«Non è ora di visita» disse fermamente Wally Planetsky, ma poi soggiunse: «Oh, lei è l’amico di Patty Wright. Un gran brutto modo questo di passare la domenica di Pasqua, signor Queen.»
«Ha più che ragione» convenne Queen, mentre il guardiano lo precedeva, aprendo e chiudendo Cancelli. «Come sta il nostro giovanotto?»
«Non ho mai visto un altro che sapesse tenere il becco chiuso come lui. Si direbbe che abbia fatto un voto.»
«Può anche darsi che l’abbia fatto» sospirò il signor Queen. «È venuto a trovarlo qualcuno, oggi?»
«Solo quella giornalista: la signorina Roberts.»
«C’è un medico qui in giro?» domandò Ellery inaspettatamente.
«Ma certo; abbiamo un’ottima infermiera, e il giovane Ed Crosby è entrato in servizio proprio ora.»
«Dica al medico che forse potrò avere bisogno del suo aiuto tra poco.»
L’ufficiale fissò Ellery sospettosamente; poi si strinse nelle spalle, gli aprì la porta della cella; poi la richiuse e si allontanò, strascicando i piedi. Jim, sdraiato sul pagliericcio con le mani incrociate dietro la testa, osservava i piccoli riquadri di cielo azzurro fra le sbarre.
«Jim?»
«Oh, buongiorno» fece Jim voltandosi. «E buona Pasqua.»
«Jim…» cominciò di nuovo Ellery accigliandosi.
Esitò, poi si fece forza e, con molto tatto, prima gli disse della bimba, poi della morte di Nora.
«Non è riuscita a superare la crisi. È spirata serenamente» concluse Ellery.
Ad un tratto l’investigatore balzò in piedi esclamando:
«No, Jim; un momento, figliolo!»
Ma Jim si era aggrappato alle sbarre come un’enorme scimmia e le scoteva violentemente.
«Lasciatemi andare, lasciatemi uscire!» gridava. «Maledetti tutti! Devo andare, devo correre da Nora! Fatemi uscire di qui!» Agli angoli della sua bocca comparve un velo di schiuma bianca.
Quando il dottor Crosby arrivò con la sua valigetta nera, trovò Jim Haight disteso sul pavimento e il signor Queen inginocchiato sul petto di Jim che gli teneva ferme le braccia con forza non priva di dolcezza. Jim urlava ancora, ma le sue parole non avevano più alcun senso. Il medico gli lanciò una rapida occhiata e afferrò una siringa.
I funerali di Nora ebbero luogo martedì quindici aprile in forma privata. Erano presenti solo i famigliari e alcuni amici: il signor Queen, il giudice Martin e sua moglie, il dottor Willoughby e alcuni funzionari della banca di John. Meno di venti persone in tutto. Frank Lloyd era apparso col viso tetro sulla soglia della cappella, aveva lanciato un’occhiata al viso immobile di Nora, nella bara, ma, quando gli occhi di Hermy si erano posati su di lui, si era dileguato. Hermy si era comportata meravigliosamente. Mentre il pastore predicava, era rimasta impassibile senza una lacrima. Pat disse poi che non aveva pianto, solo perché non aveva più lacrime. John era curvo, abbattuto, e Lola aveva dovuto condurlo via per mano quando la cassa era stata richiusa.
Prima che il corteo si avviasse, Pat si era allontanata per qualche minuto. E al suo ritorno annunziò:
«Ho telefonato all’ospedale. La bambina sta bene. Cresce nella sua incubatrice come una piccola piantina verde.»
Le labbra di Pat tremarono, e il signor Queen le passò un braccio intorno alle spalle.
Jim giunse al cimitero, accompagnato da due agenti. La sua disperazione era così completa, che l’avvolgeva quasi in un’aura di dignità. Il prigioniero camminava a passo fermo tra le sue due guardie, ignorandole, e fissando intensamente il punto in cui la terra era stata aperta per ricevere Nora.
Mezzo paese l’osservava in silenzio, e la curiosità dei presenti divenne quasi palpabile. Quando Jim giunse accanto al gruppo dei Wright, tutti gli occhi degli spettatori si fecero più attenti; quello era il “pezzo forte” della giornata. Ma non avvenne nulla di notevole. O forse sì, perché le labbra di Hermy si mossero, e Jim le si avvicinò e si chinò a baciarla.
Quando la bara fu calata nella fossa, la folla, ai cancelli, cominciò ad allontanarsi silenziosamente. Fu allora che Jim agì. Fino a un momento prima aveva camminato tra i suoi guardiani con gli occhi fissi al suolo; poi ad un tratto parve scuotersi. Fece lo sgambetto a uno degli agenti, e questi cadde all’indietro con un tonfo. Immediatamente Jim diede un formidabile pugno alla mascella dell’altra guardia, che cadde addosso al suo compagno. I due poliziotti si rotolarono, avvinghiati l’uno all’altro come lottatori, nel tentativo di rimettersi in piedi. In quei pochi secondi Jim scomparve, correndo tra la folla, caricandola come un toro… Ellery gli gridò qualcosa, ma Jim continuò a correre. Gli agenti riuscirono finalmente a rimettersi in piedi e partirono all’inseguimento, ma inutilmente. Sparare, con tutta quella gente in giro, era impossibile.
Ellery capì allora che la follia di Jim non era affatto follia. A circa un quarto della collina, al di là di tutte le altre automobili, era ferma una grossa macchina col radiatore puntato verso la città. Era completamente vuota, ma il motore era acceso. Jim vi balzò dentro, e l’automobile partì immediatamente a grande velocità. Gli agenti balzarono a loro volta sulla macchina della polizia e si buttarono all’inseguimento, ma Jim era già scomparso. Per un attimo sulla collina vi fu silenzio, poi si udì un grande sbatacchiamento di sportelli e il rombo di numerosi motori che s’avviavano. Pareva che i cittadini di Wrightsville non volessero perdere l’ultimo emozionante spettacolo.
Hermy giaceva sul divano, in sala da pranzo. Pat e Lola si alternavano, applicandole delle compresse fredde sulla fronte, mentre John voltava le pagine del suo ultimo album di francobolli con grande fermezza, come se al mondo non fosse esistito nulla di più importante. Clarice Martin teneva strettamente una mano di Hermy fra le sue, in un turbine di rimorso, e piangeva sulla propria defezione durante il processo, sulla fine di Nora e sull’ultimo gravissimo colpo. Hermy, la grande Hermy, la confortava. Accanto al caminetto, Ellery Queen e il medico parlavano a bassa voce.
Improvvisamente giunsero il giudice Martin e Carter Bradford. Tutti trasalirono quando il nemico varcò la soglia. Carter era pallidissimo e cercava di non guardare Pat che era diventata più pallida di lui. Clarice Martin, spaventata, lanciò uno sguardo interrogativo a suo marito, che rispose scotendo il capo con aria rassicurante.
«Non vorrei disturbare, signora Wright» disse Cart rigido. «Volevo solo che sapeste quanto male mi ha fatto tutto questo.»
«Grazie, Carter» rispose Hermy dolcemente. «E, figliolo: che ne è di Jim?»
«È scomparso, signora Wright.»
«Ne sono felice!» esclamò Pat. «Ne sono veramente contenta!»
«Non dire così, Patty» fece Cart lanciandole un breve sguardo. «Questo genere di cose non va mai a finir bene. Nessuno riesce a cavarsela. Jim avrebbe fatto meglio a restare dov’era.»
«Per darti il modo di mandarlo sulla sedia elettrica, immagino!»
Carter disse: «Naturalmente è stato dato l’allarme; tutte le strade sono controllate; è solo questione di tempo».
«Bradford, ha già scoperto da dove veniva quell’automobile?» domandò il signor Queen senza muoversi dal caminetto. «Mi è sembrata tutta una cosa preparata. L’automobile era nel posto ideale e, per di più, aveva il motore acceso.»
«A chi appartiene quell’automobile?» domandò Lola.
«È stata presa a nolo stamattina, in un garage della città bassa, da quella donna: Roberta Roberts.»
«Ah!» esclamò Ellery Queen, come se quella fosse appunto la notizia che si aspettava. Gli altri rimasero sorpresi.
«Carter mi ha permesso di parlare con quella donna, un minuto fa» spiegò il giudice Martin stancamente. «Dice che aveva noleggiato l’automobile per venire al funerale.»
«E sostiene di aver lasciato il motore acceso per sbaglio» concluse Cart seccamente. «Non c’è dubbio sulla sua complicità, ma se non riusciamo a prendere Jim Haight non potremo incriminare la Roberts. Probabilmente saremo costretti a rilasciarla.» E concluse irosamente: «Ho sempre diffidato di lei!».
«Domenica era andata a trovare Jim» osservò Ellery in tono meditabondo.
«Anche ieri! È probabile che abbiano preso accordi per la fuga.»
Hermy ripeté:
«Povero Jim» e chiuse gli occhi lentamente.
Quella sera, alle dieci, Carter Bradford ricomparve in casa Wright. Andò direttamente verso Pat. La ragazza ne fu tanto sorpresa, che si dimenticò di reagire.
«Tutto sta a te e a Lola, ora, Pat» disse Carter gentilmente.
«Si può sapere di che cosa stai parlando?» chiese Pat con voce tremula e acuta.
«Gli uomini di Dakin hanno trovato l’automobile di Jim.»
«L’hanno trovata?»
Ellery Queen raggiunse in fretta i due giovani.
«Se ci sono cattive notizie, parli sottovoce. La signora Wright è appena andata a letto, e John è al limite estremo delle sue forze. Dov’è stata trovata l’automobile?»
«In fondo al burrone che costeggia la strada del nord, dalla parte delle colline, a circa settanta chilometri da qui.»
«Oh, Dio» mormorò Pat con gli occhi sbarrati.
«È uscita da una curva ed è finita in fondo al precipizio. È stato un volo di più di cento metri…»
«E Jim?» domandò Ellery.
«L’hanno trovato nell’automobile.» Cart voltò il viso. «Morto. E così questa è la fine del “caso”.»
Il giovane si rivolse a Patricia. «È la fine, Pat.»
«Povero Jim» mormorò Pat.
«Voglio parlare con voi due» disse il signor Queen.
Era tardi e non c’era tempo da perdere. Le ultime ore erano state un incubo. Hermione aveva sorpreso la conversazione e alla notizia della morte di Jim era crollata. Al funerale della figlia il coraggio non l’aveva abbandonata, ma la fine del genero l’aveva trovata indifesa. Aveva perso il controllo e il dottor Willoughby aveva lavorato ore e ore per riuscire a farla dormire. John non era certo stato meglio: improvvisamente aveva cominciato a tremare come una foglia e il medico se n’era accorto. L’aveva mandato immediatamente a letto, con Lola ad assisterlo. Ora finalmente i due coniugi dormivano. Il dottor Willoughby era tornato a casa sfinito.
«Voglio parlare con voi due» ripeté il signor Queen. Pat era rimasta in silenzio sotto il portico ad aspettare che Carter Bradford uscisse per tornare a casa. Ed ora finalmente il giovane era arrivato.
«Non credo che possa dirmi nulla che io desideri udire» brontolò Carter con voce roca e fece per andarsene.
«Ellery, non…» esclamò Pat afferrandogli una mano.
«Devo parlarvi. Questo ragazzo crede d’essere un martire, lei Pat pensa di essere l’eroina di qualche tragedia di Byron. Entrambi siete due stupidi e questa è la verità.»
«Buona notte!» esclamò Carter Bradford.
«Aspetti un momento, Bradford. Abbiamo tutti passato momenti terribili e questa è stata una giornata particolarmente penosa. Ed io sto per lasciare Wrightsville.»
«Ellery!» gemette Pat.
«Sono già rimasto troppo a lungo, Pat. Ora non vi è più nulla che mi trattenga… assolutamente nulla.»
«Proprio nulla?»
«Risparmiatemi i vostri teneri addii» rimbeccò Cart. Poi rise un po’ imbarazzato e si sedette sul gradino vicino agli altri due. «Non badatemi. Sono intontito in questi giorni, a volte penso di essere un rompiscatole terribile.»
«Cart… tu? Che fai l’umile?» esclamò Pat sgranando gli occhi.
«Sono molto cresciuto in questi ultimi mesi» disse Cart a mezza voce.
«Molta gente è cresciuta qui attorno» fece il signor Queen in tono mite. «Che ne direste di dimostrare un po’ di buon senso, finalmente?»
«La prego, Ellery» mormorò Pat scostando la propria mano da quella del giovane.
«So che sto impicciandomi degli affari vostri e il mestiere di ficcanaso è duro» sospirò il signor Queen «ma, comunque, che ne dite della mia decisione di partire?»
«Pensavo che fosse innamorato di lei» borbottò Cart ruvidamente.
«E lo sono infatti.»
«Ellery!» esclamò Pat. «Non mi ha mai, mai…»
«Sarò innamorato di quel buffo faccino finché vivrò» dichiarò il signor Queen. «È un adorabile musino di bamboccia. Ma il male è, Pat, che lei non è innamorata di me.» Pat fece per dire una parola, ma ci ripensò e tacque. «Lei è innamorata di Cart.»
Pat balzò in piedi.
«Che importa se anche lo sono stata! La gente non dimentica le scottature e le ferite!»
«Oh sì, dimentica» disse pacato il signor Queen. «La gente sa dimenticare con maggiore facilità di quanto non si creda.»
«Impossibile» ribatté Pat corrucciata. «Non è il momento di comportarsi come ragazzini. Pare che non si sia reso conto di quel che è successo in questa casa. Ormai noi siamo dei paria. Dovremo combattere una lunga battaglia per riabilitarci. E ormai ci siamo solo io e Lola per aiutare mamma e papà a rimettersi di nuovo in piedi.»
«Potrei aiutarvi io, Pat» fece Cart in un soffio.
«Grazie mille! Faremo noi. È tutto, signor Queen?»
«Non c’è fretta» mormorò il signor Queen.
Pat rimase in silenzio per un momento poi augurò la buona notte con voce stizzosa ed entrò correndo in casa. La porta sbatté alle sue spalle. Ellery e Carter tacquero per un po’.
«Queen» disse finalmente Cart.
«Sì, Bradford?»
«Questa faccenda non è finita, vero?»
«Che cosa intende dire?»
«Ho la strana sensazione che lei sappia qualcosa che io non so.»
«Davvero?» domandò il signor Queen.
«Non voglio negare di esser stato gretto e testardo, ma la morte di Jim ha mosso qualcosa dentro di me. Non so perché, dal momento che non ha cambiato i fatti. Jim rimane sempre il solo che avesse un vero motivo per desiderare la morte di Nora. Eppure… non ne sono più sicuro come una volta.»
«Da quando?» chiese Ellery in tono molto strano.
«Da quando ho saputo che l’hanno trovato morto.»
«E perché questo dovrebbe fare una differenza?»
Cart si prese il capo tra le mani. «Perché abbiamo tutte le ragioni di credere che l’automobile non sia finita nel burrone per un incidente.»
«Capisco» dichiarò Ellery.
«Non volevo dirlo ai Wright, ma io e Dakin siamo convinti che Jim si sia buttato deliberatamente nel vuoto con la macchina.» Il signor Queen non rispose. «E allora ho cominciato a pensare… a pensare… Queen!» Carter balzò in piedi. «Per l’amor del cielo, se sa qualcosa me lo dica! Non riuscirò a dormire finché non ne sarò certo. È stato Jim Haight a commettere quel delitto?»
«No.»
«Chi è stato allora?» chiese Carter con voce afona.
«Non voglio dirlo.»
«Però lo sa.»
«Sì» sospirò Ellery.
«Ma non può…»
«Sì che posso. Non creda che per me sia facile. Tutte le mie convinzioni, la mia vita stessa di investigatore mi spingono a ribellarmi a questa… diciamo connivenza. Ma i Wright mi piacciono, sono brave persone e hanno sofferto troppo. Non voglio far loro dell’altro male. Lasciamo correre.»
«Ma può dirlo almeno a me, Queen!» implorò Cart.
«No, lei non è sicuro di se stesso; non è ancora del tutto sicuro, Bradford. Lei è un gran caro figliolo, ma il suo processo di sviluppo è stato un poco ritardato.» Ellery scosse il capo. «Il meglio che lei possa fare è di dimenticare, e cercare di sposare Patty. È pazzamente innamorata di lei.»
Cart afferrò il braccio di Ellery e lo strinse così forte che il giovane trasalì.
«Ma deve dirmelo!» esclamò. «Come potrei… sapendo che uno… uno di loro…»
Il signor Queen aggrottò la fronte nell’oscurità.
«Le dirò quel che faremo, Carter» disse infine. «Lei aiuta questa gente a riprendere la sua posizione e la sua vita normale a Wrightsville. Faccia una corte spietata a Pat Wright. Insista continuamente per farsi sposare, fino a stancarla. Dico sul serio: la stanchi a forza di richieste di matrimonio. Ma se non otterrà nulla, mi telegrafi. Io torno a casa. Mi mandi un telegramma a New York ed io tornerò. Forse quello che ho da dire a lei e a Patty risolverà il vostro problema.»
«Grazie» mormorò Carter Bradford con voce soffocata.
“Ecco” pensava il signor Ellery Queen mentre si guardava attorno sulla piattaforma della stazione. “Sono di nuovo un ammiraglio, il secondo viaggio dell’ammiraglio Colombo.” Il treno che l’aveva riportato a Wrightsville stava scomparendo dalla curva. In tasca gli frusciava un telegramma che aveva ricevuto la sera prima. Diceva: “Ho bisogno di lei. L’aspetto”. Ed era firmato da Carter Bradford.
Ellery era stato lontano da Wrightsville meno di un mese, ma gli sembrava che il paese fosse cambiato. O meglio gli sembrava che fosse tornato quello di prima. Era di nuovo la vecchia Wrightsville che aveva conosciuto nell’agosto precedente. All’investigatore pareva che fosse passato un secolo da allora.
Il signor Ellery entrò in una cabina telefonica, e un istante dopo si fece condurre in cima alla collina dal tassì della stazione.
La casa che era stata di Nora e di Jim aveva tutte le imposte chiuse, e così opaca e senza vita sembrava quasi brutta.
Ellery esitò di fronte alla grande villa dei Wright. Dal retro del giardino veniva un mormorio di voci e il giovane investigatore si diresse da quella parte camminando silenziosamente sull’erba. Sotto il sole, Hermy si esercitava a spingere una carrozzella per bambini nuova di zecca. John sorrideva e Lola e Pat facevano allegri commenti sulle nonne di professione che volevano fare tutto loro.
Nascosto in un cespuglio di oleandri, il signor Queen osservò a lungo la scena finché non riuscì a richiamare l’attenzione di Pat, mentre gli altri non vedevano, e a farle segno di raggiungerlo.
«Ellery caro!» disse la ragazza che s’era allontanata dai suoi con un pretesto. Gli buttò le braccia al collo. «Sono tanto felice di vederla. Perché tutto questo mistero? Brutto antipatico! Come sono contenta!»
La ragazza baciò il giovane con effusione e per un momento il suo viso fu la faccetta infantile che Ellery ricordava.
«Non è la sua automobile quella?» domandò il signor Queen indicando una due-posti accanto al marciapiede. «Andiamo a fare una passeggiata.»
«Ma papà, mamma e Lola rimarranno malissimo se lei non…»
«Non disturbiamoli, Patty. Mi sembrano veramente felici ora che aspettano l’arrivo della piccola. Come sta la bambina?»
La macchina di Pat guidata da Ellery s’avviò giù per la collina.
«Ora sta benissimo. È un cosino tanto grazioso! Sa, somiglia tutta a…» Pat s’interruppe, poi riprese coraggiosamente: «Somiglia tutta a Nora».
«Davvero? Allora dev’essere una signorinetta molto bella.»
«È un tesoro. Non vediamo l’ora che esca dall’ospedale. L’andiamo a trovare continuamente; io poi scappo a vederla anche quando gli altri non ci sono… la piccola Nora abiterà nella stanza di sua mamma, l’abbiamo chiamata come lei…»
Ellery sorrise.
«Lei è tornata la Patty di un tempo…»
«Ma non ne ho più l’aspetto… lo so che sto diventando una vecchia strega. Dove stiamo andando, Ellery?»
«In nessun posto, in particolare» fece Ellery vagamente voltando la macchina verso sud.
«Mi dica, come mai è ritornato a Wrightsville? Il suo romanzo come va?»
«È terminato.»
«Oh, ma è meraviglioso, Ellery, non me ne ha letto una sola parola. Come finisce?»
«Questa è appunto la ragione per cui sono tornato a Wrightsville.»
«Che cosa significa?»
«Vede, il romanzo è praticamente finito, ma si potrebbe apportare qualche cambiamento all’ultimo capitolo… se non altro mutare alcuni elementi che non riguardano direttamente la trama poliziesca. Lei potrebbe aiutarmi.»
«Io? Ne sarei felicissima!»
«Ha visto molte volte Carter Bradford in questi ultimi tempi?»
Pat fissò attentamente le proprie unghie.
«Ah, sì! Si è fatto vedere qualche volta.»
«E il funerale di Jim?»
«L’abbiamo sepolto vicino a Nora.»
«Bene!» Ellery rallentò. «Sa Pat, mi sta venendo sete. Che cosa ne dice se andassimo a bere qualcosa!»
«D’accordo.»
«Ma quella non è la “Taverna” di Gus Olensen?»
Ellery fermò l’automobile davanti al locale e scese mentre Pat protestava giurando che non era mai entrata in un luogo simile. Attraversarono la soglia ridendo e in un angolo trovarono Carter Bradford in attesa.
«Ecco Pat, Bradford. Servizio a domicilio.»
«Pat!» esclamò Cart.
«Cart!»
I due giovani rimasero in piedi ai lati del tavolino guardandosi con occhi poco amichevoli.
«Ellery, lei mi ha portato qui con un trucco.»
«Non ero sicuro che sarebbe venuta senza trucchi» mormorò il signor Queen.
«Sono stato io a chiedere a Queen di ritornare a Wrightsville» spiegò Cart aggressivamente. «Lui mi aveva detto che… Pat, io ho tentato tante volte di vederti, ho cercato di farti capire che dovevamo cancellare il passato, che ti voglio bene, che te ne vorrò sempre e che sarei felice se tu acconsentissi…»
«Non parliamone più» ribatté Pat con forza.
La ragazza cominciò a cincischiare l’orlo della tovaglia. Arrivarono le bibite e i tre si sedettero a bere in silenzio senza guardarsi in viso.
Dietro il banco Gus Olensen leggeva attentamente una copia del giornale di Frank Lloyd e non badava assolutamente a loro.
«Pat» fece il signor Queen «io sono tornato qui oggi, per dire a lei e a Cart chi era realmente responsabile del delitto di cui Jim Haight era stato accusato.»
«Oh!» fece Pat sospirando profondamente.
Il signor Queen proseguì: «Nella sala d’aspetto dell’ospedale il giorno in cui Nora morì, lei mi disse una cosa, un fatto insignificante. È stato come gettare un seme… ora nella mia mente è nato un albero altissimo».
«Allora non era stato Jim, dopo tutto…» sospirò Pat. «Ellery, no, non voglio saperlo!»
«Sì» disse Ellery gentilmente. «È questo mistero che divide lei e Cart. E questo interrogativo che vi perseguiterà tutta la vita. Ed io vorrei poterlo cancellare e mettere al suo posto un bel punto fermo. Allora il capitolo sarà chiuso e voi due potrete guardarvi negli occhi con una nuova fede.» Sorseggiò il suo liquore. «Lo spero, almeno!»
«Lo spera?» borbottò Carter.
«La verità non è piacevole.»
«Ellery!» gridò Pat.
«Ma voi non siete più bambini. Vi ripeto che la verità non è piacevole, ma se non altro, è la verità e quando voi la conoscerete potrete prendere delle serie autentiche decisioni… Pat, è come un’operazione. O si taglia il tumore, o si muore: devo operare?»
«Avanti, faccia pure… dottore» sussurrò infine Pat.
Cart inghiottì a fatica e annuì.
«Lei ricorda, Pat» cominciò il signor Queen con un sospiro «d’avermi parlato, all’ospedale, della visita che avevo fatto a Nora alla vigilia di Ognissanti, quando avevo trovato lei e sua sorella che portavate i libri dal salotto al nuovo studio di Jim, al piano superiore?» Pat annuì senza parlare. «Ricorda che cosa mi ha detto? I libri che lei e Nora stavate portando di sopra erano appena stati levati da una cassa inchiodata. Lei era scesa in cantina pochi minuti prima che io entrassi e aveva visto la cassa dei libri chiusa e inchiodata esattamente come era arrivata dalla stazione alcune settimane prima… aveva visto la cassa intatta e l’aveva aperta personalmente.»
«Una cassa di libri?» brontolò Cart.
«Quella cassa di libri, Cart, faceva parte dei bagagli che Jim aveva spedito da New York a Wrightsville quando era ritornato per fare la pace con Nora. Quel bagaglio era rimasto in deposito alla stazione di Wrightsville, Carter, era rimasto alla stazione per tutto il tempo della luna di miele di Jim e Nora. Era stato portato in casa Haight al loro ritorno e depositato in cantina finché, alla vigilia di Ognissanti, Pat aveva trovato la cassa ancora intatta, ancora inchiodata, ancora chiusa. Questo fatto che io avevo sempre ignorato, mi ha condotto alla scoperta della verità.»
«Ma come, Ellery?» domandò Pat.
«Fra un momento lo capirete. Avevo sempre creduto che quei libri fossero quelli dello scaffale del salotto. Credevo che fossero libri di casa, libri che Jim e Nora possedevano da molto tempo.»
«Ma dove vuole arrivare?» domandò Carter Bradford accigliandosi.
«Uno dei libri di quella cassa era la copia della Tossicologia di Edgcomb.»
Carter Bradford rimase a bocca aperta.
«Ma il passo che riguardava l’arsenico!»
«E non solo quello… dovete sapere che le tre lettere erano cadute dalle pagine di quel volume.»
Quella volta Carter non disse nulla. Pat fissava Ellery con aria interrogativa.
«Ora, dal momento che quella cassa era stata inchiodata a New York e riaperta solo quel giorno, e poiché il libro di tossicologia vi era rimasto rinchiuso, è chiaro che Jim non poteva aver scritto quelle tre lettere a Wrightsville. Quando mi resi conto di questo, capii tutto. Le lettere dovevano esser state scritte a New York, prima che Jim ritornasse a Wrightsville per chiedere a Nora di sposarlo. Vale a dire, prima che sapesse con sicurezza se Nora lo avrebbe accettato dopo l’abbandono e tre anni d’assenza.»
«Già» mormorò Carter Bradford.
«Ma non capite?» domandò Ellery. «Come potevano riguardare Nora, la malattia e la morte predette da Jim per sua “moglie” in quelle lettere? Certo, Nora era la moglie di Jim quando vennero trovate, ma non era sua moglie e Jim non poteva pensare che lo sarebbe diventata quando le aveva scritte.»
«Ma Ellery» ansimò Pat. «Se quelle lettere non riguardavano Nora, allora… tutto…»
«Un po’ di pazienza, Pat…» interruppe il signor Queen con voce aspra. «Non appena cominciai a sospettare che la “moglie” di cui Jim parlava nelle sue lettere non fosse Nora, due fatti che mi erano sembrati di scarsissima importanza, divennero estremamente significativi. Innanzi tutto le date erano incomplete. Voglio dire che era scritto il mese, il giorno, ma non l’anno. Quindi le tre feste: di Ringraziamento, di Natale e di Capodanno, nelle quali aveva avuto luogo la malattia della moglie di Jim, potevano benissimo essere le feste di due o anche tre anni prima! In secondo luogo, il nome di Nora non veniva citato in nessuna delle tre lettere. Vi si parlava soltanto di una moglie. Quindi se Jim aveva scritto quelle lettere a New York, non poteva aver parlato della malattia e della morte di Nora. E se ci crediamo, tutto il castello di supposizioni che avevamo costruito all’inizio di questo caso crolla miseramente.»
«Incredibile» mormorò Carter. «È incredibile!»
«Sono confusa» si lagnò Patty. «Significa che…»
«Significa che Nora non era mai stata minacciata, né in pericolo di vita… non era lei la vittima predestinata.»
«Ma allora… è completamente nuovo…» esclamò Carter. «Se Nora…»
«Esaminiamo un po’ i fatti» proseguì Ellery. «A Capodanno è morta una donna: Rosemary Haight. Quando noi ritenevamo che Nora fosse la vittima designata, avevamo pensato che Rosemary fosse morta per un tragico errore. Ma ora che sappiamo che Nora non era la vittima, ne dobbiamo dedurre che Rosemary non è morta per caso e che, invece, era la vera vittima sin dall’inizio.»
«Ma Queen…» protestò Bradford.
«Si potrebbero fare mille obiezioni, si potrebbero sollevare enormi difficoltà. Ma, una volta eliminata Nora, l’unica spiegazione del delitto è questa. Dobbiamo quindi accettare il nuovo presupposto. Rosemary era colei che doveva venire uccisa. Ebbene, le tre lettere avevano a che fare con la morte di Rosemary? Apparentemente no. Infatti riguardavano la morte della moglie di Jim…»
«Rosemary era invece sua sorella» concluse Pat con la faccia scura.
«Sì, e inoltre Rosemary non aveva dato alcun segno di indisposizione l’ultima domenica di novembre né a Natale. D’altronde, poiché erano state scritte alcuni anni prima, poteva anche darsi che le lettere non alludessero a un omicidio. Poteva darsi che riguardassero semplicemente la morte naturale di una precedente moglie di Jim… non Nora, una prima moglie che Jim aveva sposato a New York e che era morta di Capodanno.»
«Ma Jim non ha mai parlato di una prima moglie.»
«Questo non prova che non ne abbia avuta una» affermò Cart.
«No, infatti» convenne Ellery. «Quindi tutto poteva essere perfettamente innocente, restavano però due punti inspiegabili e molto sospetti: voglio dire che le lettere erano state scritte, ma non spedite, come se nessuno fosse morto a New York, e in secondo luogo, una donna era veramente morta a Capodanno a Wrightsville come Jim aveva scritto molti anni prima dell’avvenimento. Una coincidenza? Mi pareva molto strano. No, doveva esserci qualche legame tra la morte di Rosemary e le tre lettere scritte da Jim… poiché senza dubbio, quelle tre lettere le aveva scritte proprio lui.
«Ma quale nesso poteva esserci» continuò il signor Queen «tra la morte di Rosemary Haight e le tre lettere scritte da Jim molto tempo prima? E con questo interrogativo veniamo al nocciolo della questione. Se ammettiamo che Rosemary fosse la vera vittima, l’uso delle tre lettere può essere interpretato come una finta, un astutissimo inganno, una sorta di cortina di fumo morale per nascondere la verità! Non è successo appunto questo? Bradford e Dakin non hanno appunto trascurato la morte di Rosemary per concentrarsi su Nora che ritenevano l’autentica vittima? Questo era appunto ciò che l’assassino di Rosemary voleva ottenere. Voi avete ignorato la vera vittima per concentrarvi su una figura posticcia. Così avete circoscritto le vostre indagini a Jim, la sola persona che avrebbe potuto avvelenare Nora e nemmeno per un momento avete dato la caccia al vero assassino, la persona che aveva un autentico motivo per avvelenare Rosemary.»
Pat era così sconvolta che aveva rinunciato a seguire il filo del discorso, ma Carter Bradford ascoltava attentamente, ansiosamente quasi, senza mai staccare gli occhi dal viso di Ellery. «Vada avanti» continuava a dire. «Vada avanti, Queen!»
«Torniamo indietro invece» fece il signor Queen accendendo una sigaretta. «Noi ora sappiamo che le tre lettere di Jim si riferivano a una misteriosa moglie della quale non aveva mai parlato. Se quella donna era morta a New York due o tre anni prima, perché Jim non aveva imbucato le lettere per sua sorella? Perché, soprattutto, non aveva rivelato d’esser già stato sposato quando l’avete arrestato? Perché non ne ha parlato al giudice Martin prima del processo? Se quella moglie fosse veramente morta, sarebbe stato semplicissimo dimostrarlo, presentando l’atto di morte e altri mille documenti… ma Jim non volle parlare. Non volle mai dire una sola parola che potesse far sospettare un suo precedente matrimonio. Perché? Perché aveva voluto tacere a tutti i costi?»
«Forse perché aveva veramente assassinato la prima moglie» disse Pat con un brivido.
«Ma allora perché non aveva imbucato le lettere per la sorella?» chiese Bradford.
«Eccoci al punto» disse il signor Queen. «Io mi dissi, infatti: è possibile che l’omicidio preparato da Jim per liberarsi della sua prima moglie non abbia avuto luogo?»
«Lei pensa forse che quella donna fosse viva quando Jim tornò a Wrightsville?» ansimò Pat.
«Non solo era viva» rispose il signor Queen spegnendo tranquillamente il mozzicone della sigaretta nel portacenere «ma seguì Jim. Quella donna lo seguì fin qui.»
«La prima moglie?» chiese Cart sbalordito.
«Venne a Wrightsville?» domandò Pat senza fiato.
«Ma non come moglie di Jim. Quella donna venne a Wrightsville facendosi passare per sua sorella…»
«Come sorella di Jim…» mormorò Pat. «Rosemary… ma Rosemary… non era sua sorella allora? Era sua moglie?»
«Sì.»
«Ma Queen, come può sapere una cosa simile?» domandò Carter.
«Noi avevamo solo la parola di Jim e di colei che si faceva chiamare Rosemary Haight, a provarci che era veramente la sorella di Jim. Ma non è su questo che io mi baso per credere che fosse sua moglie. Lo so perché so chi l’ha uccisa.»
«Ma Ellery» intervenne Pat. «Non mi aveva detto proprio lei stesso, quel giorno, quando aveva confrontato la scrittura di Rosemary Haight sulla bolletta di consegna di Steve Polaris e sulle lettere che Jim aveva ricevuto… non l’aveva detto lei che quella era la prova dell’identità della sorella di Jim?»
«Avevo torto» ammise il signor Queen scuro in volto. «Mi ero stupidamente sbagliato. Quelle due firme provavano soltanto che la donna che si era presentata a Wrightsville in casa di Nora, era la stessa che aveva scritto a Jim la lettera che l’aveva tanto sconvolto. Mi ero lasciato trarre in inganno dal nome “Rosemary Haight”, ma si trattava semplicemente di un nome che quella aveva usato perché le faceva comodo.»
«Ma se la donna avvelenata a Capodanno era la prima moglie di Jim» protestò Carter «perché la vera sorella di Jim non si è presentata dopo il delitto? Sa Dio se quel caso ha avuto anche troppa pubblicità!»
«Ammesso che Jim avesse una sorella…» borbottò Pat.
«Oh sì, aveva una sorella» disse Ellery stancamente. «Altrimenti perché le avrebbe indirizzato quelle lettere? Quando le aveva scritte aveva sperato che gli dessero una parvenza di innocenza. Contava di mandarle alla sua vera sorella, Rosemary Haight. Doveva esserci una sorella per forza, se Jim contava di basare su di lei tutta la sua difesa.»
«Ma i giornali!» esclamò Pat. «Cart ha ragione, Ellery. Come mai la sorella vera, dopo aver letto i giornali che annunziavano la morte di Rosemary Haight, non è corsa subito a Wrightsville?»
«Ma la sorella di Jim è venuta a Wrightsville, Patty. Non so se sia venuta con lo scopo preciso di spiegare l’equivoco, ma certo, dopo un colloquio col fratello, ha deciso di non rivelare la propria identità. Immagino che Jim le abbia chiesto formalmente di non dir nulla. E lei ha mantenuto la parola data.»
«Non riesco a seguirla» interruppe Cart in tono irritato. «Mi sembra uno di quei tali che continuano a tirar fuori conigli da un cappello. Allora Rosemary Haight è venuta a Wrightsville sotto falso nome?»
Il signor Queen si strinse nelle spalle.
«Chi ha aiutato Jim nella sua disgrazia? La famiglia Wright, un piccolo gruppo di amici che lei conosce benissimo… e un’altra persona. Quella persona era una donna.»
«Roberta!» esclamò Pat. «Roberta Roberts la giornalista!»
«Sì, Roberta Roberts. Con la scusa che “credeva” in Jim ha combattuto per lui, ha sacrificato il suo impiego, e alla fine… disperata… gli ha procurato l’automobile per fuggire, il giorno del funerale di Nora. Le stranezze della sua condotta sono largamente spiegate se pensiamo che era la sorella di Jim. Immagino che “Roberta” fosse il suo pseudonimo di giornalista. Ma il suo vero nome era indubbiamente Rosemary Haight.»
«Per questo ha pianto tanto al funerale di Jim» mormorò Pat pensosa.
«Comincio a capire» borbottò Cart alla fine.
«Ma non vedo perché la prima moglie di Jim sia venuta a Wrightsville facendosi passare per la sorella, e perché Jim abbia permesso quest’inganno!» soggiunse Pat. «È una pazzia inspiegabile!»
«No, non è una pazzia. È terribilmente logico, invece, una volta che ci si pensa. Anch’io mi son chiesto il perché. E quando ci ho ripensato ho capito che cosa doveva essere successo.» Fece una pausa e bevve un lungo sorso dal suo bicchiere. «Jim fuggì circa quattro anni fa alla vigilia del suo matrimonio con Nora, dopo una violenta lite per la casa nuova. Andò a New York, immagino, disperatamente infelice. Dovete pensare alla personalità di Jim. Era un ragazzo quanto mai indipendente… la sua natura era impastata di orgoglio e di fermezza. Fu questo che gli impedì di scrivere a Nora, di ritornare a Wrightsville, di comportarsi come un essere logico, e umano. Nora stessa, però, merita un biasimo per non averlo saputo comprendere. Comunque Jim andò a New York convinto che la sua vita fosse completamente spezzata e là si imbatté in una donna. Tutti l’abbiamo vista quella donna sprezzante annoiata stranamente bella… era proprio il tipo da affascinare un povero figliolo che soffriva ancora tutte le pene di una delusione amorosa. Quasi per ripicca Jim la sposò. Devono essere stati molto infelici insieme. Jim era un ragazzo solido, onesto, la donna era un tipo di bellezza notturna, egoista, crudele, capace di portare un uomo alla disperazione. Deve avergli reso la vita impossibile, se Jim era arrivato alla determinazione di ucciderla. Il fatto che avesse studiato l’omicidio con tanta cura, scrivendo quelle lettere a sua sorella in anticipo (che sciocchezza fu quella!) dimostra come fosse ossessionato dal bisogno di liberarsi da quella donna.»
«Ma perché non ha divorziato invece?» chiese Pat con un filo di voce.
«Sono certo che se avesse potuto, l’avrebbe fatto.» Ellery si strinse ancora nelle spalle. «Ma quella era una vera sanguisuga umana. Naturalmente noi non possiamo essere certi di nulla, ma io giurerei, Carter, che investigando scoprirebbe che: a) lei aveva rifiutato di concedergli il divorzio, b) lui aveva deciso di ucciderla, c) in qualche modo la donna era venuta a conoscenza dei suoi piani, ed era fuggita, d) più tardi aveva informato Jim di essere riuscita a ottenere il divorzio.
«Possiamo dedurlo facilmente da quel che seguì. Sappiamo infatti che Jim era sposato con una certa donna… e sappiamo che poco dopo, corse a Wrightsville e chiese a Nora di diventare sua moglie. Indubbiamente non l’avrebbe fatto se non avesse creduto di essere libero dalla prima moglie. Ma per crederlo, la donna doveva avergli dato una ragione plausibile. Sono convinto che quella gli disse, o gli scrisse di aver ottenuto il divorzio.
«Che cosa successe, allora? Jim sposò Nora dimenticandosi completamente, nella sua felicità, di quelle tre lettere nascoste nel libro di tossicologia. Dopo la luna di miele i due sposi ritornarono a Wrightsville per iniziare la loro vita matrimoniale nella nuova casa, e cominciarono i guai.
«Jim ricevette una lettera della sorella… si ricorda quel mattino, Patty? Dunque Jim lesse la lettera, ne rimase tremendamente scosso, poi, più tardi, annunziò che sua sorella gli aveva scritto e che forse era il caso di invitarla a Wrightsville…» Pat annuì. «Naturalmente la donna che si presentò dicendosi sorella di Jim era la prima moglie. Ma perché scrisse a Jim e venne a Wrightsville? Perché Jim le permise quell’inganno? Perché quel segreto fu mantenuto fino alla sua morte e ancora dopo? Può esservi una ragione: quella donna aveva un terribile mezzo per ricattare Jim.
«Ne abbiamo la conferma, indubbiamente. Poco dopo il ritorno dal viaggio di nozze, Jim prese a sperperare un sacco di soldi… e questo coincise con l’arrivo della prima moglie a Wrightsville. Perché prese a prestito cinquemila dollari dall’ufficio prestiti? Perché torturava Nora per farsi dare sempre più danaro? Dove andavano a finire tutti quei soldi? Li perdeva al gioco, secondo lei, Cart, e lei ha anche cercato di provarlo in tribunale, ma non ci è riuscito. Tutto quel che ha potuto appurare per mezzo di una testimone che aveva spiato dalla finestra è stata una dichiarazione di Jim. Ma per forza quel poveretto doveva dire a Nora che aveva perso del danaro giocando nell’“Allegro Inferno” di Vic Carlatti. Aveva pur bisogno di una scusa. Ma da Carlatti Jim si era limitato a bere, moltissimo, perché era disperato, ma non si era avvicinato una sola volta ai tavoli da gioco. Eppure quel danaro andava a finire da qualche parte. Non c’è dubbio: Jim lo dava a Rosemary fino all’ultimo centesimo.»
«Ma di che cosa si serviva quella donna per ricattarlo?» domandò Pat. «Doveva aver in mano un’arma formidabile.»
«Secondo me c’è un’unica risposta a questo interrogativo. Pensate un po’: se quella donna, che si faceva chiamare Rosemary, non avesse mai ottenuto il divorzio? Se avesse ingannato Jim, facendogli credere che era libero, mostrandogli dei documenti falsificati? Con un po’ di danaro ci si può procurare tutto. Specialmente le carte false. Non vi pare che tutto quadri? Sposando Nora, Jim commise un reato di bigamia. Fu allora che la prima moglie lo mise sotto il torchio… lo avvertì che sarebbe venuta a Wrightsville facendosi passare per sua sorella, in modo di poterlo ricattare direttamente. E quando arrivò ebbe cura di evitare che la famiglia Wright scoprisse la sua vera identità. Se avesse detto chi era infatti, avrebbe perso il suo potere su Jim. Non voleva vendicarsi. Voleva soldi. Solo con la minaccia di una rivelazione avrebbe potuto cavare lentamente il sangue a Jim. Il povero ragazzo sopportò, cominciò a pagare e divenne quasi pazzo di disperazione. Rosemary conosceva la sua vittima. Jim non avrebbe mai potuto dire la verità a Nora…»
«No» gemé Pat.
«Perché no?» domandò Carter Bradford.
«Già una volta, quando l’aveva lasciata, Jim l’aveva umiliata atrocemente di fronte agli occhi della famiglia e del paese… soprattutto dal paese. Wrightsville manca di tatto e di delicatezza, è crudele e per una persona sensibile, timida e nervosa come Nora, uno scandalo può costituire non una tragedia superabile, per quanto grave, ma la maledizione di tutta una vita. Jim aveva visto quel che il suo primo abbandono aveva fatto a Nora, sapeva che si era chiusa in se stessa, quasi pazza di vergogna, e si era trasformata in una creatura debole e indifesa che cercava continuamente di nascondersi da Wrightsville, dagli amici e anche dalla famiglia. Come avrebbe potuto sopportare Nora la rivelazione di aver sposato un bigamo? Sarebbe completamente impazzita, forse ne sarebbe morta.
«Jim capì tutto questo… Non poteva perciò permettere che Nora scoprisse di non essere legalmente sposata e si rendesse conto che il suo non era un vero matrimonio e che il bambino che doveva nascere…»
«Dio!» mormorò Carter.
«Mi diventa sempre più difficile parlare» disse Ellery con un sospiro. «Jim continuò a pagare, a prendere danaro in prestito ovunque perché quella donna maledetta non rivelasse la verità che avrebbe ucciso Nora. Quando era ubriaco, nei momenti di furia, Jim continuava a ripetere che l’avrebbe uccisa, che se ne sarebbe liberato e spiegava sempre che si trattava di una moglie. Naturalmente, parlava dell’unica moglie legale che avesse… di colei che si faceva chiamare Rosemary Haight e che si faceva passare per sua sorella. Quando Jim, ubriaco, ripeteva le sue folli minacce non pensava mai a Nora.»
«Ma mi pare» mormorò Cart «che di fronte alla sedia elettrica, Jim avrebbe dovuto…»
«Io credo che Jim fosse un grande uomo, a suo modo» rispose Queen con un sorriso triste. «Era pronto a morire per ripagare Nora del male che le aveva involontariamente fatto. Per questo fece giurare a sua sorella Roberta Roberts di mantenere il segreto. Se Jim avesse detto la verità si sarebbe reso pubblico il fatto che Nora, sebbene aspettasse un bambino, non era sposata. No, Jim decise che era meglio portare con sé quella triste storia nella tomba.»
Pat ora piangeva convulsamente.
«Inoltre» continuò in fretta il signor Queen «Jim aveva un’altra ragione molto più grave per mantenere il silenzio. La più grande ragione di tutte. Una ragione eroica… epica direi. Mi domando se voi due sospettate quale sia…»
«Parli» disse brevemente Carter.
Il signor Queen annuì.
«Vi è una sola domanda che aspetta risposta, la domanda più importante di tutte. Chi realmente ha avvelenato Rosemary? Nel processo è stato dimostrato che Jim soltanto aveva avuto l’occasione, che lui solo aveva avuto il controllo dei cocktails e pertanto era l’unico fra i presenti ad avere la certezza che il bicchiere avvelenato raggiungesse la vittima designata. Per di più, Cart, lei ha scoperto che Jim aveva comperato del veleno da topi per procurarsi l’arsenico da versare nel cocktail fatale. Tutto questo sarebbe indiscutibile se Jim avesse avuto intenzione di uccidere Nora, ma ormai noi sappiamo che quel povero ragazzo non aveva la minima intenzione di uccidere sua moglie! La vera vittima era Rosemary, e soltanto Rosemary!
«In base a questo presupposto io ho dovuto rivedere la situazione. Senza dubbio Jim aveva urgenza di uccidere Rosemary, e senz’altro aveva l’arsenico sotto mano. Ma… dal momento che Rosemary era la vittima predestinata come poteva Jim controllare la distribuzione dei cocktails? Come ricorderete, Jim aveva portato a Nora il bicchiere nel quale più tardi si scoprirono tracce di arsenico. Come poteva Jim essere sicuro che il bicchiere avvelenato sarebbe finito nelle mani di Rosemary?
«Non poteva saperlo. Era un’eventualità troppo lontana perché Jim potesse contarci. Inoltre Jim non era neppure in salotto, se vi ricordate, quando Rosemary bevve il cocktail di Nora. Perciò io mi sono domandato: dal momento che Jim non poteva essere certo che Rosemary avrebbe bevuto il cocktail avvelenato, chi poteva esserne certo?»
Carter Bradford e Patricia Wright si appoggiavano al tavolo rigidi con gli occhi sbarrati quasi senza fiatare.
Il signor Queen si strinse nelle spalle.
«E così si fa un conto: due meno uno. Mi è venuto in mente di colpo. Mi pareva incredibile, spaventevole, ma era l’unica soluzione possibile. Due meno uno è uguale a uno. Soltanto un’altra persona aveva avuto l’occasione di avvelenare quel cocktail perché appunto quest’altra persona l’aveva avuto tra le mani prima che il bicchiere finisse tra le mani di Rosemary! Un’altra persona aveva un motivo per uccidere Rosemary e aveva avuto il modo di adoperare per scopi omicidi l’arsenico che Jim aveva acquistato semplicemente per sterminare dei topi… ricordate che Jim andò da Myron Garback a comperare una scatola di Quico? Forse glielo aveva consigliato qualcun altro. E poco dopo Jim si recò in farmacia una seconda volta perché aveva perso la prima scatola. Come credete che sia stata persa la prima scatola di Quico? Non vi risulta evidente ormai che la scatola non era stata aperta, ma era stata rubata e nascosta dall’unica persona che aveva un motivo per uccidere Rosemary?»
Il signor Queen lanciò un’occhiata a Patricia Wright e Patricia chiuse gli occhi come se le dolessero. L’investigatore si ficcò una sigaretta all’angolo della bocca e disse tra i denti:
«Quella persona era la stessa che aveva porto il cocktail a Rosemary la sera dell’ultimo dell’anno.»
Carter Bradford si passò la lingua sulle labbra aride. Pat sembrava agghiacciata.
«Mi dispiace, Pat» disse Ellery riaprendo gli occhi. «Mi dispiace terribilmente, ma non vi è un’altra spiegazione. E solo per darle modo di essere di nuovo felice sono stato costretto a dirlo.»
Pat gemé debolmente:
«Non Nora. Non Nora!»
«Forse ha bevuto una goccia di liquore di troppo» spiegò il signor Queen a Gus Olensen. «Possiamo usare il salottino riservato, Gus?»
«Certo, certo» assentì Gus. «Mi dispiace molto, signor Bradford… il rum che vendo io non è fatturato, ne ha bevuto solo uno… lasciate che vi dia una mano…»
«Possiamo fare benissimo da noi, grazie mille» mormorò il signor Queen. «Ma forse sarebbe bene che ci portasse una buona dose di cognac.»
«Ma se ha bevuto troppo…» cominciò Gus perplesso. «Be’, fate come volete.»
Trasportarono Pat, che aveva gli occhi vitrei e fissi, sul divano di pelle della saletta riservata di Gus. Il barista arrivò subito, con un enorme bicchiere di cognac e Carter Bradford costrinse la ragazza a bere. Pat soffocava, tossiva, il liquore le andò di traverso e gli occhi le lagrimarono, ma finalmente riuscì a inghiottire qualche goccia, e si appoggiò all’indietro contro lo schienale con il viso rivolto verso il muro.
«Sta già meglio» disse con tono rassicurante il signor Queen «grazie Gus. Ci occuperemo noi ora della signorina Wright.»
Pat sedeva immobile. Carter imbarazzato rimase in piedi accanto a lei, poi si sedette e le prese una mano. Ellery allora si alzò e andò all’altro capo della stanza dove si fermò ad ammirare il tradizionale cartellone pubblicitario della birra Block.
Per lungo tempo non si udì alcun suono. Finalmente Pat chiamò: «Ellery».
Il signor Queen si voltò. Pat si era messa a sedere e teneva, tra le sue, entrambe le mani di Carter Bradford, come se fosse il giovane ad avere bisogno di consolazione. L’investigatore capì che in quei pochi minuti di silenzio era stata combattuta e vinta una grande battaglia.
«Voglio sapere il resto» comandò Pat con voce ferma, guardandolo fisso negli occhi. «Avanti Ellery, il resto.»
«Non fa grande differenza ormai, Patty cara» borbottò Cart. «Lo sai benissimo.»
«Lo so, Cart.»
«Qualunque cosa sia, tesoro, tu sai che tua sorella era sempre stata nevrastenica, forse molto vicina ai limiti della pazzia.»
«Sì, Cart. Mi racconti il resto, Ellery.»
«Pat, si ricorda d’avermi raccontato di essere capitata in casa di Nora, pochi giorni dopo l’arrivo di Rosemary, in novembre, e d’aver trovato sua sorella intrappolata per sbaglio nella dispensa?»
«Il giorno in cui Nora udì Jim e Rosemary litigare?»
«Sì, lei mi ha detto di non avere sentito che la fine della lite, una cosa molto violenta ma senza speciale significato. Mi ha raccontato che Nora non aveva voluto ripeterle quello che aveva udito, ma che aveva la stessa espressione del giorno in cui aveva trovato le tre lettere nel libro di tossicologia.»
«Sì…»
«Deve essere stato quello il momento cruciale, Pat, probabilmente allora, per colpa del caso, di un puro caso, Nora udì tutta la verità. Seppe che Jim e Rosemary non erano fratello e sorella ma marito e moglie e che lei, di conseguenza, non era legalmente sposata.»
Ellery abbassò gli occhi e si fissò le mani.
«La dolorosa realtà del primo matrimonio di Jim sconvolse Nora, distruggendo il suo morale e la sua ragione. Non dovete dimenticare che Nora era spiritualmente debolissima dopo i tre anni di vita completamente innaturale che aveva condotto in seguito all’abbandono di Jim… In quel momento Nora oltrepassò i confini tra la sanità e la follia. E così decise di vendicarsi delle due persone che le avevano rovinato la vita. Decise di uccidere la donna odiata che si faceva chiamare Rosemary e, nella sua mente malata, stabilì che Jim avrebbe dovuto pagare per quel delitto. Lo avrebbe incriminato usando le stesse armi che lui aveva contato di usare tempo prima, e che ora, provvidenzialmente, erano cadute nelle sue mani.
«Nora deve aver preparato i suoi piani molto lentamente. Era in possesso delle tre sconcertanti lettere che per lei non erano ormai più un mistero. Il contegno di Jim contribuiva a dare agli estranei l’idea della sua colpevolezza. E in più Nora scoprì in se stessa un talento eccezionale, quasi un genio per dissimulare le sue emozioni e i suoi reali sentimenti.»
Pat chiuse gli occhi e Carter le baciò la mano.
«Dopo essere riuscita molto abilmente ad attirare la nostra attenzione sulle tre lettere, Nora seguì con cura lo schema dei tre avvelenamenti. L’ultima domenica di novembre bevve volontariamente una piccola dose di arsenico per far credere che Jim stesse svolgendo i suoi piani. Ricordate che cosa fece subito dopo aver mostrato i primi sintomi di avvelenamento? Corse al piano superiore e bevve una enorme quantità di latte di magnesia che, come spiegai più tardi, è un antidoto di emergenza contro gli avvelenamenti da arsenico. Vedete, quindi, che Nora se n’era interessata. Questo non prova naturalmente che si fosse avvelenata da sola, ma se pensate agli altri episodi dovete ammettere che questo è un fatto molto significativo. Devo continuare, Pat? O è meglio che Carter la porti a casa…»
«Voglio sapere tutto» affermò Pat. «Tutto e subito, Ellery.»
«Brava la mia bambina coraggiosa» mormorò Carter Bradford, con voce soffocata.
«Pensi al suo contegno, Pat. Se Nora si fosse veramente preoccupata della salvezza di Jim, come voleva far credere, avrebbe lasciato nella cappelliera quelle tre lettere che l’avrebbero incriminato non appena fossero state trovate? Non le sembra che una qualsiasi donna che nutrisse realmente per il marito i sentimenti che Nora diceva di sentire per Jim avrebbe bruciato quelle lettere sull’istante? Nora invece le conservò… ed è naturale. Sapeva che avrebbero provato la colpevolezza di Jim, quando fosse stato arrestato, e voleva averle sottomano, per usarle contro di lui. Come le trovò Dakin, infatti?»
«Nora… Fu Nora a richiamare la nostra attenzione sulle lettere» disse Cart, debolmente. «Fu lei che ne parlò durante una crisi isterica. Fino a quel momento noi ne avevamo ignorato l’esistenza.»
«Crisi isterica? Mio caro Bradford, quella fu una delle più superbe commedie di Nora! Finse semplicemente di credere che io le avessi già parlato delle lettere! In questo modo riuscì ad informarvi che le lettere esistevano e potevano essere trovate. Fu… fu terribile. Ma finché non seppi che Nora era la vera colpevole tutto questo non ebbe alcun significato per me.»
«C’è dell’altro, Ellery?» domandò Pat, con voce tremante.
«Pat, è sicura… mi sembra che…»
«Che cosa c’è, ancora?»
«Jim. Lui solo sapeva per certo la verità… sebbene forse Roberta Roberts l’avesse immaginata. Jim sapeva di non aver avvelenato quel cocktail, quindi doveva immaginare per forza che soltanto Nora poteva averlo fatto. Eppure Jim non pronunciò parola. Non vi ho detto poco fa che quel disgraziato ragazzo aveva una ragione sublime per martirizzarsi, come ha fatto? Era la sua penitenza, la punizione che si era imposta. Perché Jim sapeva di essere il vero responsabile della tragica rovina della vita di Nora… Sapeva che, per colpa sua, Nora era diventata un’assassina. Per questo accettò il processo e la condanna ed era pronto ad accettare la morte in silenzio… Però… Jim non riusciva a guardare sua moglie. Ricordate in tribunale? Non guardò Nora nemmeno una volta. Non riusciva ad alzare gli occhi su di lei. Rifiutò poi d’incontrarla, di parlarle, di vederla, prima, durante e dopo. Sarebbe stato troppo… perché, dopotutto, Nora aveva…» Ellery s’alzò. «Credo di non aver altro da dire.»
Pat levò gli occhi su Cart e parve sul punto di completare il discorso di Ellery.
«No» disse Cart. «Per favore non parlare. Non voglio sentir nulla.»
«Ma Cart, tu non sai che cosa stavo per dire…»
«Lo so benissimo! ed è un insulto!»
«Veramente…» cominciò il signor Queen…
«Se tu pensi» riprese Cart con voce dura «se tu pensi che io sia il tipo di mascalzone che sbandiera in pubblico una storia simile per l’edificazione e la letizia di tutte le Emmy Du Pré di Wrightsville, solo per un malinteso senso del dovere, allora non sei la donna che voglio sposare, Pat!»
«Non potrei sposarti comunque, Cart» fece Pat parlando a fatica. «Non potrei sposarti, sapendo ormai che Nora… che mia sorella si è macchiata di…»
«Ma non era responsabile delle sue azioni! Era ammalata! Queen, cerchi di far ragionare questa ragazza. Ascoltami, Pat, se tu conti di comportarti così, se insisti in questo stupido atteggiamento… ti pianto, ecco, non voglio più saperne di te.» Si alzò con un gesto brusco, fece alzare la ragazza e se la strinse forte al petto. «Patty cara, non è per Nora, non è per Jim, non per tuo padre, né per tua madre, né per Lola e non è nemmeno per te che parlo così… non credere che io non sia stato all’ospedale… Ci sono stato, varie volte. Ho visto la bambina di Nora subito dopo che l’hanno tirata fuori dall’incubatrice. Mi ha guardato facendomi dei versini buffi, poi si è messa a piangere con tutte le sue forze e ora… accidenti, Pat, noi ci sposeremo non appena le convenienze lo permetteranno. Porteremo questo maledetto segreto nella tomba con noi, e adotteremo la piccola Nora in modo che tutta questa dannata faccenda sembri la trama di un romanzo d’appendice. Ecco che cosa faremo!»
«Cart» mormorò Pat. Poi chiuse gli occhi e appoggiò la guancia sulla spalla del giovane.
Quando il signor Ellery Queen uscì dalla saletta interna della taverna, aveva un sorriso sulle labbra.
Fece scivolare un biglietto da venti dollari sul banco di Gus Olensen e disse:
«Domandi a quei due innamorati di là che cosa vogliono ancora bere… Il resto se lo tenga. Addio, Gus. Devo prendere il treno per New York.»
Gus fissò sbalordito il biglietto di banca.
«Ma non sto sognando, vero? Lei non è Babbo Natale…»
«Non esattamente, sebbene abbia regalato da poco, a due persone, un bamboccio di quasi quattro chili.»
«Ma, che significa?» domandò Gus. «C’è qualche specie di festa?»
«Naturalmente! Non lo sa, Gus? Oggi è la festa delle mamme!»