Parte quarta

I La guerra dei mondi

Egr. Signor

Boris Connell

Direttore del News

Chicago


Caro Boris,

ti ringrazio per il telegramma di fuoco ma forse la tua ben nota intuizione è stata appannata dai quintali di assurdità che i miei colleghi «giornalisti» inviano da Wrightsville.

Io credo che Jim Haight sia innocente, e ho intenzione di continuare a sostenerlo finché avrò una rubrica.

Forse sarò ingenua, ma sono convinta che un uomo è innocente finché non è stato dimostrato che è colpevole. Jim Haight è stato condannato a morte da tutte le signore della buona società e da tutti i segugi mandati qui dai direttori di giornali perché preparassero un piattino prelibato per il gusto morboso degli americani. Qualcuno deve pur avere dei principi. Per cui mi sono scelta, da sola, con la plurarità dei voti.

L’atmosfera a Wrightsville è lugubre. Si parla solo di questo caso. Sarà molto divertente vedere come faranno a formare una giuria ‘obiettiva’.

Per apprezzare meglio ciò che sta succedendo, devi renderti conto che soltanto due mesi fa John e Hermione Wright erano i numi tutelari di questa comunità. Oggi, assieme alle loro belle figlie, sono «intoccabili» e tutti sono pronti a lanciare la prima pietra. Un gruppo di exammiratori ed ex-amici della famiglia Wright aspettano soltanto il momento di stoccare l’ultima pugnalata. Mi danno il vomito, e tu sai che non è la prima volta che mi trovo davanti alla malvagità e alla cattiveria umana.

È una guerra tra due mondi. Il piccolo mondo per bene è surclassato per numero e armamenti: l’unica arma che gli è rimasta è il coraggio e il morale. Ai Wright sono rimasti soltanto pochi amici: il giudice Eli Martin, il dottor Milo Willoughby, uno scrittore loro ospite di nome Ellery Smith (tu l’hai mai sentito? Io no!) Stanno combattendo insieme la loro guerra di propaganda. I Wright sono… divini nella loro solidarietà! Persino Lola Wright, che è stata in rotta con la famiglia per anni, è tornata a casa; combattono uniti non solo per il marito di Nora ma anche per il bambino che nascerà. Nonostante le sbrodolate che ogni giorno scrivo per il mio pubblico, credo fermamente in alcune convenienze sociali e sono convinta che la volgarità potrà far sentire la sua potente voce!

Lascia che ti dica una cosa. Oggi sono stata a trovare Jim in cella e gli ho detto: «Jim, lo sa che sua moglie aspetta un bambino?»

Era seduto sulla brandina e ha reagito come se lo avessi pestato a sangue. Ancora non sono riuscita a vedere Nora, sto aspettando il permesso del dottore. Cioè non la vedo da quando Jim è stato arrestato. Nora ha avuto un collasso e non può vedere nessuno, a parte i familiari. Come ti sentiresti tu nei suoi panni? E se lei difende Jim — l’uomo che si ritiene abbia cercato di ucciderla — allora veramente c’è qualcosa per cui combattere!

So che sto sprecando tempo e carta, Boris, dal momento che il tuo sangue è composto di nove parti di wisky e di una parte di soda, per cui questa è l’ultima volta che tento di darti una «spiegazione». Da questo momento in poi, se vuoi essere informato di quello che succede a Wrightsville leggi i miei articoli.

E se ti arrabbi e rompi il mio contratto prima che tutto sia finito, farò causa al giornale e continuerò a far causa finché avrò forza e vita.

Ciao,

Roberta Roberts


Roberta Roberts non era al corrente dei fatti.

Due giorni dopo l’arresto di Jim, Hermione Wright convocò un consiglio di guerra. Era domenica e la famiglia era appena tornata dalla chiesa. Hermy aveva insistito perché tutta la famiglia andasse alla messa.

«Il problema è» disse Hermione «cosa fare?»

«E cosa possiamo fare, mamma?» Patricia aveva un tono molto sconsolato.

«Milo» prosegui Hermy rivolgendosi al dottore «voglio la verità. Come sta Nora?»

«È malata, Hermy, molto malata.»

«Non mi basta, Milo! Malata fino a che punto?»

«Difficile da stabilire. È molto nervosa, eccitata, tesa. Naturalmente lo stato di gravidanza non l’aiuta. L’arresto di Jim, il pensiero del processo… bisogna tenerla calma. E le medicine da sole non bastano. Ma se il suo sistema nervoso può essere portato a un normale…»

«Allora non c’è problema su quello che dobbiamo fare» lo interruppe Hermione.

«Quando vedo Nora così sciupata…» disse John disperato «È ritornata quella di prima. Come facciamo…»

«C’è solo un sistema, John. Sostenere Jim e lottare per lui.»

«Dopo che ha rovinato la vita di nostra figlia? La nostra sfortuna è cominciata il giorno in cui lui ha messo piede a Wrightsville!»

«John!» La voce di Hermy aveva toni d’acciaio. «Nora vuole così e, per il suo bene, lo avrà. Quindi così deve essere!»

«Va bene.»

«Un’altra cosa, John. Nora non deve sapere!»

«Non deve sapere cosa?» domandò Pat.

«Che noi non ne siamo convinti. Oh, Dio mio! Se Nora non fosse sua moglie…!»

«Hermione, allora lei pensa che Jim sia colpevole?» chiese il dottore.

«Pensare! Se solo avessi saputo prima di quelle tre orribili lettere, quel libro di medicina… Certo che penso che sia colpevole!»

«Brutto bastardo! Bisognerebbe sparargli, come a un cane rognoso!» borbottò John.

Lola fumava in silenzio. «Forse sono pazza» disse «Ma a me dispiace per quel poveretto e di solito non sento molta simpatia per gli assassini.»

«Eli, la sua opinione?» domandò Hermy.

Il viso sonnolento del giudice aveva un’espressione grave.

«Non so che prove porterà il giovane Bradford. È un caso circonstanziale. Ma d’altro canto non c’è un solo fatto che io conosca che possa gettare un ombra di dubbio sulle circostanze. Prevedo che si preparano brutti momenti per Jim.»

«Ci sono volute generazioni per costruire il nome dei Wright» borbottò ancora John «e basta un giorno per distruggerlo!»

«È già stato fatto abbastanza danno» sospirò Pat. «Se la tua stessa famiglia si mette contro di te…»

«Cosa stai dicendo?» domandò Lola.

«Zia Tabitha, Lola. Pensavo che lo sapeste. Ha chiuso casa e se ne è andata a Los Angeles a far visita alla cugina Sophia.»

«Tabitha mi fa senso!» esclamò Hermione.

«Non possiamo prendercela tanto con lei» fece John: «Sappiamo tutti quanto odia gli scandali…»

«Io so che non sarei fuggita, John! Nessuno in questa città avrà la soddisfazione di vedermi a testa bassa!»

«È quello che ho detto a Clarice» intervenne il giudice. «Clarice avrebbe voluto venire, Hermione, ma…»

«Capisco» rispose Hermione lentamente. «Che Dio la benedica, giudice, perché sta ancora con noi. E anche lei Milo e lei signor Smith, più di qualsiasi altro. Il giudice Martin e il dottore sono vecchi amici. Ma lei è praticamente un estraneo e Patricia mi ha detto della sua lealtà…»

«Anch’io volevo ringraziarla, signor Smith» disse John impacciato. «Ma credo che lei sappia come è difficile…»

Ellery si sentiva a disagio. «Per favore, faccio quello che posso.»

«Be’, ora che tutto è venuto alla luce» continuò Hermione «noi capiremo se lei anche volesse partire…»

«Temo di non potere anche se lo volessi» sorrise Ellery. «Il giudice potrà confermarvi che praticamente sono un complice…»

«Ha tenuto nascosto delle prove» intervenne il giudice. «Dakin le metterebbe i segugi alle calcagna se cercasse di svignarsela…»

«Vede, dunque che sono bloccato? Non parliamone più.»

Pat strinse la mano a Ellery.

«Quindi, se ci siamo ben capiti» disse Hermione «ci rivolgeremo al migliore avvocato dello stato perché si assuma la difesa di Jim. Dobbiamo dimostrare a Wrightsville che siamo uniti!»

«E se Jim viene dichiarato colpevole, mamma?» domandò Patricia.

«Avremo fatto del nostro meglio! A lungo andare, tale verdetto, per quanto possa sembrare orrendo, sarebbe la soluzione migliore ai nostri problemi…»

«Ma che cosa dici?» sbottò Lola. «Mamma, questo non è giusto e non è leale. Parli così perché sei convinta che Jim sia colpevole. Sei cattiva come il resto della città. La migliore soluzione!»

«Lola, ti rendi conto che se non fosse stato per l’intervento della provvidenza tua sorella sarebbe già sottoterra!»

«Per favore, non litigate!» disse Patricia.

Lola accese un’altra sigaretta.

«E se Jim dovesse venire assolto» continuò Hermione «insisterò perché Nora divorzi da lui.»

«Mamma!» Era il turno di Pat ad essere sconvolta. «Anche se una giuria dovesse dichiararlo innocente, tu continueresti a pensare che è colpevole?»

«Via, Heimy, non è giusto!» disse il giudice Martin.

«Intendo, dire che non è l’uomo adatto a Nora» insistette Hermione. «Non le ha dato altro che dispiaceri. Nora divorzierà da quell’uomo!»

Lola baciò sua madre sulle guance. Ellery sentì che Pat sospirava.

«Tu, proprio tu che insisti per il divorzio!» rise Lola. «Nel mio caso ti sei comportata in maniera molto diversa!»

«Non era la stessa cosa» disse Hermy imbarazzata. E improvvisamente Ellery Queen vide una luce, una luce molto chiara. C’era un vecchio antagonismo tra Hermione Wright e sua figlia Lola, che affondava nelle radici delle loro personalità. Pat era troppo giovane per poter essere un motivo di irritazione. Ma Nora, Nora era sempre stata la preferita, Lola si era sempre trovata, emotivamente, tra Hermione e Lola, vittima innocente di un tiro alla fune psicologico.

Hermy stava dicendo al giudice Martin: «Ci vorrà un avvocato di prim’ordine per Jim. Chi ci consiglia?»

«Posso farlo io?» domandò il giudice Martin.

John Wright era sconcertato. «Eli? Tu?»

«Ma io pensavo» protestò Pat «che lei sedesse alla sedia…»

«Prima di tutto» spiegò il giudice «questo non è possibile. Sono coinvolto. Ero presente sulla scena del delitto. È risaputo che ho legami di amicizia con la famiglia Wright. Dal punto di vista etico e legale, non posso fare il giudice in questo caso.» Scosse il capo. «Jim sarà processato davanti al giudice Newbold. Newbold è un estraneo.»

«Ma non hai discusso un caso da più di quindici anni» disse sospettoso John.

«È chiaro che se voi temete che io non sia in grado…» Sorrise alle loro proteste. «Mi ero dimenticato di dirvi che mi sono ritirato dal seggio…»

«Vecchia volpe!» sbottò il medico. «John, Eli si è ritirato dal seggio per potersi assumere la difesa di questo caso!»

«Eli, non possiamo permetterlo!» disse John.

«Assurdo!» fece il giudice. «Non lasciamoci andare ai sentimentalismi. Avrei dovuto comunque ritirarmi. Per cui se mi volete dalla vostra parte, non ne parliamo più.»

Hermy scoppiò in lacrime e corse fuori dalla stanza.

II Allo sbaraglio

Il mattino seguente Pat bussò alla porta di Ellery.

«Nora vuol vederla.» Si guardò attorno con curiosità. Ludie aveva già riordinato la stanza ma vi regnava comunque un certo disordine come se Ellery stesse lavorando.

«Sono subito da lei» Ellery sembrava stanco. Mise dei fogli di carta in un cassetto e lo chiuse a chiave. Si infilò la chiave in tasca e prese la giacca.

«Stava lavorando?» domandò Pat.

«Be’… si. Andiamo, signorina Wright.» Uscirono.

«Il suo romanzo?»

«In un certo senso.» Scesero al secondo piano.

«Che significa in un certo senso?»

«Si e no. Sono stato… in ricognizione.» Ellery la guardò. «È molto attraente, questa mattina.»

«C’è una ragione speciale» mormorò Pat. «Anzi, devo essere irresistibile.»

«E dove deve andare?»

«Ma una ragazza non può avere dei segreti, signor Queen?» Si erano fermati sulla soglia della camera di Nora. «Ellery, ha scoperto qualcosa di nuovo?»

«No!»

«Accidenti!»

«È strano» borbottò Ellery. «Da settimane qualcosa mi ronza per la testa e non riesco ad afferrarla. Forse è un particolare molto banale, che mi è sfuggito. Sa… ho basato il mio romanzo su di voi… i fatti, gli eventi, i rapporti reciproci. Nei miei appunti c’è tutto quello che è accaduto.» Scosse il capo. «Ma c’è qualcosa che non riesco ad afferrare.»

«Forse non esiste.»

«Probabile. Ha saputo qualcosa…»

«Lo sa che in questo caso glielo direi.»

«Chissà.» Si strinse nelle spalle. «Be’, andiamo da Nora.»

Nora era seduta sul letto e leggeva un giornale di Wrightsville. Era diventata più magra ed aveva un’aria malata. Ellery rimase impressionato dal pallore trasparente delle sue mani.

«Ho sempre sostenuto» sogghignò il signor Queen «che per mettere alla prova la bellezza di una donna bisogna vederla un mattino d’inverno.»

«Ebbene, ho passato l’esame?» domandò la giovane sposa con un sorriso.

«Summa cum laude» rispose Ellery sedendosi accanto a lei.

«Gran parte del merito va al rossetto e alla cipria. Lei è un simpatico bugiardo! Patty, cara, siediti qui.»

«Veramente dovrei andarmene, Nora. Voi due potete parlare…»

«Ma Pat, vorrei che tu sentissi quel che ho da dire.»

Pat lanciò un’occhiata ad Ellery che ammiccò, poi si sedette piuttosto nervosa su una poltrona coperta di cinz, al fianco del letto. Ellery osservava attentamente Nora mentre parlava.

«Prima di tutto» disse l’ammalata «devo scusarmi con lei.»

«Con me? Ma perché Nora?»

«Perché l’ho accusata ingiustamente di aver parlato alla polizia delle tre lettere e del libro di tossicologia. Quando Dakin ha detto che voleva arrestare Jim, ho perso la testa.»

«Me n’ero già dimenticato. Perché non fa lo stesso?»

Nora gli prese la mano.

«È stato un sospetto orribile. Ma per un momento ho pensato che fosse tutta colpa sua. Vede, credevo che sapessero…»

«Non eri responsabile di quel che dicevi» intervenne Pat. «Ellery capisce benissimo.»

«Ma c’è qualcos’altro» esclamò Nora. «Se posso scusarmi per un cattivo pensiero, non posso cancellare il male che ho fatto a Jim.» Il suo labbro inferiore tremò. «È colpa mia se ora hanno trovato quelle lettere.»

«Nora, cara, sai bene che non devi fare così» pregò Pat in tono carezzevole. «Se continui a piangere, lo dico allo zio Milo, e non ti permetterà più di ricevere visite!»

«Dovevo bruciarle, non so perché non l’ho fatto. È stata una tale stupidaggine tenerle lì in casa! Ma io avevo intenzione di trovare la persona che le aveva scritte… ero sicura che Jim non aveva…»

«Nora» fece Ellery gentilmente. «Cerchi di dimenticare.»

«Ma io praticamente ho messo Jim nelle mani della polizia!»

«Non è vero, non dimentichi che Dakin era venuto deciso ad arrestare Jim. L’interrogatorio che le ha fatto è stato soltanto una formalità.»

«Allora lei pensa che quelle lettere non abbiano un vero e proprio peso?» domandò Nora ansiosamente.

«Ecco…» Ellery si alzò e andò a guardar fuori dalla finestra.

«Voglio la verità!»

«Signora Haight» disse Pat fermamente «hai avuto abbastanza compagnia per questa mattina. Ellery, è meglio che se ne vada.»

Ellery si voltò.

«Questa sua sorellina, Pat, soffre per i suoi dubbi, ma sa affrontare la realtà. Nora, le dirò esattamente quale è la situazione.» Nora si afferrò ai lembi dello scialletto con entrambe le mani. «Se Dakin era già deciso ad arrestare Jim prima di trovare le lettere, è ovvio che ora lui e Bradford ritengano di avere in mano delle prove molto più solide. Questa è la verità, e lei deve affrontarla, ma deve anche smettere di sentirsi colpevole. Deve avere buon senso per poter dare un po’ di coraggio a Jim.» Il giovane si chinò e prese la mano di Nora. «Jim ha bisogno della sua forza Nora. Lei ha tutto il coraggio che a lui manca. Suo marito non osa affrontarla, ma se lei gli starà sempre al fianco, senza recedere, piena di fede…»

«Sì» affermò Nora, con gli occhi splendenti. «Ho fede, gli dica che ne avrò sempre.»

Pat si alzò e andò a baciare Ellery su una guancia.

«Fa la mia stessa strada?» domandò Ellery mentre lasciavano la casa.

«Da che parte va?»

«Verso il palazzo di Giustizia. Voglio vedere Jim.»

«Oh, le do un passaggio. Anch’io vado al palazzo di Giustizia.»

«A trovare Jim?»

«Niente domande!» ribatté Pat un po’ nervosa.

Scesero la collina in silenzio. La strada era coperta di ghiaccio. Wrightsville era molto bella d’inverno, ma i suoi cittadini avevano un’aria cattiva, pareva che nessuno sorridesse. A un semaforo una commessa riconobbe Pat e l’indicò con la mano dalle unghie laccate color fuoco a un giovanotto pieno di foruncoli. Entrambi si misero a parlare con aria eccitata mentre Pat premeva il piede sull’acceleratore. Come giunsero al palazzo di Giustizia, Ellery condusse Pat all’ingresso laterale.

«I giornalisti infestano l’atrio» spiegò il signor Queen. «È meglio non rispondere a nessuna domanda.»

«Lei è già stato qui?»

«Sì.»

«Credo che anch’io farò una visita a Jim.»

La prigione della contea occupava gli ultimi due piani del palazzo di Giustizia. Come entrarono nella sala d’aspetto che odorava di lisoformio, Pat deglutì a fatica, ma trovò egualmente un sorriso per Wally Planetsky, l’ufficiale di servizio.

«Buon giorno, Wally, come sta la sua patacca?»

«Oh, guarda, la signorina Pat! Bene bene.»

«Quando facevo le elementari, Wally mi permetteva di soffiare sul suo pataccone per lucidarglielo» spiegò Pat. «Wally, non assuma quell’aria imbarazzata! Sa bene perché sono qui. Mi conduca nella cella di mio cognato.»

«Veramente, il regolamento dice che non si può ammettere più di una persona alla volta.»

«Oh, ma che importa il regolamento, Wally?»

«Questo signore è un giornalista? Il signor Haight non vuol veder nessun giornalista, eccetto la signorina Roberts.»

«No, è un amico mio e di Jim.»

Wally li precedette aprendo e chiudendo continuamente cancelli. L’odore del lisoformio si faceva sempre più forte, Pat era pallidissima e si appoggiava al braccio di Ellery. Però teneva la testa alta.

«Eccoci qua» mormorò l’investigatore.

Jim balzò in piedi, non appena lo vide: il suo viso pallido si coprì d’un cupo rossore. Ma un momento dopo tornò a sedersi e disse con voce roca:

«Oh, buongiorno, non sapevo che sareste venuti!»

«Salve, Jim» esclamò Pat allegramente. «Come stai?»

Jim si guardò intorno nella sua cella.

«Benissimo» rispose con un vago sorriso.

«Nora sta bene» fece Pat con uno sforzo, come se Jim le avesse rivolta una domanda.

«Sono contento» disse Jim. «Proprio bene?»

«Sì» ripeté Pat con voce un po’ troppo stridula.

«Sono contento» ripeté Jim, monotono.

Ellery intervenne, scherzosamente.

«Pat, non aveva detto di dover fare qualche commissione altrove? Vorrei parlare con Jim in privato.»

Pat voltò il viso pallido verso Ellery, e mormorò qualche cosa, poi sorrise debolmente al cognato e scappò fuori. L’ufficiale di servizio chiuse di nuovo la porta. Ellery posò gli occhi su Jim, che stava studiando il nudo pavimento della sua cella.

«Il difensore vuole che parli» borbottò Jim all’improvviso.

«E perché no, Jim?»

«Che cosa potrei dire?»

Ellery gli offrì una sigaretta. Jim la prese, ma quando l’investigatore gli porse un fiammifero acceso, il prigioniero scosse il capo e lentamente fece in pezzi la sigaretta.

«Potrebbe dire» mormorò Ellery tra una boccata di fumo e l’altra «potrebbe dire ad esempio di non aver scritto quelle lettere, di non aver sottolineato quel paragrafo sull’arsenico.»

Per un momento le dita di Jim smisero di tormentare la sigaretta. Le sue labbra senza colore si strinsero in una smorfia che era quasi un sorriso d’ironia.

Jim alzò gli occhi, poi distolse lo sguardo.

«Aveva davvero intenzione di avvelenare Nora?» Sembrò che il prigioniero non avesse nemmeno udito la domanda. «Lei sa, Jim, che quando un uomo è colpevole di un delitto, è meglio che dica la verità ai suoi amici e al suo avvocato; e quando non è colpevole, è un vero delitto se non parla.» Jim continuava a tacere. «Come può aspettarsi che la sua famiglia, i suoi amici la aiutino, se non si aiuta da solo?»

Jim mosse le labbra. «Che cosa ha detto, Jim?»

«Nulla.»

«E in questo caso» fece Ellery vivamente. «Il delitto del suo silenzio non colpisce tanto lei quanto sua moglie e il bambino che deve nascere. Come può essere tanto stupido o tanto testardo da voler trascinare anche loro alla rovina?»

«Non ho detto questo!» gridò Jim con voce roca. «Se ne vada! Non le avevo chiesto di venire! Non avevo chiesto al giudice Martin di difendermi! Non avevo chiesto nulla! Volevo soltanto restarmene solo!»

«È questo che devo dire a Nora da parte sua?» domandò Ellery.

C’era una tale infelicità negli occhi di Jim mentre si sedeva ansante sull’orlo del pagliericcio, che Ellery andò alla porta e chiamò l’ufficiale di servizio.

C’erano tutti i segni della colpevolezza. La codardia, la vergogna, la pietà verso se stesso… ma c’era anche qualche altra cosa, quella testardaggine, quell’ostinazione assoluta di non parlare, come se il dire una parola costituisse un grave pericolo…

Mentre Ellery seguiva la guardia lungo il corridoio di cemento, ebbe l’impressione che per un momento nel suo cervello s’accendesse una luce abbagliante. Si fermò di botto e il vecchio Wally si voltò sorpreso. Ma poi il signor Queen scosse la testa e riprese il cammino. Già c’era quasi arrivato… per pura divinazione. Forse la volta prossima…


Davanti alla porta di vetro smerigliato al secondo piano del palazzo di Giustizia, Pat si fermò e trasse un profondo respiro.

«Il Procuratore Distrettuale è in ufficio?» mormorò all’impiegata.

«Vado a vedere, signorina Wright» rispose la ragazza, e si allontanò in fretta.

Carter Bradford andò personalmente incontro a Pat. Aveva un’aria attonita e stanca. Si tirò da una parte per lasciarla passare, e Pat udì il suo respiro irregolare. “Oh, Dio” pensò. “Forse, forse non è troppo tardi.”

«Stavi lavorando?»

«Sì, Pat.»

La ragazza si sedette.

«Be’» fece, guardandosi attorno. «L’ufficio nuovo… non sembra affatto cambiato, Cart.»

«È forse l’unica cosa a non essere cambiata.» Cart si passò una mano tra i capelli. «Pat, sei semplicemente deliziosa.»

«Sei gentile» sospirò Pat. «Specialmente quando comincio a dimostrare tutta la mia età.»

«Dimostrare la tua età! Perdinci, ma sei…» Cart inghiottì a fatica; poi sbottò, quasi con violenza: «Mi sei mancata terribilmente».

Pat stava seduta molto rigidamente.

«Anche tu mi sei mancato, in fondo.»

Santo cielo! Non aveva previsto che le cose dovessero andare così. Ma era difficile affrontare Cart a quel modo, sola, con lui, per la prima volta dopo tanto tempo… era difficile trattenersi dal pensare… dal sentire…

«Ho sognato di te» fece Cart con una risata imbarazzata. «Sono molto sciocco?»

«Su, Cart, sai benissimo che lo dici per essere cortese. Non ci si sogna della gente. Non nel modo che intendi, almeno. Ci si sognano animali strani col naso lungo lungo.»

«Sognare o non sognare, è sempre la stessa cosa. Ma io vedo continuamente il tuo viso, non so perché. Non è un viso meraviglioso. Ha il naso buffo e la bocca più grande di quella di Carmen, e guardi la gente tutta di fianco, come un pappagallo…»

Un attimo dopo, Pat era nelle braccia di Cart, e tutto somigliava a un dramma di spionaggio, eccetto che lei non aveva immaginato il copione proprio così. Il bacio doveva venire dopo… come ricompensa per Cart che aveva saputo sacrificarsi con tanto stile, con tanta cortesia. E anche il battito disordinato del suo cuore non era nel copione. Le labbra del giovane erano sulle sue, e premevano forte, sempre più forte.

«Cart, no; non ora» mormorò Pat cercando di respingerlo. «Amore, ti prego.»

«Mi hai chiamato amore! Oh, Pat, come hai potuto prenderti gioco di me durante tutti questi mesi, facendoti vedere in giro con quello stupido di Smith…»

«Cart» gemette Pat «ho bisogno di parlarti, prima.»

«Sono stanco di parlare, Pat!» E la baciò sulla bocca e sulla punta del naso.

«Voglio parlarti di Jim, Cart!» gridò Pat disperatamente.

Cart si scostò da Pat e andò a sedersi dietro la scrivania.

«Che cosa vuoi dirmi di Jim?» domandò con voce stanca.

«Cart, guardami!» implorò Pat.

«Non posso.»

«Come, non puoi?»

«Non posso ritirarmi da questo caso. Sei venuta a chiedermi questo, vero?»

Pat tornò a sedersi e frugò nella borsetta per cercare il rossetto. Le sue labbra erano tutte pasticciate. L’aveva baciata. Le mani le tremavano tanto, che fu costretta a richiudere la borsetta.

«Sì» disse lentamente. «Ti volevo chiedere anche di più. Volevo che ti dimettessi dalla carica di Procuratore Distrettuale e ti presentassi in veste di difensore di Jim. Come il giudice Eli Martin.»

Cart rimase in silenzio, fissando Pat con uno sguardo intenso e amaro. Ma, quando parlò, la sua voce era gentile.

«Non puoi chiedermi seriamente una cosa simile. Il giudice è vecchio, è il più intimo amico di tuo padre e, in ogni caso, non avrebbe potuto giudicare in questo processo. Ma io ho ottenuto questa carica poco tempo fa. Ho prestato un giuramento, e questo significa qualcosa per me. Mi fa male parlare come un politicante in cerca di voti…»

«Però fai esattamente quell’impressione!» sbottò Pat.

«Se Jim è innocente, sarà assolto. Se è colpevole… vorresti che fosse messo in libertà?»

«Jim non è colpevole!»

«Questo deve deciderlo la giuria.»

«Ma tu hai già deciso! Dentro di te l’hai già condannato a morte!»

«Dakin ed io abbiamo dovuto raccogliere prove e fatti, Pat. Siamo stati costretti. Mi capisci? I nostri sentimenti personali non c’entrano affatto. Posso dirti che tutti e due siamo molto sconvolti da questa tragedia…»

Pat era sull’orlo delle lacrime.

«Non ha nessun significato per te il fatto che Nora stia per avere un bambino? So che non si può fermare il processo, ma io volevo che tu fossi dalla nostra parte… Volevo il tuo aiuto: non volevo che ci facessi del male! Hai detto che mi ami!» gridò Pat, e scoppiò in singhiozzi. «Tutta la città è contro di noi. Hanno cercato di linciare Jim. Ci soffocano nel fango con le loro chiacchiere a Wrightsville, Cart. Un Wright ha fondato questa città. Fino a ieri noi eravamo i lari e i penati di tutti i cittadini. Siamo nati qui non solo noi ragazzi, ma anche la mamma, il papà, i loro genitori… e io… non sono più la ragazzina che “filava” con te nelle sere d’estate. Tutto il mio mondo è crollato, ed io sono invecchiata assistendo alla sua rovina. Oh, Cart, non ho più orgoglio, non ho più coraggio… di’ che mi aiuterai; ho tanta paura!» Pat nascose il viso tra le mani.

«Pat» sospirò Cart, profondamente infelice. «Non posso. Lo sai che non posso.»

Pat si sentiva morire, eppure le parve che una seconda personalità la costringesse a saltare in piedi e gridare contro Cart:

«Non sei altro che un piccolo politicante egoista! Tu vorresti vedere morire me, Jim, papà, mamma, Nora, tutti, pur di fare carriera! Già, questo è un caso importante! Dozzine di giornalisti di tutti gli Stati d’America vi assisteranno! Ci sarà il tuo nome, forse la tua fotografia, sui giornali! Pensa alle didascalìe: “Il giovane e coraggioso Procuratore Distrettuale dice che…”. Sei odioso, sei un cacciatore di pubblicità!»

«Ho pensato anch’io a tutto questo, Pat» rispose Cart con una strana mancanza di risentimento. «Non posso aspettarmi che tu mi capisca…»

Pat ebbe una risata amara.

«Se non assumerò io questa carica…» continuò il giovane «se io darò le dimissioni e qualcun altro prenderà il mio posto, quel qualcuno sarà molto meno leale verso Jim. Se io sarò all’accusa, Pat, puoi essere sicura che Jim sarà giudicato secondo giustizia…»

La ragazza corse fuori dall’ufficio. In fondo al corridoio, di fronte all’ufficio del Pubblico Ministero, seduto sopra una panchina, il signor Queen era in paziente attesa.

«Oh, Ellery!»

L’investigatore disse gentilmente:

«Povera bambina. Andiamo a casa.»

III Il processo comincia

“Ave Caesar!” scrisse Roberta Roberts come titolo del suo articolo, in data 15 marzo.


«Anche il destino sembra contro di lui. Il processo a Jim Haight comincia alle Idi di Marzo, davanti al Giudice Lysander Newbold, nel Palazzo di Giustizia di Wrightsville. E si ha l’impressione che per il giovane che andrà alla sbarra per l’assassinio di Rosemary Haight e per il tentato omicidio di Nora Wright si preparino delle ‘vacanze romane’.»


Infatti, così era.

Fin dall’inizio l’atmosfera era stata raggelante. Il Capo della Polizia Dakin aveva dichiarato alla stampa di sentirsi molto sollevato dal fatto che il prigioniero, per raggiungere la Corte di Assise, non doveva essere portato per le strade di Wrightsville, dato che Carceri e Tribunale erano nello stesso edificio.

La gente era di umore cupo tanto che si sarebbe potuto credere che il loro odio per il presunto colpevole fosse ispirato dalla più fiera lealtà nei confronti della famiglia Wright.

Ma lo strano era che il medesimo stato d’animo lo dimostravano verso i Wright. Dakin dovette mandare due agenti per scortare la famiglia. Ciononostante, i ragazzini tiravano i sassi, i pneumatici delle loro automobili venivano tagliati e sui muri di casa si trovavano scritte le parole più maligne. In un solo giorno un nervosissimo postino consegnò a casa Wright tre lettere minatorie. Il silenzioso John le passò all’ufficio di Dakin.

Hermy e John sembravano distrutti. In tribunale la famiglia sedette compatta come una falange; ogni tanto Hermy sorrideva a Jim poi abbracciava con lo sguardo l’aula affollata come per dire «Vedete come siamo uniti!»


Si era anche fatto un gran parlare di Cart Bradford che si era assunto la carica di Pubblico Accusatore. In un editoriale piuttosto acido Frank Lloyd aveva espresso la propria disapprovazione. D’altro canto, contrariamente al giudice Eli Martin, Bradford era arrivato a quella fatale festa di Capodanno dopo che Nora e Rosemary erano già state avvelenate, per cui non era coinvolto né come teste né come partecipante. Ma Lloyd ci tenne a rilevare che «il nostro giovane, sagace, a volte troppo emotivo Procuratore Distrettuale, era legato alla famiglia Wright da lunga amicizia e benché si possa capire come questa amicizia fosse finita la notte del delitto, tuttavia ci chiediamo come il signor Bradford possa trattare il caso con equanimità.»

Intervistato su questo punto, prima dell’apertura del processo, il signor Bradford aveva dichiarato: «Qui non siamo né a Chicago né a New York. Questa è una piccola comunità dove tutti si conoscono. La mia condotta durante il processo risponderà alle insinuazioni del Record. Jim Haight sarà processato con giustizia ed imparzialità. È tutto!»


Il giudice Lysander Newbold era uno scapolo anziano, molto rispettato in tutto il paese per la sua cultura giuridica e per la sua abilità di pescatore di trote. Era un ometto ossuto, piccolo e tozzo, che aveva il vezzo di tenere la testa calva, frangiata da pochi capelli neri, profondamente incassata nelle spalle. La sua voce era asciutta. Aveva l’abitudine di giocherellare con la mazzetta da giudice come si trattasse di una canna da pesca, e durante i processi non rideva mai.

Ci vollero vari giorni per scegliere il collegio dei giurati, e durante questo periodo il signor Queen non cessò di osservare le due persone più importanti della Corte: il giudice Eli Martin, il difensore, e Carter Bradford, l’accusatore. Era evidente che si trattava di una guerra tra il coraggio di un giovane e l’esperienza di un vecchio. Bradford lavorava sotto tensione. C’era qualcosa di ostinato in lui e Ellery si accorse ben presto che era molto in gamba. Conosceva la sua gente. Ma parlava con troppa calma e ogni tanto la sua voce si incrinava.

Il giudice Martin era superbo. Ebbe il buon senso di non assumere arie paternalistiche nei confronti di Bradford, anzi ascoltò con estremo rispetto gli interventi del giovane. Una volta fu visto persino appoggiare una mano sulla spalla di Carter come se avesse voluto dire: «Sei un bravo ragazzo. Noi non siamo nemici perché abbiamo un interesse in comune: la giustizia.»

Ci furono mormorii di approvazione.

Il tutto contribuiva a creare una atmosfera di dignità e di serietà.

Anche Ellery Queen approvava.

E approvò ancora di più quando esaminò i dodici della giuria. Da quanto poteva giudicare erano dei cittadini solidi, di principi sani. Nessuno pareva avere dei pregiudizi, o emozioni particolari, tranne uno, forse, un individuo grasso che continuava a sudare: uomini per bene, in sostanza, che avrebbero potuto capire che un individuo può essere un debole senza per altro essere un criminale.

Nel discorso d’apertura rivolto alla giuria, Carter Bradford disse che era necessario tenere continuamente presente un fatto importantissimo: Rosemary Haight, la sorella dell’accusato, era stata avvelenata con l’arsenico, ma la sua morte era stata un errore. Il vero oggetto del delitto era la moglie dell’accusato, Nora Wright Haight. L’accusa ammetteva che il caso contro Jim Haight era circostanziale, ma i casi circostanziali erano una regola, non un’eccezione. Comunque, le prove erano così chiare, così forti, così irrefutabili che la giuria avrebbe potuto giudicare Jim Haight colpevole senz’alcun dubbio possibile.

«L’accusa dimostrerà» disse Bradford «che Jim Haight aveva progettato l’omicidio della moglie con un anticipo di cinque settimane; che il suo era un piano astuto, che dipendeva da una serie di avvelenamenti, in ordine crescente di gravità, tali da stabilire che sua moglie era soggetta ad attacchi di una misteriosa “malattia”. L’accusa dimostrerà che questi avvelenamenti preliminari avvennero proprio nelle date indicate nelle lettere che Jim Haight aveva scritto di suo pugno; che il tentato omicidio di Nora Haight e la morte accidentale di Rosemary Haight si sono verificati nella data in precedenza stabilita. L’accusa dimostrerà che la notte del delitto, James Haight e soltanto James Haight ha preparato i cocktail; che James Haight e soltanto James Haight ha portato il vassoio in salotto e ha distribuito le bevande; che James Haight e soltanto James Haight ha porto a sua moglie il bicchiere con il veleno; e che la donna si è salvata soltanto perché, dietro insistenza di Rosemary, aveva passato la bevanda avvelenata alla cognata, dopo averne bevuto soltanto un sorso… una circostanza che Jim Haight non aveva previsto.

«L’accusa dimostrerà che James Haight aveva un disperato bisogno di soldi, che negli ultimi tempi, quando era ubriaco, chiedeva alla moglie somme sempre più forti e che per altro lei gli rifiutava; che James Haight perdeva al gioco e che alla morte di Nora Haight lui solo avrebbe ereditato il suo patrimonio.»

«L’accusa» concluse Bradford con voce così bassa, che quasi non lo si udiva «essendo convinta senz’alcun dubbio possibile della colpevolezza di Jim Haight, chiede che il colpevole paghi con la propria vita la vita che ha distrutto.»

Fin dal primo momento Ellery comprese il piano del giudice Martin: seminare dubbi, dubbi, dubbi. Senza perorazioni, senza retorica: con tranquillo umorismo. Era come la voce della ragione… insinuava, sottolineava. Ellery comprese anche che il giudice Martin aveva ben poche speranze.

Lo si vide subito durante l’interrogatorio di Frank Lloyd. Al giornalista editore, il giudice Martin prestò una particolare attenzione. Il vecchio avvocato riuscì a fargli ammettere la relazione che lo legava alla famiglia Wright… e la sua “particolare” relazione con la moglie dell’accusato. Frank non poté negare che era stato innamorato di lei, di averla minacciata quando aveva preferito Jim Haight. Aveva persino minacciato Jim Haight di fargli del male.

Così Frank Lloyd perse valore come testimone dell’accusa. E i dubbi aumentarono ancora. Con la famiglia Wright, che fu costretta a salire sul banco dei testimoni, il giudice Martin fu molto impersonale, e seminò altri dubbi. Sui fatti, questa volta. Nessuno aveva realmente visto Jim Haight mettere l’arsenico nel cocktail. Nessuno poteva essere sicuro…

Nonostante tutto, però, l’accusa faceva progressi, e, quantunque il giudice Martin si battesse come un leone, Bradford riuscì a stabilire che Jim era stato l’unico a preparare le bibite; che solo lui aveva avuto l’occasione di avvelenare il cocktail di Nora, la vittima prestabilita.

Subito dopo depose l’avvocato del nonno Wright. Questi affermò che Nora aveva ricevuto centomila dollari all’atto del suo matrimonio.


Seguì la testimonianza di cinque periti calligrafi, i quali, nonostante il rigoroso contro-interrogatorio del giudice Martin, furono d’accordo nel dichiarare che le tre lettere incriminate erano state scritte dall’accusato. Salì poi sul banco dei testimoni Alberta Manaskas, che sbalordì tutti per la sua insospettata acutezza d’osservazione. Per mezzo suo, Carter Bradford riuscì a stabilire che, come aveva predetto la prima lettera, Nora era stata poco bene l’ultima domenica di novembre; a Natale era “stata male” in modo ancora più allarmante.

Il giudice Martin afferrò la palla al balzo.

«È stata male… Alberta? Male, come?»

«Male! Ha vomitato l’anima sua.» (Risate.)

«E lei, Alberta, ha mai… vomitato l’anima sua?»

«Certamente! io, come lei, come tutti.» (Il giudice è costretto a richiamare il pubblico all’ordine.)

«Come la signora Nora?»

«Certamente.»

«Ma lei non è mai stata avvelenata con l’arsenico, vero, Alberta?»

Bradford balzò in piedi. Il giudice Martin si sedette sorridendo. Il signor Queen notò che aveva la fronte imperlata di sudore.


Seguì il dottor Willoughby, che testimoniò sui risultati dell’autopsia; poi il dottor Maggil, chimico di Stato, il quale descrisse l’arsenico bianco come una sostanza “senza colore, senza sapore e senza odore in soluzione, ma altamente tossica”.

Venne poi il turno di Myron Garback, il proprietario della farmacia. Il signor Garback era raffreddato e aveva il naso gonfio e rosso. Starnutiva frequentemente e si agitava sulla sedia dei testimoni. Nel pubblico, sua moglie (una pallida irlandese) l’osservava molto ansiosamente. Dopo il giuramento di rito, Myron Garback testimoniò che un giorno dell’ottobre del 1940, Jim Haight era entrato nella sua farmacia e aveva chiesto una “scatola piccola di Quico”.

D. «Che cos’è esattamente il Quico, signor Garback?»

R. «È un preparato in uso per sterminare i roditori e gli insetti nocivi.»

D. «Qual è l’ingrediente tossico del Quico?»

R. «Il triossido d’arsenico.»

D. «L’accusato non è più ritornato da lei a comprare dell’altro Quico?»

R. «Sissignore; circa due settimane dopo. Ha detto che aveva perso la prima scatola del veleno e doveva comprarne un’altra. Gliene ho data una nuova. Disse che aveva dei topi in casa e che voleva distruggerli. Gli ho risposto che ero sorpreso perché non avevo mai sentito dire che ci fossero topi sulla collina. Lui non mi ha più risposto.»

Contro-interrogatorio del giudice Martin:

D. «Signor Garback, quante scatole di Quico ha venduto, a occhio e croce, durante il mese di ottobre?»

R. «È difficile dirlo; moltissime, certo. È il miglior veleno per topi ch’io abbia in bottega; e il quartiere popolare ne è infestato.»

D. «Ne avrà vendute venticinque scatole? Cinquanta?»

R. «Più o meno, sì.»

D. «È un fatto strano che i suoi clienti comprino quel preparato velenoso… esclusivamente per uccidere i topi?»

R. «È tutt’altro che straordinario.»

D. «Allora, come mai si ricorda in particolare che il signor Haight ha comprato un po’ di veleno per topi… sebbene siano già passati cinque mesi

R. «Mi è rimasto in mente, forse perché ha comprato due scatole a così poca distanza, e abitava sulla collina.»

D. «È certo che si trattasse di due scatole, a due settimane di distanza?»

R. «Sissignore. Non lo direi se non fosse vero.»

D. «Signor Garback, lei prende nota di tutti i barattoli di Quico che vende, e del nome dei relativi compratori?»

R. «Non è necessario, signor giudice. È legale vendere…»

D. «Risponda alla domanda, signor Garback. Ha un’annotazione scritta che confermi gli acquisti del signor Haight?»

R. «Nossignore, ma…»

D. «Allora noi abbiamo soltanto la sua parola per confermare due incidenti che, secondo la sua dichiarazione, hanno avuto luogo cinque mesi fa?»

Il procuratore distrettuale Bradford:

«Vostro Onore, il testimone sotto giuramento ha risposto alla domanda della difesa non una, ma varie volte. Mi oppongo.»

Il giudice Newbold:

«Mi sembra che il testimone abbia risposto, avvocato. Opposizione accolta.»

D. «Grazie mille. Questo è tutto, signor Garback.»

Alberta Manaskas venne richiamata a testimoniare. Interrogata da Cart Bradford, affermò di non aver mai visto alcun topo in casa della signora Nora. In seguito dichiarò di non aver mai visto veleno per topi.

Emmeline Du Pré dichiarò sotto giuramento di essere l’insegnante di danza e di recitazione, abitante al numero 468 nel Viale della Collina di Wrightsville, «proprio la porta accanto a quella di Nora Wright».

La testimone dichiarò che le era capitato di udire «per caso» delle liti tra Nora e Jim Haight, liti che si ripetevano molto di frequente. Le discussioni riguardavano principalmente le sbronze del signor Haight e le sue richieste di danaro. C’era stata una scena particolarmente violenta nel mese di dicembre, quando la signorina Du Pré aveva sentito Nora Haight rifiutare a suo marito di dargli «ancora un soldo di più». La signorina Du Pré non aveva «sentito per caso» qualcosa che indicasse la ragione del gran bisogno di danaro dell’accusato!

«È appunto questo che mi ha scandalizzato tanto, signor Bradford.»

D. «Alla Corte non interessano le sue reazioni personali, signorina Du Pré. Risponda alla domanda, per favore.»

R. «Jim Haight ha ammesso che aveva giocato e perso molto danaro. Per questo aveva urgente bisogno di soldi.»

D. «Il signore e la signora Haight non hanno per caso nominato un luogo ove l’accusato aveva perso questo danaro giocando?»

R. «Jim Haight una volta ha detto di aver perso molti soldi all’“Allegro Inferno”. Quell’orribile locale sulla strada provinciale…»

Il giudice Martin:

«Vostro Onore, chiedo che non venga presa in considerazione la testimonianza di questa teste. Dal momento che questo processo è così vagamente circostanziale…»

Il procuratore distrettuale Bradford:

«Posso chiedere alla difesa di limitare le sue osservazioni e le sue obiezioni, e di non influenzare la giuria?»

Il giudice Newbold:

«L’accusa ha ragione, giudice Martin. E ora dica: qual’è la sua obiezione alla testimonianza di questa teste?»

Il giudice Martin:

«L’accusa non ha cercato di stabilire l’epoca e le circostanze nelle quali la teste avrebbe sentito le suddette conversazioni tra l’accusato e sua moglie. Ammette pure di non essere stata presente nella stanza ove avvenivano i colloqui; non era nemmeno nella stessa casa. Come ha potuto “sorprendere” una conversazione? Come poteva essere sicura che le persone che discutevano erano l’accusato e sua moglie? Li ha visti? Non li ha visti?…»

Risposta della signorina Du Pré:

«Ma io li ho sentiti con le mie orecchie!»

Il giudice Newbold:

«Signorina Du Pré! Dica, signor Bradford.»

Il procuratore distrettuale Bradford:

«L’accusa ha chiamato la signorina Du Pré a testimoniare, per evitare alla moglie dell’accusato la penosa necessità di parlare delle sue liti…»

Il giudice Martin:

«Non avevo parlato di questo…»

Il giudice Newbold:

«No infatti. Ciononostante, consiglio alla difesa di sviluppare il suo punto nel contro-interrogatorio. Continui, signor Bradford.»

Il signor Bradford continua, ottenendo ulteriori deposizioni circa le liti tra Jim e Nora. Durante il contro-interrogatorio, il giudice Martin fa scoppiare in lacrime la signorina Du Pré per l’indignazione e per la vergogna. La induce infatti ad ammettere che, per udire la conversazione, doveva starsene rannicchiata sotto la finestra della camera da letto, al buio, coi vetri aperti nell’aria fredda di dicembre… La confonde inoltre per quanto riguarda le date e le ore, finché la signorina si contraddice varie volte. Gli spettatori si divertono molto.


Segue J. P. Simpson, del Monte di Pietà. Questi dichiara che, durante i mesi di novembre e dicembre, Jim Haight ha impegnato vari oggetti preziosi nel suo negozio. Gli vengono mostrati i gioielli di Nora, e li riconosce.

Il giudice Martin rinunzia al contro-interrogatorio.

È ora alla sbarra Donald Mackenzie, presidente del Banco dei Pegni di Wrightsville. Dopo il giuramento depone che Jim Haight ha preso in prestito, presso la sua agenzia, delle considerevoli somme di danaro, durante gli ultimi due mesi dell’anno precedente.

D. «Su quale garanzia, signor Mackenzie?»

R. «Nessuna.»

D. «Ma non è insolito per la sua agenzia, signor Mackenzie, prestare del danaro senza garanzie?»

R. «Ecco: noi siamo molto larghi in quanto a prestiti, ma naturalmente chiediamo quasi sempre delle garanzie. Per correttezza commerciale, intendiamoci. Ma questa volta, dato che il signor Haight era vicepresidente della Banca Nazionale di Wrightsville e il genero di John Wright, abbiamo fatto un’eccezione e gli abbiamo prestato il danaro dietro semplice ricevuta firmata.»

D. «L’accusato non le ha mai restituito nulla, signor Mackenzie?»

R. «No.»

D. «La sua agenzia non ha mai fatto alcun passo per ritornare in possesso del danaro prestato, signor Mackenzie?»

R. «Ebbene, sì. Non che fossimo preoccupati; ma, ecco: si trattava di cinquemila dollari. Dopo aver richiesto varie volte al signor Haight di far fronte ai suoi impegni e non aver ottenuto nulla, abbiamo finalmente deciso di andare in banca dal signor Wright. Gli abbiamo spiegato la situazione, e il signor Wright ci ha detto che ignorava il debito del genero, ma che naturalmente era disposto a pagarlo. Voleva soltanto che la cosa rimanesse segreta. E lo sarebbe rimasta infatti, se questo processo…»

Il giudice Martin:

«Mi oppongo. Tutto questo è irrilevante ai fini del processo…»

D. «Lasci correre, signor Mackenzie. Il signor Wright le ha pagato completamente il debito?»

R. «Sissignore: debito e interessi.»

D. «L’accusato ha preso in prestito dell’altro danaro dal gennaio in poi?»

R. «Nossignore.»

D. «Ha avuto altri colloqui con l’accusato, dopo il primo gennaio di quest’anno?»

R. «Sì. Il signor Haight è venuto da me a metà gennaio e ha cominciato a spiegarmi che non aveva pagato sino allora il suo debito… Mi ha detto d’aver fatto dei cattivi investimenti, ma che in seguito… Poi mi ha chiesto dell’altro tempo, assicurandomi che avrebbe senz’altro pagato tutto. Allora l’ho informato che suo suocero aveva già saldato il debito.»

D. «Come ha reagito l’accusato?»

R. «Non ha detto una parola. È girato sui tacchi ed è uscito dal mio ufficio.»

Contro-interrogatorio del giudice Martin.

D. «Signor Mackenzie, non le è parso strano che il vicepresidente della Banca Nazionale di Wrightsville sia venuto proprio da lei per un prestito?»

R. «Sì; in fondo, sì. Ma pensavo si trattasse d’affari privati, e…»

D. «E per un affare privato, senza spiegazioni o garanzie, contro una semplice firma lei ha prestato la somma di cinquemila dollari?»

R. «Ecco: in fondo pensavo che il vecchio John avrebbe pagato, in ogni caso…»

Il procuratore distrettuale Bradford:

«Vostro Onore!»

Il giudice Martin:

«Basta. Grazie, signor Mackenzie.»


Non tutte le testimonianze contro Jim Haight vennero portate in tribunale. Alcune furono gridate nel principale negozio di parrucchiere o nello studio del dentista, e tutte indistintamente vennero diffuse per la città dai soliti pettegoli che gonfiavano le cose oltre misura. Vi fu Luigi Marino, il parrucchiere, che andò in giro a raccontare a tutti la violenza con cui Jim Haight l’aveva sconsigliato «di fare la corbelleria di sposarsi». Occasionali compagni di sbornia, che avevano raccattato Jim ubriaco per la strada, corsero a riferire a Cart Bradford che il giovane aveva pronunziato violente minacce contro la propria moglie, dichiarando più volte di volerla uccidere. Persino il dentista più noto della città andò dal Procuratore Distrettuale a riferirgli che, sotto l’effetto del gas esilarante, Jim Haight si era espresso con inaudita violenza contro la propria moglie.

Cart protestava sempre:

«Le dichiarazioni fatte sotto l’influenza dell’alcool sono estremamente opinabili. Perché volete farmi perdere il “caso” con il vostro discutibile aiuto?»

Le chiacchiere giunsero persino all’orecchio del giudice Newbold, il quale alla fine di un’udienza ammonì severamente i giurati di non discutere il “caso” con nessuno, nemmeno tra di loro.

In seguito fu chiamato a testimoniare un impiegato della banca, Thomas Winship, che dichiarò che Jim Haight usava sempre un pastello rosso durante il suo lavoro, e presentò vari documenti dell’archivio, firmati da Haight col famoso pastello.

L’ultima prova presentata da Bradford (che si dimostrò con questo un ottimo tempista) fu il volume di tossicologia di Edgcomb con dei segni rivelatori in pastello rosso. Il volume fu passato al collegio dei giurati perché l’esaminassero, mentre la difesa assumeva un’aria “sicura e tranquilla” e Jim Haight impallidiva visibilmente, guardandosi attorno come un topo in gabbia. Ma il brutto momento passò, e d’allora in poi l’accusato si comportò come sempre: silenzioso, assente, abbandonato nella poltrona con un’espressione di noia sul volto grigiastro.

IV Consiglio di guerra

L’ultima udienza della settimana ebbe luogo venerdì ventotto marzo. Il prigioniero fu riportato alla sua cella al piano superiore del palazzo di Giustizia; l’aula fu sgombrata, e i Wright se ne tornarono a casa. Non vi era altro da fare sino a lunedì… Si poteva, al massimo, cercar di rialzare un po’ il morale di Nora. La povera Nora giaceva sopra una sedia a sdraio nella sua graziosa camera da letto, ripetendo infinite volte il gesto di cogliere le rose disegnate sul centro delle tendine. Hermy le aveva rifiutato il permesso di assistere al processo, e dopo due interi giorni di lacrime la ragazza si era arresa, esausta.

Quel venerdì fu distinto da un altro avvenimento importante. Roberta Roberts perse il suo impiego. La giornalista aveva continuato a difendere Jim Haight a spada tratta, nonostante le proteste dei suoi superiori; finché un giorno il suo direttore le aveva telegrafato che poteva cercarsi un altro lavoro.

Roberta Roberts trascorse tutto il sabato nella cella di Jim, pregandolo di parlare, di difendersi, di collaborare col suo difensore. Anche il giudice Martin era presente, ed ascoltò le vivaci perorazioni di Roberta. Ma Jim continuò a scrollare il capo tacendo, taciturno, immobile come un cadavere. La domenica sera, a cena dai Wright, il signor Ellery Queen domandò lentamente a Roberta:

«Signorina, vorrei chiederle qualcosa.»

«Dica, signor Smith» invitò la giornalista, un po’ sulle difensive.

«Lei ha perduto il lavoro solo per sostenere Jim Haight.»

«Ma questo è ancora un paese libero, se Dio vuole» ribatté Roberta.

«Ma come mai questo caso la interessa tanto da indurla a sacrificare un buon impiego?»

«Perché, secondo me, Jim Haight è innocente.»

«Ma no!» fece Ellery con forza.

Roberta balzò in piedi.

«Che cosa cerca di farmi dire?»

«Troppo bello» sorrise il signor Queen. «È troppo bello per essere vero. Una giornalista cinica e provata dalla vita, rinunzia a un’esistenza di agi per difendere un estraneo… che agli occhi del mondo è colpevole come Caino. C’è una scusa per Nora che è innamorata di quest’uomo; c’è una scusa per i Wright che vogliono vedere il loro genero libero da ogni accusa, per amore della loro figliola e del futuro nipotino. Ma lei?»

«L’ho già detto.»

«E io non le credo.»

«Che cosa ci posso fare?»

«Signorina Roberts» domandò Ellery con voce dura «che cosa ci nasconde?»

«Mi rifiuto di sottomettermi ad un terzo grado.»

«Voglia scusarmi! Ma è chiaro che lei sa qualcosa. Sapeva qualcosa fin da quando è arrivata in città. Non vuole dirmi che cosa l’ha costretta a venire a Wrightsville per difendere Jim?»

La giornalista afferrò rapidamente i guanti, la pelliccia e la borsetta.

«Vi sono momenti, signor Smith, nei quali io la trovo assolutamente odioso… No, la prego, signora Wright: non si preoccupi per me» mormorò, e uscì in fretta.

«Credo che farò quattro chiacchiere con quella donna» osservò, pensoso il giudice Martin.

«Lola» chiamò Ellery, stringendosi nelle spalle.

«Io?» domandò la ragazza, sorpresa. «È il mio turno, ora?»

«Anche lei ha nascosto qualcosa.»

Lola spalancò gli occhi, poi rise e accese una sigaretta.

«Non le pare che sia venuto il momento di dire al giudice Martin che è entrata in casa di Nora dalla porta posteriore, pochi minuti prima della mezzanotte dell’ultimo dell’anno?»

«Lola!» esclamò Hermy, trasalendo. «Dunque c’eri anche tu?»

«Non preoccuparti, mamma; non è niente di grave» dichiarò Lola con impazienza. «Naturalmente, signor Martin, le dirò tutto; ma dal momento che siamo così disposti a collaborare, perché l’eminente signor Smith non si mette al lavoro?»

«Che cosa dovrei fare?» domandò il signor Smith.

«Mi pare che questo astuto individuo sappia molto più di quanto non dica!»

«Lola, non credi che se Ellery potesse far qualcosa lo farebbe?» gridò Pat.

«Naturalmente» disse il giudice Martin. «Smith, se sa qualcosa di utile, la chiamerò a testimoniare!»

«Molto volentieri, se potessi aiutarla, giudice» sospirò Ellery. «Ma purtroppo temo che farei ancora più danno.»

John Wright aprì bocca per la prima volta:

«Vuol dire che sa che Jim è colpevole, giovanotto?» domandò.

«Nemmeno per sogno» brontolò Ellery con voce soffocata. «Ma la mia deposizione metterebbe le cose in modo tale da nuocere seriamente alla posizione di Jim… Infatti si stabilirebbe, senza ombra di dubbio, che solo lui ha avuto modo di mettere il veleno in quel cocktail. Io non devo assolutamente venire a testimoniare.»

«Signor Smith.» Il capo della polizia era entrato improvvisamente, senza farsi annunziare. «Sono dolente di disturbarla ma ho con me un mandato che devo presentare personalmente.»

«Un mandato? Per me?» domandò Ellery.

«Sì, signor Smith; è convocato in tribunale lunedì mattina, per prestare testimonianza a favore dell’accusa contro James Haight.»

Загрузка...