Parte seconda

I Olocausto

«Jim si prepara a uccidere Nora.»

Ellery ripose il libro nello scaffale.

«Sciocchezze» mormorò, e molto dolcemente condusse la ragazza all’aperto.

«Nora è in pericolo» singhiozzò Pat. «Ellery, che cosa devo fare?»

«Solo il tempo potrà aiutarci a scoprire un po’ di verità, Patty.»

«Ma io non posso sopportare da sola tutto questo! Nora… Ha visto Nora come l’ha presa? Ellery, mia sorella ha una paura da morire. Eppure si è comportata come se nulla fosse accaduto. Non capisce? Ha deciso di non crederci. Se anche le sventolassimo questa lettera sotto il naso, Nora non ammetterebbe nulla ormai! Mentirebbe davanti a Dio!»

«Sì» convenne Ellery, e strinse la ragazza fra le braccia per confortarla.

«Jim era tanto innamorato di lei! Ha visto come si è svolta tutta questa storia. Ha visto il suo viso quella sera, quando sono scesi a dirci che avevano intenzione di sposarsi. Jim era felice. E quando sono tornati dalla luna di miele, sembrava ancora più felice.» Pat mormorò: «Forse è diventato matto. Un pazzo pericoloso!» Ellery non parlava. «Come posso dirlo alla mamma, a mio padre? Ne morirebbero, e poi… non servirebbe a niente. Eppure sono costretta a farlo!»

Un’automobile rombò nel buio, sulla strada della collina.

«Cerchi di calmarsi, Pat. Abbiamo tempo per pensarci. Staremo in guardia; vedremo come vanno le cose e, nel frattempo, tutto questo resterà un segreto fra noi… Ho detto “noi”?» Ellery assunse un’aria desolata. «A quanto pare, ho dichiarato di far parte della congiura.»

«Non si tirerà indietro ora, vero?» esclamò Pat con voce alterata. «Ho contato su di lei sin dal primo momento. Ellery, Nora ha bisogno di aiuto! Lei è abituato a queste cose. La prego, non se ne vada!»

«Ho detto “noi”, sì o no?» ribatté Ellery, irritato. «Adesso si sfoghi pure a piangere. Però dopo basta! Capito?»

«Sì» singhiozzò Pat. «Sono una stupida frignona.»

«Non è una stupida, e deve diventare un’eroina. Non una parola, non uno sguardo, non un atteggiamento sbagliato. Per quanto riguarda Wrightsville, queste lettere non esistono. Jim è suo cognato, le piace, e lei è felice per lui e per Nora. Non deve dirlo né a suo padre, né a sua madre, né a Frank Lloyd, né…»

Pat alzò il viso.

«Né… a chi?»

«No» disse Ellery accigliandosi. «Non posso prendere questa decisione per lei!»

«Allude a Cart» dichiarò Pat con forza.

«Alludo al Procuratore Distrettuale della Contea di Wright.»

Pat rimase in silenzio. Anche Ellery taceva. La luna era più bassa, ora.

«Non potrei mai dirlo a Carter» mormorò Pat. «Non so perché. Forse perché fa parte della polizia, forse perché non è della nostra famiglia…»

«Nemmeno io faccio parte della famiglia» osservò il signor Queen.

«Lei è diverso!»

Suo malgrado, il signor Queen provò una sensazione di piacere. Ma la sua voce rimase impersonale.

«In ogni caso lei dovrà diventare una succursale dei miei occhi e delle mie orecchie, Pat. Resti vicina a Nora il più possibile, senza sollevare i suoi sospetti. Tenga d’occhio Jim, senza averne l’aria. Mi riferisca tutto quel che accade. E non appena le è possibile, mi faccia partecipare alle riunioni di famiglia. È chiaro?»

«Stavo comportandomi da sciocca» fece Pat, alzando il viso sorridente verso l’investigatore. «Ora le cose non sembrano più tanto terribili. È così riposante stare con lei, sotto questo albero, al chiaro di luna… lo sa di essere bello, Ellery?»

«E allora, accidenti» ruggì una voce maschile nel buio «perché non lo baci?»

«Carter!»

Pat si nascose contro il tronco scuro di un olmo. “Che faccenda assurda!” pensò il signor Queen.

«Non puoi negare che sia bello!» affermò la voce di Pat che veniva dall’albero. Ellery sorrise tra sé.

«Mi hai mentito!» gridò Carter, che apparve finalmente in luce a testa nuda, con i capelli tutti arruffati. «Non ti nascondere, Pat!»

«Non mi nascondo» ribatté Pat in tono petulante. Avanzò, e i due giovani si piantarono l’uno di fronte all’altra, guardandosi con aria dispettosa. Il signor Queen li osservava in silenzio, divertito.

«Mi hai detto al telefono che avevi il mal di testa!»

«Sì.»

«Mi hai detto che andavi a letto.»

«Sto per andarci.»

«Non cavillare, ora!»

«Ti rendi conto che stai facendo dei drammi inutili!»

Carter agitò le braccia verso le stelle poco benigne.

«Hai mentito per liberarti di me. Non volevi avermi tra i piedi. Avevi un appuntamento con questo scribacchino! Non negarlo.»

«Lo nego, invece.» La voce di Pat si ammorbidì. «Ti ho mentito, Carter, ma non avevo un appuntamento con Ellery.»

«E si dà il caso che questo sia vero» intervenne Queen.

«Lei badi ai fatti suoi, Smith!» urlò Carter. «Altrimenti la mando lungo e disteso sul prato.»

Il signor “Smith” sogghignò e si tenne fuori dalla mischia.

«Lo ammetto, sono geloso» mormorò Carter. «Ma tu non devi essere vigliacca, Pat! Se non mi vuoi, dillo.»

«Non è questione di volerti o non volerti» mormorò la ragazza con voce timida.

«Ebbene, mi vuoi o non mi vuoi?»

Pat abbassò gli occhi.

«Non hai diritto di chiedermi questo… qui… ora…» Gli occhi le si accesero. «Non vorresti che ti mentissi in ogni caso, vero?»

«Benissimo, come vuoi tu!»

«Carter…!»

La voce di lui parve un ruggito di sfida:

«Fra me e te tutto è finito!»

Pat si mise a correre verso la grande casa bianca. Mentre la osservava attraversare il prato, il signor Queen pensava: “In un certo senso, è meglio… molto meglio. Tu non sai che cosa ti si prepara. Il signor Carter Bradford, quando lo incontrerai la prossima volta, forse sarà un pericoloso nemico”.

Quando Ellery si presentò sotto il portico, la mattina dopo, trovò Hermy e Nora che bisbigliavano sommessamente.

«Buongiorno!» esclamò allegramente.

«Ellery, che cos’è accaduto ieri sera?» domandò Nora.

«Accaduto?» ripeté Ellery con aria inespressiva.

«Volevo dire… tra Pat e Carter. Lei era a casa…»

«Pat ha qualcosa che non va?» si affrettò a chiedere l’investigatore.

«Naturalmente. Non ha voluto scendere per la colazione. Non vuol rispondere a nessuna domanda. E quando Pat mette il broncio…»

«È colpa di Carter» sbottò Hermy. «Ero certa che ci fosse qualcosa di strano in quel mal di testa, ieri sera! Per favore, signor Smith, se sa qualcosa…»

«Pat e Carter si sono lasciati?» domandò Nora ansiosamente. «No, non può fare a meno di rispondere, Ellery; glielo leggo in faccia. Mamma, devi assolutamente discutere la cosa con Patty. Non può fare una cosa simile a Carter.»

Ellery accompagnò Nora verso casa. Non appena la signora Wright se ne fu andata, Nora mormorò:

«Naturalmente, un po’ è anche colpa sua!»

«Mia!» domandò il signor Queen.

«Non crede anche lei che Pat sia innamorata di Carter? Sono sicura che ha voluto ingelosirlo, e…»

«Il signor Bradford» disse il signor Queen «sarebbe geloso anche di un francobollo, se Pat lo accostasse alla bocca.»

«Lo so. È una tal testa calda! Oh, mamma mia» sospirò Nora «sto facendo tanto baccano per così poco. Vuole venire a fare la prima colazione con noi?»

«Con vero piacere.»

Mentre saliva con Nora i gradini del portico, Ellery Queen si domandava fino a che punto arrivasse la sua colpevolezza.


Durante il pasto, Jim continuò a parlare di politica, e Nora… Nora era meravigliosa. Non si poteva trovare un altro aggettivo per definirla, pensava Ellery. Osservandola e ascoltandola, il signor Queen non poteva avvertire la minima ombra di falsità. I due sposini sembravano completamente felici.

Pat arrivò di gran carriera insieme con Alberta e con le uova.

«Nora!» esclamò come se nulla fosse accaduto. «Non potresti regalare qualche uovo a una povera ragazza che muore di fame? Buongiorno, Jim; salve, Ellery; non crediate che Ludie non mi avesse preparato la colazione. Me l’aveva preparata, e ottima anche. Ma io non ho potuto resistere alla tentazione di curiosare nel nido dei due colombi…»

«Alberta, un altro coperto» ordinò Nora, sorridendo a Pat. «Dio mio, quante chiacchiere al mattino! Ellery, si accomodi. Dal momento che la luna di miele è terminata, mio marito non si alza più per i miei familiari.»

Jim spalancò gli occhi.

«Non crederci, cognatina!» esclamò, sorridendo. «Lo sai che sei cresciuta? Fatti vedere; mamma mia, che bella ragazza! Smith, la invidio. Se fossi uno scapolo…» Ellery vide una nube oscurare il viso di Nora.

Pat continuò a chiacchierare. Non era una buona attrice, e non riusciva a guardare Jim negli occhi. Però si sforzava di mettere in pratica le istruzioni, nonostante i suoi dispiaceri personali…

Ma Nora era superba. Si, Pat aveva ragione. Nora aveva deciso di non pensare alle lettere e alle loro orribili implicazioni.

«Vado io a prepararti le uova, cara» fece in quel momento Nora, rivolta a Pat. «Alberta le prepara meravigliosamente, ma non può sapere che a te piacciono bollite per quattro minuti esatti. Scusatemi.»

Nora lasciò la stanza da pranzo e raggiunse la cameriera in cucina.

«Quella Nora! È una vera donna di casa» commentò Jim con un sorriso.

In quel momento squillò il campanello. «Il postino; scusate un attimo.»

Il giovane si alzò e si diresse alla porta. Lo udirono parlare col vecchio Bailey; poi la porta si richiuse, e i suoi passi risonarono strascicati come se stesse sfogliando la corrispondenza mentre ritornava. Finalmente apparve nel loro campo visivo. Era pallidissimo in viso, e fissava attonito una delle molte buste che il postino gli aveva appena consegnato. Dopo un attimo d’esitazione, girò su se stesso e corse su per le scale. Poco dopo si udì una porta sbattere. Pat alzò gli occhi.

«Su, avanti, mangi!» comandò Ellery, avviandosi in punta di piedi verso la tromba delle scale. Dopo un istante ritornò in sala da pranzo. «È in studio, credo. L’ho sentito chiudere la porta a chiave… No, non adesso! Ecco Nora.»

«Dov’è Jim?» domandò la sposina mentre serviva le uova alla sorella.

«Di sopra» fece Ellery, afferrando un crostino.

Jim riapparve in quel momento in cima alle scale; era sempre pallido, ma perfettamente padrone di sé. Portava il cappotto, e aveva in mano varie lettere chiuse.

«Jim, c’è qualcosa che non va?»

«Non ho mai visto una donna così sospettosa!» rise Jim. «Che cosa dovrebbe esserci accaduto? Mamma mia, devo andare!» esclamò poi baciando la moglie. «Eccoti la posta. La solita roba. Be’: arrivederci, Pat; arrivederci, Smith!»

Poco dopo, Ellery si allontanò con la scusa di fare una passeggiatina nei boschi. Mezz’ora dopo, Pat lo raggiunse. Si guardava continuamente attorno come se avesse paura d’essere seguita.

«Mamma mia!» esclamò. «Credevo che non sarei mai riuscita a liberarmi di Nora.»

Ellery aspirò una boccata di fumo pensosamente.

«Pat, dobbiamo leggere la lettera che Jim ha ricevuto.»

«Ellery… ma come finirà tutto questo?»

«Jim è tremendamente scosso. Non può essere una coincidenza. Non so ancora come, ma la lettera di stamattina è collegata col resto del problema. Non può indurre Nora a uscir di casa?»

«Stamattina va in città con Alberta a fare qualche spesa. Ecco il tassì della stazione!»

Il signor Queen spense con cura la sigaretta.

«Benissimo, andiamo» disse.

Pat balzò in piedi: le mani le tremavano.

«Ho vergogna di me stessa» si lagnò. «Ma come potremmo fare, altrimenti?»


«Temo che non troveremo niente» borbottò Ellery mentre entravano in casa di Nora. «Ma sarà meglio dare ugualmente un’occhiata.»

Nello studio di Jim, Pat si appoggiò alla porta con aria stanca. Ellery annusò l’aria e andò direttamente al caminetto. Sul focolare c’era un minuscolo mucchietto di cenere.

«L’ha bruciata!» esclamò Pat.

«Ma non abbastanza bene.»

«Ellery, ha trovato qualcosa!» Pat attraversò di corsa la stanza.

Ellery stava esaminando con grande attenzione un frammento di carta spiegazzata.

«È un pezzetto della busta?»

«Il lembo posteriore. L’indirizzo del mittente. Ma l’indirizzo è bruciato. Rimane solo il nome.»

Pat lesse:

«Rosemary Haight. È la sorella di Jim.» La ragazza allargò smisuratamente gli occhi. «Rosemary, la sorella di Jim! Ellery, quella delle tre lettere!»

«È possibile che…?» Ellery s’interruppe.

«Stava per domandare se è possibile che ci fosse una prima lettera? Una lettera che noi non abbiamo trovato perché era già stata spedita? E questo è quel che rimane della risposta della sorella.»

«Sì.» Ellery infilò il pezzetto di carta nel portafogli. «Ma, ripensandoci bene, non ne sono tanto sicuro. Perché la risposta della sorella dovrebbe preoccuparlo tanto, se le cose stessero così? No, Pat: dev’esserci qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo.»

«Ma che cosa

«È appunto questo che dobbiamo scoprire» affermò il signor Queen. Si guardò intorno e prese la ragazza per un braccio. «Andiamocene di qui.»


Quella sera tutti erano seduti sotto il portico di casa Wright, osservando il vento che giocava con le foglie morte sul prato. John e suo genero discutevano con ardore la campagna elettorale per la presidenza.

«John, sai bene che non mi piacciono le discussioni politiche!» si lagnò Hermy. «Mamma mia, voi uomini vi scaldate tanto…»

Jim sogghignò.

«Benissimo, mammina; basta, non parliamone più.» Fece una breve pausa, poi soggiunse con aria noncurante: «Oh, a proposito, Nora: ho ricevuto una lettera da mia sorella Rosemary stamattina.»

«Davvero?» Nora era allegrissima. «Ma che bellezza. Che cosa dice, caro?»

Pat si accostò ad Ellery, al buio, e si sedette ai suoi piedi. Il giovane le appoggiò una mano sul collo: era umido di sudore.

«Le solite cose» proseguì Jim. «Dice che avrebbe piacere di conoscerti… di conoscere tutti i tuoi… e via di seguito.»

«E come no?» fece Hermy. «Anche noi siamo ansiosi di conoscere tua sorella, Jim. Ha intenzione di venirci a trovare?»

«Ecco… avevo pensato di chiederglielo, ma…»

«Oh, Jim!» esclamò Nora. «Ti ho chiesto mille volte d’invitare tua sorella a Wrightsville! Se mi dai l’indirizzo le scriverò questa sera stessa.»

«Non disturbarti, cara; scriverò io.»

Quando rimasero soli, circa un’ora dopo, Pat disse ad Ellery:

«Nora aveva paura.»

«Già. È un problema. Naturalmente si trattava della lettera che Jim ha ricevuto stamattina.»

«Ellery, Jim ci nasconde qualcosa.»

«Non c’è dubbio.»

«Se sua sorella Rosemary gli ha scritto che voleva venire qui in visita, o gli ha detto qualcosa di altrettanto normale… perché Jim ha bruciato la sua lettera

Il signor Queen rimase in silenzio per lungo tempo. Finalmente borbottò:

«Vada pure a dormire, Patty. Ho bisogno di pensare.»


L’otto novembre, quattro giorni dopo che Franklin Delano Roosevelt era stato eletto presidente degli Stati Uniti per la terza volta, la sorella di Jim Haight giunse a Wrightsville.

II Jim si comporta male

“La signorina Rosemary Haight” scriveva la cronista mondana del giornale locale “era elegantemente abbigliata in un completo da viaggio di camoscio, di colore neutro. Portava una ricca cappa di volpi azzurre, accompagnata da un cappellino verde bordato di volpi, con accessori verdi…”

Il signor Ellery Queen, per caso, quella mattina aveva fatto una passeggiata alla stazione di Wrightsville. Vide così Rosemary Haight, seguita da un facchino che portava il suo bagaglio, scendere dal treno e restare un attimo in posa, al sole, come una stella del cinema. La vide poi avvicinarsi a Jim e baciarlo, poi voltarsi radiosa verso Nora e porgerle la guancia. Gli occhi del signor Queen si rannuvolarono.

Quella sera stessa, a casa di Nora, ebbe modo di consolidare la sua prima impressione. Evidentemente, Rosemary non era una ragazza di campagna, emozionata da un lungo viaggio: era un prodotto stracittadino, insolente e annoiato, che cercava di nascondere il suo tedio alla meno peggio. Inoltre era pericolosamente bella.

Hermy, Pat e Nora la presero immediatamente in antipatia; Ellery se ne accorse subito dall’estrema cortesia con la quale la trattavano. John era affascinato, vivace e galante. Più di una volta Hermy lo rimproverò con un’occhiata silenziosa. Quella notte Ellery perse varie ore di sonno cercando di far quadrare la signorina Rosemary Haight nel grosso problema che gli si presentava, ma non venne a capo di nulla.


In quei giorni Jim cominciò ad avere molto da fare alla banca, e lasciò il problema d’intrattenere la sorella a Nora. Non era un compito facile perché, come Pat ebbe a dire ad Ellery, Rosemary assumeva verso tutto e tutti un’aria superiore e sprezzante.

Bisognò sopportare l’assalto delle signore della città, e la lunga sequela di feste in onore dell’ospite. Le pettegole locali si misero immediatamente in azione. Emmeline Du Pré diceva che Rosemary Haight aveva un’aria ambigua e Clarice Martin riteneva che i suoi abiti fossero troppo audaci; e la signora Malensky dichiarò in tono categorico ch’era una sgualdrina nata, e che tutti gli uomini che le giravano intorno erano degli idioti. A Hermy Wright riuscì molto difficile difenderla perché, sotto sotto, era dello stesso parere.

«Vorrei che se ne andasse» sospirò Pat a Ellery alcuni giorni dopo l’arrivo di Rosemary. «Non è una cosa orribile? Ma io la dico ugualmente. E pensare che ora ha mandato a prendere i suoi bauli!»

«Ma io credevo che non le piacesse star qui.»

«Infatti. Anch’io non riesco a capire. Nora diceva che si sarebbe fermata pochissimo, ma Rosemary si comporta come se avesse intenzione di mettere le radici per tutto l’anno. Naturalmente, Nora non può far nulla per scoraggiarla.»

«E Jim che cosa dice?»

«A Nora nulla, ma…» Pat abbassò la voce e si guardò intorno. «A quanto pare, ha detto qualcosa a Rosemary, perché stamattina, quando sono capitata in casa degli sposi, Nora era rimasta chiusa per sbaglio nello stanzino delle stoviglie e Jim e Rosemary, evidentemente pensando che lei fosse di sopra, stavano litigando in sala da pranzo. Dio, che carattere, quella donna!»

«Per cosa litigavano?» chiese Ellery ansiosamente.

«Sono arrivata alla fine, e non ho sentito niente d’importante; ma Nora dice che era… ecco: dice che era spaventoso. Non ha voluto raccontarmi che cosa avesse sentito, ma era terribilmente sconvolta… aveva la stessa faccia del giorno in cui aveva letto le lettere cadute dal libro di tossicologia.»

«Vorrei aver sentito quella discussione» borbottò Ellery. «Ma perché non posso mai sapere qualcosa di definitivo? Pat, lei non è gran che come aiutante per un investigatore!»

«Sissignore» convenne Pat con aria infelice.

Il baule di Rosemary Haight arrivò il giorno quattordici. Il signor Queen, che stava prendendo il fresco sotto il portico di casa Wright, vide Steve Polaris, il camionista del paese, caricarselo sulle spalle ed entrare in casa di Nora. Un minuto dopo, il giovane uscì accompagnato da Rosemary che indossava una straordinaria vestaglia rossa, bianca e blu. Sembrava un cartellone pubblicitario. Ellery vide Rosemary firmare il libro di ricevute di Steve e rientrare in casa. Steve s’incamminò giù per il vialetto.

«Pat» fece Ellery ansiosamente. «Conosce bene quel camionista?»

«Steve? E come no!»

Steve gettò il libro di ricevute sul suo autocarro e fece per risalirvi.

«Allora me lo distragga in qualsiasi modo… lo baci, lo abbracci, faccia la danza dei sette veli ma lo porti lontano da quel camion per un paio di minuti!»

Pat balzò immediatamente in piedi, gridando: «Steeeve!», e scese di corsa i gradini del portico. Ellery la seguì d’un balzo. Sulla collina non c’era nessuno in vista.

Mentre Pat, tutta sorrisi, passava un braccio intorno alle spalle di Steve spiegandogli qualcosa del suo pianoforte, e trascinava il giovanotto, tutto ringalluzzito, verso casa sua, Ellery con un gesto furtivo s’impadronì del libro di ricevute e cominciò a sfogliarlo attentamente… Quando Pat riapparve con Steve, il signor Queen stava osservando i boccioli morenti dell’aiuola di zinie di Hermione, con l’accorata tristezza di un poeta. Passando, Steve gli lanciò un’occhiata ironica.

«Ora dovrà di nuovo trasportare il piano al suo posto» fece Pat mentre il camion si allontanava rombando. «Mi dispiace, ma non sono riuscita a trovare una scusa migliore.»

«Avevo torto» borbottò Ellery.

«A proposito di che?»

«Di Rosemary.»

«Oh, la smetta di fare il misterioso. Si può sapere perché ha voluto fare allontanare Steve? Che cosa c’è sotto, signor Queen?»

«Avevo avuto un’intuizione. Mi ero detto: “Questa signorina Rosemary non è della stoffa di Jim Haight; non mi sembrano affatto fratello e sorella…”

«Oh, Ellery!

«Era possibilissimo. Ma la mia intuizione era sbagliata. È sua sorella.»

«E lo ha scoperto con l’aiuto del camion di Steve Polaris?»

«Con l’aiuto del suo libro di ricevute, sul quale quella donna ha firmato un minuto fa. Io posseggo la firma dell’autentica Rosemary Haight, come lei ricorderà, mia cara Watson.»

«Su quel lembo di busta che ha trovato nello studio di Jim, vero?»

«Appunto. E le due firme sono perfettamente uguali.»

«Il che ci lascia al punto di prima» osservò Pat seccamente.

«No» fece il signor Queen con un pallido sorriso. «Prima pensavamo che quella signora fosse la sorella di Jim. Ora lo sappiamo per certo. Anche la sua mente primitiva può avvertire questa distinzione, Watson?»


Più a lungo Rosemary Haight rimaneva a casa di Nora, e più inesplicabile diveniva il suo contegno. Jim era sempre più impegnato alla banca; a volte non tornava nemmeno a casa per pranzo. E varie volte il suo modo di fare ridusse Nora in lacrime, che la sposa versava, come venne riferito al signor Queen dalla sua spia favorita, nel segreto della sua stanzetta. Con Pat ed Hermione, Rosemary era meno esplicita. Ma continuava a darsi tali e tante arie di superiorità, che le due signore Wright si seccarono e cominciarono a ripagarla di uguale moneta.

Tuttavia Rosemary continuava ad abitare dagli sposi.

«Che ne pensa di quella donna?» domandò Pat al signor Queen mentre questi l’accompagnava in macchina verso la città bassa. «A me pare che quella sua pigrizia da pantera sia tutta una commedia. Sotto sotto è fredda e dura come l’acciaio. È una donna da poco. Non le pare?»

«È terribilmente bella» rispose Ellery evasivamente.

«È una divoratrice di uomini» rimbeccò Pat, e dopo un po’ soggiunse: «Cosa ne pensa di tutta questa faccenda, Ellery? Della condotta di Jim, di Rosemary, delle lettere?…»

«Non ne penso nulla» fece Ellery. «Almeno per ora.»

«Ellery, guardi!»

La macchina stava avvicinandosi a un vistoso edificio bianco, a un piano solo, sui cui muri una lunga teoria di diavoli e diavolesse danzava una sarabanda sfrenata, mentre dal tetto uscivano fiamme appuntite di lamiera dipinta. L’insegna al neon, spenta in quel momento, indicava che quello era l’“Allegro Inferno” di Vic Carlatti. Davanti al locale era ferma una piccola automobile.

«Che cosa devo guardare?» domandò Ellery, perplesso. «Non vedo nulla. È ancora presto perché i clienti di Carlatti si facciano vedere.»

«Giudicando da quell’automobile, almeno un cliente c’è» mormorò Pat un po’ pallida.

«Sembrerebbe…» cominciò Ellery, accigliato.

«Sì, è proprio quella.»

Entrarono nel locale. Nella prima stanza c’era soltanto un barista che sbadigliava. I due giovani ordinarono un liquore, ma, invece di bere, Ellery si avviò verso la seconda stanza. Era la sala da gioco. Sopra una sedia, vicino all’orologio, giaceva riverso Jim Haight, col capo appoggiato al piano del tavolino. Un uomo grande e grosso, che stringeva tra i denti un sigaro spento, si voltò verso Ellery, poi tornò a parlare al telefono:

«Sì; ho detto la signora Haight, scema. Le dica che è Vic Carlatti.» La “scema”, pensò Ellery, doveva essere Alberta. «La signora Haight?» continuò Carlatti. «No, non c’è errore: sono Carlatti dell’” Allegro Inferno”… sì, è per il signor Haight… no, aspetti un momento. Suo marito è cotto, cotto morto… voglio dire ubriaco… ma non se la prenda, signora Haight; il suo vecchio sta benone. Ha bevuto un paio di bicchierini di troppo, ed è crollato. Che cosa ne faccio dei miseri resti?»

«Un momento, prego» fece Ellery. Carlatti voltò lentamente la sua grossa testa e guardò Ellery dall’alto in basso. Ellery parlò freddamente: «Ho detto di aspettare un momento; mi lasci parlare con la signora Haight». Prese il ricevitore dalle mani pelose dell’uomo. «Nora? Parla Ellery Smith.»

«Ellery!» Nora era fuori di sé. «Ma che cos’è accaduto a Jim? Come sta? Come mai lei…?»

«Stia calma, Nora; io e Pat passavamo davanti al locale di Carlatti, e abbiamo visto la macchina di Jim. Non è accaduto niente. Ha bevuto un po’ troppo.»

«Vengo subito; prendo il tassì della stazione…»

«Non vale la pena. Io e Pat lo porteremo a casa tra mezz’ora. Ma non si preoccupi, inteso?»

«Grazie» mormorò Nora, e riappese il ricevitore.

Ellery riappese a sua volta, e andò verso Pat che, china su Jim, cercava di scuoterlo.

«È inutile, bambola» mugolò Carlatti. «È completamente andato.»

«Dovrebbe vergognarsi d’averlo fatto ubriacare così!»

«Non se la prenda, bellezza. È venuto qua di sua volontà, ed io ho la licenza per vendere liquori; se lui vuol comprare, può comprare; adesso fuori dai piedi.»

«Come faceva a sapere chi era?» domandò Pat, fremente d’indignazione.

«Era già stato qui altre volte, e poi l’ho anche perquisito. E tu, puttanella, non fare quella faccia! E poi voi due mi avete già stancato, per cui, filate! Aria!»

«Voglia scusare» disse Ellery con calma.

Il giovane si diresse verso Carlatti e gli schiacciò con violenza un piede. L’uomo diede un gemito di dolore e portò la mano alla parte posteriore dei pantaloni. Ellery allora gli allungò un pugno al mento. Carlatti barcollò all’indietro ed Ellery lo colpì al ventre con un altro pugno. Carlatti cadde sul pavimento lamentandosi, e stringendosi il ventre con entrambe le mani.

«Questo con i ringraziamenti della puttanella» dichiarò Ellery e, buttatosi Jim sulle spalle come un sacco, lo portò fuori dal locale, seguito da Pat.


Nell’automobile, col vento freddo che gli batteva sul viso, Jim si riprese un po’ e aprì gli occhi, fissando i due stupidamente.

«Jim, perché hai fatto una cosa simile?» domandò Pat con voce rotta. «Nel pomeriggio, quando avresti dovuto essere in banca!»

Jim sprofondò ancor più nel sedile, borbottando qualcosa d’incomprensibile.

«Non capisce niente» osservò Ellery.

Il giovane aveva una ruga profonda tra le sopracciglia. Dallo specchietto retrovisivo vedeva un’automobile che li stava raggiungendo rapidamente: era l’automobile di Carter Bradford. Anche Pat se ne accorse, e si voltò di scatto. Ellery rallentò per lasciar passare la macchina, ma Bradford non passò. Si avvicinò al margine della strada e suonò il clacson. Un vecchio magro e alto, con dei lineamenti tipicamente americani, sedeva accanto a lui. Obbediente, Ellery fermò a sua volta la macchina al margine della strada.

«Oh, salve, Carter!» esclamò Pat con voce sorpresa. «E anche il signor Dakin! Ellery, le presento il signor Dakin, capo della polizia di Wrightsville.»

«Piacere, signor Smith» disse Dakin.

«C’è qualcosa che non va?» domandò Carter Bradford un po’ imbarazzato. «Mi pare che Jim sia…»

«Sei straordinariamente efficiente, Carter» fece Pat calorosamente. «Un lavoro degno dell’ufficio federale, vero, Ellery? Il Procuratore Distrettuale e il capo della polizia…»

«Va tutto bene, grazie» intervenne Ellery.

«Nulla di meglio che un pizzico di bicarbonato di soda e una buona dormita per guarirlo» osservò Dakin seccamente. «Era da Carlatti?»

«Appunto; e ora se non vi dispiace, signori» disse Ellery rapidamente «il signor Haight avrebbe bisogno di andare a letto, molto bisogno.»

«Pensavo di telefonarti, Pat… e se posso esserti utile in qualcosa…» Carter era rosso come un peperone.

Jim si mosse, e i suoi occhi vitrei passarono da Pat a Ellery.

«Jim, come ti senti?» domandò la ragazza con voce severa.

Gli occhi di Jim erano sempre inespressivi, ma per un istante vi brillò una luce che diede a Pat un brivido di paura.

«Stia calmo, ora, Jim» mormorò Ellery in tono carezzevole. «Cerchi di dormire.»

Jim tornò a guardare i presenti senza riconoscerli. Poi il suo mormorio divenne intelligibile:

«Moglie, maledetta moglie; oh, accidenti; maledetta moglie…»

«Jim!» esclamò Pat. «Andiamo a casa, Ellery!»

Il giovane lasciò rapidamente andare il freno, ma Jim alzò la voce. Le sue guance pallide erano diventate quasi scarlatte.

«Liberarmene!» urlò. «Aspettate e vedrete; mi libererò di quella carogna! La ucciderò, quella disgraziata!»

Il capo della polizia strabuzzò gli occhi; Carter Bradford assunse un’aria estremamente sorpresa, e aprì la bocca per dire qualcosa. Ma Pat con uno strattone rimandò Jim sul sedile, ed Ellery avviò il motore, piantando in asso l’automobile di Bradford. Jim cominciò a singhiozzare; poi, pian piano, tornò ad addormentarsi.

«Ha sentito che cos’ha detto, Ellery? Ha sentito, vero?» domandò Pat con voce rotta.

«Non sa quel che dice.» Ellery premette un po’ più forte sull’acceleratore.

«Allora è vero» gemette Pat. «Le lettere… Rosemary… Ellery. Le assicuro che Jim e Rosemary stanno facendo una commedia! Hanno intenzione di… di… e Carter e il capo della polizia l’hanno sentito!»

«Pat» fece Ellery, con gli occhi fissi sulla strada. «È un po’ di tempo che desidero chiederlo, ma… Nora possiede un patrimonio proprio?»

Pat s’inumidì le labbra lentamente.

«No… No. Non può essere… Non può essere…»

«Dunque ha un patrimonio proprio.»

«Sì» mormorò la ragazza. «L’ha ereditato dal nonno. Il padre di papà. Quando s’è sposata, Nora è venuta automaticamente in possesso del patrimonio che rimaneva in deposito nell’eventualità delle sue nozze. Il nonno Wright morì poco dopo la fuga di Lola con quell’attore, e la diseredò. Per questo l’eredità è divisa in due, tra Nora e me. Semmai mi sposerò, anch’io…»

«Quanto ha ereditato Nora?» domandò Ellery, lanciando un’occhiata a Jim. Ma il giovane dormiva profondamente.

«Non lo so. Però una volta papà ha detto che io e Nora, per quanto facessimo, non saremmo mai riuscite a spendere tutto quel denaro. Oh, Dio…!»

«Se si mette a piangere» dichiarò Ellery cupamente «la butto fuori dalla macchina. È un segreto, questa eredità sua e di Nora?»

«Come si può mantenere il segreto a Wrightsville!» sospirò dolorosamente Pat. «Il denaro di Nora…» la ragazza si mise a ridere. «È proprio come un film di terz’ordine. Ellery, che cosa dobbiamo fare ora?»

«Mettere a letto Jim» borbottò il giovane.

III Ultima domenica di novembre: il primo avvertimento

Il mattino seguente, il signor Queen bussò alla porta di Nora prima delle otto. Gli occhi della sposina erano gonfi e rossi.

«Grazie per ieri sera, signor Smith; ha messo a letto Jim mentre io ero così sconvolta da…»

«Non si preoccupi» rispose Ellery allegramente. «Non c’è mai stata una sposa su questa terra, fin dai tempi di Eva, che non abbia pensato che il mondo stava per crollare quando il suo maritino è tornato a casa con la prima sbornia. Dov’è il consorte colpevole?»

«In camera da letto, che si rade. La prego, vada di sopra e gli dica quel che pensa di lui!»

Ellery corse su per le scale ridendo. Bussò alla porta del padrone di casa, che era semiaperta, e la voce di Jim dal bagno gridò:

«Nora! Sapevo che saresti stata la mia brava micina e che avresti perdonato…» La sua voce si spense non appena vide Ellery. Aveva il viso gonfio e stravolto. «Buongiorno, Smith» borbottò. «Entri.»

«Sono venuto a vedere come stava» fece Ellery, appoggiandosi allo stipite della porta del bagno.

Jim si voltò sorpreso.

«Come fa a saperlo?»

«E me lo chiede? Non mi dica che non se ne ricorda più! Perdinci, siamo stati io e Pat a portarla a casa!»

«Non ne so assolutamente niente, e Nora non vuole parlare con me. Non posso biasimarla. Le sono molto grato, Smith. Dove mi avete trovato?»

«All’“Allegro Inferno” di Vic Carlatti.»

«In quella bettola?» Jim scosse il capo. «Non mi meraviglio che Nora sia fuori dalla grazia di Dio. Santo cielo, come sono stato male stanotte! Nora mi ha curato, ma si è rifiutata di dirmi una sola parola. È stato terribile.»

«Lei invece ha parlato molto, mentre la riportavamo a casa.»

«Ho parlato? Che cos’ho detto?»»

«Oh… qualcosa a proposito di “liberarsi di una carogna e far la pelle a non so chi”» rispose Ellery con noncuranza.

Jim trasalì e si voltò verso lo specchio.

«Avevo perso la testa, immagino. Oppure pensavo a Hitler.»

Ellery annuì, con gli occhi fissi sul rasoio. La mano del giovane tremava.

«Non ricordo nulla» proseguì Jim. «Assolutamente nulla.»

«La smetterei di bere se fossi in lei, Jim» consigliò Ellery amabilmente. «Naturalmente non è affar mio… ma se continua a dire delle cose di questo genere, la gente potrebbe fraintenderla.»

«Già» convenne Jim, continuando a radersi. «Immaginerebbero chissà che cosa. Oh, la mia testa! Non lo farò mai più.»

«Vada subito a dirlo a Nora» rise Ellery. «Bene: arrivederci, Jim.»

«Buongiorno, e grazie ancora.»

Ellery uscì sorridendo, ma il suo sorriso svanì non appena giunse sul pianerottolo. Aveva notato che la porta della camera degli ospiti era un po’ più aperta di quando era andato a parlare con Jim.

Al signor Queen riusciva sempre più difficile lavorare al suo romanzo. Intanto era incantato dal panorama. La campagna era spruzzata di rosso, arancio, giallo. L’aria si era fatta più frizzante e faceva presagire la neve. Era difficile resistere alla tentazione di vagare per i viottoli e per i boschi, con le foglie secche che crepitavano sotto i piedi. L’allegria vibrava nell’aria in quei giorni di vigilia della festa del Ringraziamento. “C’è allegria dappertutto” pensava il signor Queen; “dappertutto, fuorché in casa Wright.” Poi c’era Pat, sempre più spaurita. La povera ragazza si attaccava a Ellery, tanto che mamma Wright cominciava segretamente a fare piani per le prossime nozze; e perfino John, che non si era mai interessato ad altro che ad ipoteche e a francobolli rari, li osservava con aria pensosa… Sì, tutto questo rendeva il lavoro molto difficile.

La maggior parte del tempo, Ellery la perdeva osservando Jim e Nora senza farsi notare. Le cose andavano sempre peggio in famiglia Haight. I due sposi, infatti, non andavano più d’accordo. Scoppiavano liti sempre più frequenti, e sempre più violente, e spesso le voci amare ed aspre dei giovani, portate dall’aria fredda di novembre, giungevano in casa Wright attraverso le finestre chiuse. A volte litigavano per Rosemary, a volte per le ubriacature di Jim, a volte per il denaro. Jim e Nora continuavano a recitare coraggiosamente la parte degli sposi felici di fronte alla famiglia Wright, ma tutti sapevano quel che stava accadendo.

«Jim ne ha combinato una nuova» riferì Pat ad Ellery una sera. «Adesso gioca!»

«Davvero?» domandò incuriosito il signor Smith.

«Nora me ne parlava questa mattina.» Pat era tanto sconvolta che non riusciva a star ferma. «E lui lo ha ammesso… Gliel’ha gridato in faccia. E subito dopo le ha chiesto del denaro. Nora l’ha scongiurato di dirle che cosa c’è sotto, ma più mia sorella lo prega, più Jim diventa duro e cattivo. Ellery, io credo proprio che sia pazzo. Anzi, ne sono convinta.»

«Non credo che le cose siano così semplici» insistette Ellery, testardo. «C’è sotto qualcosa di molto più complicato. La sua condotta è stranissima. Patty, se Jim parlasse! Ma se ne guarda bene. Ieri sera l’ha riportato a casa l’autista del tassì della stazione. Io l’aspettavo sotto il portico… Nora se n’era andata a letto. Era ubriaco fradicio. Ma quando ho cercato di fargli dire qualche cosa…» Ellery si strinse nelle spalle. «Mi ha preso a pugni. E non è tutto, Pat, ha anche impegnato dei gioielli.»

«Impegnato dei gioielli? Di chi?»

«Oggi quando è uscito dalla banca, si è intrufolato furtivamente nel negozio di Simpson, sulla piazza, e ha impegnato una spilla di cammei incrostata di rubini, se non sbaglio.»

«Ma è di Nora! Gliel’ha regalata la zia Tabitha quando ha preso la licenza liceale!»

Ellery afferrò le mani della ragazza.

«Jim non ha denaro suo, vero?»

«No, ha solo quel che guadagna.» Pat strinse le labbra. «Papà gli ha fatto una predica l’altro giorno, per questioni di lavoro. Jim diventa sempre più negligente. Lei conosce papà; è gentile come un agnello; deve essersi sentito terribilmente a disagio a fare una parte simile. Ma Jim lo ha rimbeccato violentemente, e il povero papà ha fatto dietrofront e se n’è andato. Ha notato che faccia ha la mia mamma?»

«Pare sbalordita.»

«La mamma non vuole ammettere che qualcosa non va… nemmeno con me. Nessuno l’ammetterà mai, nessuno. E Nora meno di tutti gli altri! Le pettegole del paese ci danno sotto a tutt’andare… Le odio! Odio questa città, odio Jim…»

Ellery la strinse dolcemente tra le braccia…


Nora preparò il pranzo dell’ultima domenica di novembre con la forza della disperazione… come una donna che cerca di tenere in piedi un mondo che le sta crollando intorno.

Hermy, nel metter piede in casa della figlia sposata, si asciugò una lacrima:

«È la prima volta, da che sono sposata, che non preparo il pranzo della festa del Ringraziamento!» sospirò.

«E forse questa volta non ci verrà l’indigestione» chiocciò divertito John.

La sposina, molto indaffarata e decisa, li mandò tutti nella sala da pranzo. Jim, un po’ abbattuto ma sobrio, le offerse il suo aiuto. Nora ebbe un pallido sorriso e lo allontanò insieme con gli altri. Il signor Queen, perplesso, andò a fare una passeggiata sotto il portico degli Haight, e fu così il primo a salutare Lola Wright quando apparve in cima al sentiero.

«Salve, vagabondo» esclamò Lola allegramente.

«Salute a lei, mia dama.»

Lola portava ancora gli stessi calzoni e lo stesso maglioncino della volta precedente.

«Non mi guardi in quel modo, straniero! Sono invitata, parola d’onore. È stata Nora. Riunione di famiglia, e baci di pace. Che bella festa! Come mai non è venuto a trovare la piccola Lola?»

«Ho lavorato al romanzo.»

«Che bella storia!» rise Lola appoggiandosi al braccio di Ellery. «Nessuno scrittore lavora più di qualche ora al giorno. Ma io ho capito tutto: è troppo impegnato ad amoreggiare con Pat. Mica male come gusto! Poteva scegliere peggio.»

«Non è vero niente, Lola.»

«Oh, che nobiltà d’animo! Bene, arrivederci, fratello, devo andare a porgere i miei omaggi alla famiglia.»

Il signor Queen aspettò per qualche minuto poi seguì la ragazza. Ci volevano occhi molto esercitati per avvertire la tensione che covava sotto l’allegria di quella riunione. Non era facile cogliere la perplessità nel sorriso dolce di Hermy, o vedere il tremito lieve della mano di John, mentre accettava un martini da suo genero. Poco dopo, Nora raggiunse gli ospiti e li guidò in sala da pranzo dove c’era la tavola imbandita e scintillante di argenti e di cristalli.


L’incidente avvenne mentre Jim distribuiva per la seconda volta le porzioni di tacchino. Nora stava passando il piatto a sua madre quando emise un gemito soffocato e il vassoio le cadde di mano. Il piatto di preziosa porcellana andò in frantumi sul pavimento. Jim afferrò convulsamente i braccioli della sedia. Nora balzò in piedi con le mani strette alla tovaglia, la bocca contorta da un orribile spasimo.

«Nora!»

Ellery raggiunse la sposina in un balzo. Lei lo respinse debolmente umettandosi le labbra. Il suo viso era bianco come la tovaglia nuova. Poi lanciò un grido e si liberò dalla stretta dell’investigatore con forza sorprendente e corse barcollando al piano di sopra. Un istante dopo si udì lo scatto di una serratura che si chiudeva.

«Sta male. Nora sta male!»

«Chiamate il dottor Willoughby, chiamate qualcuno!»

Ellery e Jim raggiunsero il piano superiore contemporaneamente, Jim si guardava intorno come un pazzo, ma Ellery stava già bussando con energia alla porta della stanza da bagno.

«Nora!» gridava Jim. «Apri la porta! Che cosa ti succede?»

Arrivarono Pat e gli altri.

«Il dottor Willoughby sarà qui tra poco» annunziò Lola. «Andatevene, voi uomini!»

«È impazzita?» domandò Rosemary, con voce soffocata.

«Buttate giù quella porta!» ordinò Pat. «Ellery la butti giù! Jim, papà, aiutatelo!»

«Se ne vada, Jim» brontolò Ellery. «Da un fastidio tremendo.»

Ma al primo urto Nora lanciò un grido.

«Se qualcuno entra io… io… non entrate ho detto!»

Hermy gemeva piano, come un gatto ammalato, e John continuava a mormorarle: «Su, su, su…».

Finalmente la porta cedette. Ellery si precipitò nella stanza da bagno. Nora era china sul lavabo, tremante, pallida, debole e inghiottiva delle cucchiaiate colme di latte di magnesia. Si voltò a guardare l’investigatore con una strana espressione di trionfo negli occhi, poi gli svenne tra le braccia.

Quando Nora rinvenne vi fu un’altra scenata.

«Mi pare di essere un animale nello zoo! Mamma ti prego, mandali via, mandali via tutti!» Tutti se ne andarono eccetto la signora Wright e Jim.

Ellery udì ancora Nora gridare con voce stridula: «No, no, no! Non voglio che stiate qui! Non voglio vederlo!».

«Mia cara» la voce di Hemy tremava. «Il dottor Willoughby, il medico che ti ha aiutata a venire al mondo…»

«Se quel vecchiaccio mi viene vicino» urlò Nora, «farò qualche pazzia! Mi ucciderò! Mi butterò dalla finestra!»

«Nora» gemette Jim.

«Fuori di qui, vattene! Anche tu, mamma!»

Hermy scivolò fuori dalla stanza seguita da Jim che aveva gli occhi rossi e sembrava istupidito. Nell’interno, si sentì Nora vomitare e piangere. Quando il dottor Willoughby arrivò, quasi senza fiato, John gli disse che c’era stato un errore e lo mandò via.


Ellery chiuse la porta senza rumore, ma ancor prima di accendere la luce, sapeva che c’era qualcuno nella sua stanza. Girò l’interruttore e disse: «Pat». E Pat era là, accoccolata sul letto; sul cuscino, accanto al suo viso, c’era una macchia umida.

«Sono rimasta sveglia ad aspettarla» spiegò Pat sbattendo gli occhi abbagliata dalla luce viva. «Che ora è?»

«Mezzanotte passata.» Ellery tornò a spegnere la luce e si sedette vicino alla ragazza. «Come sta Nora?»

«Dice che sta bene. Credo che si riprenderà.» Pat rimase in silenzio per un momento. «E lei perché è sparito?»

«Sono andato a Connhaven in tassì.»

«Connhaven! Ma son più di centoventi chilometri!» Pat si rizzò a sedere. «Ellery, che cosa ci è andato a fare?»

«Ho portato il contenuto del piatto di Nora a un laboratorio chimico.»

«E hanno trovato…»

«Non hanno trovato nulla.»

«Allora forse…»

Il giovane cominciò a camminare su e giù, per la stanza buia.

«Forse niente. C’erano i cocktails, la minestra, gli antipasti. Non si può mai dire. In ogni caso, fosse nel cibo o nel liquore, era senz’altro arsenico. I sintomi erano chiari. Fortunatamente s’è ricordata di prendere del latte di magnesia… è un antidoto d’emergenza per l’avvelenamento da arsenico.»

«Oggi è… il giorno del Ringraziamento» disse Pat in tono deciso. «Ricorda la lettera di Jim a Rosemary, datata 28 novembre?… Oggi… “Mia moglie è ammalata”. Mia moglie è ammalata, Ellery!»

«Brava Patty, è un ottimo detective… ma questa potrebbe anche essere una coincidenza.»

«Crede?»

«Potrebbe trattarsi di un improvviso attacco di indigestione. Nora è agitatissima. Ha letto quella lettera, ha letto il brano sull’arsenico nel libro di tossicologia… Forse, psicologicamente…»

«Già…»

«Tante volte ci lasciamo trascinare dall’immaginazione. In ogni caso abbiamo tempo a disposizione. Se pure esiste un piano, è appena agli inizi.»

«Sì…»

«Pat, lo prometto: Nora non morirà.»

«Oh, Ellery!» La ragazza si avvicinò al giovane nel buio e nascose il viso nella sua giacca. «Sono tanto contenta che lei sia qui…»

«Fuori dalla mia stanza da letto» ordinò teneramente il signor Queen. «Se ne vada prima che suo padre arrivi qui con un fucile spianato.»

IV Natale: il secondo avvertimento

Cadde la prima neve. Il vento cominciò a spazzare le vallate. Hermy si dava da fare per il Natale dei poveri. Sulle colline i ragazzini aspettavano ansiosamente che gli stagni gelassero. Ma Nora… Nora e Jim erano dei veri problemi. La sposa si era ripresa dalla sua “indisposizione” dell’ultima domenica di novembre. Era un po’ più pallida, un po’ più magra, un poco più nervosa, ma perfettamente padrona di sé. Di tanto in tanto, però, sembrava spaventata, e rifiutava sempre di parlare, anche a sua madre che tentò più di una volta.

«Nora, ma cosa c’è che non va? Puoi dirmelo…»

«Nulla; che cosa avete voi piuttosto?»

«Ma Jim beve, cara. Ormai lo sa tutto il paese» gemette Hermy. «E poi litigate continuamente, è un fatto…»

«Mamma, ho il diritto di dirigere la mia vita come meglio mi pare» affermò Nora fissando duramente la madre.

«Tuo padre è preoccupato…»

«Mi dispiace, mamma. È la mia vita.»

«Ma è a causa di Rosemary che litigate? Quella ragazza continua a trascinare Jim negli angoli e a parlargli all’orecchio. Per quanto tempo resterà ancora con voi? Nora, cara, sono la tua mamma. Puoi confidarti con me…»

Ma Nora era già scappata piangendo.

Pat si incupiva ogni giorno di più.

«Ellery, quelle tre lettere… sono ancora nella cappelliera di Nora, ci ho guardato l’altro giorno. Non ho potuto farne a meno…»

«Me l’immaginavo» sospirò Ellery.

«Lei la tiene sempre sotto controllo, vero?»

«Sì, Patty. Sua sorella ha continuato a leggerle. Quelle lettere sono ormai tutte spiegazzate…»

«Ma perché Nora non vuole affrontare la verità?» esclamò Pat. «Sapeva benissimo che l’ultima domenica di novembre doveva avere la prima crisi. Altrimenti perché avrebbe rifiutato il medico, e perché ora non vuole difendersi, rifiuta qualsiasi aiuto… non riesco a capirla!»

«Forse» osservò Ellery pensoso «Nora ha paura di affrontare lo scandalo. Si era già ritirata dal mondo quando Jim l’aveva lasciata poco prima del loro matrimonio, alcuni anni fa. Nora ha una profonda vena di orgoglio provinciale, Pat. Non può sopportare che la gente parli di lei. Se un giorno o l’altro tutto questo si venisse a sapere…»

«È così» affermò Pat con voce decisa. «Sono stata una sciocca a non pensarci prima. E Nora si comporta come uno struzzo. Chiude gli occhi per non vedere. Lei ha ragione, Ellery: Nora ha paura del paese


La sera del lunedì precedente il Natale, il signor Queen era seduto ai margini del bosco e osservava la casa degli sposi. Non c’era la luna, la notte era immobile e silenziosa. Jim e Nora stavano litigando ancora; per danaro, questa volta. La voce di Nora era acuta. Perché Jim spendeva tutti quei soldi? Che cosa era successo della spilla di cammei?

«Jim, devi dirmelo, non si può andare avanti così, non si può!»

La voce di Jim era un mormorio, ma poi crebbe d’intensità.

«Non voglio che tu mi sottoponga al terzo grado!»

Il signor Queen ascoltava attentamente, sperando in qualcosa di nuovo, in un indizio, una parola; ma non udì nulla che non sapesse già. C’erano solo due giovani che si lanciavano degli insulti, in una fredda notte di dicembre, mentre lui se ne stava seduto come uno stupido, al freddo, ad ascoltare dietro la porta. Si alzò e fece per allontanarsi dalla casa del malaugurio (come gli sembrava appropriato ora quel nome!) quando la porta principale sbatté. Jim percorse il sentiero quasi barcollando e saltò in macchina. Ellery corse al garage dei Wright, dove Pat gli lasciava sempre la sua piccola automobile con la chiave dell’accensione innestata. Senza rumore seguì Jim a fari spenti.

Dovette aspettarlo a lungo davanti al locale di Carlatti, ed erano già le dieci passate quando il giovane uscì e saltò di nuovo in automobile. Sarebbe andato a casa, ora? No, Jim voltò verso la città. Ma dove andava? Ellery continuò a seguirlo. Dagli sbandamenti della macchina capiva che il giovane aveva bevuto molto. Jim si fermò finalmente davanti a una meschina casa di legno nel quartiere povero. Nell’atrio era accesa una debole lampada.

Ellery vide Jim aprire una porta al primo piano.

«Jim!» Era stata Lola Wright a parlare.

La porta si richiuse. Ellery salì le scale cercando di non far scricchiolare i gradini, e appoggiò l’orecchio contro il battente della porta.

«Ma devi, devi» gridava Jim con voce impastata. «Lola, non puoi abbandonarmi. Sono disperato. Disperato!»

«Te l’ho detto Jim, io non ho danaro» ribatté Lola, tranquilla. «Ecco qua, siediti, sei disgustosamente ubriaco.»

«Perdinci se sono ubriaco!» rise Jim.

«Perché sei disperato? Raccontalo alla tua amica Lola. Raccontami tutto…»

Il giovane cominciò a piangere; dopo un po’ i suoi singhiozzi parvero soffocare ed Ellery capì che aveva nascosto il viso nel seno di Lola. La voce di Lola mormorava piano parole di conforto. A un tratto la ragazza diede un grido.

«Jim, ma perché mi hai colpita!»

«Tutte le stesse! Tutte scimmie» urlò il giovane. «Raccontalo a Lola. Già, dovrei raccontartelo è vero? Tira via le mani! Non voglio dirti proprio niente!»

«Jim, faresti meglio ad andartene a casa, ora.»

«Me li dài o non me li dài questi soldi?»

«Ma Jim, ti ho detto…»

«Nessuno mi dà quattrini. Sono nei pasticci, e neanche mia moglie, Lola, mi da una lira. Che cosa devo fare? Sai tu che cosa dovrei fare?»

«Che cosa Jim?»

«Niente. Niente…» la sua voce si spense. Vi fu un lungo intervallo di silenzio. A quanto pareva, Jim si era addormentato. Ellery rimase in attesa. A un tratto si udì un altro grido di Lola e la voce affannata di Jim.

«Ho detto giù le mani!»

«Jim, ma io non… tu dormivi.»

«Tu stavi perquisendomi! Che cosa cercavi, eh?»

«Jim smettila. Mi fai male.» La voce di Lola era magnificamente controllata.

«Altro che male ti farò! Ti insegno io a…» il signor Queen aprì la porta. Jim e Lola barcollavano avvinghiati in mezzo alla stanza. I due si fissavano con odio. Con un gesto elegante il signor Queen staccò Jim da Lola e lo gettò a sedere sul divano. Il giovane si coprì il viso con le mani.

«Qualche guaio, Lola?» domandò Ellery in tono distaccato.

La ragazza si aggiustò i vestiti e si ravviò i capelli senza rispondere.

«Son venuto a farle quella visitina che le dovevo da tempo» spiegò Ellery con voce mite. «Che cosa è successo a Jim?»

«È sbronzo» Lola ora era perfettamente composta. «Povera Nora! Non riesco a capire perché questo cretino sia venuto proprio qui. Pensa che sia innamorato di me?»

«È una domanda alla quale solo lei potrebbe rispondere» rise Ellery. «In quanto a lei, signor Haight, è meglio che dia la buonanotte alla cara cognatina! L’accompagno a casa!»

Jim rimase a sedere sul divano; poco dopo si afflosciò sul pavimento e si addormentò, piegato in due come una grossa bambola di stracci dai capelli gialli.

«Lola» domandò Ellery rapidamente. «Che cosa ne sa di tutta questa faccenda?»

«Quale faccenda?»

Ellery fissò intensamente la ragazza negli occhi, ma non vi lesse nulla. Dopo un momento si caricò Jim sulle spalle; Lola gli tenne la porta aperta.

«Ha la macchina?»

«Sì, due, la macchina di Jim e la mia, o meglio quella di Pat.»

«Riporterò io domattina l’automobile di Jim. E… signor Smith…»

«Signorina Wright?» chiese Ellery.

«Venga ancora a farmi visita.»

«Forse.»

«Soltanto, la prossima volta, bussi prima di entrare» sorrise Lola.


John, in occasione del Natale, prese il comando della famiglia con inattesa fermezza.

«Niente baccano, niente agitazioni, Hermy» disse in tono quasi perentorio. «Quest’anno qualcuno farà tutto il lavoro per te.»

«John Fowler Wright che cosa vuoi dire?»

«Passeremo il Natale in montagna. Trascorreremo la notte in albergo, arrostendo castagne intorno al fuoco di Bill York, e ci divertiremo un mondo.»

«Ma che idea stupida! Nora mi ha rubato la festa del Ringraziamento, adesso tu vuoi portarmi via il Natale. Non c’è neanche da parlarne.»

Però, dopo aver guardato profondamente negli occhi suo marito, Hermy capì che non si trattava di un capriccio e non discusse più. Il tassì della stazione portò all’albergo di Bill York un carico di doni con un biglietto segreto di John riguardante il pranzo, l’alloggio e i “preparativi speciali”. Il vecchio John era stranamente misterioso e si divertiva come un ragazzino.

La compagnia doveva partire con due automobili, subito dopo cena, la vigilia di Natale. Tutto era pronto… La vecchia Ludie era stata mandata in vacanza; le catene erano ben tese sui pneumatici e tutta la famiglia camminava su e giù sotto il portico degli sposi aspettando che Jim e Nora scendessero; ma quando la porta di Nora si aprì uscì soltanto Rosemary Haight.

«Dove sono Jim e Nora per amor del cielo?» domandò Hermy. «Non arriveremo mai più all’albergo!»

Rosemary si strinse nelle spalle.

«Nora non viene.»

«Che cosa?»

«Dice che non si sente bene.»

Trovarono Nora a letto, debole, pallida, spossata. Jim camminava su e giù per la stanza come un’anima in pena.

«Come stai Nora, tesoro?» esclamò Hermy allarmata.

«Sei stata ancora male?» domandò suo padre.

«Non è nulla» rispose Nora parlando con gran sforzo. «Solo un disturbo di stomaco. Andate pure in montagna.»

«Ce ne guarderemo bene!» protestò Pat indignata. «Jim non ha chiamato il dottor Willoughby?»

«Nora non me l’ha permesso» spiegò Jim con voce opaca.

«Non te l’ha permesso! Ma che cosa sei, un uomo o un fantoccio? Adesso scendo subito e…»

«Pat» balbettò Nora «non lo fare.»

«Ma Nora…»

Nora spalancò gli occhi. Aveva un’espressione febbrile.

«Non voglio il dottore» disse fra i denti «non voglio che nessuno ficchi il naso negli affari miei. Cosa devo fare per farvelo capire! Io… sto bene. Sto benissimo.» Nora si morse le labbra, poi continuò con grande sforzo: «E ora per favore andatevene, andatevene. Se domattina mi sentirò meglio vi raggiungerò con Jim all’albergo…».

«Nora» fece John schiarendosi la voce «è ora che tu ed io abbiamo una conversazione a quattro occhi, alla moda antica…»

«Lasciami in pace!» urlò Nora.

Lentamente tutti uscirono dalla stanza.


Il mattino di Natale Ellery e Pat andarono all’albergo di Bill York a ritirare i doni e li riportarono a Wrightsville. Hermy passò la giornata in camera sua, Pat preparò una specie di pranzo di Natale con dell’agnello avanzato e una scatola di marmellata, ma sua madre si rifiutò di scendere e John, dopo aver ingoiato un paio di bocconi, depose la forchetta e dichiarò che non aveva fame. Pat ed Ellery mangiarono soli. Subito dopo andarono a trovare Nora. A pianterreno, Rosmary Haight, accoccolata su un divano, leggeva una rivista di moda mordicchiando cioccolatini. La bellezza stracittadina rispose alle loro domande in modo sbrigativo. Jim e Nora avevano avuto un’altra lite. La sposa stava bene, era ancora debole, ma in via di guarigione. Lo sposo era scappato a gambe levate. Dio, che noia passare il Natale in una cittadina come Wrightsville! E, dopo questo commento petulante, Rosemary tornò con ostentazione alle pagine della sua rivista.

Pat corse al piano superiore per vedere sua sorella. Quando scese, fece un cenno a Ellery, e il giovane la condusse fuori in fretta. Mentre varcavano la soglia della casa di Nora, Pat si asciugò gli occhi.

«Ellery, Nora mi ha fatto paura. Mi ha scaraventato un libro addosso!»

Il signor Queen scosse il capo. «E non vuol parlare» continuò Pat. «Ha delle crisi di nervi quasi in continuazione. E sta male, malissimo! La congiura continua» mormorò Pat desolata. «Il cibo di Nora è stato avvelenato un’altra volta ieri.»

«Sta anche lei diventando nevrastenica come Nora» affermò Ellery. «Vada a fare un pisolino, Pat. Non può una donna sentirsi male ogni tanto?»

«Ritorno da Nora. Non ho nessuna intenzione di lasciarla sola!»

Quando Pat l’ebbe lasciato, Ellery fece una lunga passeggiata sulla collina: si sentiva profondamente infelice. Il giorno prima, mentre gli altri erano di sopra con la sposa, l’investigatore era sceso silenziosamente in sala da pranzo. La tavola non era ancora stata sparecchiata, ed Ellery aveva assaggiato quel che era rimasto nel piatto di Nora. Aveva preso un boccone piccolissimo, ma gli effetti erano stati quasi immediati. Aveva provato un fortissimo mal di stomaco, poi una nausea violenta. Rapidamente aveva allora ingoiato il contenuto di una boccetta che portava sempre con sé da qualche tempo: idrossido di ferro con magnesia, il rimedio classico contro gli avvelenamenti da arsenico. Non c’era dubbio possibile. Qualcuno aveva versato un composto di arsenico nel piatto di Nora. E solo nel piatto di Nora. Ellery aveva assaggiato in seguito il contenuto degli altri piatti e nulla era accaduto. Il piano continuava a funzionare. Prima la festa del Ringraziamento, poi il Natale. La morte sarebbe dovuta arrivare il giorno di Capodanno.

V Capodanno: l’ultima cena

Nora passò quattro giorni a letto, dopo la vigilia di Natale, ma il ventinove dicembre si presentò ai familiari fresca, ridente e gaia… troppo gaia, ed annunziò che era stanca di far la malata come una vecchia signora; sapeva di aver rovinato il Natale alla sua famiglia, ma avrebbe rimediato: invitava tutti per una bella festa di Capodanno! Perfino Jim si rallegrò e la baciò con goffo imbarazzo. Pat, che assisteva alla scena, rivolse il viso altrove di scatto, ma Nora restituì il bacio a Jim, e per la prima volta dopo tante settimane di liti i due si guardarono, con la vecchia intima espressione degli innamorati.

Hermy e John furono felici di quell’improvviso ritorno di vitalità di Nora.

«Un’ottima idea, cara!» esclamò Hermy. «Prepara tutto come vuoi tu, io non alzerò un dito. A meno che tu, naturalmente…»

«Ma figurarsi…» sorrise Nora. «È la mia festa e desidero fare tutto io.» La sposa abbracciò tristemente Pat. «Oh sorellina, sei stata un angelo con me questa settimana, mentre io… ti ho tirato dietro un libro! Potrai mai perdonarmi?»

«Brutta scimmia» esclamò Pat corrucciata «ti perdonerei tutto se ti comportassi sempre così!»

«Sono contenta che Nora sia così di buon umore» dichiarò Ellery quando Pat gli riferì tutto. «Chi ha intenzione di invitare?»

«La famiglia, il giudice Martin, il dottor Willoughby e perfino Frank Lloyd!»

«Ehm, le dica d’invitare anche Carter Bradford.»

«Cart?» Pat impallidì «perché proprio lui? Non ha mandato neanche un biglietto d’auguri a Natale, quel serpente!»

«È ora che facciate la pace. Voglio che Bradford sia presente la sera di Capodanno. Deve convincerlo a tutti i costi.»

Pat guardò Ellery fisso negli occhi.

«Se insiste, Cart sarà qui.»


Cart disse a Pat per telefono che avrebbe “fatto il possibile” per essere presente, era stata tanto gentile ad invitarlo… che sorpresa!… naturalmente lui aveva numerosi altri “inviti”… gli sarebbe dispiaciuto di dare una delusione a Carmel Pattigrew, ma… ecco, avrebbe “cercato in qualche modo” di fare una scappatina. Sì sì, Pat poteva contare su di lui.

L’editore e scrittore Frank Lloyd giunse presto alla festa. Si dimostrò come al solito imbronciato e poco socievole, salutando la gente a monosillabi o non salutandola affatto, e alla prima occasione si diresse verso il bar, e ci rimase in permanenza.

L’interesse del signor Queen per i problemi culinari, quella sera parve raggiungere limiti incredibili. Il giovane aveva piantato le tende in cucina, e osservava Alberta, osservava Nora, osservava la stufa e la ghiacciaia, teneva sott’occhio tutti coloro che andavano e venivano, badando attentamente a quel che facevano nelle vicinanze dei cibi o delle bevande. E si dimostrò tanto premuroso e servizievole che, non appena Alberta se ne fu andata per partecipare a una festa di Capodanno in casa di alcuni amici lituani, al villaggio, Nora esclamò:

«Mamma mia, Ellery, che temperamento casalingo! Ecco qua, mi aiuti a farcire le olive!»

E così il signor Queen farcì le olive, mentre Jim nella dispensa adiacente preparava alcune bibite. Dal punto in cui il signor Queen si trovava, poteva seguire perfettamente i movimenti del suo ospite.

Nora servì una cena sontuosa: i cibi erano squisiti e i cocktails perfetti. Ben presto una nuova allegria cominciò a regnare nella stanza. Lola non era presente. Era stata invitata, ma aveva declinato cortesemente l’invito.

Rosemary Haight teneva corte in un angolo, circondata dalla maggior parte degli uomini presenti… Era chiaro che non l’interessavano affatto, aveva un’aria annoiatissima, ma pareva che ritenesse necessario mantenersi in esercizio. Pat, osservando il vecchio dottor Willoughby trotterellare in giro premuroso e compunto per riempire il bicchiere di Rosemary, domandò ad Ellery:

«Come mai la gente non riesce a leggere nell’animo di una donna simile?»

«Forse perché c’è troppa carne soda e fiorente che impedisce la vista» ribatté il signor Queen, e si diresse verso la cucina per la dodicesima volta ad osservare i maneggi di Jim.

Le serate di gala, nelle case “distinte” di Wrightsville, non erano rinomate per la loro allegria, ma Rosemary Haight, la forestiera, esercitò un’influenza irresistibile sul tono della riunione. Numerosi liquori l’avevano resa evidentemente allegra, col massimo disgusto della zia Tabitha. La sua vivacità contagiava specialmente gli uomini, cosicché le voci si alzarono di tono, le risate divennero forti e un po’ malferme e per ben due volte Jim dovette recarsi nella dispensa per preparare nuovi beveraggi, e Pat dovette aprire un’altra bottiglia di ciliege al maraschino. Entrambe le volte il signor Queen comparve sorridente al fianco dello sposino offrendo il proprio aiuto.

Carter Bradford brillava per la sua assenza. Pat stava in attesa dello squillo del campanello d’ingresso. Qualcuno accese la radio, e Nora disse a Jim:

«Non abbiamo più ballato dai giorni della nostra luna di miele, vieni caro!»

Jim la guardò con aria incredula, poi un largo sorriso gli apparve sul volto. Afferrò la moglie per la vita e cominciò a piroettare con pazza energia. Ellery andò in cucina rapidamente e si preparò un liquore… il primo della serata.


Mancavano quindici minuti a mezzanotte quando Rosemary agitò un braccio con aria drammatica e ordinò:

«Jim, un altro bicchiere!»

«Non ti pare di aver bevuto abbastanza, Rosemary?» domandò suo fratello allegramente.

Quella sera il marito di Nora non aveva bevuto quasi nulla. Rosemary fece la faccia scura.

«Portami qualcosa da bere, guastafeste!»

Jim si strinse nelle spalle e si diresse verso la cucina, seguito dal clamoroso consiglio del giudice Martin:

«Ne prepari in abbondanza, figliolo!»

Una porta divideva l’atrio dalla cucina, e una arcata dava dalla cucina nella dispensa, dove s’apriva anche l’uscio della sala da pranzo. Il signor Ellery Queen si fermò alla porta dell’atrio e accese una sigaretta. Il battente era semiaperto e il giovane poteva vedere sia in cucina, sia in dispensa. Jim si dava da fare coi liquori in dispensa fischiettando in sordina. Aveva appena finito di riempire la nuova serie di bicchieri con la miscela del cocktail, quando qualcuno bussò alla porta posteriore della cucina, Ellery s’irrigidì ma resisté alla tentazione di distogliere gli occhi dalle mani di Jim.

Lo sposo lasciò i bicchieri e andò ad aprire.

«Lola! Pensavo che… Nora m’aveva detto…»

«Jim» pareva che Lola avesse molta fretta. «Dovevo vederti…»

«Me?» Jim sembrava perplesso… «Ma Lola…»

Lola abbassò ancor più la voce; Ellery non riuscì a capire quel che diceva. La figura di Jim la nascondeva completamente. Il colloquio fu brevissimo. Dopo pochi minuti Lola se ne andò e Jim richiuse la porta dirigendosi in dispensa con aria assente. Mentre era intento a gettare una ciliegia in ciascun bicchiere, Ellery lo raggiunse.

«Sta ancora facendo il barista, Jim?» Il marito di Nora sorrise e preso il vassoio s’incamminò seguito da Ellery verso la sala da pranzo ove fu accolto da una salve di giubilo.

«È quasi mezzanotte» esclamò Jim allegramente. «Qui c’è un bicchierino per tutti. Dobbiamo brindare all’anno nuovo.»

Il giovane fece il giro della sala col vassoio e ciascuno prese il proprio bicchiere. «Coraggio Nora» esclamò poi con un sorriso. «Una goccia d’alcool non ti farà male, e la notte di capodanno non viene tutte le sere!»

«Ma Jim, credi davvero che…»

«Su, prendi questo» rise Jim porgendole un bicchiere.

«Non so se faccio bene» cominciò Nora con aria dubbiosa. Ma poi prese il bicchiere dalle mani del marito ridendo.

«Fai attenzione, Nora» consigliò Hermy. «Sai che sei stata poco bene. Oh, mi gira la testa!»

«Ubriacona!» fece John baciando galantemente la mano della moglie.

«Un sorso non mi farà male, mammina» protestò Nora.

«Un momento!» gridò il giudice Martin. «Ecco che sta arrivando il nuovo anno, urrà!» la voce del vecchio giurista fu soffocata dai clamori di cori e di campane che venivano dalla radio.

«Al nuovo anno!» vociò John. Tutti brindarono, perfino la schizzinosa zia Tabitha. Nora bevve un sorso con una smorfietta, Jim la vide, scoppiò a ridere e la baciò teneramente.

Fu come un segnale: tutti cominciarono ad abbracciarsi, e il signor Queen, che si dava un gran da fare per tener tutto sott’occhi, si trovò stretto fra due braccia morbide e tiepide.

«Buon Anno!» mormorò Pat e, alzato il viso sorridente, baciò il giovane sulle labbra. Per un istante la stanza, illuminata dalle luci tremule delle candele, parve ondeggiare, poi il signor Queen con un risolino si chinò per rubare un altro bacio, ma Pat gli fu strappata dalle braccia dal vecchio dottor Willoughby che borbottò:

«E a me niente?» ed Ellery si trovò ad abbracciare stupidamente l’aria.

«Ancora!» gridò Rosemary. «Un altro giro! Sbronziamoci tutti, perdinci!»

La ragazza agitò il proprio bicchiere vuoto sotto il naso del giudice Martin che le lanciò un’occhiata strana. Frank Lloyd bevve due cocktails uno dopo l’altro. Jim disse che sarebbe sceso in cantina per prendere qualche altra bottiglia… al piano superiore non ce n’erano più.

«Ma dov’è il mio bicchiere?» insisteva Rosemary. «Che razza di casa è questa? È capodanno e non c’è niente da bere!» Sembrava molto in collera. «Chi ha un liquore da darmi?» Nora le stava passando accanto dirigendosi verso la radio. «Ehi, Nora! tu hai un bicchiere pieno!»

«Ma Rosemary: ne ho bevuto già un sorso…»

«Voglio bere, ho detto!»

Nora fece un’altra piccola smorfia e diede il suo bicchiere a Rosemary, che l’inghiottì d’un colpo come un vecchio soldato, poi arretrò barcollando verso il divano dove cadde a sedere con una risata vacua. Un momento dopo era profondamente addormentata.

«Russa» esclamò Frank Lloyd gravemente. «La dama affascinante, russa» e coprì Rosemary di fogli di giornale, tutta all’infuori del viso. John si mise a recitare con molto sentimento una poesia, tra il disinteresse generale finché sua sorella Tabitha, un po’ accaldata in viso, non dichiarò che era un vecchio idiota; John allora l’afferrò per la vita e si lanciò con lei in un valzer turbinoso accompagnato piuttosto malamente dalla radio che suonava una rumba. Tutti convennero di essere un poco brilli, ma non era una serata meravigliosa? Tutti meno il signor Ellery Queen che origliava di nuovo alla porta della cucina osservando Jim Haight che preparava dei cocktails.


Trentacinque minuti dopo la mezzanotte uno strano grido venne dal salotto e fu seguito da un silenzio ancora più strano.

«Che cosa stanno combinando ora?» domandò Jim ad Ellery, mentre usciva dalla cucina carico d’un vassoio di liquori. I due giovani corsero in salotto. Il dottor Willoughby era chino su Rosemary Haight che giaceva ancora sul divano coperta dai fogli di giornale. Il signor Queen provò una breve pungente fitta al cuore. Il dottore si rialzò. Era pallido come uno straccio.

«John!» Il vecchio medico s’inumidì le labbra con la lingua.

John disse stupidamente:

«Ma per l’amor del cielo. Questa ragazza ha semplicemente perso coscienza. Ha… ha… vomitato, come succede agli ubriachi. Perché ti comporti come se…?

«È morta, John» disse piano il dottor Willoughby.

Pat si lasciò cadere sopra una sedia come se le forze l’avessero improvvisamente abbandonata.

«Morta?» domandò Ellery con voce rauca. «Un attacco di cuore, dottore?»

«Credo che si tratti di arsenico» fece Willoughby rigidamente.

Nora diede un grido e svenne, battendo forte il capo contro il pavimento.

In quella, Carter Bradford entrò allegramente in salotto.

«Ho cercato d’arrivar prima… Dov’è Pat?… Buon anno a tutti… ma… oh, perdio


«Glielo ha dato?» domandò Ellery Queen, sulla soglia della stanza da letto di Nora. Aveva un’aria molto abbattuta.

«Certo che gliel’ho dato!» rispose il dr. Willoughby. «Anche Nora è stata avvelenata…» Fissò Ellery con gli occhi socchiusi. «Come mai aveva in tasca proprio dell’idrossido di ferro che è l’antidoto classico per l’avvelenamento da arsenico?»

«Sono un mago» tagliò corto Ellery, «non lo sapeva ancora?» Scese al piano terreno.

Anche il viso di Rosemary era stato coperto da un giornale, ora.

Frank Lloyd fissava il giornale.

Carter Bradford e il giudice Martin stavano conferendo a bassa voce.

Jim Haight era seduto su una sedia e continuava a scuotere la testa.

Tutti gli altri erano di sopra con Nora.

«Come sta Nora?» domandò Jim.

«Male.» Ellery si fermò nel soggiorno.

Bradford e il giudice smisero di parlare. Frank Lloyd invece continuò a leggere i giornali che coprivano il corpo.

«Ma fortunatamente» continuò Ellery Queen «Nora ha bevuto soltanto un paio di sorsi di quel cocktail. Sta male, ma il dr. Willoughby è convinto che se la caverà molto bene.»

Si sedette sulla sedia vicino all’anticamera e accese una sigaretta.

«Allora il veleno era nel cocktail?» fece Bradford con tono incredulo. «Ma certo! Tutte e due le donne hanno bevuto nello stesso bicchiere, tutte e due sono state avvelenate dallo stesso veleno!» Alzò il tono di voce. «Ma il bicchiere era di Nora. Era Nora che doveva essere avvelenata

Senza voltarsi Frank Lloyd disse: «Carter, piantala di far discorsi. Mi da sui nervi!»

«Non tirare delle conclusioni affrettate, Carter» disse il giudice Martin con voce stanca.

Ma Carter insistette: «Quel cocktail avvelenato era stato preparato per uccidere Nora! E chi lo ha preparato? Chi lo ha portato?»

«Piantala, Sherlock Holmes!» sbottò il giornalista.

«Io l’ho preparato» disse Jim. «Sono stato io…» Si guardò attorno. «Strano, vero?»

«Strano!» Il viso di Bradford era livido. Si avvicinò a Jim e lo prese per il collo. «Tu, maledetto assassino! Hai cercato di avvelenare tua moglie e per caso hai ucciso tua sorella!»

Jim lo guardò con gli occhi sbarrati senza poter parlare.

«Carter!» disse il giudice Martin debolmente.

Carter lasciò andare Jim.

«Che cosa posso fare?» domandò il Procuratore Distrettuale con voce strozzata.

Poi si avvicinò al telefono, compose un numero e chiese del Capo della Polizia Dakin.

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