13

Andarsene di lì in fretta: quella era la cosa importante, adesso. Ma prima doveva fare la pace. Un gesto per rassicurarla. Noreen Hamlin Krafft giaceva a terra, guardandolo confusa, un filo di sangue che le scendeva dal labbro inferiore tumefatto, capelli in disordine, lividi bluastri sui seni bianchi, dove Hamlin l’aveva stretta. Sarebbero diventati neri, domani. Non si muoveva. Aspettava intontita l’attacco successivo. Rassegnata al suo fato. Macy, la voce che gli usciva confusa e come sfocata. — Va tutto bene adesso. Ho ripreso il controllo. Sono Macy. Non le farò del male.

— Macy.

— Paul Macy. La ricostruzione Riab. Hanno fatto un pessimo lavoro di decostruzione con Hamlin, ed è libero nel mio cervello. Si è impadronito dei centri motori e del linguaggio, ieri notte. — Ieri notte? O una settimana, o un mese prima? Da quanto tempo Hamlin aveva il controllo del suo corpo? — Ma adesso l’ho messo al suo posto, dove non può fare danni. Mentre lottava con lei, sono riuscito a prendere il sopravvento. — L’aiutò a rimettersi in piedi. Si chiese se fosse sotto shock. Non faceva alcun tentativo di coprirsi. Si leccava il taglio del labbro con la punta della lingua. Macy disse: — Mi dispiace per quello che è successo. Si è fatta molto male?

— No. No. — Fissandolo. Cercando di darsi ragione della sua improvvisa trasformazione. Dottor Jekyll, mister Hyde. — Solo un po’ scossa. — Con dita tremanti si coprì il seno, si sistemò i capelli. Fissandolo. La sua faccia era diversa ora? Lo sguardo folle di Hamlin era sparito dai suoi occhi? Sapeva che non era facile per lei comprendere quello che era successo. Questi cambiamenti di identità: lui era giunto ad accettarli come parte della condizione umana, ma agli occhi di lei dovevano essere alieni, incredibili, bizzarri. Forse pensava che lui fosse stato Macy per tutto il tempo, che le avesse giocato uno scherzo folle. Oppure che fosse ancora Hamlin.

Macy disse: — Sarebbe meglio che non dicesse a nessuno quello che è successo. La polizia, suo marito, chiunque. Sto cercando di sradicare completamente Hamlin prima che possa fare qualche guaio serio, ma ci sono dei problemi, e farci entrare la polizia renderebbe le cose ancora peggiori per me. Vede, io sono sotto costante minaccia da parte sua, e se andassi dalle autorità, potrebbe forzare la distruzione di questo corpo, perciò… — Si fermò. Lei sembrava non capire. — Non dica nulla, va bene? Se sarà in mio potere, farò di tutto perché non le capiti più una scena del genere. Mi segue?

Lei fece un cenno vago di assenso. Passeggiando su e giù, cercando di superare la paura. Era tempo che Macy se ne andasse. Giunto alla porta si voltò e disse: — Ancora una cosa: potrebbe dirmi che giorno è oggi?

— Che giorno è oggi? — Lo ripeté con tono piatto, vuoto. Come se le avesse chiesto su quale pianeta si trovavano in quel momento.

— Sì, per favore. La data. È importante.

Lei alzò le spalle. — Il quattro giugno, credo.

— Venerdì?

— Sì, venerdì.

Lui la ringraziò gravemente e uscì. Aveva il corpo rigido, e si diresse con passo sgraziato verso la macchina, le braccia che si agitavano come se fosse spastico, le spalle protese in avanti. Lui e Hamlin evidentemente avevano idee diverse circa la coordinazione fisica, e i suoi muscoli, avendo ricevuto ordini da un’altra mente per diciotto ore circa, erano riluttanti a tornare al tipo di movimenti che Macy preferiva. Non c’era da sorprendersi: il modo di fare di Hamlin era naturale per quel corpo, mentre il suo era qualcosa di imposto dall’esterno. Si concentrò per imporlo. Era una gran fortuna che Hamlin dirigesse lo spettacolo soltanto dalla sera prima, dalla lotta con il rapinatore nel corridoio della casa di Lissa. Macy temeva di poter essere stato incosciente per una settimana o più, prima di riemergere quella mattina. Nel qual caso avrebbe avuto una sequela infinita di fatti e misfatti perpetrati da Hamlin da rintracciare.

Invece no. A quanto pareva era stato sveglio per la maggior parte del periodo di dominazione di Hamlin, perdendosi solo le prime otto ore circa. La cosa era confortante. Dov’era stato Hamlin durante quelle otto ore? Probabilmente a casa mia, a riposarsi. E la lotta col rapinatore? Non doveva essere stata una faccenda molto seria. Macy si toccò la tasca. Il portafoglio non c’era. Doveva essere caduto a terra al momento della conquista, il rapinatore l’aveva ripulito, poi Hamlin si era ripreso e se n’era andato sano e salvo. Il portafoglio non era una grossa perdita. Documenti di identità, carte di credito… tutto sostituibile, tutto inutile per il suo assalitore. Macy non ne aveva neppure bisogno, finché aveva un pollice con l’impronta digitale.

Hamlin era riuscito perfino a noleggiare quella macchina usando soltanto l’impronta del pollice, del mio pollice. O il nostro, forse. Ma la spesa verrà addebitata a me. Macy si sentì vagamente dispiaciuto per il rapinatore, che viveva la squallida vita delle classi inferiori, a un livello sociale dove il denaro liquido ancora dominava. Bel bottino era stato per lui il portafoglio di un dirigente, il portafoglio di chi usa il pollice per pagare, con dentro quattro o cinque dollari al massimo.

Adesso riusciva a muoversi più facilmente. Macy raggiunse la macchina e appoggiò il pollice sulla piastra di apertura. La portiera scivolò di lato. Si sedette e prese fra le mani la leva di comando. D’improvviso l’idea di guidare lo spaventò. Gli avevano insegnato come guidare al Centro Riab, un paio di anni prima, ma negli ultimi tempi non aveva fatto molta pratica; e in quel momento c’era anche il rischio che Hamlin risalisse alla superficie e facesse qualche stronzata, sull’autostrada. Gli ho dato una bella botta quando ho preso il controllo, ma non si sa mai.

Hamlin? Sei sveglio?

Nessuna risposta dall’abisso. Ma Macy avvertiva la presenza del suo alter ego: un flebile riverbero metallico dal profondo, come le grida di un djinn arrabbiato per essere stato nuovamente rinchiuso nella sua bottiglia.

Bene. Resta così. Non disturbarmi mentre guido.

Se solo riuscissi a tenere il maledetto tappo sulla bottiglia, questa volta.

Appoggiò il pollice sul pannello di accensione, e la macchina, dopo aver analizzato l’impronta e aver scoperto che corrispondeva a quella del suo attuale proprietario, si mise in moto. Cautamente Macy tolse il freno, avanzò. La macchina rispose a dovere, la grande bestia sbuffante imbrigliata. Da che parte era New York, adesso? Lunghe ombre pomeridiane. Il sole a metà della sua discesa. A destra. Scegli una direzione qualsiasi. Riuscì a uscire dalla zona residenziale, immettendosi nella strada principale tagliò la strada a due macchine, che risposero suonando irosamente e giustamente il clacson, e scoprì un cartello verde-su-bianco che lo indirizzò verso la città. Verso casa. Un viaggio difficile. Ma sopravvisse.


Sperava di trovare Lissa ad attenderlo nell’appartamento. Stesa sul letto nelle sue piacevoli pose impudiche, la musica che suonava, i capelli aggrovigliati, l’aroma dell’erba nella stanza. Si sarebbe gettato stancamente sopra di lei, affondando la testa fra i seni ballonzolanti. Macché. L’appartamento, vuoto e deserto soltanto da una ventina di ore, aveva l’aspetto abbandonato e squallido di una catacomba di quinta classe. Si tolse i vestiti sudati e spiegazzati. Doccia. Barba. Vaghi pensieri di cenare. L’ultimo pasto che ricordava di aver mangiato era il pranzo di giovedì. Adesso era ora di cena di venerdì. Hamlin si era preoccupato di rifornire di carburante il loro corpo, durante le sue diciotto ore di comando? Macy non si sentiva particolarmente affamato. Tutti questi scambi di identità. Devono avermi rovinato l’appetito. Strano. Uno penserebbe che questi sforzi mentali abbiano bruciato un sacco di energie. Ma qualcosa da bere non mi dispiacerebbe.

Si versò un bourbon robusto, e si lasciò cadere nudo su una poltrona. Un po’ del liquore gli si rovesciò sulla coscia. Fredde gocce marrone sui peli dorati. Non si sentiva per nulla trionfante ad aver fatto sloggiare Hamlin. A che gli serviva essere di nuovo al comando? Chi era lui, per avere tanto bisogno di vivere? Un senso oppressivo di essere arrivato alla fine si impossessò di lui. Paul Macy, nato nel 1972 a Idhao Falls, padre ingegnere, madre insegnante, figlio unico.

Falso. Falso. Stronzate. Non sono nato da nessuna parte, sono venuto fuori da una provetta. Sono un golem, un dybbuk, una costruzione. Senza amici, senza famiglia, senza scopo. Lui almeno era reale. Si sarebbe scopato la sorella più piccola, avrebbe rubato i giocattoli a un bambino, ma aveva un’identità, una personalità che si era guadagnato vivendo. Un dono artistico.

Allora, Hamlin? Vuoi riavere tutto? Perché insisto a mettermi sulla tua strada? Forse hai ragione; forse dovrei lasciarti vincere.

Hamlin non fece motto. Soltanto gli echi metallici ex profundis. Deve essere in letargo, esausto per tutto quello che ha fatto. Che vada a farsi fottere. Meglio perderlo. La sua anima è piena di veleni. Che mi venga un accidente se mi faccio da parte per lui, genio o non genio. Ce ne sono tanti di grandi artisti al mondo. Ma c’è un solo Paul Macy, per quanto poco valga. Questo sarebbe il momento giusto per andare al Centro Riab. Mentre Hamlin è suonato. Me lo faccio estirpare una volta per tutte. E se riaffiora? E se mi fa saltare le coronarie, come ha promesso? Che vada a farsi fottere. Se vuole, può farlo. E allora fallo. Così moriremo tutti e due. Pax vobiscum. Dormiremo il sonno eterno, lui e io. Qualsiasi cosa è meglio di questo. Annuendo solennemente, Macy allungò una mano verso il telefono per chiamare Gomez.

Il telefono suonò mentre ancora aveva il braccio a mezz’aria.

Lissa, pensò. Telefona per sapere dove sono stato, per chiedermi di tornare!

Gioia. Eccitazione. Questo lo sorprese: l’intensità del desiderio che fosse Lissa a chiamare. Cos’erano tutte quelle stronzate sul morire? Voleva vivere. Aveva qualcuno di cui occuparsi. E qualcuno che si occupava di lui. Avevano bisogno l’uno dell’altra.

— Pronto? — disse ansiosamente.

Sullo schermo verde sbocciò la faccia scura del dottor Gomez. L’angelo della morte in persona. Lupus in fabula.

— È tutto il giorno che telefono — disse Gomez. — Dove cazzo era?

— Mi sono fatto un giro in macchina. Non dovevate tenermi sotto sorveglianza?

— Abbiamo perso le tracce.

— Ma davvero? — disse duramente Macy. — Be’, ho una novità per lei. Hamlin mi ha preso ieri sera, e ha tenuto il controllo fino a questo pomeriggio.

Gomez eseguì elaborati gesti facciali di esasperazione. — E ha fatto cosa?

— È andato dal suo mercante, nel suo vecchio studio, dalla sua ex moglie. Che stava per violentare, quando io ho riassunto il controllo.

— Vuole dire che è ancora psicopatico?

— Come minimo, si diverte ancora a maltrattare le donne.

— Va bene. Va bene. Questo è troppo, Macy. Sopraffarla, andarsene in giro. Le mando un’ambulanza. Resti lì e se Hamlin cerca di nuovo di attaccare, lo tenga a bada in qualche maniera. La porteremo al Centro sotto sedativi nel giro di un’ora e mezzo, e allora…

— No.

— Cosa no?

— State lontani da me, se volete che continui a vivere. Gliel’ho detto, Gomez: è un pazzo. Se si convince che lo volete prendere, mi spegne il cuore.

— Non è un timore realistico.

— È abbastanza realistico per me.

— Le assicuro, Macy, che non farebbe mai una cosa del genere. Abbiamo lasciato che questa situazione marcisse abbastanza. Verremo a prenderla e faremo un lavoro di decostruzione come si deve, e le assicuro…

— Le sue assicurazioni se le metta in quel posto, Gomez. Stiamo mettendo in gioco la mia vita. La mia vita. Mi rifiuto di mettermi nelle vostre mani. Ha l’autorità di prendermi senza il mio consenso? Ha un ordine del tribunale? No, Gomez. No. Mi stia lontano.

Gomez rimase in silenzio un momento. Un’espressione astuta gli lampeggiò negli occhi; cercò immediatamente di nasconderla, ma non prima che Macy l’avesse vista. Alla fine, con l’aria di chi vuol far capire: "Lo so che le farà male, ma è nell’interesse generale", disse: — Si renderà conto, Macy, che la sua sicurezza non è l’unico elemento che dobbiamo prendere in considerazione. Un tribunale ha decretato che dobbiamo proteggerci da Nat Hamlin. Nel momento in cui mi ha comunicato che Hamlin non era interamente sparito, è diventato mio dovere prenderlo in custodia ed eseguire la sentenza del tribunale nel modo giusto. Va bene: lei mi ha detto che si sentiva in pericolo, mi ha chiesto di lasciarla stare fino a quando non avessimo trovato un sistema sicuro per affrontare la situazione, e io l’ho lasciata fare. Era contro tutte le regole, ma ho accettato. Per pura amicizia, Macy. Mi vuol credere? Per pura amicizia. Per il suo bene. E da lunedì stiamo cercando un sistema per risolvere la questione senza metterla in pericolo. Ma adesso mi dice che Hamlin ha effettivamente preso il controllo del suo corpo per un po’, per il tempo sufficiente ad assalire una donna. Okay. Più di tanto, l’amicizia non può arrivare. Può garantirmi che Hamlin non prenderà il sopravvento fra mezz’ora? Può garantirmi che domani non se ne andrà in giro ad assalire massaie? Dobbiamo prenderlo adesso, Macy. Dobbiamo finirlo.

— Anche se comporta dei pericoli per me?

— Anche se comporta dei pericoli per lei.

— Capisco — disse Macy. — Lei pensa: tanto è una costruzione, anche se viene cancellato, cazzi suoi. La cosa importante è prendere Hamlin. Niente da fare, dottore. Non intendo recitare la parte del passante innocente che viene steso mentre lei e Hamlin fate a revolverate. Mi stia lontano.

— Macy…

Macy riattaccò. L’immagine di Gomez si contrasse e sparì come una foto risucchiata da un gorgo. Macy inghiottì il resto del bourbon, lasciò cadere il bicchiere e si guardò intorno alla ricerca dei vestiti. Si rendeva conto che la sua conversazione con Gomez aveva prodotto un pericoloso cambiamento nella sua situazione. L’uomo del Riab gli aveva notificato che avrebbero preso Hamlin, a prescindere dai rischi che ciò poteva comportare per chi abitava il corpo di Hamlin. Poteva aspettare pacificamente l’ambulanza, naturalmente. Lasciarsi trasportare al Centro Riab. Sperando che Gomez riuscisse a far fuori Hamlin prima che Hamlin facesse fuori lui. Già: sperando! Conosceva Hamlin. Non si erano divisi lo stesso cervello per niente, in tutte quelle settimane. E sapeva che se Hamlin fosse venuto alla superficie e si fosse ritrovato al Centro, pronto per essere nuovamente decostruito, sarebbe esploso in una furia distruttrice. Muoia Sansone con tutti i filistei. Se Hamlin non poteva avere il corpo, avrebbe fatto in maniera che non lo avesse nessun altro. Perciò non aveva senso arrendersi a Gomez, non adesso. Il suo fatalismo di mezz’ora prima era sparito. Non voleva morire e neppure rischiare la morte. Non sapeva bene per cosa dovesse vivere, ma non importava. Adesso doveva scappare. Doveva darsi alla macchia.


Era calata la sera. Ogni cosa era avvolta in una peculiare luce grigia e sbiadita. Giunto alla fine del vicolo, dopo essere uscito di casa, Macy guardò in tutte le direzioni. Sentendosi vagamente assurdo. Quel nascondersi era così melodrammatico, così sciocco. E se Gomez avesse avuto un uomo all’ingresso principale? Non era solo paranoia. Manderanno degli occhi volanti a cercarmi, massimo allarme, tutti gli aeroporti sorvegliati. E dove posso andare? Gesù, dove posso andare? Macy avrebbe voluto ridere. Bel fuggiasco. Cosa farò, mi accamperò nel Central Park? Mangiando scoiattoli e ghiande?

Pensò di rifugiarsi nella squallida pensione dove aveva abitato Lissa. Con un doppio vantaggio: avrebbe potuto trovarla a casa, la sua sola amica, la sua sola alleata, e in ogni caso, quel posto era un buco talmente schifoso, che sarebbe stato fuori dalla portata dei sistemi computerizzati di ricerca. Nascosto in un fatiscente sotterraneo pre-tecnologico. Ma c’era un grosso svantaggio. Gomez, sapendo di Lissa, sapendo che il suo appartamento era il posto più logico dove sarebbe andato, l’avrebbe certamente fatto sorvegliare. Troppo rischioso. Dove allora? Non lo sapeva.

Camminò verso nord. Tenendosi rasente alle case, cercando di non attirare l’attenzione. Una spalla più alta dell’altra, come per nascondersi la faccia. Verso nord, a caso, mentre la notte scendeva. Ma forse non così a caso. Si rese conto che i suoi passi lo stavano conducendo lungo la Broadway, oltre il ponte, a Nord Manhattan. Verso l’unico altro punto cardinale della sua bussola: gli uffici della rete.


Pietre miliari del suo esiguo, sbrindellato passato. Qui aveva camminato in quel mattino di maggio, a disagio e speranzoso. Uno-due-uno-due. Passo. Passo. Sentendosi goffo e incerto dentro il suo nuovo corpo. Cercando di essere naturale. Così cammina Paul Macy. Orgogliosamente, lungo la maledetta strada. Spalle squadrate. Pancia in dentro. La fortuna ti aspetta. Un secondo viaggio, un secondo inizio. Il brutto sogno è finito; adesso sei sveglio. Passo. Passo. Fermandosi bruscamente, si voltò a sinistra e guardò la sua immagine riflessa su un pilastro lucido come uno specchio accanto all’ingresso di un edificio adibito a uffici. Faccia standard anglosassone, con guance larghe e labbra sottili. E la ragazza che stava camminando alle sue spalle, presa alla sprovvista dalla sua improvvisa fermata, gli venne addosso. Nat, disse. Nat Hamlin, per l’amor di Dio! Il lungo ago freddo che si infilava nel suo occhio. Cortesemente ma con fermezza le diceva: mi spiace, lei si sbaglia. Mi chiamo Paul Macy. La gente passava senza sosta accanto a loro. Lei era alta ed esile, con lunghi capelli rossi, lisci, inquieti occhi verdi, lineamenti delicati. Attraente, in una maniera stanca e fragile. Gli diceva di non prenderla in giro. Lo so che sei Nat Hamlin. Si protese verso di lui, le dita che affondavano fino all’osso del suo polso destro, e Macy avvertì una strana sensazione alla cima del cranio. Una specie di intrusione. Un pizzicore. Un leggero calore. Insieme a esso ci fu un fastidioso offuscamento della personalità, una duplicazione dell’io. Il primo riemergere di Hamlin, solo che lui allora non lo sapeva. Si appoggiò al fianco dell’edificio con una mano e con l’altra le fece segno di andarsene. Vai via. Via. Fuori dalla mia vita. Chiunque tu fossi, non c’è più posto ora.

E si affrettò in direzione degli uffici della rete. Isolato dopo isolato, ed eccoli. Una nera torre arcigna. Pareti senza finestre. Non entrò. Non adesso, certo non adesso. Fredericks. Griswold. Loftus. I miei colleghi. Smith o Jones. Quell’Hamlin nell’angolo. Uno dei miei preferiti, disse Griswold. Un regalo della mia prima moglie, dieci anni fa, quando Hamlin era ancora uno sconosciuto. Tossendo. Se non vi spiace… un po’ di acqua fredda. Perdonatemi. Sapete, è il mio primo giorno fuori. La tensione. No, staremo lontani dagli uffici della rete questa sera.

E lì, l’angolo fra Broadway e la 227. Dove l’aveva incontrata quel lunedì sera. Che camminava in un piccolo cerchio. Una zona chiusa di tensione sulla strada affollata. Guardandolo con un misto di stupore e felicità. Macchie di colore che punteggiavano le sue guance. Le palpebre che sbattevano; ha paura di me, si rese conto d’improvviso. Oh, Nat, grazie a Dio sei venuto. No, disse lui, stabiliamo questo una volta per tutte. Io mi chiamo Paul Macy. Cosa vuoi? Non possiamo parlare qui, disse lei. In mezzo alla gente. Per strada. Dove, allora? A casa tua? Lui scosse la testa. Assolutamente no. La mia, allora. Possiamo arrivarci in quindici minuti. È tutto sporco, ma… disse lei, e lui disse: Cosa ne dici di un ristorante? C’è un ristorante del popolo a due isolati da qui. Ci vado spesso. Lo conosci? No. Potremmo andare lì, disse lei. Sì.

Potrei tornarci. Adesso. Adesso. Il richiamo improvviso della fame. Due isolati. Camminò in fretta. Una spalla più alta dell’altra. Raggiunse il ristorante. Una spartana facciata socialista, una vetrina spoglia. Dentro, uno stanzone lungo e stretto, con pareti di ottone annerito e un fascio di fili luminosi che lampeggiavano difettosamente intrecciati al soffitto di paglia. E va bene. Mangiamo qualcosa. Lì dentro aveva cenato con Lissa quella sera. Si era alzato, voltato, allontanato da lei. E il suo grido. No! Torna indietro! Paul! Paul! Nat! Le sue parole che balzavano attraverso il golfo che li divideva come frecce. Sei centri. San Sebastiano che cade fra i tavoli del ristorante. Il cervello in fiamme. E la voce di Hamlin, che parlava distintamente da un punto appena sopra il suo orecchio sinistro e diceva:… Come puoi piantarla qui in questa maniera, lurido bastardo?

Dunque è qui che ti sei manifestato la prima volta? Molto bene. Entriamo.

Pensava di essere affamato, e caricò abbondantemente il vassoio di carne, verdure, panini e altro. Ma quando si sedette a uno dei lunghi tavoli, scoprì di non avere alcun desiderio di cibo. Mangiucchiò un poco. Fissò il vuoto, e si isolò dalla realtà circostante. Che pace. Potrei starmene qui seduto per sempre. Ma qualcuno gli stava toccando la spalla. Una spinta rapida, impertinente. Poi un’altra. Perché non mi lasciano in pace? Uno dei tirapiedi di Gomez, forse. Se non gli presto attenzione forse se ne andrà. Cercò di affondare di più nell’isolamento. Un’altra spinta, più insistente. Una voce roca e aspra. — Ehi. Tu, vuoi guardarmi un secondo? Sei fumato o cosa? — Con riluttanza Macy ritornò alla realtà. Una ragazza grassa, puzzolente, con un vestito grigio era in piedi accanto a lui. La sua faccia era piatta come quella di una mongola, ma la pelle era bianca, gli occhi non a mandorla. Disse: — C’è una ragazza di sopra che ha bisogno di aiuto. Tu sei quello che fa al caso.

— Di sopra? Ragazza?

— Sì, tu. Ti conosco. Sei stato qui due o tre settimane fa con quella ragazza, quella con la testa rossa, quella Lisa. Sei quello che è caduto, col naso per terra, ti abbiamo dovuto portare fuori, io e la rossa e l’autista di taxi. Lisa si chiama.

— Lissa — la corresse Macy, sbattendo le palpebre.

— Lisa, Lissa, non so io. Senti, lei ti ha aiutato, adesso tu aiuta lei.

Una pellicola galleggiante di memoria. In piedi accanto alla macchina di credito alla fine del bancone, la volta prima, autorizzandola ad addebitargli dieci dollari per la cena. E una ragazza dalla faccia piatta che faceva la coda dietro di lui, che sbuffava con disprezzo. Pagava troppo? Troppo poco? Quella ragazza.

— Dov’è? — chiese Macy.

— Te l’ho detto. Di sopra. È venuta ieri, e piangeva un sacco, faceva un gran casino. Alla fine è svenuta. L’abbiamo portata in una stanza, ed è ancora lì. Non mangia. Non parla. Tu la devi conoscere, perciò va ad aiutarla.

— Ma dove? Di sopra, hai detto.

— La cooperativa popolare, testa dura — disse la ragazza grassa. — Dove altro? Dove altro credi che sia? — E se ne andò.

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