14

La cooperativa popolare, testa dura. Dove altro? Abbandonando il vassoio pieno, uscì e si guardò intorno. Naturalmente: c’era un albergo associato con il ristorante. O viceversa. Condividevano l’edificio. Facciata nuda, a piastrelle verdi; un ingresso separato, ascensore per la portineria, al secondo piano. In una grande hall bassa e vuota, troppo illuminata, uno schermo offriva i dati essenziali sui residenti dell’albergo. Macy aggrottando la fronte guardò sulla M. Moore, Lissa? Niente da fare. Guardò la L, e sì, trovò una "Lisa". Niente cognome. Arrivata il 3 giugno alle undici di sera, stanza 1114. C’è una ragazza di sopra che ha bisogno di aiuto. E come arrivarci di sopra?

Una porta alla sua sinistra si aprì, ed entrò un cieco, muovendosi con sicurezza fra tavolo, sedie e altri ostacoli. Il sonar montato sulla sua testa che faceva boing boing boing. Giacca marrone chiaro, pantaloni gialli, faccia grassoccia, occhi semichiusi che mostravano solo il bianco. — Mi scusi — disse Macy — può dirmi dove si trova il pozzo? — Il cieco, senza fermarsi, indicò sopra la sua spalla destra e disse: — L’ascensore è laggiù — e sparì attraverso una porta alla destra di Macy. Macy entrò nell’altra porta. Ascensore. Undicesimo piano.

Stanza 1114.

Niente raffinati sistemi di comunicazione o scanner, lì. Solo una semplice porta di legno. Bussò e non ottenne risposta. Bussò ancora. — Lissa? Sono io, Paul. — Toc toc. Silenzio. Mentre stava lì, incerto sul da farsi, una ragazza uscì dalla porta di fronte, una ragazza magra e ossuta, nuda, un asciugamano gettato sulla spalla, le costole in evidenza, le anche prominenti, piccoli seni appuntiti. — Cerchi Lisa? — chiese, e quando Macy annuì, la ragazza disse: — È dentro. Entra.

— Ho bussato. Non risponde.

— Non risponde mai. Entra.

— La porta…

— Non ci sono serrature qui, fratello. — La ragazza gli strizzò l’occhio e si avviò lungo il corridoio. La spina dorsale che risaltava sotto la pelle. Aprì un’altra porta; rumore di acqua che scorreva: le docce, presumibilmente. Non ci sono serrature qui, fratello. Okay. Provò la maniglia della stanza 1114, e scoprì che in effetti era aperta.

— Lissa? — disse.

Una cella doveva avere più o meno quell’aspetto. La sua stanza al Centro Riab era stata di gran lusso, al confronto. Un lungo letto stretto, una brandina più che altro. Una sedia in plastica verde. Un basso cassettone marrone. Un lavandino scheggiato, bianco-giallastro. Una fessura di finestra, dai vetri sporchi. Pavimento spoglio, luci nude e intense. Anche Lissa era nuda, sul letto, le ginocchia sollevate, strette fra le braccia. Sembrava emaciata, quasi fragile, come se avesse perso quattro o cinque chili nelle trentasei ore in cui non la vedeva. I capelli erano una massa arruffata, gli occhi arrossati. La stanza puzzava di sudore. I suoi vestiti erano gettati in un mucchio accanto alla finestra; l’armadio, con l’anta spalancata, era vuoto; accanto al lavandino c’era la valigia verde e malconcia che aveva usato per portare le sue cose dal vecchio appartamento. I fianchi erano rigonfi; non si era data la pena di disfarla. Quando lui entrò, mosse lentamente la testa dalla sua parte, e lo guardò senza guardarlo. Poi tornò a fissare il cassettone marrone.

Macy passò accanto al letto e cercò di aprire la finestra, ma non c’era modo di farlo. Pronunciò ancora una volta il suo nome; lei non diede segno di averlo sentito. Inginocchiandosi accanto a lei, le prese in mano uno dei piedi, lo sollevò di una decina di centimetri, lo guardò ricadere pesantemente, fece scivolare la mano fino alla parte carnosa del polpaccio. La pelle bruciava. La febbre la stava consumando. Arrivò con la mano sulla coscia. Le sue dita si fermarono appena al di sotto del cespuglio castano dorato, ma lei sembrò non accorgersene. Le scosse la coscia. Niente. Le accarezzò i seni, ne strinse uno nella mano. Niente. Strofinò con il pollice il capezzolo. Zero. Le passò le dita davanti agli occhi. Lei sbatté le palpebre una volta. — Lissa? — disse per la terza volta. Lei era persa, avvolta in un bozzolo di introspezione. Al di là dei suoi richiami. Chiunque poteva farle qualsiasi cosa, e probabilmente lei non avrebbe reagito. Come raggiungerla? Non c’era nessun modo, nessun modo.

Andò alla finestra, rivolgendole le spalle.

Molto tempo dopo, lei disse, con voce sottile e lontana: — Le voci nella testa mi facevano impazzire. Rimbalzavano dalle pareti. Non potevo restare.

Macy si voltò. Il volto di Lissa era del tutto inespressivo. Fissava sempre il cassettone. Le sue parole avrebbero potuto essere quelle di un ventriloquo. — Non dovevi scappare — disse. — Io cercavo di aiutarti.

— Non potevi darmi nessun aiuto. E neppure io potevo aiutarti. Ci stavamo distruggendo a vicenda.

— No.

— Ti ho aperto ad Hamlin.

— Non importa. Abbiamo bisogno l’uno dell’altra.

— Dovevo andarmene — disse lei. — Mi sentivo soffocare, dovevo uscire. Così me ne sono andata. Sono venuta qui.

— Perché?

— Per nascondermi. Per riposare. — Parole mormorate, come soffi di vento. — Adesso vattene. Sento di nuovo le voci. La pressione che aumenta. Non la senti? La pressione. La pressione che aumenta.

Lui le prese la mano. La febbre la consumava. I muscoli del braccio erano completamente rilassati. Come tenere in mano un pezzo di corda. — Sei ammalata Lissa, fisicamente ammalata. Lascia che chiami un dottore. — Non era sicuro che l’avesse sentito. Stava allontanandosi di nuovo da lui. — Chiamo il dottore — disse. — Va bene.

Gli occhi di Lissa erano come sfere di vetro. Galleggiava su una marea che la portava al largo. La scosse, l’accarezzò, le parlò. Zero. Le riversò addosso un fiume di parole, cercando di riportarla in contatto con lui. Forza, esci da questo torpore. Le parlò di amore, di bisogno, di una nuova vita, di un futuro migliore, di pene condivise, della fine dell’autocommiserazione e della vulnerabilità. Qualsiasi cosa. Parole ispirate. Le vecchie banalità ottimistiche. E perché no? Pur di raggiungerla. Andremo lontano e ci faremo una nuova vita, tu e io, io e te. Un mondo di felicità. Dimmi qualcosa, Lissa. Parla.

Sapendo che la sta perdendo, attimo dopo attimo. L’ha persa. Un milione di chilometri lontana, sul suo planetoide di ghiaccio. Eppure continuò a parlare. Sforzandosi di riversare la sua frenetica energia dentro di lei, di riempirla della forza necessaria a tornare e a sollevarsi. Visioni di speranza, sogni a occhi aperti di salute e di gioia. Un arcobaleno scintillante che si curvava nella stanza dalla porta alla finestra. Parlava, parlava, la voce che si faceva roca e disperata. Lissa che non prestava alcuna attenzione; il ghiaccio adesso la chiudeva come in una tomba, la si poteva appena vedere attraverso la parete rilucente del ghiacciaio. Macy si stava stancando. Perché andare avanti? Lei non voleva ascoltarlo.

Cominciò ad arrabbiarsi con lei, diventò ostile, irritato, rimproverandole le risorse di energia che prelevava da lui. E a che scopo tutti quegli sforzi? A che servivano? Qualunque cosa le desse, la febbre la divorava. Lei era il condotto attraverso cui le sue energie si riversavano senza posa in un mare senza rive. Adesso sorse forte dentro di lui la voce della tentazione, che gli diceva di lasciarla finché ancora poteva, di dimenticarla, di farsi la sua difficile strada nel mondo senza trasportarla sulla sua schiena.

Non le devi niente. Hai già i tuoi guai, molti dei quali provocati da lei. Perché questo donchisciottesco desiderio di salvarla e guarirla? Lascia che affondi. Lascia che si congeli. Lasciala bollire nel suo brodo. Vai. Te l’ha detto lei di andar via: allora vai. Questa povera ragazza bruciata con la sua implausibile malattia, la sua ESP. Le sue voci irate. La collana di sporco sul petto. Vuoti occhi vitrei. Vai.

A questo Macy rispondeva, senza lasciare la mano sudata di Lissa, che non avrebbe dato ascolto alle voci di sconfitta, né l’avrebbe abbandonata adesso. Continuò a spronarla a uscire dalla sua trance; la implorò di non cedere. Io sono qui; prendi forza da me. Lascia che sia il tuo scudo e il tuo sostegno. Pensò di sollevarla dal letto e di trascinarla fuori dalla stanza, fino alla doccia nel corridoio, dove l’acqua fredda e purificatrice l’avrebbe scossa dal suo letargo. Lui nudo accanto a lei, mentre il diluvio purificatore scendeva.

Forza dunque. Alle docce. Grugnendo l’afferrò per le spalle, ma il corpo di Lissa era un peso morto, e d’improvviso ci fu un globo infuocato nel suo petto e una striscia di acciaio incandescente attorno alla sua fronte, e si rese conto che lei l’aveva già troppo prosciugato, che non aveva più le forze per sollevarla. La lasciò andare e cadde sopra di lei, ansimando. Aveva gli occhi bagnati, non sapeva se per il dolore o la disperazione o la frustrazione o la rabbia. Salvarla era al di là delle sue possibilità. Era troppo debole. Troppo vuoto. Aveva dato tutto quello che poteva dare, e non era stato abbastanza, e adesso non poteva dare di più. Forse se mi riposo. Forse fra poco.

Ma sapeva di ingannare se stesso. Non si sarebbe ripreso tanto presto. Era svuotato. E adesso, sapeva anche chi l’aveva tentato ad abbandonare prima di raggiungere quel punto, perché sentiva la presenza dentro di lui, che si sollevava, si espandeva, splendeva, l’oscura presenza del suo alter ego che usciva dalla sua tana nascosta, gli mormorava senza parole, cantilenando, invitandolo a cedere.

Devo combatterlo? Posso combatterlo? Devo. Devo. Macy si preparò a resistere. Esplorando i corridoi della sua mente alla ricerca di riserve dimenticate di energia. Ma aveva paura che ormai fosse troppo tardi, che la conquista fosse già iniziata. Già sentiva una sensazione nota, un formicolio alla nuca, un pizzicore, un lieve irrigidimento della pelle. Le dita invisibili erano al lavoro, accarezzandogli i lobi del cervello, le protuberanze e le scanalature. Invitandolo a cedere. Sì. Sì. Tentazione. La fine dell’inquietudine e del tormento. No, disse Macy. No! Non mi avrai!

Cercò di rimettersi in piedi, ma tutto quello che riuscì a fare fu di rotolare giù da Lissa, sdraiandosi al suo fianco. Lei sembrava svenuta. Un sonno al di là di ogni sogno. Sembra in pace. E io potrei dormire quel sonno. Vieni, disse la voce senza voce in parole senza parole. Lascia che ti avvolga, lascia che ti sostituisca. Lascia che non ci sia più lotta fra di noi. Cedimi il posto. No! Non mi avrai!

E Macy si rivolse a Lissa, cercandola, chiedendo alleanza. Noi due contro di lui. Possiamo colpirlo, possiamo distruggerlo. Lissa era lontana un milione di chilometri. Sul suo planetoide di ghiaccio. La fredda luce del sole lontano che danzava sulle valli del ghiacciaio. Il tentatore disse: Vedi, non puoi sperare nessun aiuto da lei. Questo è il momento. Fatti da parte. Cerca di essere ragionevole, Macy! Macy cercò di essere ragionevole. Dove andrò? Come combatterò? Chi sarò? E vide quanto era esile la speranza. Non poteva salvarsi. Non era stato progettato per quel tipo di sforzo. L’avevano spedito in quel secondo viaggio gravato di un fardello impossibile; perché sorprendersi se il viaggio si era trasformato in un incubo? Facciamola finita. Basta combattere. Si sarebbe riposato, avrebbe smesso di lottare e sperare, si sarebbe arreso. Aveva troppi fattori contro. Fuori lo aspettavano Gomez, l’ambulanza, i lunghi aghi freddi, le medicine, tutto il meccanismo della decostruzione. Dentro era in agguato Hamlin. Accanto a lui, giaceva quella ragazza distrutta. D’accordo, cedo. Non combatterò più.

…Allora fatti da parte, disse Hamlin, e lascia che io diventi te.

L’unione delle menti stava iniziando. La dissoluzione, la fusione. Paul Hamlin. Nat Macy. Io sono lui. Lui è me. Uragano. Accecato dalla pioggia di detriti provenienti dai loro passati mischiati. Un olocausto di eventi dislocati. Mentre ci dissolviamo l’uno nell’altro. Jeanie Grossman sotto le nevi del monte Rainier. E la ragazza con i lunghi capelli di seta dorata. Senti, da che mondo è mondo le ragazze hanno posato per artisti famosi. Permetta che le mostri questi depliant, signora, che spiegano i vantaggi particolari della nostra enciclopedia. Perché andare a una scuola d’arte? Ragazzo mio, tu sei già un maestro! Membri della classe ’93, benvenuti al campus dell’UCLA. Ehi, no agente! Metta via quel paralizzatore! Mi arrendo, maledizione, mi arrendo! Vengo da solo! Non è una questione di opinione, ma di soglie di voltaggio. Un voltaggio non mente. Gli ampere non hanno opinioni. Le resistenze non ti fregano per ragioni personali. Ci stiamo occupando di fatti oggettivi, e i fatti oggettivi mi dicono che Nat Hamlin è stato cancellato. Uno-due-uno-due. Con orgoglio, lungo la maledetta strada. La tua nuova carriera. La tua nuova vita. Shqkm. Vtpkp. Smss! Grgg! Fate alzare l’imputato. Nathaniel James Hamlin. Ti trovo bene, Nat. i tormenti della fama. IL GIORNO IN CUI IL MUSEO COMPRÒ TUTTO. MI CHIAMO LISSA. No! Torna indietro! Paul! Paul! Nat! Paul Hamlin. Nat Macy. Stiamo diventando uno solo. Ci stiamo dissolvendo l’uno nell’altro. Io sarò te, e tu non sarai nulla. E finalmente ci sarà la pace.

Lissa! LISSA!


D’improvviso il cielo si scurì e senza preavviso si scatenarono lampi e tuoni, e una spada calò dall’alto, fra strisce di fuoco, per fendere gli emisferi del suo cervello. Fra i due si spalancò un abisso invalicabile, e da una parte Macy guardò Hamlin che vagava stordito e stupefatto in un campo carbonizzato, mentre i fulmini cadevano intorno a lui. Quel colpo improvviso e tremendo aveva tagliato tutti i legami fra di loro, proprio nell’istante della fusione. Io sono Paul Macy. Lui è Nat Hamlin. E il precipitare dei fulmini. Strisce bianche, abbaglianti, che fendono il cielo. È Lissa quella lassù? Sì. Sì. Sì. Sì. È lei a scagliare i fulmini. Crash! Crash! Hamlin cerca di scansarli. Attraverso l’abisso, giunge odore di carne bruciata. È ferito. Si muove più lentamente. Crash! L’ha costretto in una zona circondata da ogni parte dal fuoco. Adesso Hamlin oppone resistenza. Agita i pugni; grida; afferra i fulmini e li scaglia indietro. Ma ciascun atto di sfida provoca una furia doppia dal cielo. La mira di Lissa è mortale. I fulmini gli trafiggono i piedi, gli sfiorano le caviglie. Lui salta, balla, urla di rabbia e poi di dolore. Il suo braccio è annerito da un fulmine; non può più restituire i colpi. Adesso si contorce sulla terra fumante; adesso grida pietà. Ma non ci sarà pietà. Lissa è la dea della vendetta. Hamlin sarà distrutto.

Ma cosa accade? Nel momento di trionfo lei si stanca. Si indebolisce. I colpi perdono intensità, e Hamlin ancora vive! Riacquista forza. Lei grida aiuto. Paul, Paul, Paul, Paul. Sì, risponde lui, dalla sua posizione fuori dalla zona di combattimento. Hamlin si è alzato. È orrendamente sfigurato, è storpiato e rovinato, ma c’è ancora una potenza demoniaca in lui, e ora restituisce i colpi, cercando di trascinarla giù fino al suo livello. Esplosioni di energia riempiono il cielo. Aiutami, Paul!

E Macy si apre a lei, lasciando che prenda da lui tutto quello che deve avere, e le fornisce le armi per resistere all’attacco. Di nuovo scaglia i suoi fulmini. Di nuovo Hamlin ulula. I suoi colpi vengono respinti. Non può più combattere. Cade. Una saetta gli trafigge la schiena. Si contorce in tremende convulsioni. Lissa lo trafigge ancora. E ancora. Sta bruciando. Sta morendo. L’odore della carne bruciata nel vento. Il cielo è una lastra di fuoco bianco. Lei sta spendendo tutte le sue energie, si sta svuotando, per sradicarlo. Lo sta facendo a pezzi.

Hamlin si muove ancora, ma ormai soltanto negli spasmi galvanici della morte. Il campo è una pira infuocata. Hamlin brucia. Brucia. Si restringe. È andato. Il cielo torna quieto. Lissa non si vede più. Uno strano silenzio è calato; una mite pioggia rinfrescante comincia a cadere. L’aria è dolce. Le nubi si aprono; ha smesso di piovere; torna una dolce luce solare. Non vi è più alcuna frattura fra le due regioni del cervello. Macy passa dall’altra parte. Non trova alcuna traccia di Hamlin, solo una chiazza scura sul terreno, una cicatrice annerita sull’erba, e ben presto l’erba cresce e la nasconde, alti steli verdi che fanno sbocciare nuovi germogli, si alzano, si incontrano, e ben presto non rimane più alcun segno di distruzione, anche se Macy sa che sotto il bel tappeto erboso si troverebbe uno strato di cenere, se uno volesse scavare. Si allontana da quel luogo. È completamente solo. Lissa? chiama. Lissa? Ma non c’è risposta. Il silenzio regna. È completamente solo.

Dopo un certo tempo si alzò a sedere, poi si rimise cautamente in piedi. Il senso di solitudine era ancora con lui. C’era una leggera pulsazione nella sua testa, del tipo che uno potrebbe sentire se venisse trasportato di colpo dal cuore di una grande città alla distesa senza suoni della calotta polare. A parte questo non avvertiva nessuna conseguenza della battaglia. Tranne uno. Hamlin era sparito. Questo era certo: Hamlin era sparito.

Guardò Lissa. Giaceva come prima, afflosciata, gli occhi vitrei, isolata dal mondo. La pelle nuda era lucida di sudore. Non aveva più l’aspetto febbricitante, e toccandola si accorse che in effetti era più fresca. Non solo la febbre se n’era andata, ma, per la prima volta da quando la conosceva, Macy non riuscì a scorgere quella terribile tensione nei suoi lineamenti, quell’espressione di disperazione appena soppressa. Era calma. Le sue tempeste interiori, così come quelle di lui, erano cessate. Ma la sua calma era di un genere che incuteva terrore. Sembrava vuota, quasi del tutto assente.

— Lissa? — disse. — Mi senti?

— Lis… Lis…

— Lissa — disse lui. — Lissa sei tu.

— Lissa sei tu. — La sua voce era acuta, da bambina, flautata, senza tono.

— No. No. Io sono Paul. Tu sei Lissa.

— Io sono Paul. Tu sei Lissa.

Si sedette accanto a lei. Le prese le mani. Le sue dita erano molto fredde. I suoi occhi si chiusero per un momento; poi le palpebre sbatterono, si aprirono, e lei lo guardò con un’espressione solare, senza traccia di comprensione, e sorrise. Macy disse: — Ti sei bruciata, vero? Hai usato tutto quello che avevi. Per salvarmi. E adesso non rimane altro che un guscio vuoto.

— Vuoto.

— Anche l’ESP se n’è andata? Senti ancora le voci? Le senti, Lissa?

— Voci. Le. Senti. Lissa.

— Non le senti più, vero?

— No — disse lei, inaspettatamente. — Non sento. Niente.

Quella risposta lo sorprese. — Mi capisci adesso? Le voci sono davvero sparite?

Un sorriso. Uno sbattere di palpebre. Una risatina da bambina. — Le. Voci. Sono. Davvero. Sparite. — Era scivolata lontano ancora una volta.

Cercò un telefono nella stanza. Niente. Andò alla porta e guardò nel corridoio. Il telefono c’era, sì. Qualcuno lo stava usando. Parlava. E va bene. Aspetterò. Qualche minuto. Poi telefono a Gomez. Mandi l’ambulanza, gli dico. La Cooperativa del Popolo di Manhattan Nord, in fretta. Non per me. Per lei, per Lissa. Sì. Completamente bruciata. Sa a malapena il suo nome. Ma c’è ancora qualcosa di intatto, dentro di lei. Non molto, ma forse abbastanza perché lei possa lavorarci sopra, Gomez. No, non deve preoccuparsi per me. Io sto bene. Hamlin è finito, obliterato per sempre, sparito. Una decostruzione totale. Ma la ragazza. Può aggiustarla, Gomez? Può rimetterla insieme? Non sarebbe esattamente una ricostruzione. Non dovrebbe riversare una nuova identità in un vecchio corpo, soltanto rimettere una vecchia identità al suo posto. Okay, Gomez? Lo farà? Bene. Bene. E quanto ci vorrà? Cinque mesi, sei, un anno? Qualsiasi cosa. Basta che lo faccia.

Cinque mesi. Sei. Novembre. Dicembre. Macy si vide in attesa dentro il Centro Riab. Neve sulla terra, i rami degli alberi pesanti di biancore, il cielo un blu invernale. E Lissa, rinnovata, riparata, che veniva verso di lui, dall’ala interna. Non più telepatica. Una Lissa nuova, libera dal suo dono e dal suo tormento. Incerta su se stessa, mentre esce ad affrontare il mondo. Ciao, dirà lui. Ciao dirà lei. Un bacio goffo. Abbottonati, dirà lui, fa freddo. Ho la macchina. Lei sembrerà preoccupata. Andiamo in città? chiederà. Il mio primo giorno fuori. Sono nervosa. Lo sai com’è, Paul. Uscire. Sicuro, dirà lui. Lo so precisamente com’è. Ma andrà tutto bene. Nuova gente, nuove vite. Un secondo viaggio. Paul e Lissa, Lissa e Paul. Senza il nostro vecchio amico Nat. Un grande artista ha lasciato il mondo. Che silenzio nella mia testa. Cinque mesi. Sei. Novembre. Dicembre. Lissa?

Lei stava ridacchiando sottovoce, e con le mani si esplorava il corpo, scoprendo questo e quello, come una neonata. Lui le sfiorò la guancia. Lei ebbe un tremito di piacere. Aspetta, disse lui. Gomez ti sistemerà meglio di prima. Guardò nel corridoio. Il telefono ancora occupato. Forza, riattacca, sbrigati! Non lo disse. Rimase sulla soglia, aspettando di fare la sua chiamata, con il vago timore che Hamlin potesse sollevarsi, ma Hamlin non si sollevò. Andato. Andato. Il mio alter ego, il mio gemello oscuro. Ha lasciato il mondo, e io ho preso il suo posto. Macy quasi si sentiva colpevole. Un momento brevissimo di rincrescimento. Addio, Nat, addio mister Hyde. Trascorrerò il resto della mia vita senza di te. Indossando la tua pelle, indossando la tua faccia. Io sono te, Nat, e tu non sei niente.

Macy guardò Lissa. Stava sbavando. Come dovevo aver fatto io, pensò. Quattro anni fa, quando ero nuovo. Andò da lei e le asciugò il mento. Va tutto bene, le disse senza parlare. Dicembre non è molto lontano. Poi ci rivedremo, per ricominciare. Due persone qualsiasi. Il secondo viaggio, tuo e mio. Il secondo viaggio. Quello buono, forse. Dal corridoio giunse il clic del ricevitore. Il telefono si era liberato finalmente. Uscì per chiamare Gomez.

FINE
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