Era sommerso in un mare di liscio vetro verde. Interamente avvolto da esso, incapace di risalire alla superficie; sopra la sua testa una lastra solida, impenetrabile, infrangibile, che lo separava dall’aria. Soffocava, i polmoni in fiamme, la testa che sembrava dovesse esplodere. Una sensazione di dolore sordo a entrambi i polpacci; un rigonfiamento delle dita. Sotto i suoi piedi penzolanti, un abisso senza fondo, nero, denso. Da molto in alto arrivavano fiochi raggi di luce verde-dorata. Immagini confuse e indistinte del mondo superiore. Tutte le percezioni rifratte e distorte e trasformate. Le sue mani che spingevano disperatamente lo strato vetroso sopra di lui. Che non voleva cedere. Oh, Dio, devo essere all’inferno! Come faccio a respirare? Come ha fatto a farmi questo? Come farò a uscire di qui? Sto affondando. Lentamente, giù e giù. Pesci con i denti per spolparmi. Poteva sentire lo scorrere delle correnti, fiumi nell’oceano, che lo sbattevano qua e là. Rabbrividì. Il terrore lo invase. Dunque è così. Mi ha preso. Mi ha preso. Sono dentro di lui.
Macy provò un senso acuto di perdita, di dislocamento. Era stato così bello vivere nel mondo. La luce del sole, la gente, le risate, perfino le incertezze, le tensioni. Essere vivo, almeno. Poi essere spodestato, gettato a terra, cancellato, diseredato. Mi ha portato via tutto quando non ero pronto ad andarmene. Non è giusto. E adesso? Il dolore di questo luogo. Ansimare. Soffocare. La paura.
Ma sopravvisse alla prima ondata di terrore e scoprì che non ce n’era una seconda. Si calmò. Gradualmente, raffinò e chiarì la consapevolezza della sua nuova condizione. Si rese conto che anche se non poteva raggiungere l’aria, neppure affondava di più, e anche la sensazione di affogare non doveva essere presa troppo alla lettera. In effetti, quello non era un mare. Tutte le immagini marine, si rese conto, erano puramente metaforiche. Era in effetti sommerso, sospeso fra qualcosa e qualcos’altro, ma era diventato una semplice rete elettrochimica distesa fra i recessi di quello che, a questo punto, era costretto a considerare come il cervello di Nat Hamlin. Hamlin era sul ponte di comando, in cima. Macy occupava qualche indefinibile fessura, o serie di fessure. Non poteva vedere. Non poteva sentire. Non poteva parlare. Non poteva muoversi. Non era altro che un’astrazione, un’identità priva di corpo. Che si potesse propriamente dire che esisteva, era discutibile.
Adesso che il primo shock era passato, fu sorpreso del fatto che la perdita dell’indipendenza non portasse con sé alcuna disperazione. Sorpresa, sì. Irritazione e fastidio, sì. (Con quanta abilità Hamlin l’aveva fregato!) Costernazione, sì. (Che sensazione strana essere intrappolato qui. Che claustrofobia. Riuscirò mai a uscirne fuori?) Ma non disperazione. Neppure paura. Anche Hamlin si era trovato nella stessa situazione, no? E lui aveva resistito, l’aveva controllata, era riuscito a scappare. Dunque perché non io? C’era naturalmente una forte tentazione ad accettare lo stato di fatto passivamente. A dirsi che in fin dei conti non aveva mai avuto diritto a una vera esistenza. Che sarebbe stato meglio per tutti, adesso che il sovvertimento delle personalità c’era stato, se lui se ne stava tranquillo in quel luogo simile a un utero. Lasciando pacificamente a Hamlin il corpo a cui aveva diritto per nascita. Ma la tentazione non tentava grandemente Macy. Per quanto facile fosse iniziare un’esistenza vegetale, preferiva una vita più attiva. Un corpo suo. Il breve assaggio di vita che aveva avuto, l’aveva lasciato desideroso di averne ancora.
Non ho mai veramente incominciato, dopo tutto. Solo poche settimane da solo, lontano dal Centro. Con lui che mi tormentava per la maggior parte del tempo. E adesso questo. Combatterò. Lo butterò fuori come lui ha buttato fuori me. Può darsi che non sia nato, ma ero reale e voglio tornare all’esistenza.
Pazientemente, esaminò le opzioni disponibili. Era possibile stabilire un input sensoriale? Vediamo. Concentriamoci. Se raccogliamo le forze… così… e le puntiamo in una singola direzione… così… entriamo in contatto con qualcosa? No. No. Oscurità vetrosa dappertutto. Però… Adesso. Cos’è questo? Un nodo, un appiglio. Che possiamo afferrare. A cui possiamo applicare una pressione interna. Sì! E percepiamo. Il flusso di sensazione. Ma cosa percepiamo? Il nostro ambiente.
Sì, proprio come aveva detto Hamlin, si arriva a una specie di percezione dell’immagine del cervello dentro cui ci si trova. Se solo avessi fatto maggiore attenzione, quando eri al Centro, a quelle poche spiegazioni di anatomia strutturale che ti davano per spiegarti cosa avevano fatto alla tua testa. Le vescicole sinaptiche. La fenditura sinaptica. Spina dendritica. Terminale del cilindrasse. Organelli, filamenti e tuboli. Mitocondrio neurale. Corpus callosum. Commessura anteriore. Corteccia limbale. Sistema centro-encefalico. Parole. Parole. Quel torrente sconcertante di nomi privi di referente. Ma in qualche modo, un po’ di comprensione filtra. Uno esplora, si infila qua e là, impara qualcosa. E il buio si schiarisce.
Macy mandò un filamento di se stesso lungo uno stretto e umido corridoio e trovò, al termine di questo, una parete rosa pulsante, su cui era montata una piastra dorata, a nido d’ape. La punta del filamento si insinuò in una delle aperture del nido, e ne risultò una piccola esplosione di luce. Un progresso, no? Adesso dividiamo il filamento e infiliamo un’estremità qui, e una qui, e una qui. Luce luce e luce. Perbacco! Abbiamo un input! Un luminoso grappolo di dati sensoriali. Finora quello che arriva è indifferenziato; potrebbe essere vista, suono, tocco, odorato, qualsiasi cosa. Ma almeno c’è un input. Proseguiamo. Macy prova instancabile. Cercando nuove vie di esplorazione. Altri alveari; altri filamenti che si suddividono e scivolano nelle fessure; altri lampi di luce.
Riuscirò a ricavarne un qualche senso? Stai cercando di intercettare un’immagine televisiva, e riesci a metterti in contatto solo con fosfori sparsi, un punto qui e un punto là. Piccole esplosioni di informazione, troppo poche per capire qualcosa. Non ancora. Ma nessuno ti fa fretta. Non hai consapevolezza dello scorrere del tempo. Ci vorrà un’ora, un minuto, un secolo, un anno. Prima o poi avrai un buon allacciamento. È solo questione di… Cos’è stato? Un lampo di coerenza! È durato un attimo, ma è stata un’immagine totale. Uditiva? Visiva? Ancora non puoi dirlo, ma sai di aver avuto tutte le informazioni, anche se non sei stato in grado di interpretarle. È stata come una frase completa: soggetto, predicato, avverbi, aggettivi, articoli, punteggiatura, proposizioni dipendenti, che Hamlin ha letto o detto ad alta voce. Oppure un’inquadratura completa tratta dalla riserva ottica di Hamlin, della durata di un quindicesimo di secondo. Oppure, una lancia di pensiero astratto che ha attraversato la coscienza di Hamlin da nord-ovest a sud-est. Adesso cerchiamo di correlare questi impulsi casuali con la nostra riserva di dati. Per fare una valutazione. Per interpretare. Per distinguere la vista dal suono dalla cognizione. Così. E così. Stendiamo il nostro filo del telegrafo attraverso chilometri e chilometri di sabbia del deserto, e alla fine ci trasmette dei messaggi.
Del tipo:
Sensazione di movimento. Sobbalzo sobbalzo sobbalzo passo passo passo. Hamlin sta andando da qualche parte.
Senso della posizione. Hamlin è in piedi.
Sensazione di attività muscolare. Anche e cosce in azione, piante dei piedi che colpiscono il pavimento. Hamlin sta camminando.
Sensazione dell’ambiente. Luce intensa. Sole? Calore e umidità. Mattina? Una mattina d’estate? Rumori della strada? Sta camminando lungo una strada.
Sensazioni visive, che si mettono a fuoco a scatti, adesso chiare. Uffici, pedoni, veicoli. Una strada nella Manhattan Vecchia?
Come se fosse seduto sulla schiena di Hamlin, le gambe attorno al collo, Macy avvertì una fitta intensa di discontinuità per l’assenza di un’adeguata transizione. Nel momento in cui aveva perso conoscenza, quel corpo era impegnato in una lotta con un assalitore sconosciuto, in un quartiere malfamato, di sera tardi. Adesso stava camminando lungo una strada affollata. Di giorno. Quanto tempo era passato? Qual era stato il risultato della lotta? Quali ferite aveva riportato il corpo? Dove sta andando adesso Hamlin? Nessuna di queste cose poteva essere facilmente determinata con le risorse attualmente a disposizione di Macy. Ma uno può sempre provare a migliorare le sue risorse.
Il logico passo successivo, si disse Macy, è di collegarsi alla coscienza di Hamlin. Per poter sapere cosa pensa, e magari ostacolarlo, se non controllarlo del tutto. Un tentacolo nella corteccia cerebrale. Ma dov’è la corteccia cerebrale? Macy poté soltanto ripetere la sua tattica precedente, provando qua e là a casaccio. Ma non ebbe alcuna fortuna. Impossibile trovare un appiglio per penetrare nell’attività cerebrale di Hamlin. Gli sforzi di Macy riescono solo a fornirgli l’accesso alle regioni dove sono immagazzinati i ricordi di Hamlin, torbidi strati di antichi eventi. Attraverso lo schermo della coscienza di Macy filtrò una nuvola di melmose particelle di esperienza: una miscellanea di stupri, seduzioni, trionfi artistici, decisioni di investimenti, traumi d’infanzia e indignazioni, oleosamente fluttuanti. Mentre gli input sensoriali continuavano a mostrare Hamlin che camminava spavaldamente lungo la strada soleggiata.
Adesso, per la prima volta, Macy ebbe un momento di disperazione. Un senso di desolazione. La consapevolezza della realtà di quella irreale prigionia. L’ammissione della sconfitta, definitiva e inevitabile. C’era da aspettarselo che mi avrebbe catturato e rinchiuso qui. Una personalità più forte della mia. Più determinata. Ha vissuto trentacinque anni, io solo quattro. Una mentalità criminale, per di più. Sa come difendersi. Io non riuscirò mai a incastrarlo come lui ha fatto con me. Non uscirò mai di qui.
Ma mentre si commiserava, Macy automaticamente continuava a cercare il posto giusto dove innestarsi, provando questo e quello e quest’altro, infilandosi in un vicolo cieco dopo l’altro, andando a sbattere contro muri e ritirandosi per provare ancora. E d’improvviso arrivò il contatto, il cavo che cercava, da cui fluì una corrente che lo scaraventò a terra, lo stordì, lo lasciò senza fiato, ma alla fin fine lo riempì di soddisfazione: il puro succo, il flusso libero, il vigoroso amperaggio dell’anima senza vincoli di Nat Hamlin.
Per prima cosa devo vedere Gargantua quasi arrivato ancora dieci minuti scoprire come va il mercato i miei prezzi oggi devono essere saliti un sacco scommetto credono che sono morto quei fottuti basta Hamlin perciò raddoppiamo il prezzo ogni settimana be’ perché no perché no perché no poi allo studio tutto chiuso scommetto solo per dare un’occhiata naturalmente dovrò far finta di essere Macy questo mi darà qualche problema non potrò neanche dire subito la verità a Gargan anche se gli farò alcuni accenni quella fottuta massa di lardo è astuta è astuta lo capirà non dirà una parola qualche dollaro anche per lui puoi scommetterci il culo poi allo studio un viaggio sentimentale voglio dire ho bisogno di andarci come a un santuario il mio santuario come come tutto polveroso scommetto gli Ostrogoti e i Vandali fottuti fottuti entrano dappertutto magari io non ero un tipo molto raccomandabile ma ho sempre avuto rispetto per la proprietà tranne naturalmente tutte quelle fighe se si può considerare la figa una proprietà e comunque ero matto allora molto meglio adesso purificato dalle avversità la mente chiara alla fine mi sono liberato di Macy l’ho ficcato dove si merita povero stronzo nessuna personalità solo una costruzione artificiale un uomo di plastica be’ non era colpa sua ma neanche mia la sopravvivenza del più adatto capisci Darwin non era scemo poi andrò a trovare Noreen per amore dei vecchi tempi dovrò stare molto attento con lei quella troia è perfettamente capace di denunciarmi ma forse no dopo tutto nessuno nella vita glielo ha mai dato come me anche se verso la fine ci siamo allontanati un po’ comunque questo fa parte dei rischi normali del matrimonio specialmente quando una sposa un genio ufficialmente accreditato un membro della élite internazionale degli artisti l’alta intensità qualche volta trabocca sooo quasi arrivato da Gargantua credo a meno che non abbia spostato la galleria quattro anni merda l’intero merdoso universo cambia in quattro anni ogni cellula nel corpo viene sostituita non è vero o sooo sette anni comunque non siamo più gli stessi e Gargan probabilmente vende la sua paccottiglia a Philadelphia adesso Chicago Karachi chi sa ma lo scopriremo subito Dio è bellissimo solo camminare per strada di nuovo respirare l’aria tirare indietro le spalle e questa notte troveremo qualche buco amico per infilarci l’uccello sì quattro anni senza una pollastra è un bel pezzo per un uomo delle mie qualità artistiche e fisiche be’ forse a Darien troverò Noreen disposta o una delle altre Dio quella Lissa scommetto che lo farebbe lo farebbe con chiunque lo faccia anche con Macy crede di scopare me naturalmente ma non la voglio non voglio vederla neanche a milioni di chilometri di distanza troppo pericolosa che botta in testa mi ha dato quella volta non la voglio più mai mai più chissà che genere di opere produrrò non appena sarò tornato in piena attività meglio che sia buona se non posso mantenere la qualità tanto vale restituire il corpo a Macy ma credo che mi riprenderò in breve farò qualche pezzo piccolo all’inizio per recuperare il controllo della prospettiva la prospettiva del controllo poi vedremo comunque la cosa importante è che sono tornato
…Ma ci sono ancora io, Hamlin.
Macy. Oh, merda! Macy. Non mi aspettavo di sentirti così presto.
…Mi spiace deluderti.
Perché non ti sgretoli e basta? Dissolviti. Lasciati assorbire dai fagociti craniali, suggerì Hamlin. Sei finito comunque. La tua nebulosa esistenza è cessata, Macy. Ammettilo e sparisci.
…Il Centro Riab non mi ha programmato per l’autodistruzione.
Non mi servi, Macy.
…Ma io sì, disse Macy.
A cosa servi? Quale possibile valore hai per il mondo? Per chiunque?
…Ho un immenso valore per me stesso. Sono il solo io che ho. E voglio sopravvivere. Ti batterò, Hamlin. Ti sbatterò fuori di nuovo, e questa volta ti abolirò. Vedrai.
Ti prego. Le tue chiacchiere mi fanno venire il mal di testa, ed è una così bella giornata.
…Ti farò venire ben altro che un mal di testa.
Le minacce erano inutili. Macy voleva produrre qualche drammatica dimostrazione della sua capacità di tormentare Hamlin. Rendergli pan per focaccia. Strizzargli il cuore, afferrargli un fascio di muscoli delle guance, chiudergli gli occhi, fargli pisciare nei pantaloni. Dargli un bello scossone, ma naturalmente senza fare niente di male al corpo che condividevano. Solo che non poteva. Il quoziente di tormento di Macy era vicino allo zero. Tutto quello che poteva fare era tenere sotto controllo l’input sensoriale di Hamlin e indirizzare messaggi direttamente al suo cervello cosciente. Chiacchiere. Ma nessun controllo dei centri motori. Nessun accesso al sistema autonomo. Soltanto un passeggero che non ha la più pallida idea di dove sia l’acceleratore o il freno e neppure il bottone delle luci. Nel frattempo Hamlin, tranquillamente, girò un angolo ed entrò nel vestibolo di un negozio di lusso, sulla cui vetrina affumicata danzavano le parole omnimum galleries, ltd. in globuli galleggianti di luce capillare verde. Dentro, una batteria di sensori antirapina lo immerse in raggi di luce analizzatrice. Una porta interna finalmente si aprì, e Hamlin entrò nella galleria, senza fermarsi un momento a osservare i tesori di arte contemporanea esposti. Hamlin disse alla ragazza seduta alla scrivania: — C’è il signor Gargan?
— Ha un appuntamento?
— Non credo. Ma mi riceverà.
— Il suo nome?
Hamlin ebbe un’esitazione. Macy registrò un’ondata di aspra mortificazione. Un dilemma. Dopo un momento Hamlin disse: — Il mio nome è Macy. Paul Macy — con un’occhiata significativa al distintivo Riab sulla giacca. — Ma gli dica che prima mi chiamavo Nat Hamlin.
— Oh. — Un momento di sorpresa e di confusione; un rossore di imbarazzo che si diffuse fino ai seni della ragazza, scoperti secondo l’ultima moda. Si riprese subito. Un dito ingioiellato sull’intercom. — Il signor Macy desidera vedervi, signor Gargan. Paul Macy. In precedenza Nat Hamlin.
Da qualche ufficio interno un ruggito di sorpresa, che non aveva bisogno di amplificazione. Hamlin venne rapidamente introdotto. Una stanza sferica. Un folto tappeto nero, simile a muschio, che ricopriva il tutto per 360 gradi, un uomo di non plausibile corpulenza sdraiato lungo la curva della parete sinistra con una mano grassoccia appoggiata languidamente su un pannello di controllo con i pulsanti tempestati di pietre preziose. Non si alzò all’ingresso di Hamlin. Un oceano di grasso; pieghe su pieghe di carne. I lineamenti appena discernibili entro la massa: occhietti suini, naso schiacciato, labbra strette, puritane. Da questa distesa, la voce pigolante di un piccoletto: — Per l’uccello del Padreterno, cosa ci fai da queste parti? Non dovresti venire qui, Nat!
— Ti dispiace?
— Se mi dispiace? Lo sai che ti voglio bene. Solo che non capisco. Ti hanno preso per la riabilitazione; pensavo fosse la tua fine. Quando sei uscito, a proposito?
— All’inizio di maggio. Ti sarei venuto a trovare prima, ma c’erano dei problemi.
— Ti trovo bene. Come quello di una volta. Ma hai il distintivo. Sei qualcun altro adesso, giusto? Qual è il tuo nuovo nome?
— Macy. Paul Macy.
— Non mi piace. È un nome senza balle.
— Non me lo sono scelto io, Gargantua.
Il grassone si tirò la pappagorgia. — Devo chiamarti Nat o Paul?
— È meglio che mi chiami Paul.
— Paul. Paul. Be’, ci proverò. Siediti, Paul. Gesù, che nome untuoso! Siediti lo stesso. — Hamlin si sedette. Macy inerte spettatore dentro di lui, si sedette anch’egli. Ascoltando ogni parola della conversazione, ma senza poter parlare. Come se vedesse tutto su uno schermo. Aveva già visto quel grassone, quella galleria, fra i detriti dei ricordi di Hamlin; ma gli sembrava molto più grasso adesso. Quell’uomo e Hamlin erano diventati ricchi insieme grazie al genio di Hamlin. Questi si stese voluttuosamente. Nel pieno controllo del suo corpo riconquistato. Il tappeto nero sembrava spesso trenta centimetri: elastico, morbido. Gargan toccò un pulsante del pannello e la stanza dolcemente ruotò, cambiando il suo asse di circa 15 gradi. Il lato dov’era Hamlin si sollevò, quello di Gargan si abbassò. Macy provò un vago senso di vertigine. Il grassone giaceva quasi disteso, massaggiandosi la pancia. Poco dopo ruttò e disse: — Cosa te ne pare del mio nuovo ufficio. O quello vecchio non te lo ricordi?
— Ricordo. È fantastico, Gargantua. Come un fottuto palazzo babilonese. Una galleria per sibariti, eh?
— Abbiamo una clientela selezionata.
— Te la cavi bene. E hai messo su peso, vero? Se non mi sbaglio, un sacco di peso.
— Direi di sì. Cento o centocinquanta chili dall’ultima volta che mi hai visto.
— Sei una bellezza.
— Credo anch’io.
— Dove cazzo trovi il tempo di mangiare tanto?
— Oh, non perdo tempo a mangiare troppo — disse Gargan. — Mi sono fatto regolare chirurgicamente il sistema lipostatico. L’equazione corpo-grasso-glucosio è stata cambiata. Brucio lentamente, figliolo, molto lentamente. Con quello che tu mangi per crescere di un etto io cresco di un chilo. E divento sempre più bello ogni giorno, eh? Voglio arrivare a mezza tonnellata, Nat! Paul. Devo chiamarti Paul.
— Paul, sì.
— Ma è assurdo. — Gargan si mosse leggermente, allungando il collo. — Come fai a ricordarmi? Perché al Riab non hanno cancellato tutto?
— L’hanno fatto.
— Ma sembri proprio…
— Sono un caso speciale. Non fare troppe domande.
— Ti seguo, Nat.
— Paul.
— Paul.
— Stai più attento al mio nome, ti spiace? Sono un uomo completamente nuovo. Lo spregevole stupratore antisociale che ha fatto tanti danni terribili a tante donne innocenti è stato umanamente distrutto, Gargantua, e non camminerà mai più sulla faccia della terra.
— Ti seguo. Dove abiti?
— In periferia. Una sistemazione temporanea. Posso darti l’indirizzo, se vuoi.
— Ti prego. E il numero di telefono.
— Non ci starò per molto. Non appena avrò messo insieme un po’ di soldi, troverò qualcosa di più adatto.
— Hai già un lavoro?
— Come commentatore olovisivo — disse Hamlin. — Forse mi hai visto. Le ultime notizie della sera.
— Parlo di lavoro.
— No. Non possiedo equipaggiamento, uno studio. Non ho neppure avuto occasione di pensare seriamente al lavoro.
— Ma presto?
— Presto, sì. — Macy sentì le labbra di Hamlin curvarsi in un sorriso malizioso. — Ti piacerebbe rappresentarmi quando ricomincio, Gargantua?
— C’è bisogno di chiederlo? Abbiamo un contratto.
— No — disse Hamlin.
— Posso fartelo vedere. Aspetta, lascia che lo richiami. — Le dita grassocce di Gargan si posarono sui bottoni della tastiera. Mentre stava per schiacciare il primo, Hamlin allungò una mano e lo fermò.
— Avevi un contratto con Nat Hamlin — disse. — Hamlin è morto. Non puoi rappresentare il suo fantasma. Il mio nome è Paul Macy, e sto cercando un mercante. Ti interessa?
La faccia di Gargan parve diventare ancora più gonfia. — Lo sai che è così.
— Quindici per cento.
— Il vecchio contratto diceva trenta.
— Il vecchio contratto è stato firmato vent’anni fa. La situazione è cambiata nel frattempo. Quindici.
Prolungato stiracchiamento della pappagorgia. — Non prendo mai meno del trenta.
— Lo farai, se vuoi che torni con te. — Le voci erano molto piatte, adesso. — Tutti i contratti di Hamlin sono stati legalmente annullati quando la sua personalità ha subito la decostruzione. Non sono legato a niente. Inoltre sono senza fondi, e ho bisogno di ricostruire in fretta il mio capitale. Quindici. Prendere o lasciare.
Negli occhi di Gargan c’era un’astuzia contrapposta. — Nat Hamlin era un maestro riconosciuto con una sfilza di credenziali di musei più lunga del mio uccello. Paul… cos’è? Macy?… Paul Macy non è nessuno. Io avevo una lista di attesa per qualsiasi cosa producesse Hamlin. Perché la gente dovrebbe comprare le tue opere?
— Perché sono bravo come Hamlin.
— Come faccio a saperlo?
— Perché te lo dico io. All’inizio non ci sarà molta richiesta, finché non si sparge la voce, ma quando il pubblico si renderà conto che Macy è bravo quanto Hamlin, meglio ancora di Hamlin, perché è stato in un inferno extra e sa come sfruttarlo, la gente ti comprerà tutto. Ti rifarai abbondantemente dell’investimento iniziale. Facciamo questo affare al quindici o no?
— Vorrei vedere qualche opera di Paul Macy — disse lentamente Gargan — prima di offrire un contratto.
— Prima il contratto, o non vedi niente.
Un suono di rimprovero uscì dalle strette labbra. — Gli artisti non dovrebbero essere avidi. È per questo che hanno bisogno dei mercanti, perché facciano i figli di puttana al posto loro.
— Posso fare il figlio di puttana da solo — disse Hamlin. — Senti, Gargantua, smettiamola con questi giochini. Tu sai chi sono e sai cosa sono capace di fare. Ho avuto dei momenti difficili e mi servono soldi, e comunque a questo punto della mia carriera è assurdo che dia il 30 per cento al mio mercante. Fammi un contratto e dammi diecimila di anticipo, perché possa approntare uno studio e smettiamola con queste stronzate.
— E se non lo facessi?
— Ci sono due dozzine di mercanti, entro un raggio di cinque isolati.
— I quali non vedono l’ora di trattare opere del famoso Paul Macy, immagino.
— Capirebbero chi sono veramente.
— Davvero? Il processo Riab è ritenuto a prova di errore. E se fosse tutta un’abile truffa? Supponiamo che tu sia davvero Paul Macy, e che qualcuno ti abbia insegnato a comportarti come Nat Hamlin, e che tu stia solo cercando di spillarmi un po’ di soldi?
— Mettimi alla prova. Chiedimi qualsiasi cosa sulla vita di Hamlin. — Macy avvertiva l’angoscia di Hamlin, adesso. Il flusso di adrenalina. I pori che si aprivano. I genitali contratti.
— Non gioco a indovinelli — disse Gargan. Pigramente schiacciò un bottone. La stanza si inclinò nella direzione opposta. L’intestino di Hamlin ebbe un sussulto. Il mercante disse: — Non hai appigli, amico. Nessun mercante che ci tiene alla reputazione si fiderebbe di un ricostruito Riab che afferma di possedere ancora l’abilità del suo vecchio io. Perciò il prendere-o-lasciare funziona per me. Ti faccio un contratto, Paul, perché sono un sentimentale e ti voglio bene, ti volevo bene ai vecchi tempi, almeno, e ti darò un po’ di soldi per ricominciare. Ma non intendo farmi ricattare. Venticinque per cento e non un soldo di meno.
— Venti.
— Venticinque. — Uno sbadiglio pantagruelico. — Stai cominciando ad annoiarmi, Paul.
— Non darti tante arie con me. Ricordati con chi stai parlando, che genere di talento è seduto vicino a te. Fra un anno ti pentirai di avermi trattato male. Venti per cento, Gargantua.
— Venticinque.
Adesso Hamlin era chiaramente sconvolto. L’aria spavalda era scomparsa; le ghiandole endocrine lavoravano a pieno ritmo. Macy, che nel frattempo non aveva cessato di esplorare le connessioni neurali, pensò di averne trovata una interessante, e che quello poteva essere il momento adatto per cercare di ricatturare il corpo. Si gettò con tutte le sue forze, gli artigli tesi, all’attacco del quadro di comando cerebrale. Ma niente da fare. Hamlin lo spazzò via come se fosse stato una zanzara e disse ad alta voce. — Dividiamoci la differenza. Ventidue e mezzo, e sono tuo.
Un’ora di viaggio su una macchina presa a nolo portò Hamlin alla sua vecchia villa nel Connecticut. La macchina fece del suo meglio per compensare la sorprendente goffaggine di Hamlin come guidatore. Maneggiava la leva di guida rozzamente, spingendola troppo, spesso cercando di scavalcare la mente giroscopica della macchina, interferendo con la delicata omeostasi che teneva il veicolo nella sua giusta corsia. Macy, dal suo punto di vista privilegiato, osservava le operazioni di Hamlin con sentimenti contrastanti. Evidentemente Hamlin, dopo quattro o cinque anni che non guidava più, aveva perso qualsiasi abilità un tempo avesse posseduto, e questo lo stava preoccupando, perché gli era venuto in mente che durante la sua assenza aveva potuto perdere anche altre capacità. Perciò si stava costringendo a una frenetica concentrazione, stringendo la leva con mani sudate e cercando di sottomettere la macchina ai suoi voleri. Macy sapeva che poteva sfruttare la paura di Hamlin, accentuando la sua angoscia. Credi di essere tornato in vita, Nat, ma non è tornato proprio niente, soltanto il tuo ego e le tue parolacce. Hai perso le tue capacità manuali. Non saresti capace di tagliare pupazzetti di carta, figuriamoci pezzi da museo. E così via. Minando la fiducia in se stesso di Hamlin, attaccando la sua giustificazione principale per aver espulso Macy. Indebolendo la sua presa sul sistema nervoso centrale, predisponendolo a essere rovesciato. Credi di essere ancora un grande artista? Gesù, non sei neanche capace di guidare! Il Centro Riab ti ha fatto a pezzi, Nat, e non tornerai mai più intero. E poi, dopo aver gettato Hamlin nel panico, poteva fare un tentativo di conquista.
Il processo era già bene avviato. I fumi della tensione filtravano fino alla cittadella interiore di Macy. L’odore oleoso della paura e del dubbio. Forza, dagli una spinta, è vulnerabile adesso. Ma era inutile, Macy lo sapeva. Non aveva ancora trovato i punti di appoggio mediante i quali scaraventare Hamlin giù dalla sua posizione dominante. E anche se così fosse stato, non avrebbe osato farlo a centottanta chilometri all’ora; per quanto buona fosse l’omeostasi di quella macchina, non era programmata per l’autoguida, e mentre lui e Hamlin lottavano per il controllo, la macchina poteva andare fuori strada, finire contro un muro o contro il traffico proveniente dalla direzione opposta, in un’orgia di feedback positivo.
Così Macy rimase passivo mentre Hamlin percorreva faticosamente l’autostrada, e con più abilità guidava la macchina lungo le stradine alberate e piene di curve che conducevano alla casa dove un tempo aveva vissuto. Posteggiò la macchina a qualche centinaio di metri di distanza. Abbandonò la strada e camminò cautamente nel bosco. Il paesaggio estivo gli spezzava il cuore, lì. Le foglie così verdi, appena spuntate. Fiori gialli e bianchi. Chipmunk e scoiattoli. Cespugli di felci frondose. Avevano arginato la marea urbana lì, l’inondazione di cemento e inquinamento, l’assalto dell’estinzione. Un avamposto di vita naturale conservato per i più ricchi.
Ed ecco, al di là di quell’abbagliante macchia di sorprendenti betulle, la casa. Alte mura di massi grigio-marrone, legati con antica malta grigia. Finestre piombate scintillanti nella luce della luna. Il cuore di Hamlin che batteva forte. Antichi ricordi in una danza agitata. Guarda, guarda lì. Lo stagno, il torrente, la piscina. Esattamente come Lissa li aveva descritti, esattamente come Macy li aveva visti attraverso le lenti della memoria di Hamlin. E lo studio. Dove tanti miracoli erano stati creati.
…Perché sei venuto qui?
Un pellegrinaggio. Un viaggio sentimentale.
…È la casa di qualcun altro adesso.
Perché non vai a farti fottere, Macy?
…Ho a cuore il tuo benessere. Non puoi andare in giro così. Potrebbero esserci dei cani. Sistemi di allarme. Lo sai cosa ti succederebbe se venissi preso?
Hamlin non rispose. Avanzò cauto verso lo studio, e Macy captò un abbozzo di piano per forzare una finestra ed entrare. Hamlin si aspettava forse di trovare il suo laboratorio intatto, le complicate apparecchiature psicoscultoree ancora al loro posto. Assurdo. Lo studio probabilmente era stato trasformato nella serra di una ciarliera matrona suburbana. Hamlin continuò ad addentrarsi furtivamente nel boschetto che costeggiava il torrente. Che ci provi. L’allarme comincerà a suonare, e nel giro di dieci minuti qui sarà pieno di poliziotti. Una frenetica caccia attraverso i boschi. Cyber-cani lucidi, dai musi piatti, che scivolavano con cingoli silenziosi sulle foglie cadute dell’anno scorso, puntando sugli indicatori termici che tradivano l’uomo in fuga. Il fuggiasco circondato, intrappolato, catturato. Identificato come Paul Macy, ricostruzione Riab, ma la polizia, dopo aver parlato con Gomez C., scopre che Macy era stato infestato da una riapparizione della sua precedente identità. Quindi. Azione rapida. Wham! Aghi nel braccio. Hamlin eliminato una seconda volta.
E la sua minaccia di distruggere il loro corpo comune, in caso di guai? No, pensò Macy, non può farlo mentre è lui a comandare il cervello cosciente. Un uomo non può spegnere il proprio cuore a volontà. Poteva farlo quando era quaggiù, dove sono io, collegato a tutte le connessioni neurali. Così Hamlin morirà una seconda volta, e il corpo sopravviverà. Per essere usato da me. Forza Nat. Continua a strisciare, penetra nello studio, fai scattare l’allarme, sveglia i cani, rimettimi sulla strada verso una vita indipendente. Sì. Ti sarò molto grato.
Cos’è che sta uscendo dalla piscina? La ciarliera matrona suburbana in persona! Venere sulla conchiglia. Una donna sulla quarantina, alta, non propriamente grassa ma ben fornita, capelli scuri, lunghi fianchi curvi, cosce grassottelle, faccia amabile e vacua. La passerina castamente nascosta da un minuscolo cache-sex; seni nudi, pieni, probabilmente non tanto alti quanto lo erano un tempo. Guarda sorpresa Hamlin che viene verso di lei.
Pronta reazione adrenalinica anche da parte di Hamlin. Pupille dilatate, pulsazioni accelerate, irrigidimento dell’uccello. Nessuna meraviglia che sia eccitato. La situazione quintessenziale dello stupro. Giorno, sobborghi, donna sola, scarsamente vestita, l’uomo che emerge dagli alberi. La scaraventa a terra, la mano sulla bocca, le allarga le cosce, glielo infila dentro. Ooom. La sbatte per bene e scappa. Un’altra tacca sul cazzo.
…Ahaha! Ci risiamo. Il vecchio vizio.
Non scocciarmi, scattò Hamlin. Con uno sforzo recuperò il suo equilibrio sessuale, i modi cortesi. Le rivolse un sorriso sesso-cortese e un piccolo cenno col capo. Tutto sotto controllo. — Spero di non averla spaventata, signora. — La voce untuosa.
— Non fatalmente. — Gli occhi della donna passarono dalla sua faccia, al distintivo Riab, di nuovo alla faccia. Un po’ confusa ma non allarmata. Non cercò di coprirsi il seno, malgrado la situazione fosse potenzialmente provocante. La posa spigliata della classe superiore. — Mi scusi se faccio un tremendo errore, ma lei non è… non è…
— Nat Hamlin, sì. Quello che abitava qui. Ma il mio nome è Paul Macy adesso.
…Bugiardo!
— L’ho riconosciuta subito. Che piacere conoscerla! — Evidentemente non si rendeva conto che non era opportuno per un ricostruito tornare nei luoghi del suo vecchio io. Oppure non le importava. — Lynn Bryson, a proposito. Abitiamo qui da due anni. Mio marito è chirurgo genetico. Desidera qualcosa da bere signor… Macy? O qualcosa da fumare?
— No, grazie, signora Bryson. Avete comprato la casa dalla … vedova di Hamlin?
— Dalla signora Hamlin, sì. Che donna affascinante! Naturalmente non voleva più abitare qui, con tutti quei ricordi terribili da una parte e dall’altra. È nata una meravigliosa amicizia fra noi, mentre la casa cambiava di mano.
— Ho sentito parlare molto bene di lei — disse Hamlin. — Naturalmente io non ho alcun ricordo. Lei mi capisce.
— Naturalmente.
— Il passato di Hamlin è un libro chiuso per me. Ma lei comprenderà che ho una certa curiosità naturale circa le persone e i luoghi della sua vita. Come se fosse, in un certo senso, un mio famoso antenato, e sentivo di dover sapere qualcosa di più su di lui.
— Naturalmente.
— La signora Hamlin abita ancora in questa zona?
— Oh, no, si è trasferita a Westchester. Bedford City, credo.
— Si è risposata?
— Sì, naturalmente.
Il coltello che affondava nella piaga, per Hamlin.
— Per caso conosce il nome del nuovo marito? — Con molta cautela, nascondendo ogni traccia di tensione.
— Potrei trovarlo — disse la donna. — Un nome ebreo. Klein, Schmidt, Katz, qualcosa del genere, una parola corta, tedesca. Uno che lavora nel teatro, un produttore, una persona molto a modo. — Il suo sorriso si allargò. I suoi occhi scrutarono il corpo di Hamlin con compiaciuta sensualità. Come se non le dispiacesse l’idea di essere sbattuta. La sua maniera di entrare in intimità con il grande artista scomparso. Se solo sapesse. Via quel triangolino di plastica attorno alla vita, giù sull’erba, le cosce bianche e carnose che si aprono. Ooom. - Vuole seguirmi? — chiese la donna con disinvoltura. — Ce l’ho in casa. E vorrà vedere la casa, immagino. Lo studio. Sa, abbiamo conservato lo studio del signor Hamlin esattamente com’era quando… prima che… quando cominciarono i suoi disturbi.
— Davvero? — Un selvaggio balzo interiore. Eccitato. — Tutto è ancora intatto?
— La signora Hamlin non voleva nessuna delle sue cose, perciò sono restate a noi insieme alla casa. Così abbiamo pensato, come c’è la casa-museo di Rembrandt ad Amsterdam, e quella di Rubens ad Anversa, così conserveremo lo studio di Nathaniel Hamlin intatto qui, non per il pubblico naturalmente, ma come una specie di sacrario, un monumento, e nel caso che qualche studioso desideri vederlo, qualche grande ammiratore di Hamlin, be’, lo renderemmo accessibile. E poi naturalmente le generazioni future. Vuole seguirmi? — Sorridendo, voltandosi, incamminandosi sul prato rasato. Natiche grassottelle, ondeggianti. Hamlin, sudato, pieno di adrenalina, che seguiva. La vecchia, familiare casa di pietra. L’ala bassa, annessa. Un gesto allegro della mano di lei. — C’è un ingresso allo studio dall’altra parte del… — Hamlin era già sulla strada. — Oh, vedo che lo sa già. — Ma come fa a saperlo? Nessuna indicazione che lei sospetti qualcosa. — Cercherò il nuovo nome della signora Hamlin, e anche il suo indirizzo. Ci vediamo fra un paio di minuti nello…
Studio. Esattamente come l’aveva lasciato. A sinistra della porta, la grande finestra rettangolare. Fiumi di luce. Di fronte alla finestra, la pedana di posa con i microfoni, gli analizzatori e i sensori ancora al loro posto, e perfino i suoi ultimi segni col gesso ancora tracciati per terra. Sulla parete di destra il suo quadro di comando, leve e manopole e pulsanti e quadranti, che avrebbero senza dubbio lasciati perplessi Rembrandt e Rubens, o quanto a questo anche Leonardo da Vinci. Le cuffie. Il controllo di ionizzazione. Le spine di connessione, staccate. Lo schermo dei dati. La penna luminosa. Il generatore sonico. Un tale intrico di apparecchiature. In fondo, una stanza più piccola, altre cose visibili: rotoli di filo, supporti metallici, mucchi di creta da modellare, il grosso elettropantografo, il fotomoltiplicatore, e altre cose che Hamlin non parve riconoscere. Hamlin vagò come stordito fra tutte queste cose. Macy captò i suoi pensieri cupi. L’artista era spaventato, atterrito perfino, dalle complessità dello studio. Cercando di adattarsi all’idea che lui un tempo aveva usato tutta quella roba come se fosse una sua seconda natura. A cosa serviva quella cosa? E quella? E quella? Merda, come funziona tutto quanto? Non ricordo più niente.
…Il Riab ti ha distrutto, Nat, più di quanto tu ti renda conto.
Chiudi il becco. Potrei riprendere in mano tutto nel giro di tre ore. Una nota di falsa spavalderia. Potenti correnti di incertezza venivano dalla sua corteccia. Hamlin staccò un pezzo di creta e cominciò a manipolarla. Era dura, dopo tutto quel tempo. E anche lui. Le dita non rispondevano. Scolpiamo la signora Bryson. Ecco, arrotoliamo un lungo tubo di creta, così, poi… No. Immediatamente, le proporzioni erano sbagliate. Hamlin si morse le labbra. Correggendo il suo inizio intuitivo. È alta, sì, con le anche larghe, e serve un po’ più di creta qui, per le tette.
…Rinuncia, Nat, non hai più la mano.
Vai a cagare, Macy. Cosa ne sai tu?
Tuttavia Hamlin non riusciva a nascondere l’inquietudine al suo passeggero. Armeggiava con la creta, la schiacciava, fallendo anche in quella semplice operazione di modellare, sforzandosi di trasferire l’immagine nella sua mente alla massa che aveva fra le dita. In quel momento di tensione, Macy raggiunse nuovi collegamenti e per la prima volta ottenne un certo controllo sul sistema nervoso centrale di Hamlin. Plink. Pizzicando i neuroni. Il gomito di Hamlin ebbe una contrazione. Il cilindro di creta si piegò in due. Plink. Un’altra contrazione. Hamlin che gli urlava silenziosamente, infuriato. Macy si stava divertendo. Continuò a dare strattoni alle sinapsi di Hamlin, mentre l’artista tremava e rabbrividiva, in un crescendo di rabbia e di frustrazione. Il modello della signora Bryson in rovina. Hamlin che guardava nervosamente le sue apparecchiature, così incomprensibili, così terrificanti. Dicendosi che in quattro anni, quattro e mezzo, era possibile che uno si dimenticasse un sacco di superficiali operazioni meccaniche, ma che il vero talento non va mai perso, quel dono innato e fondamentale, quell’insieme di percezioni e di intuizioni che è il vero materiale a cui l’artista applica le abilità acquisite.
…Avanti, Nat, continua a ripeterlo, magari fra un po’ comincerai anche a crederci.
Lasciami in pace. Lasciami in pace. Potrei imparare di nuovo come funziona tutta questa roba in mezza giornata.
…Ma certo, tesoro. Chi ne ha mai dubitato?
Diede ad Hamlin un altro colpetto al midollo, twong, poi al sistema autonomo, blork, poi a quello limbale, whonk. Sì. Sto cominciando davvero a imparare! Proprio come aveva fatto lui. Il piede nell’altra corteccia, per così dire. Gliela farò vedere io. Hamlin stava facendo una danza demenziale, contorcendosi in giro per la stanza, mentre Macy giocava con lui. Sembrava non riuscisse a riprendersi abbastanza per contrattaccare; era come se le vibrazioni emanate da tutto quanto l’apparato psicoscultoreo l’avessero frastornato e sbilanciato. Continua a pestarlo, si disse Macy. Potrebbe essere l’occasione buona per riprendere il comando. Twong twong twong! Le braccia si agitavano all’impazzata. Le ginocchia si contraevano a scatti. Credo che potrei farlo cagare nelle mutande. Un bel punto psicologico a mio vantaggio, ma, se poi vinco io, mi ritrovo sporco di merda.
Poi Hamlin cominciò a reagire. Con gelida furia, ricacciò indietro Macy. Cancellando dalla mente le distrazioni di quello studio allarmante, per poter ristabilire la disciplina interna. Ecco fatto. Macy vide che non aveva ancora la capacità di sconfiggere l’altro, anche se imparava in continuazione e si rafforzava. Più tardi. Un’altra volta. Per il momento ha vinto lui.
— Non è affascinante questo studio, signor Macy?
Un gorgheggio idiota, un allegro trillo di contralto. Entra la signora Bryson. Un foglietto di carta in mano. Non per caso, si è liberata del triangolino di stoffa, e arriva tutta nuda, ballonzolando allegramente. Gli occhi luccicanti, i seni che si sollevano pieni di speranza. Triangolo di peli neri, ricci, folti. I capezzoli che si trasformano in torrette. L’odore caldo di una cagna in calore che si spande nell’aria. Qui non ci facciamo caso alla nudità, sa signor Macy. I vestiti sono così primitivi, non le pare? Poi forse una mano sullo scroto, gli tira fuori l’arnese, giù sul pavimento fra l’apparato del grande artista. Essere posseduta dal suo simulacro. Ooom. Ma non questa volta, signora. — Ho avuto qualche difficoltà a trovare il nuovo nome e indirizzo della signora Hamlin — disse. — Era insieme alle nostre carte, infilato in mezzo, e ho dovuto frugare dappertutto…
— Sì — disse Hamlin. Balbettò. Un bisogno frenetico di uscire di lì. Gola secca; faccia arrossata; occhi vitrei. Difendendosi contemporaneamente dagli attacchi di Macy dall’interno e dalla beffa delle sue apparecchiature dall’esterno. Il cespuglio nero e la fessura calda della matrona di nessun interesse per lui, in quel momento. L’atmosfera inaspettatamente soffocante del suo studio l’aveva completamente evirato. Scappare, in fretta. Afferrando il pezzo di carta dalle mani della donna. — Graziemilleadessodevoandare. — Le passò accanto e si avviò veloce verso la porta. La faccia di lei d’improvviso una maschera rigida di sorpresa e di rabbia: sa che verrà respinta. L’inferno non ha furia.
Sembra dieci anni più vecchia. Rughe profonde dalle guance al mento. I capezzoli si afflosciano; le spalle cadono. Tutta la sua nudità sprecata. Le braccia tese, le dita che si contraggono come per riportarlo indietro. Niente da fare. Hamlin ha raggiunto la porta. Fuori, nella luce del giorno. Inseguito da tentacoli fantasmi di libido femminile. — Non occorre che vada via subito! — chiama lei. Hamlin non rispose. Si guardò alle spalle una volta, la vide sulla porta dello studio, donna nuda ben fornita ricca-pigra sulla soglia della mezza età, sconcertata dal panico dell’uomo, stupita perché il suo corpo è stato respinto. Il proprio panico ha sconcertato lui pure. La testa gli girava. Macy fece del suo meglio per peggiorare le cose, dando uno strattone a tutte le linee neurali contemporaneamente. Hamlin ululò, ma riuscì a conservare il controllo e continuò di corsa. Di. Corsa.
Di nuovo in macchina, mentre sobbalzavano a casaccio in direzione ovest, attraverso parecchie contee, Macy si chiese se sarebbero sopravvissuti a quel viaggio. Quelle stradine di campagna non avevano alcuna striscia protettiva, e quindi i meccanismi omeostatici della macchina erano praticamente inutilizzabili; se il veicolo andava fuori strada, niente gli avrebbe impedito di fracassarsi contro le grosse querce ai margini.
E Hamlin era in uno stato tremendo. Stringeva la leva come un folle. Gli occhi vitrei, in una fissità maniacale. Mascelle serrate. Guidava automaticamente, utilizzando una minuscola porzione del tessuto cerebrale per manovrare il veicolo, mentre il resto della sua mente ripercorreva selvaggiamente gli eventi dell’ultima mezz’ora. La macchina sbandava da un lato all’altro della piccola strada, superando ogni tanto la linea mediana, o finendo sui bordi.
La maggior parte delle difese di Hamlin erano abbassate, ma come prima Macy aveva paura a mettere in opera un tentativo di conquista mentre la macchina era in movimento. Se ne stava rannicchiato nel cranio di Hamlin, come se fosse un rifugio antiaereo, e aveva temporaneamente scollegato l’input ottico, perché la vista della strada che ondeggiava follemente attraverso gli occhi di Hamlin gli dava il mal di mare. Meglio così. Seduto in solenne silenzio su un molo buio. Attorno a lui lampeggiavano ancora le eruzioni dell’angoscia di Hamlin. La visita allo studio l’aveva realmente scosso. Ritrovandosi nel suo elemento, fra i suoi strumenti di scultore, Hamlin aveva dimostrato di non sapere che pesci pigliare. Macy si chiese perché. Forse il processo Riab aveva provocato dei danni irreversibili alla personalità di Hamlin? Forse non rimaneva più nulla dell’originale Nat Hamlin a parte un fascio di vecchi ricordi, un ammasso di frasi e atteggiamenti, qualche tic dello spirito. Forse lo scultore, l’uomo di genio, era stato irrimediabilmente demolito, e quel ritorno era una semplice illusione.
D’altra parte, pensò Macy, forse era stato lo sforzo di mantenere il controllo sul loro corpo comune ad aver prosciugato in maniera così drastica l’energia psichica di Hamlin. C’erano stati segni, durante tutta la giornata, che indicavano come la presa di Hamlin non fosse troppo salda, e cedeva di ora in ora. La mattina, mentre procedeva spavaldamente verso la galleria di Gargan, per presentare il suo contratto-ultimatum al grasso mercante, e durante tutte le trattative, Hamlin era apparso in pieno controllo della situazione, ma verso la fine dell’incontro con Gargan aveva cominciato a dar segni di fatica, e le difficoltà che aveva incontrato nel guidare dalla città al suo studio nel Connecticut avevano svelato un ulteriore indebolimento.
Poi la disastrosa visita allo studio. Continue falle. La batteria che si esauriva, e nessun tempo per ricaricarla. Doveva essere necessario uno sforzo continuo e tremendo da parte di Hamlin per far funzionare quel corpo, dopo essere stato danneggiato dagli esperti in obliterazione del Riab. Macy sapeva che lui stesso non era arrivato al punto da poter riacquistare il controllo del corpo, ma da come stavano andando le cose, non poteva mancare molto. No, non poteva mancare molto. O stava illudendo se stesso?
Ricollegò il video. La macchina ancora sbandava lungo le strade di campagna. Hamlin sedeva rigido, perso nelle sue meditazioni, e prestava un’attenzione minima alla guida. Tremendo. Il corpo non sarebbe servito a nessuno dei due, se Hamlin andava a fracassarsi con la macchina. Ci sarebbero rimasti secchi. Ma non c’era nulla che Macy potesse fare in quel momento. Cancellò di nuovo la scena. Si immerse a fondo fra i ricordi di Hamlin. Tutto gli era accessibile, tutte le scene immagazzinate durante la vita attiva del suo io precedente. Fallimenti e trionfi, soprattutto trionfi. Le donne. I critici. I ritagli di giornale. L’uomo-spettacolo. Il denaro. L’accumulo di proprietà. Tutto lo sfarzo superficiale. Tuttavia, sotto gli splendori del carrierismo, Macy poteva scorgere in Hamlin l’autentico impulso artistico, la brama di rendere reali le sue visioni. Bisognava dargli atto di questo. Era stato un bastardo, senz’altro, e lo era ancora, ma aveva inseguito una visione, l’aveva realizzata, l’aveva offerta al mondo. Ci sono coloro che fanno e danno, e coloro che prendono e consumano, e Hamlin era stato dei primi.
Macy lo invidiava. Chi sono le persone vere fra noi, se non coloro che creano, che danno, e arricchiscono coloro che stanno intorno? Indipendentemente dai loro motivi: lo facciano per i soldi, per egocentrismo, per qualsiasi basso stimolo, ma lo fanno. Hanno qualcosa che val la pena di essere fatto, e lo fanno. Hamlin era uno di questi.
Io sono uno dei consumatori, pensò Macy. Colpa di Gomez C, suppongo: avrebbero potuto darmi qualcosa di più importante. Il loro capolavoro artistico, l’autogiustificazione creativa. Ma naturalmente non sono pagati per fare questo. Solo per riempire corpi umani vuoti con esseri umani ragionevolmente funzionanti. Gomez non è un artista, è un dottore, e non può trascendere se stesso quando esegue una ricostruzione. Se sono di seconda classe, è perché anche i miei creatori sono di seconda classe.
A differenza di questo bastardo di Hamlin. Il cui lato oscuro era pur esso visibile: il collasso interiore, l’abbandono di ogni ancoraggio. Aggirandosi fra le strade silenziose. L’artista come predatore. Ciascuno stupro ben etichettato e catalogato negli archivi. E non semplicemente lo stupro. Non solo l’introduzione dell’Oggetto Duro X nell’Orifizio Riluttante Y, ma tutto il resto, gli annessi e connessi, le lascività, lo scherno, le stravaganze, le perversioni, le schifezze. Anche in un’età permissiva ci sono ancora cose ritenute abominevoli.
Hamlin doveva essere impazzito. Una dodicenne con gli occhi spalancati obbligata a guardare la giovane madre, bionda e carina, che fa un pompino al famoso artista: che genere di cicatrici lascia una cosa simile su una psiche non ancora formata? E tutti i rapporti anali. Una scia di sfinteri lacerati attraverso quattro stati. Senza neanche lubrificarlo prima. Questo è sadismo, Hamlin. Eri proprio fuori di testa.
Ma fino a che punto eri veramente pazzo? Non avevi forse una consapevolezza lucida di quello che stava succedendo, e non te la godevi? Sì. E tutta questa merda non era latente dentro di te, per tutto il tempo? Sì. Okay, qualcosa l’ha portata in superficie. D’improvviso, è arrivato il Tempo del Mostro nella tua testa, e sei uscito per dar corpo a tutti i sogni mefitici che avevi nutrito dai tempi della tua adolescenza repressa e solitaria. Giusto? Giusto. E hai messo tutto in archivio per potertelo poi gustare. Non c’è da stupirsi se ti hanno condannato alla decostruzione. Gesù, mi sento sporco soltanto a frugare fra questa roba. Creatore di capolavori. Donatore di visioni uniche. E sotto, la tua risata satanica. Dicendo alla corte che eri pazzo, che eri in preda a un impulso irresistibile, una compulsione ossessiva, ma era davvero così? Forse credevi di creare un nuovo genere di opera d’arte, fatta non di colori o creta o plastica, o bronzo, ma di corpi femminili, violati e sanguinanti, una scultura astratta composta da dozzine di vittime, formanti un disegno che solo tu potevi aver creato. Gesù! Che caso da obliterare, eri!
Macy si accorse che la macchina non era più in movimento. Rapidamente innestò la visione.
Erano parcheggiati nella piazza centrale di una città suburbana di media grandezza, con negozi stile Westchester Tudor, alti due o tre piani, in legno e muratura, da poco ridipinti in bianco e marrone, immersi nella luce ambrata del tardo pomeriggio. Hamlin aveva infilato la testa fuori dal finestrino; stava chiedendo a un poliziotto (un poliziotto!) la strada per Lotus Lane. Un torrente di indicazioni a fuoco rapido. Volti a sinistra alla colonnina computer, segua Colonial Avenue fino alla Statale 4480, volti a destra al segnale lampeggiante giallo, percorra circa dieci isolati, no dodici, raggiungerà la zona industriale, volti a destra all’edificio alto, poi fino alla fumeria (un sorrisetto: abbiamo anche noi roba del genere!), poi a sinistra e così arriva sulla Statale 519, e tutte le strade che la incrociano hanno il nome scritto, non può sbagliarsi. La Lotus è sulla sinistra.
Grazie, agente. E così si parte. Sinistra, destra, destra, sinistra. Ancora quiete strade di campagna. Hamlin teso. Nessuna difficoltà a seguire le istruzioni. Sinistra, destra, destra, sinistra, la fumeria, la zona residenziale, Cypress Walk, Redbud Drive, Oak Pond Road, Lotus Lane. Lotus. Numero 55. Una linda casa a stucchi, vecchia di venti o trent’anni, con una cupola solare in perspex e finestre ovali, opacizzabili. Una targhetta: coniugi kraffts. Hamlin si presentò allo scanner. Dall’interno, via intercom, una voce da mezzosoprano, calda, ferma, dolcemente modulata: — Chi è?
— Paul Macy.
— Paul Macy. — Dubbiosamente. — Paul Macy? Oh, mio Dio! Mio Dio, non avrebbe dovuto venire qui!
— La prego — disse Hamlin. — Solo pochi minuti. Per parlare.
Un momento di ronzio vuoto dall’intercom. Poi, con esitazione: — E va bene. D’accordo. Anche se probabilmente è un grosso errore. — Ancora due momenti; poi la porta cominciò ad aprirsi. Nello stesso istante la mano sinistra di Hamlin si alzò verso la gola. Con lo scopo, intuì Macy, di strapparsi il distintivo Riab dai vestiti. Macy bloccò il tentativo con un deciso diretto neurale, la cui precisione sorprese lui stesso; Hamlin, bloccato a metà del movimento, si irrigidì e lasciò cadere il braccio lungo il fianco, mentre lanciava a Macy una furibonda, silenziosa imprecazione. La porta era aperta. Incorniciata nell’ingresso a volta c’era una donna di portamento e bellezza straordinari. Alta fin quasi alle sue spalle, ma esile, con ossa sottili e una faccia dai lineamenti minuti e delicati, vivaci occhi ironici, capelli neri e lucidi che le cadevano copiosi sulle spalle, labbra piene, sardoniche, mento forte, collo lungo. Un’aristocratica. Paul le diede trenta o trentadue anni. Si teneva bene.
— Perché è venuto qui? — chiese.
— Per vederti, Noreen.
— Noreen? — Le labbra ebbero una smorfia di fastidio. — Siamo in tali rapporti da darci del tu?
— Le formalità sono sciocche. Eravamo sposati un tempo — disse Hamlin.
— Io ero sposata con Nathaniel Hamlin. Che Dio mi aiuti. — Guardò ostentatamente il distintivo Riab. — Il suo nome è Paul Macy, e io ho una sfilza di cubi-memoria in casa contenenti i documenti che indicano come Paul Macy non sia in alcun modo un erede o un assegnatario del defunto Nat Hamlin. Io non la conosco. Non l’ho mai conosciuta.
— Non esserne tanto sicura. Non mi fai entrare?
— Mio marito non è in casa.
— E allora? Sono una specie di animale feroce? Sono addomesticato, Noreen. Puoi farmi entrare.
La sua invisibile scrollata di spalle fu inequivocabile. Un rapido cenno col capo, di malavoglia.
La casa era piccola, ma arredata in maniera elegante e costosa. Lo sguardo di Hamlin passò rapidamente in rassegna le pareti, notando un paio di maschere da incubo della Nuova Guinea, una statuina africana, un dipinto sconcertante a forma di tesseract, e tre magnifici piccoli cristallini. A Macy sarebbe piaciuto soffermarsi a studiare il tesseract, ma era prigioniero degli occhi di Hamlin, e Hamlin continuò a guardarsi intorno finché non trovò uno dei suoi lavori, uno squisito ritratto di Noreen rifinito a porcellana, a metà della grandezza naturale, nuda. Piccoli seni alti, vita sottile, e, proveniente dalla nuvola di altoparlanti sospesi fra i capelli scuri, un rombo a cento cicli, minacciosamente sensuale, che reagiva all’osservatore. Hamlin si voltò da Noreen a Noreen. — Mi chiedevo se l’avessi conservata — disse.
— Perché non avrei dovuto? È stupenda. — Delle nubi attraversarono la sua faccia. — La ricordi?
— Ricordo un sacco di cose.
— Ma la Riab…
— Lasciamo perdere. Chi è il tuo nuovo marito?
— Sy Krafft. Non credo che lo conoscessi. — Pausa. Come se stesse riandando indietro con il nastro della conversazione, per correggerlo. — Non credo che Hamlin lo conoscesse. Fa spettacoli sospesi. Una persona affascinante e colta. — Un’altra pausa. — Come ha fatto a trovarmi?
— Sono andato alla vecchia casa. La nuova proprietaria mi ha dato il tuo nome e indirizzo.
— Il Centro Riab mi aveva assicurato che non sarei mai stata disturbata da lei.
— Ti sto disturbando?
— Lei è qui — disse lei. — Tanto basta. Che cosa desidera da me, signor Macy?
— Non chiamarmi Macy. Lo sai chi sono.
Lei si ritrasse, con molta abilità, in maniera che sembrò solo muoversi per la stanza, senza indietreggiare. Sembrava un uccello che stesse preparandosi a prendere il volo. — Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere. Mi avevano assicurato che te n’eri andato per sempre.
— Hanno fatto un errore.
— Il Riab non fa errori. Ho visto il tuo corpo dopo che ti hanno bruciato la mente. No. Tu non sei Nat. Lei è Macy, quello nuovo, e sta cercando di prendermi in giro, e le assicuro che non è per niente divertente.
— Io sono Nat Hamlin. Il suo fantasma cammina sulla terra.
— Lei è Paul Macy.
— Hamlin.
— Non può essere.
— Sei così fottutamente bella, Noreen. Sono passati cinque anni, e non sei cambiata per niente. Mi diventa duro solo a stare nella stessa stanza con te. Fai ancora film?
— Credo sia ora che lei se ne vada.
— Mi ami ancora, vero? Lo so, lo so, ti senti a disagio ad avermi qui, sei tesa e nervosa perché pensi che il signor Sy Krafft possa capitare da un momento all’altro, ma mi desideri come sempre. Potrei provartelo. Potrei metterti la mano fra le gambe e me la ritroverei umida. È sempre stato facile per me sentire l’odore di una donna in calore, Noreen.
— Lei è pazzo, chiunque sia. Voglio che se ne vada.
— E anch’io ti amo, ancora più di prima. Ascolta, non recitare con me, non raccontarmi stronzate del tipo voglio-che-se-ne-vada. Io sono tornato, Noreen. Non chiedermi come ci sono riuscito. Sono tornato. Continuerò sotto il nome di Macy, ma sono io, il vero io qui dentro, e presto ricomincerò a lavorare. Ho già visto Gargantua. Mi ha fatto un contratto, mi darà i soldi per aprire uno studio. Con molta discrezione, mi rimetterò nel giro. Basta stupri. Niente del genere. Sarò tranquillo e borghese. Il signor Paul Macy, il signor Nessuno, solo che sotto sarò Nat Hamlin. E tu mi verrai a trovare, vero?
— Ti verrò a trovare in prigione, sì.
— Mi verrai a trovare nel mio studio. Ci siederemo e parleremo di come siamo stati bene ai vecchi tempi, prima che io mandassi tutto a monte. Ricordi il ’02 e il ’03, quando avevamo appena cominciato? Sdraiati sulla spiaggia di Antigua, e non potevamo staccarci l’uno dall’altra, l’abbiamo fatto proprio lì. Ti si era infilata la sabbia nella topina, ricordi Noreen? Quello non ti era piaciuto molto, ma ci andavi matta lo stesso. Poi. Le altre volte. Le ho tutte qui in testa. Mi hanno conciato per le feste, al Riab, ma non mi hanno distrutto. Ci hanno provato davvero, ma non mi hanno distrutto. — Fece un passo verso di lei. La gola secca, le punte delle dita fredde. Gli stava diventando sempre più duro. — Non avere paura di me. Ti amo. Ti amo. Non ti farei mai del male. Smettila di indietreggiare. Ascolta, rimarrà il nostro segreto, tu e io; tutti quanti penseranno che io sia Macy, e tu potrai continuare a essere la signora Krafft, a tenerti questa bella casetta, i bambini… hai bambini?… tutto quello che vuoi, soltanto in privato saremo ancora tu e io, Nat e Noreen, al mio studio.
"Ti farò un altro nudo. A grandezza naturale. Sarà migliore dell’Antigone. Ti ricordi quanto ti sei arrabbiata perché avevo usato Lissa per l’Antigone invece di te? Ma allora cominciavamo a essere in rotta. Non sapevo cosa era bene per me. Ho dovuto andare all’inferno per scoprirlo. Ma adesso poserai tu. Cazzo, posso già immaginarlo. Tu laggiù. Con quelle tue piccole tettine deliziose. Dieci elettrodi su di te. E io ai comandi, che sudo come un maiale. Che rendo immortale il tuo corpo e la tua anima. Un’ora per lavorare, un’ora per scopare, un’ora per lavorare, un’ora per scopare. Oh, Gesù, Noreen, smettila di guardarmi in quel modo!"
— Chiamerò la polizia. Quando ti prenderanno, Nat, la faranno finita con te una volta per tutte. Non ti manderanno neppure alla Riab. Ti faranno a pezzettini e basta Nat Hamlin.
— No. Una pallottola d’argento in testa. Un paletto nel cuore.
— Adesso li chiamo.
— Aspetta. Ti prego, no. Senti, non voglio spaventarti. Sono venuto qui per dirti quanto ti amo. Sono stato all’inferno, Noreen, letteralmente all’inferno, e adesso ne sono uscito, vivrò ancora. E dovevo venire da te. Perché hai paura? Dimmi che mi ami.
— Non ti amo, Nat. Mi disgusti.
Hamlin cominciò a tremare.
— Brava! — gridò. — Brava! Bravissima! — Applaudì. — Che attrice! Che fuoco nella tua lettura! Che acciaio nella voce! — Imitandola: — "Non ti amo, Nat. Mi disgusti." — Applausi frenetici. — Sipario. Fine del secondo atto. Adesso dimmi quello che senti davvero, Noreen. Quanto mi desideri. Hai paura, sì, ti ricordi di me quando ero pazzo, quando facevo tutte quelle cazzate obbrobriose, ma devi ricordarti anche di come ero prima, quello che hai amato, quello che hai sposato, tutte le cose che abbiamo fatto insieme, i posti che abbiamo visto, la gente, e quello che facevamo a letto, ricordi, anche le cose più strane, tu io e Donna nello stesso letto, e poi tu io e Alex, eh Noreen? Amore. Passione. — Allungò una mano verso di lei. — Vieni. Adesso. Dov’è la camera da letto? Oppure qui sul pavimento. Lascia che te ne dia la prova, che ancora mi fai impazzire. Okay? Perché diavolo no? Mi hai aperto la porta cinquecento volte. Ottocento. Una volta in più non ti costerebbe niente.
Stava gridando adesso. La posa di freddo distacco della donna stava cedendo. Sembrava terrorizzata, mentre si ritraeva da lui, inciampando sulle cose. Lui cercò di afferrarla. Riuscì a prenderle il polso, la tirò verso di sé. La dolce fragranza del suo corpo, mescolata con il sudore della paura. Gli occhi velati di terrore. — Noreen — mormorò. — Noreen. Noreen. Noreen. — Le sillabe che perdevano significato e diventavano suoni vuoti. Il cranio in fiamme. Le mascelle indolenzite. Le mani che afferravano i suoi vestiti. Strappavano. I piccoli seni rotondi che spuntavano. Oh Cristo, come sono teneri! Le sue mani sopra. Che stringevano. Lei lo colpì con i pugni, sulla bocca, sul naso, sulle orecchie. Lui aveva un braccio intorno alla sua vita; con l’altro, avendole denudato il petto, puntò verso l’inguine. Per vedere se era bagnata. Per dimostrarle quanto si sbagliava a negarglisi. Ansimava. Come ai vecchi tempi, i brutti vecchi tempi. Hamlin l’animale. Hamlin il minotauro in calore. Una donna fragile che lottava fra le sue braccia. Una nebbia rossa davanti agli occhi. Il sudore lungo i fianchi. Noreen che gridava, scalciava, graffiava.
Ora, pensò Macy, e spinse con tutte le sue forze. Hamlin precipitò dal suo posto di comando. Cadde lamentosamente nell’abisso. Un momento di disorientamento totale, infinitamente lungo. Chi sono? Cosa sono? Dove sono? Lasciò andare la donna che stringeva. Lei si accasciò a terra; lui si tirò indietro e andò a sbattere contro la parete, rimase lì, ansimante, esausto. Il sangue che gli colava dal cranio.
Ma era tutto a posto. Era tornato ai comandi. Era Paul Macy, ed era tornato ai comandi.