scommetto che avrete visto un milione di cose, ai vostri tempi — disse Lane.

— Già.

— Mai visto niente che fosse riuscito a sfuggire a un buco nero?

Il Marinaio guardò Tchaka. — È per questo che mi hai chiamato? Per prendermi in giro?

— No, Marinaio, non è per questo. Volevamo solo che tu ci raccontassi qualcosa — rispose Tchaka.

— A proposito dei buchi neri — precisò Lane.

Il vecchio li scrutò a lungo, poi alzò le spalle, porse il bicchiere perché tornassero a riempirglielo, e infine cominciò a parlare.

— È successo trentasette anni fa. A quel tempo lavoravo come cartografo per il governo. Tracciavo le mappe dei nuovi pianeti abitabili. Ero appena partito da Nuovo Kenia, che poi non risultò tanto abitabile, anche se non fu colpa mia. Come potevo prevedere le eruzioni vulcaniche e i terremoti che uccisero quasi mezzo milione di persone? Bene, siccome ero incaricato di cercare un altro pianeta, mi diressi verso il settore Terrazane, dove esistevano le condizioni adatte alla formazione di mondi dotati di aria e acqua. C’erano un sacco di stelle di grandezza variabile da G2 a G8. Mai stato da quelle parti, Lane?

— No.

— C’è un sacco d’immondizia, da quelle parti — riprese il Marinaio. — Nubi di polvere talmente dense che nascondono per ore le stelle. Sì, proprio un mucchio di immondizia che se ne sta sospesa nello spazio e non è capace di condensarsi e formare qualche stella. Comunque fu proprio là che vidi per la prima volta lo Spazzastelle.

— Lo Spazzastelle? — ripeté Lane.

— Lo Spazzastelle sissignore! — sbottò il Marinaio. — Per la miseria, non stavamo parlando di questo? Una cosa enorme che galleggia da quelle parti nel vuoto e vive della polvere cosmica sospesa fra le stelle. La mangia come noi mangiamo una bistecca.

— Che aspetto ha? — chiese Lane.

— Non l’ho visto molto bene per colpa di quella maledetta polvere, ma ho potuto localizzarlo coi sensori. E l’ho seguito. Era fatto di energia pura, e filava più veloce di qualsiasi nave.

— Rientrava in parte nell’estremità infrarossa dello spettro? — chiese Lane.

— Boh, non lo so. Ma di tanto in tanto lo vedevo baluginare davanti a me, così non poteva rientrare nel campo degli infrarossi. Ma era così enorme che mi spaventai a morte.

— Sembra incredibile — commentò Tchaka riempiendogli ancora il bicchiere.

— Grazie… — disse il Marinaio, — ma comunque è vero.

— Come fai a esserne tanto sicuro? — insisté Tchaka.

— Non è che ne sia sicuro. Intuito, forse. Comunque sia si dava un gran da fare a sfuggirmi, e io ero così stupito che mi intestardii a seguirlo. Fu una caccia memorabile… tre, quattro, forse addirittura cinque parsec, finché non arrivammo al buco Terrazane, il più enorme buco nero che abbia mai visto, con un diametro di almeno quaranta chilometri, senza un granello di polvere o altro intorno e, accidenti, lo Spazzastelle ci si diresse come se niente fosse.

— Lo vedi, Nicobar? Ti avevo detto che somigliava alla tua storia — disse Tchaka.

— Anche a voi è successa la stessa cosa?

— Non lo so — disse Lane. — Forse no. Andate avanti.

— Non c’è molto altro da dire. Mi avvicinai il più possibile, poi lo seguii con gli strumenti. Bene, ripeto, quello ci puntava dritto, ma proprio all’ultimo momento deviò, scartandolo.

— E poi avete continuato a seguirlo? — chiese Lane.

— Ho cercato, ma era troppo lontano per poterlo raggiungere.

— L’avete mai più rivisto?

— Una volta, mi pare — rispose il vecchio. — Era nel sistema Canphor, ma qualunque cosa fosse scappò così velocemente che non posso essere sicuro. Non so come respira, lo Spazzastelle né come viva, ma è una bestia interessante. Vorrei saperne di più sul suo conto. Voi lo state cercando, Lane?

— No.

— Peccato. Mi sarebbe piaciuto venire con voi.

— Credevo che fossi troppo vecchio per navigare ancora nello spazio — osservò Tchaka.

— Oh, probabilmente morirei durante il viaggio, ma ho sempre desiderato morire nello spazio. Non mi importa di morire. Ho visto tutto quel che c’è da vedere nella vita, ho fatto tutto quello che mi andava di fare. Perché diavolo dovrei desiderare di morire in una stanza d’albergo di Porto Inferno? Non sono mai riuscito a vedere bene lo Spazzastelle e preferirei morire cercando di dargli un’occhiata piuttosto che starmene qui in attesa della fine. Lanciate il mio corpo nello spazio, fatelo esplodere perché i suoi frammenti girino in orbita intorno a milioni di stelle. Non voglio essere sepolto su un pianeta, Tchaka. Nemmeno sul tuo.

— Vorrei potervi accontentare — gli disse Lane. — Ma io vado a caccia di animali, non di miti.

— Peccato, Lane. Avrei potuto anche dirvi dove trovarlo.

— In che modo? — chiese incredulo Tchaka.

— Si nutre, come qualsiasi altro animale — spiegò il Marinaio. — Ditemi dove l’avete visto voi, segneremo i posti dove l’ho visto io e vi aggiungeremo quelli dove altri matti dicono di aver avvistato la Bestia dei Sogni e ci faremo un’idea di dove va a pascolare.

Se mangia polvere interstellare — osservò Tchaka — Come fai a sapere che non stesse solo riposandosi quando l’hai trovato?

— No, mi pare un’idea sensata, la sua — obiettò Lane. — Qualsiasi cosa grande abbastanza da essere rilevata dagli strumenti a bordo delle piccole navi governative di trent’anni e più fa deve essere davvero enorme, e deve anche consumare una grande quantità di energia per filare più veloce di una nave spaziale. Secondo me passa quasi tutto il tempo a nutrirsi. E poi, se è fatto di energia non atterrerà certo su pianeti alla ricerca di alimenti solidi. Non so che razza di nutrimento tragga dalla polvere stellare, ma in mancanza di altri dati, per ora accetto questa ipotesi.

— E una volta finita tutta la polvere cosa succederà? — chiese Tchaka.

— Non finirà mai — disse il Marinaio. — Dio è stato un artefice molto sciatto. Tutto l’universo è pieno dei suoi scarti.

— È un animale interessante — rimuginò pensoso Lane.

— E allora perché non andate a cercarlo? — ribatté il Marinaio.

— Sono un cacciatore — precisò Lane. — Le prede che catturo o uccido mi danno da vivere. Se non mi pagano, non uccido niente. Nessuno mi paga per uccidere lo Spazzastelle o la Bestia dei Sogni.

— Credi? — obiettò Tchaka. — Sono sicuro che c’è un mucchio di gente che sarebbe disposto a pagarti per questo.

— E cosa gli darei — disse Lane. — Anche se sapessi come uccidere un essere del genere, dopo morto sicuramente si dissolverebbe. Niente corpus delicti, niente soldi.

— Ma non vi piacerebbe vederlo da vicino? — insisté il Marinaio. — Io invece darei la mia vita per dargli un’occhiata.

— Dici così perché ti resta poco da vivere — disse Tchaka ridendo. — Nicobar è un uomo prudente, vuol diventare vecchio come te.

— Dove l’avete visto? — chiese il Marinaio.

— Nel sistema Pinnipes.

— Non sapevo che ci fosse un buco nero da quelle parti. — Il vecchio scrollò la testa, vuotò il bicchiere e concluse. — Però potrebbe darsi…

— Da quelle parti non ci sono nubi di polvere — disse Lane.

— Forse c’erano e non le avete viste. O forse quello mangia anche qualcos’altro. Però potrebbe trattarsi della stessa creatura. L’ultima volta che è stata avvistata, la Bestia dei Sogni si trovava nel sistema Alphard.

— Non è lontano da Pinnipes — disse Lane.

— A un tiro di schioppo — precisò il Vecchio. — E adesso vi interessa un po’ di più, Lane?

— Nemmeno un briciolo. Lassù ci sono tantissime stelle e una sola bestia.

— La troveremo — insisté il Marinaio.

— Non andremo a cercarla.

— Cosa avete, Lane? Avete ammazzato tante bestie che siete diventato più morto di loro?

— Cosa vuoi dire, vecchio? — interloquì Tchaka.

— Parlo di quella specie d’uomo che preferisce ammazzare bestie immobili invece che4 avventurarsi nell’ignoto a dar la caccia allo Spazzastelle. Sono tanto vecchio che mi reggo in piedi a fatica, ma dentro mi sento infinitamente più giovane di lui.

Tchaka socchiuse gli occhi guardando fisso Lane per vedere come reagiva. Ma Lane rimase impassibile.

— Guardatelo! — esclamò con disprezzo il Marinaio. — Non sente niente, non è capace di reagire. No, Lane davvero non siete il tipo da andare a caccia dello Spazzastelle. Quel che fa per voi è un tranquillo trantran coi liquori annacquati e le puttane di Tchaka.

— Io non vendo liquori annacquati — protestò indignato Tchaka. — Annacquo un po’ solo i tuoi, vecchio, perché se non lo facessi il troppo alcol ti ucciderebbe.

— Oh, no di certo! Io sono sopravvissuto a cose molto più letali dei tuoi liquori. Ho visto l’esplosione di una stella che si trasformava in supernova. Sono stato su mondi dove nessun uomo prima di me aveva mai messo piede. Ho praticato la caccia subacquea in un mare di cloro e sono salito sulla montagna più alta della galassia. Ho trovato un diamante più grosso del tuo occhio fasullo e l’ho buttato via perché avevo le tasche piene di altri diamanti ancora più grossi. Ho visto creature che passano la vita a inseguire il tramonto torno torno ai loro pianeti e bestie che annusano i colori e vedono i rumori. Tu cosa potresti darmi al confronto? Una droga che mi faccia sognare mondi squallidi, opachi, infinitamente meno interessanti del più noioso pianeta che ho visitato? No, vendi le tue porcherie a gente come Lane. Io catturerò lo Spazzastelle.

— Te ne stai lì a sentirlo senza reagire, Nicobar? — disse Tchaka.

— No — rispose Lane alzandosi. — Adesso sono a tua disposizione per una delle tue stanze riservate.

— Aaah! — esclamò Tchaka, e batté le mani in direzione di cinque ragazze che si avviarono subito verso una porta dietro al banco.

Il Marinaio tornò zoppicando al suo tavolo, curvo, ma con la testa eretta, gli occhi fissi davanti a sé.

— Marinaio! — lo richiamò Lane.

Il vecchio si voltò.

— Sai dov’è il mio hangar?

— Lo troverò.

— Ti aspetto là fra due giorni con la tua roba.

— Allora hai cambiato idea? — gli chiese il Marinaio con la voce tremula per l’emozione.

— No. Ma se sei deciso a morire nello spazio, questo potrà succedere anche a bordo della mia Deathmaker.

— Grazie, Lane.

— Benvenuto a bordo, Marinaio — gli rispose Lane, poi seguì Tchaka nella stanza sul retro.

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